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Sistema finanziario - Mondo

La torre di Babele: i ''Subprime'', solo la punta ...

Sistema finanziario - Mondo

La tempesta perfetta (formato bonsai)

Macro USA

Alert stagflazione

Setimente e borse

Wall Street: ma li volete leggere gli indicatori ?

Macro USA

Immobiliare: verso 18 mesi di saldi

Valute

La corsa dell'euro non deve far paura

 
 

+++    Le borse continuano nel loro trend ascendente  +++   Dow Jones verso nuovi record +++   Il super euro non impensierisce i mercati   +++

  Martedì  03  aprile 2007   Giovedì  05  aprile 2007   Venerdì  06  aprile 2007  
       
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GR1 RAI - 02 APR ore 19:00

   

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La torre di Babele: i ''Subprime'', solo la punta di un iceberg
 

03 Aprile 2007 - di Andrea Mazzalai
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“ L'innovazione ha portato una moltitudine di nuovi prodotti come i prestiti subprime e il credito di nicchia per gli immigranti (…). Dove un tempo ai clienti più marginali sarebbe stato semplicemente negato il credito, ora i prestatori sono in grado di giudicare con efficienza il rischio di quei clienti e di prezzarlo appropriatamente. Questi progressi hanno portato a una rapida crescita dei mutui casa subprime….in risposta alla domanda del mercato a beneficio dei consumatori”.

In un discorso pronunciato l'8 aprile del 2005 l'allora presidente della Fed, Alan Greenspan, benediceva la più grande e intrigante Torre di Babele che la storia dell'ingegneria finanziaria ricordi!

Continua il nostro viaggio alla scoperta delle cause e degli squilibri economico finanziari che hanno determinato la caduta del mercato immobiliare americano.

In un articolo apparso su MarketWatch a firma dell'inviato Alistair Barr si espone una delle domande che in questo momento analisti ed commentatori si pongono per cercare di comprendere le future implicazioni del crollo del mercato immobiliare sul sistema finanziario ed economico americano e di riflesso mondiale: “ Il crollo del mercato SUBPRIME può danneggiare seriamente il mercato dei CDOs Collateralized Debt Obligations ?“

I CDOs sono dei titoli obbligazionari garantiti da crediti emessi da una società appositamente creata, società veicolo, a cui vengono cedute le attività poste a garanzia. I CDO sono solitamente garantiti da un portafoglio composto da prestiti, titoli obbligazionari o credit default swap e suddivisi in più categorie ( tranche ) a seconda della priorità di rimborso. Qualora i flussi di cassa generati dai crediti posti a garanzia del debito non siano sufficienti a far fronte al pagamento degli interessi vengono effettuati prima i pagamenti delle categorie con priorità alta ovvero senior e mezzanine e successivamente quelli della categoria a rischio equity.

Secondo l'articolo queste strutture complesse simili a fondi di investimento mutualistico hanno alimentato in questi anni il mercato immobiliare comprando i settori più rischiosi del mercato MBS. Ora improvvisamente potrebbe accadere l'inverso limitando o chiudendo i rifornimenti al mercato immobiliare rendendo più onerosi i prestiti ipotecari e riducendo il segmento subprime. Gli stessi Hedge Funds hanno scommesso in anticipo sul crollo del mercato subprime utilizzando i derivati strutturati sui mutui, per moltiplicare i guadagni.

Per intenderci i CDOs sono gli stessi che hanno alimentato il mercato del leverage by-out tanto caro ai Private Equity (PEHN.SW - notizie) di cui abbiamo spesso parlato con in prima linea i gruppi KKR e Blackstone che lo scorso anno sono stati finanziati per il 57 % da questi derivati per un totale di 1,55 trilioni di dollari con un record storico nelle fusioni ed acquisizioni secondo Standard & Poor's.

Lo sviluppo del mercato dei CDOs è stato di natura esplosiva dal 1995 dove erano appena presenti arrivando alla cifra di 500 miliardi di dollari solo lo scorso anno secondo una ricerca della Graham Fisher & Co con il 40 % nel settore residenziale in preminenza nel settore subprime. Ormai sono considerati gli alimentatori principali della finanza ipotecaria residenziale.

I prezzi stagnanti e le morosità dei prestiti stanno colpendo in maniera rilevante il mercato dei CDOs con particolare criticità in caso di crollo dei prezzi! Qualcosa di simile è successo durante la crisi immobiliare degli anni 90 e la paura è che se i CDOs si ritirano dal mercato immobiliare si potrebbero alzare i tassi di interesse per i mutuatari solvibili delle categorie Alt-A chiudendo definitivamente la porta al mercato subprime e provocando un “shakeout” di notevoli dimensioni.

Ma chi detiene questo rischio, solo alcuni hedge fund o anche qualche fondo pensione, qualche fondo monetario? La maggior parte degli esperti dicono che è quasi impossibile saperlo, in quanto chiunque abbia offerto CDOs non svelerebbe il segreto. La stessa Federal Deposit Insurace Corp. conosce l'insieme del mercato MBS ma non le singole storie. Alcuni sostengono che siano i fondi giapponesi affamati di alti tassi d'interesse che nel loro paese non vi sono. Le stesse autorità non conoscono dove sia allocato il rischio.

Secondo una ricerca dell'Università di Drexel i fondi pensione e monetari detengono le fette meno rischiose in quanto le regole non permettono investimenti a basso rating, ma questi fondi possono investire ed investono negli hedge fund che a loro volta hanno la fetta più rischiosa del mercato subprime.

Secondo un analista del mercato MBS le parti più rischiose sono in mano agli investitori stranieri in quanto la maggior parte degli investitori americani erano a conoscenza della problematica del mercato subprime ed hanno evitato di comprare questi CDOs. A tal proposito mi vengono in mente le parole di Lewis Ranieri l'inventore del mercato MBS secondo il quale le parti più rischiose sono state vendute ad “ignari” investitori stranieri.

“ NON CONOSCIAMO ESATTAMENTE CHI DETIENE IL RISCHIO, MA IN UN CERTO SENSO TUTTI TENIAMO QUESTO RISCHIO, IL RISCHIO NON VA VIA DA SOLO, QUALCUNO DEVE AVERLO!!!”
(fonte: Merketwatch.com )

Cerchiamo ora di riepilogare i principali attori di questa immensa, misteriosa e sinistra Torre di Babele.

La torre di Babele è la leggendaria torre di cui si narra nella Bibbia e precisamente nel capitolo della Genesi. La torre (in mattoni) fu costruita nel Sennaar (in Mesopotamia) dagli uomini con l'intenzione di arrivare al cielo e dunque a Dio. Secondo il racconto biblico, all'epoca gli uomini parlavano tutti la medesima lingua. La torre era anche un simbolo di unità degli uomini gli uni con gli altri e tutti insieme con Dio. Ma Dio creò scompiglio nelle genti e, facendo sì che le persone parlassero lingue diverse e non si capissero più, impedì che la costruzione della torre venisse portata a termine.( http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Babele )

Come (CADN.SW - notizie) detto spesso nei miei precedenti interventi in Natura esistono delle forze educatrici, e la Natura è Ella stessa educatrice! Il mercato dei prestiti ipotecari in America, sembra appena uscito da una delle innumerevoli saghe di Harry Potter, dove la magia, l'occultismo e la stregoneria sono di casa. Con i tassi ai minimi storici si indebitavano anche i moribondi con la “certezza” o la speranza che la favola infinita dell'incremento di valore degli immobili continuasse in eterno.

Tutti interessi e niente capitale. La torre di Babele! La spasmodica ricerca del guadagno assoluto, la sensazione di onnipotenza che pervade le menti di coloro che spirano alla divinità finanziaria.

La grandezza di questa torre secondo gli esperti o presunti tali, è misurabile in circa il 13,7 % di tutto il mercato ipotecario in forte aumento in quanto nel 2000 era solo dell'8 %, ma il Mortagage Backed Securities misura praticamente il doppio del mercato dei titoli di stato americano! Il subprime è relativo al 20 % dell'intero mercato residenziale che a sua volta è la metà dell'intero mercato immobiliare compreso il settore commerciale. La dimensione totale del mercato dei mortgage, mutui americani è di 10000 miliardi di dollari.

Procediamo per sottovalutazione del problema! La percentuale delle sofferenze nel settore ad alto rischio sono attualmente al 13,3% contro un minimo del 10,5 % nel 2003/2004 e il massimo era stato toccato con il 15 % nel 2002 mentre per i mutui di prim'ordine ci troviamo al 2,6 %. Le compagnie fallite nel settore negli ultimi due mesi sono solo 25 o 30 su un totale esistente di circa 8853 aziende nel 2006.

Nel 2006 il 20 % dei mutui concessi erano subprime su un totale di 2500 miliardi, quindi su 500 miliardi anche se saltano il 10 % cioè 50 miliardi non basta a mettere in crisi la struttura bancaria. ( fonte Borsa & Finanza intervista a Duncan capo economista e presidente della Mortgage Bankers Association associazione delle banche erogatrici di mutui americane)
Bene (Vienna: 00BENE.VI - notizie) la Federal Reserve ha appena ammesso di non avere la certezza di quali siano le reali cifre del problema considerando che una buona parte di queste aziende erogatrici di crediti subprime non sono sotto la sua sorveglianza, e qui si snocciolano cifre senza fare i conti con l'oste!

Secondo l'economista Nuriel Rubini, ex consigliere economico di Clinton e uno dei più pessimisti nelle previsioni, la crisi è estesa a tutto il settore immobiliare in quanto anche il comparto commerciale ovvero uffici e quant'altro che aveva mostrato lo scorso anno una crescita del 20 % verso la metà dell'anno, era già caduto al 14 % nel terzo trimestre per rivelarsi negativo a meno 3 % nell'ultimo trimestre dell'anno.

Gli istituti di credito subprime hanno ceduto gran parte dei prestiti erogati alle grandi banche che gli hanno a loro volta cartolarizzati, trasferendo il relativo rischio di credito al mercato. Ora la maggior parte di questi mini istituti giace nel Charter 11, ovvero l'anticamera del fallimento.
Ora che, piano piano siamo riusciti, nei precedenti post a ricostruire il complesso e magico lavoro di alta ingegneria finanziaria, proviamo a cercare di scoprire le conseguenze teoriche ma possibili del crollo di questa torre di Babele che poggia su fondamenta di sabbia.

Una premessa è indispensabile per non cadere nel gioco che demonizza tutto ciò che non conosciamo, tutto ciò che può essere fonte di squilibrio significativo o che viene utilizzato per fini diversi dal suo scopo originario. I credit default swaps sono assicurazioni sul capitale, strumenti che proteggono dai rischi di mercato è vengono assunti, si presume consapevolmente da coloro che operano delle chiare strategie di mercato. Ma l'eccesso e l'abuso di questi strumenti presuppone il fallimento! Il problema non stà come in tutte le cose nello strumento, ma nell'utilizzo che se ne fa e nella sua motivazione.

Supponiamo ora di costruire la nostra torre utilizzando il cemento del mercato subprime, ovvero coloro che non potendosi permettere nessun accreditamento, pagano esclusivamente interessi senza rimborsare il capitale a tassi decisamente più elevati della media. Finite le fondamenta i nostri ingegneri provvedono a posare i primi mattoni provenienti dalla cartolarizzazione dei crediti attraverso la trasformazione in obbligazioni di varie qualità a seconda del rischio, Collateralised debt obligation (CDO) strumenti di copertura e ripartizione del rischio che vengono rivenduti ad altri investitori o costruttori di torri. Si provvederà poi per rendere più sicura la struttura a mettere i pilastri assicurativi attraverso la sottoscrizione di CDS ovvero Credit Default Swaps derivati di seconda generazione che assicureranno ovviamente contro il possibile crollo della torre in questione! Ora la torre dovrebbe trovare il suo naturale completamento a meno che, non vi siano nell'ultima parte della torre degli ulteriori mattoni fabbricati con l'emissione di CDO costituiti da pacchetti di CDS che non farebbero altro che aumentare il peso di questa innaturale sequenza che tende a nascondere il rischio primario.

Circa il 40 % del prestiti CDO è costituito dal mercato MBS residenziale e quasi i tre terzi di esso è costituito dal segmento subprime. Secondo Moody's il settore subprime potrebbe avere conseguenze pesanti in quanto dal 2003 al 2006 l'esposizione all'MBS subprime era intorno al 45 % ma è variata da quasi zero a circa il 90 % e i CDOs recenti hanno alte concentrazioni di tali prestiti.

Il probabile crollo della nostra torre dovuto al cedimento definitivo dell'invenzione diabolica del mercato SUBPRIME , rischia di travolgere parte delle costruzioni di buona fattura relative al mercato immobiliare di alta qualità, situate nelle vicinanze!

Sottovalutando il tutto si potrebbe dire che la torre stà implodendo, come se vi fosse stata un'esplosione controllata, provocata da esperti di demolizione, ma quanti sono gli strumenti finanziari che hanno scommesso sulla costruzione di questa torre, quanti CDO, CDS, quanti RMBS, quanti derivati subprime viaggiano nel mercato MBS, quanti investitori privati, quanti fondi pensione, quanti hedge funds hanno contribuito alla costruzione di questa memorabile torre ?!
Questa è la dinamica di costruzione della nostra torre, un insieme di sottovalutazione, ingenuità, premeditazione e avidità che lascerà negli anni un ricordo indelebile!

Visita il mio blog su http://icebergfinanza.splinder.com/ …non c'è vento per le vele del Marinaio che non sa dove andare.

 

Fonte - http://icebergfinanza.splinder.com/


 

 

 


 

   Alert stagflazione

03 Aprile 2007 Siena - di *Antonio Cesarano
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*Antonio Cesarano e' Head of Research and Strategy MPS Finance BM S.p.A.

I dati di oggi confermano quanto emerso già nelle scorse giornate: dicotomia tra crescita (in rallentamento) e dinamica dei prezzi (in rialzo).

1) La spesa per consumi delle famiglie ha registrato il più basso livello di crescita mensile dal mese di agosto. Se ipotizziamo un livello di crescita mensile nullo a marzo si arriva ad una crescita annualizzata della spesa delle famiglie pari al 3,3%, un valore inferiore rispetto al 4,2% del quarto trimestre.

2) Nel frattempo i prezzi (misurati dal deflatore della spesa personale core) sono risultati in forte recupero ritornando allo stesso livello di settembre (+2,4% a/a). Inoltre il dato marked based (ossia depurato dai prezzi non direttamente rilevati), è arrivato al 2,3%, il livello più elevato da quando la serie viene pubblicata.

3) La spesa per costruzioni di febbraio invece è risultata migliore delle attese su base mensile grazie alla componente non residenziale (+ 1,5%) dal momento che il settore residenziale ha continuato ad evidenziare una marcato calo (-1%). La variazione annuale del dato generale ha comune continuato a seguire un trend calante (da –2,3% a –2,4%).

4) Infine l’indice finale della fiducia dei consumatori del Michigan ha evidenziato un ridimensionamento rispetto a febbraio ed al dato preliminare soprattutto a causa della componente prospettica. Le aspettative di inflazione ad un anno sono invece rimaste ferme al 3%.

In sintesi: complessivamente le ultime indicazioni confermano il rallentamento in atto dell’economia Usa. La novità di rilievo è il sensibile recupero dei prezzi che ha in buona parte annullato le indicazioni positive che erano arrivate a fine 2006. Si preannunciano pertanto tempi più lunghi per il rallentamento della dinamica inflattiva. Nel frattempo gli operatori potrebbero continuare a temere uno scenario stagflattivo il che rappresenta potenzialmente un elemento non positivo per i bond. Il petrolio rimane sempre “l’osservato speciale”. Lo scenario di rallentamento della crescita rende ancora verosimile lo scenario di rallentamento anche dei prezzi alla fine del semestre in corso, ovviamente petrolio ( e quindi eventi geopolitici) permettendo!
Viene anche confermato lo scenario di Fed ferma per tutto il semestre, a maggior ragione laddove crescita e inflazione dovessero fornire segnali contrastanti ancora per qualche mese. Nel frattempo in chiave tattica confermiamo l’importanza dei livelli del 4,67% e 4,07% rispettivamente sul decennale Usa ed area Euro. Già in passato è accaduto che la prima fase di rialzo del prezzo del greggio sia stata letta prima come minaccia sui prezzi e solo successivamente sulla crescita.

 

Fonte - MPS Finance

 

 

 

 

 

Borse: Eurispes, business cycle finito
 

04 Aprile 2007 Roma - di ANSA
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Dopo 52 mesi di crescita piu' o meno decisa e continua, il cosiddetto business cycle delle Borse mondiali potrebbe essere finito. Secondo l'Eurispes il 2007 potrebbe segnare una fase di stasi, se non addirittura di declino. A pesare sugli andamenti azionari potrebbero essere le previsioni di rallentamento dell'economia Usa, la stanchezza della stessa dell'amministrazione Bush nella fase pre-elettorale, la perdita di valore del dollaro e la discesa tendenziale del prezzo del petrolio.
 

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 


   La tempesta perfetta (formato bonsai)

3 Aprile 2007 2:00 MILANO - di *Alessandro Fugnoli
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*Questo documento e' stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank

E’ in corso una tempesta perfetta bonsai. C’è una crisi finanziaria, quella dei subprime, di proporzioni peraltro circoscritte. C’è un’inflazione persistente, ma non certo apocalittica. C’è una crescita americana che perde colpi (con l’ottimo Greenlaw di Morgan Stanley che la dà all’1.6% per il primo trimestre), ma non in modo devastante. C’è il ritorno della geopolitica con la crisi anglo-iraniana, ma in forme per il momento molto ritualizzate. C’è il ritorno del petrolio, che sale del 28% dai minimi di metà gennaio ma rimane comunque del 17% sotto i massimi di agosto. C’è perfino il ritorno alla grande degli uragani, ma per adesso intesi solo come previsti per l’estate e per l’autunno. C’è infine l’elemento che rende una tempesta perfetta veramente perfetta, ovvero la sorpresa, il capitare nel momento in cui tutti sono tranquilli e fiduciosi.

Il mondo di qualche settimana fa era il mondo fatato di Goldilocks, crescita senza inflazione, utili in crescita a due cifre, petrolio a 50 dollari (con i soliti ineffabili che lo davano in caduta libera a 40, 30, 20 dollari), niente uragani e uno sbadiglio annoiatissimo a sentire parlare ancora di Iran. Anche qui, però, la sorpresa, se non proprio bonsai, è mitigata dal fatto che il mercato ha già dato una discreta scrollata alle posizioni più esposte nella prima metà di marzo. Sarà stata una correzione incompleta e archiviata frettolosamente, ma un campanello d’allarme l’ha fatto suonare. Se non ci fosse stata, la reazione alle novità degli ultimi giorni, tutte assolutamente negative, sarebbe stata meno stoica. Invece di una correzione brusca, ma limitata, avremmo potuto avere un piccolo crash, che avrebbe reso a sua volta più fragili il quadro macro e l’assetto del sistema finanziario.
Onore ai policy maker (se è merito loro) per avere fatto abortire in tempo il rialzo di otto mesi delle borse montando a freddo la questione del carry trade sullo yen e rallegrandosi ogni dieci minuti per il ripristino del premio al rischio. Anche Bernanke è stato stoico nella sua testimonianza al Congresso. Ha ammesso senza reticenze il deterioramento del trade off tra inflazione e crescita, ha ammesso che il cammino appare più incerto, ma ha ribadito la previsione di crescita moderata del Fomc. Ha confermato la priorità della lotta all’inflazione e anche qui è stato coraggioso, considerando che parlava a un Congresso democratico. Con molto puntiglio, in modo quasi commovente, ha poi elencato tutti i fattori che inducono a sperare, dalla discreta tenuta dei consumi al buon andamento delle esportazioni, trainate da un mondo che continua a crescere molto e bene.

Molto si è discusso, in queste settimane, della put di Bernanke, erede diretta della put di Greenspan, ovvero della Fed che, di fronte alle difficoltà dell’economia e del mercato azionario, interviene nel ruolo della cavalleria che sopraggiunge al momento buono tagliando i tassi e salvando la situazione. La nostra idea è che quella put non sia una leggenda metropolitana, ma sia però a un livello più basso di quello stimato dal mercato. Una correzione di borsa non la fa certo scattare e nemmeno un rallentamento reversibile della crescita, se è accompagnato da un’inflazione persistente.

Ogni governatore sa, nel profondo della sua anima, che se il dilemma tra crescita e inflazione si fa insostenibile è suo dovere salvare la crescita. Il fatto è però che siamo ancora lontani dal punto di insostenibilità. Prima di tutto il rallentamento americano è, almeno in parte, voluto. Il di più non desiderato è dovuto soprattutto al prolungarsi e intensificarsi della crisi dell’immobiliare, ma questa crisi non può essere troppo lontana dal suo punto peggiore. La crisi immobiliare, ricordiamolo, ha quattro componenti. E’ crisi dell’edilizia, calo dei prezzi delle case, crisi finanziaria e disincentivo ai consumi.
La crisi finanziaria viene risolta con il passaggio (ovviamente a prezzi di saldo) dei mutui subprime da mani deboli a mani forti e questo sta già avvenendo rapidamente. Il calo del prezzo delle case, finora molto limitato (meno 0.2 per cento anno su anno), arriverà a un punto in cui compratori torneranno sul mercato. Come nelle discese azionarie, i compratori stanno alla finestra finché non vedono la fine del ribasso, poi si presentano tutti insieme. Quanto al disincentivo ai consumi, il suo effetto è stato finora in buona misura compensato (e continuerà a esserlo) dall’aumento dell’occupazione.

La Fed non rimarrà completamente insensibile alle pressioni. A un certo punto, verso metà anno, concederà un ribasso dei tassi simbolico (come fece la Bank of England due anni fa) e guadagnerà tempo. A quel punto il mercato proietterà nel futuro ulteriori ribassi e già questo renderà di fatto la politica monetaria più espansiva. Che le cose non stiano andando così male nell’economia americana è dimostrato anche, ironicamente, dall’aumento del prezzo interno della benzina, trainato esclusivamente dalla domanda.
La benzina in crescita è la causa più importante dell’aumento del greggio (l’Iran è arrivato solo negli ultimi giorni). Non si è mai vista un’economia sull’orlo della recessione con una domanda di benzina esuberante. Venendo alle questioni geopolitiche, gli iraniani non sono avversari rozzi e sprovveduti. Le loro provocazioni sono partite a scacchi articolate, con sfondamenti e ritirate, con audacia combinata con grande pazienza. Questo non significa che giochi di questo tipo non possano sfuggire di mano (come accadde l’estate scorsa in Libano), ma le probabilità di un precipitare della crisi resteranno basse ancora per qualche tempo.
Quanto alle borse, confermiamo al momento la nostra ipotesi di mercati laterali, ma aggiungiamo un elemento di asimmetria. Per qualche tempo sarà molto difficile vedere puntate verso l’alto (anche nel caso di buoni utili trimestrali nelle prossime settimane il mercato sarà molto prudente, pensando che possano essere gli ultimi). Saranno per contro possibili puntate temporanee verso il basso.
Nei prossimi giorni è comunque difficile che ci sia una terza gamba di ribasso. La chiusura di fine trimestre darà un minimo di sostegno. Nei giorni seguenti nessuno vorrà puntare spericolatamente verso il basso alla vigilia di trimestrali che potrebbero essere buone. Durante le settimane di comunicazione dei dati societari, d’altra parte, il mercato si muoverà poco, almeno nei primi dieci-quindici giorni. Gli utili saranno nel complesso buoni. L’energia ha ripreso a guadagnare molto, la finanza va ancora molto bene. Energia e finanza sono metà dell’SP 500. Il resto sarà ovviamente più contrastato, ma il dollaro debole e l’ottimo andamento dei mercati internazionali attenueranno i problemi creati dal rallentamento interno.

Per le altre classi di asset non vediamo problemi particolari. I carry trade sulle valute emergenti continuano ad andare bene. Gli spread di credito non dovrebbero allargarsi più di tanto. Il dollaro regge abbastanza bene, considerando il flusso di notizie negative, e fa pensare a una Bce più attenta nel frenare l’euro. La tesi di Bill Gross sulle dieci classi di asset che verranno colpite dalla Fed e dalla sua politica di tassi alti come i dieci piccoli indiani di Agatha Christie è suggestiva ma non è devastante come sembra se si considera che i dieci piccoli indiani verranno colpiti uno alla volta e a rotazione.

 

Fonte - Il Rosso e il Nero, settimanale di strategia di Abaxbank

 
 

 

 

  Sabato  14  aprile 2007   Martedì  17  aprile 2007   Venerdì  20  aprile 2007  
       
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GR1 RAI - 11 APR ore 22:00

   

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GR1 RAI - 12 APR ore 22:00

   

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GR1 RAI - 16 APR ore 22:00

   

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   Wall Street: ma li volete leggere gli indicatori ?

5 Aprile 2007 Milano - di Francesco Arcucci
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L’evoluzione dei prezzi sui mercati finanziari, in generale, e sui mercati azionari, in particolare, costituisce un processo di sviluppo simile a quello che ha luogo in ogni altro ramo della storia del genere umano. Tale evoluzione è caratterizzata dal fatto che per un certo periodo un numero maggiore di persone si presenta sul mercato come compratore o compra per importi più elevati rispetto al numero e agli importi dei venditori.
Ma questa situazione non può durare all’infinito, poiché ogni processo di sviluppo, oltre che del vettore che si manifesta nel senso dell’impulso, ha bisogno anche del consolidamento o correzione. Ed ecco quindi che subentra un periodo nel quale i venditori prevalgono sui compratori.

In entrambi i casi gli acquirenti e i venditori non agiscono come un’entità collettiva, come un gruppo, come una comunità. Ciascun individuo, anzi, pur comportandosi secondo un istinto di gregge – un po’ come nella moda in cui milioni di persone si vestono nella stesa maniera – agisce in realtà come se fosse isolato e in piena competizione con gli altri. Non vi è cioè una solidarietà di gruppo fra i compratori e i venditori: ciascuno di essi segue il suo interesse, il suo "particulare" ed è mosso solo dal desiderio del guadagno e dalla paura della perdita.
Tuttavia, nel complesso, essi rappresentano una folla nella quale gli individui perdono la loro capacità critica, cadono preda di emozioni violente, dell’irrazionalità, del contagio, della suggestione e si spingono più in là di quanto non dovrebbero e forse non vorrebbero. Come folla i loro comportamenti sono soggetti alle leggi della psicologia delle folle.

Un tempo si riteneva che per definizione la folla fosse imprevedibile, ma studi più recenti hanno dimostrato che il suo comportamento è solo apparentemente disordinato ed è in realtà soggetto a delle regole, ad un ordine. C’è sempre del metodo nella follia degli assembramenti, un ordine nel disordine. Il problema è quello di saperlo cogliere.
Altrettanto vale, appunto, per il comportamento degli operatori nei mercati azionari. Se ci si riferisce all’esperienza degli ultimi 12 anni si può rilevare che ci fu una fase di rialzo sfrenato dei prezzi delle azioni dal gennaio 1995 alla primavera del 2000 e poi una prevalenza di venditori, altrettanto pronunciata, per 3 anni, fino al marzo del 2003 e poi di nuovo un’altra ondata di rialzi negli ultimi 52 mesi. Se c’erano validi motivi per comprare, dal 1995 al 2000, perché allora quella terribile ondata di vendite dal 2000 al 2003? E se le cose erano così negative in quel triennio, perché questa fantastica ripresa dei corsi delle azioni negli ultimi 4 anni e 4 mesi?

Le notizie economiche, finanziarie e politiche in questo periodo sono state un po’ buone e un po’ cattive, ma i mercati azionari hanno continuato ad apprezzarsi quasi senza soste. Nel frattempo, tuttavia, si è andata configurando una struttura di prezzi, un ordine nel disordine, che si è completata nella terza decade di febbraio 2007.
Infatti, il giorno 27 febbraio, ed ancora il 5 marzo, il mercato di New York ha registrato due giorni al ribasso del 90%. Si intende convenzionalmente come giorno al ribasso del 90% quello in cui la somma del volume e delle escursioni dei prezzi dei titoli al ribasso è pari al 90% di tutti i titoli trattati. Inoltre il rapporto fra titoli al ribasso e titoli al rialzo è stato il più alto degli ultimi 100 anni, più elevato di quello del giovedì nero del 1929 e di quello del giorno in cui, il 10 maggio 1940, la Germania nazista ha invaso la Francia e più alto del 19 ottobre 1987, il giorno del grande crash.
Se tutto questo non corrisponde ad un cambiamento di trend c’è da domandarsi che cosa ancora sia necessario per segnalarlo. È vero, tuttavia, che il 6 marzo e il 21 marzo ci sono stati 2 giorni al rialzo 90%. Ma questi 2 potenti rialzi possono significare soltanto il panico dei ritardatari, tipico della psicologia della folla.

E’ necessario quindi che chi analizza i mercati, invece di concentrarsi sulle notizie, si concentri sulla lettura diretta della struttura dei prezzi per cercare di individuare le fasi di prevalenza dei compratori e quelle dei venditori, le fasi dell’impulso e quelle della correzione. Entrambe sono necessarie allo sviluppo, così come la crescita in un organismo è frutto di allungamento e di consolidamento spesso in relazione fra loro secondo i coefficienti della sezione aurea (0,618 e 1,618). In assenza di correzioni fisiologiche i mercati vengono segnati solo da casi estremi, e cioè da euforia e panico, da comportamenti maniacali al rialzo e al ribasso. E forse non è una bella cosa.

 

Fonte - Affari&Finanza La Repubblica


 

 

 

 

FED: VERBALI FOMC; NUOVE STRETTE POTREBBERO ESSERE NECESSARIE

11 Aprile 2007 21:05 Roma - di ANSA
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(ANSA) - ROMA, 11 APR - Il board della Fed ha concordato sulla possibilità che altri innalzamenti del costo del denaro possano ancora "rivelarsi necessari" per tenere sotto controllo l'inflazione. E' quanto si legge nei verbali dell'ultima riunione del Federal Open Market Committee della Federal Reserve, tenutasi lo scorso 21 marzo, in cui si è deciso di lasciare i tassi invariati al 5,25%. Al tempo stesso i membri del Federal Open Market Committee hanno ammesso "l'accresciuta incertezza circa l'outlook su inflazione e crescita economica" decidendo di conseguenza di evitare di rimarcare nel comunicato finale della seduta di politica monetaria il riferimento all'ipotesi di ulteriori manovre restrittive. Dai verbali emerge che i banchieri centrali americani appaiono ora maggiormente preoccupati per il rischio di un surriscaldamento dell'inflazione e di un contemporaneo rallentamento della crescita economica, rispetto a quanto manifestato nelle precedenti riunioni. "L'effetto combinato del generale indebolimento, maggiore del previsto, degli indicatori economici e di non desiderati segnali di rialzo dell'inflazione - si legge ancora nei verbali - ha suggerito che potrebbero verificarsi un aumento dei rischi di fondo per la crescita dell'economia e una maggiore incertezza circa il previsto graduale rallentamento dell'inflazione core", cioé al netto delle componenti alimentare ed energia. Il presidente della Fed Ben Bernanke e gli altri banchieri centrali hanno votato all'unanimità la decisione di lasciare i tassi di interesse fermi al 5,25% rilevando che "l'inflazione 'core' si è rivelata più alta del previsto e che appare difficile capire se il rallentamento manifestato nei trimestri passati stia proseguendo". Dai verbali della Fed emerge infine che il mercato del lavoro rimane "relativamente solido" e che ancora si prevede una ripresa dell'economia nella seconda parte dell'anno, mentre preoccupa la debolezza degli investimenti i quali, nel caso di un persistente ridimensionamento, potrebbero rappresentare un rischio per l'economia. (ANSA).
 

Fonte - ANSA

 

 

 

 


   Immobiliare: verso 18 mesi di saldi

13 Aprile 2007 New York - di Maurizio Molinari
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Docente alla Johns Hopkins University e ex consigliere economico di Ronald Reagan, Steve Hanke legge la tempesta sui mercati finanziari come la sovrapposizione di due bolle speculative, dicendosi però sicuro sulla possibilità che il settore immobiliare americano ritrovi il proprio equilibrio.

I mercati sono scossi dall’impatto della bolla immobiliare? «In realtà di bolle ve ne sono due. Una riguarda il mercato immobiliare in America, che da tempo è in una fase di rallentamento. E un’altra riguarda i crediti finanziari che sono andati per anni al settore immobiliare, concessi in maniera spesso superficiale. Qualcosa del genere, questa sovrapposizone fra le due bolle, si è verificato anche in Europa e in particolare in Gran Bretagna».

Quali sono gli scenari? «Siamo nella fase nella quale si appurano le scorte di beni immobili. Quanti ne sono rimasti da vendere, quanti ne richiede il mercato e quanti degli investimenti fatti, dei mutui concessi, possono sperare di rientrare e di ottenere profitti. Servirà del tempo, forse un anno o 18 mesi, prima che il mercato del settore immobiliare riesca a trovare un nuovo equilibrio interno».
Quale è il problema di fondo? «È finanziario. Sono stati concessi troppi crediti, e troppo facilmente, per la costruzione di immobili che ora rischiano di non trovare acquirenti. Su questa analisi non ci sono molti dubbi fra gli esperti del settore. Il punto è che a volte in mercato reagisce con il panico agli assestamenti necessari affinché il settore immobiliare ritrovi l’equilibrio».
Non teme terremoti finanziari? «No, se guardiamo i mercati ci accorgiamo che sono oggi più o meno dove erano alla fine dello scorso anno. Non siamo alla vigilia di un crollo ma di un assestamento, reso necessario dai troppi crediti concessi. E’ un processo iniziato con le prime scosse nel 2005 e continuato nel 2006 con la manifestazione della bolla immobiliare. Adesso la situazione è che coloro che hanno investito si trovano di fronte a rischi che non avevano considerato nei prezzi da dover pagare».

Eppure in Europa c’è chi teme che la bolla immobiliare finisca per trascinare Wall Street... «Il panico non serve. Bisogna analizzare i dati. La bolla immobiliare sarà corretta una volta che saranno noti i numeri delle abitazioni costruite e rimaste invendute. A quel punto i prezzi degli immobili scenderanno. Ci saranno un po’ di saldi nei prossimi 18 mesi. Quello che, a quel punto, resterà da appurare sarà l’impatto su chi ha concesso i mutui per le aziende immobiliari».
Quali sono i rischi? «Il rischio è che ad essere coinvolti alla fine potrebbero essere non solo aziende immobiliari ma forse banche o fondi di investimento. Non possiamo dirlo con certezza perché non sappiamo nelle mani di chi è il debito. Non sappiamo chi c’è alla fine della catena dei crediti che sono stati concessi».

 

Fonte - La Stampa

 

 

 

 

  Domenica  22  aprile 2007   Giovedì  26  aprile 2007   Sabato  28  aprile 2007  
       
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GR1 RAI - 23 APR ore 22:00

   

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GR1 RAI - 30 APR ore 22:00

   

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   Oro e barile in rampa di lancio

17 Aprile 2007 2:35 New York - di Vincenzo Sciarretta
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Complice la debolezza del dollaro e gli ottimi fondamentali, l’oro dovrebbe regalare nel prossimo futuro buone soddisfazione agli investitori. I lingotti di metallo giallo potrebbero infatti essere i maggiori beneficiari del clima economico attuale. Stando a quanto sostengono molti esperti, le fluttuazioni fra quota 670 e 680 dollari l’oncia dell’ultima ottava, starebbero preparando il terreno a un imminente allungo, oltre il limite psicologico dei 700 dollari l’oncia.
La prospettiva è resa più concreta dalla debolezza economica degli Stati Uniti unita ai timori di un’inflazione a stelle e striscie più forte del previsto, dalla forza della congiuntura nel resto del mondo (confermata proprio nei giorni scorsi dal World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale) e dalle dinamiche proprie del mercato aurifero, partendo anche dagli ostacoli effettivi che incontra l’estrazione e la produzione di nuove barre di metallo giallo.

Ma facciamo un passo per volta. Come afferma James Steel, analista per il colosso bancario Hsbc: «Innanzitutto, la forza del metallo prezioso riflette la fragilità del biglietto verde. Diciamo pure che ne costituisce quasi l’immagine speculare». Questa diagnosi è largamente condivisa fra i cambisti. Anzi, secondo alcuni, l’oro avrebbe riconquistato negli ultimi tempi il suo status di «valuta di riserva» di tutto il sistema. Spiega Bob McKee della società di consulenza Independent Strategy: «Ovunque assistiamo a una palese espansione della massa monetaria. Non mi riferisco solo all’America, ma anche all’Europa, dove l’aggregato M3 cresce addirittura al tasso annuo del 10 per cento. Al contrario, la disponibilità di oro è relativamente stabile, fornendo con questo un metro di paragone».
Dunque, una prima analisi, mette in rapporto il buon andamento delle quotazioni aurifere soprattutto con la fragilità strutturale della divisa americana, secondo una correlazione inversa assai conosciuta ai mercati finanziari. Poi, però, esistono altre cause ugualmente importanti. Ad esempio sul fronte della domanda, come spiega Jochen Hitzfeld di Unicredit-HVB: «Osserviamo un ritorno d’interesse sui gioielli. Le vendite avevano subito una flessione nel 2006 in risposta al netto apprezzamento del metallo, ma con il passare del tempo sembra che i consumatori abbiano accettato i rincari o se ne sono fatti una ragione, e stanno tornando a comperare. Una buona vivacità è ad esempio riscontrabile in India, in Turchia e in Vietnam, che da soli rappresentano il 50% del mercato».

Ancora più interessante è la forte richiesta per investimenti. Una domanda che ha trovato negli Etf (i fondi passivi quotati), il suo veicolo ideale. Attualmente ve ne sono già nove sparsi per il mondo. E tramite loro, per regolamento interno al prodotto finanziario, viene acquistato un quantitativo di lingotti che in questo momento è pari al 10% di tutta la produzione mineraria, con la prospettiva di uno sviluppo ulteriore negli anni venturi. «La quotazione di un nuovo Etf in India nella seconda metà del 2007 - continua Hitzfeld - potrebbe far affluire sull’oro ampie correnti di risparmio in cerca di un porto sicuro, anche perché in quel Paese l’inflazione presenta chiari segni di recrudescenza e le famiglie manifestano scarsa fiducia nel sistema bancario e finanziario nazionale».
Infine, bisogna passare in rassegna l’offerta: l’estrazione mineraria ristagna, anzi dovrebbe arretrare del 2% nel 2007, secondo le previsioni di consenso. Notizie a favore dei lingotti arrivano anche dal fronte delle Banche Centrali. Gli istituti europei avevano siglato un accordo per limitare le dismissioni delle loro riserve a un massimo di 500 tonnellate l’anno: «Eppure nel 2007 il volume sarà verosimilmente inferiore a questa soglia», sostiene Costanza Jacazio, del team di analisti della Barclays. «Il rialzo dell’oro - prosegue la Jacazio - si svolge di pari passo con quello del petrolio. Ed è anche un segno confortante, data la storica correlazione dei due valori». E conclude: «Non saremmo stupiti se nel terzo trimestre del 2007, la quotazione dell’oncia raggiungesse i 710 dollari e quella del barile quota 70 dollari.

 

Fonte - Borsa&Finanza


 

 

 

 

BORSA, MEGLIO SCALARE UNA MARCIA

18 Aprile 2007 2:49 Milano- di G. MAR.
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Forse ci vuole un esame di coscienza: sappiamo fare davvero il nostro mestiere di gestori? Pietro Giuliani , amministratore delegato di Azimut sgr e gestore italiano di lungo corso, davanti ai numeri che provano quanto pochi siano i fondi in grado di fare nettamente meglio del portafoglio «medio» delle famiglie italiane, mette sul tavolo interrogativi quasi inquietanti. Certo lo fa senza pudori perché i suoi prodotti non fanno mica brutta figura: sui 26 promossi ben 6 sono della sua scuderia.
Allora è meglio far da soli? «Non mi faccia dire cose sconvenienti: è sempre meglio scegliere un bravo gestore. Certo se in cinque anni l’investitore medio ha fatto meglio dell’85% dei money manager paragonabili viene da chiedersi se la ragione della crisi dei fondi non sia da attribuire anche ad una non troppo sviluppata capacità di far bene questo mestiere».
Che cosa intende dire? «I fondi italiani continuano, con poche eccezioni, a perdere sottoscrittori. Anche in marzo la raccolta netta è stata pesantemente negativa e non solo per i prodotti di diritto italiano ma anche per i round trip, gli estero vestiti confezionati dai gestori italiani per dribblare le penalizzazioni fiscali. Gli esteri veri invece raccolgono ancora». Perché accade? «Sul banco degli imputati abbiamo messo il Fisco sfavorevole, ma la frenata dei roundtrip conferma che il problema è falso. O comunque abbastanza relativo. Poi abbiamo detto che è colpa della distribuzione, perché le banche preferiscono collocare altri prodotti meno trasparenti. Questo è senz’altro dimostrabile. Ma se le performance non sono soddisfacenti - e questi numeri insinuano più di un dubbio - bisogna avere il coraggio di chiedersi se non ci sia anche un problema di scarsa qualità dei prodotti».
I fo ndi esteri vincono perché sono obiettiva mente migliori? O solo perché hanno stretto buoni accordi di distribuzione? «Le performance in molti casi ci sono, è inutile negarlo. Il marketing ha fatto il resto. Certo anche per i fondi esteri la prova del nove arriverà quando i mercati gireranno, quando gli azionari dei grandi gestori mondiali, che oggi hanno dato molte soddisfazioni a chi li ha comprati, dovranno affrontare la prova del ribasso. A quel punto solo se avranno un portafoglio correttamente diversificato potranno resistere all’urto. E torniamo al problema principale: per far funzionare bene il sistema servono buone performance e lavoro di squadra nell’interesse del cliente tra fabbriche e reti di distribuzione».
Lei vede vicina una correzione? «No. Non vedo crolli a breve termine. Ma sostengo da tempo che in Borsa è ora di scalare una marcia. Un portafoglio flessibile che può andare da zero a 100 in azioni, oggi deve fermarsi a 70. Sono quattro anni che i mercati salgono senza (quasi) soluzione di continuità. Non si può dimenticare mai questo fattore. La nostra scelta di trasformare la gran parte dei fondi della casa in flessibili, cioè in portafogli che lasciano mano libera al gestore di muoversi tra i vari asset, è un tentativo programmato di arrivare attrezzati al cambio di stagione. Che, come al solito, non è mai prevedibile con certezza».
E che cosa si può dire di Piazza Affari? Oggi quasi tutti i titoli principali da Enel a Telecom alle banche, sono al centro di grandi nuove manovre.... «Nel breve termine avere in tasca i titoli del risiko e le prede di acquisizioni può essere strategico. Ma non mi sentirei di consigliare a tutti di mettersi in tasca Telecom o qualche altra società da qui ai prossimi cinque anni. Chi può dire come andrà a finire la partita?»
 

Fonte - Corriere della Sera

 

MARGINI AL TOP ALLARME A WALL ST.?

18 Aprile 2007 21.05 New York - di *Todd Salamone
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Una domanda che ci si deve porre nell'immediato è "questo movimento che ha portato a superare i livelli che hanno preceduto il sell-off del 27 febbraio, sarà giudicato dagli analisti tecnici come un'opportunità per vendere?". Se l'andamento dello scorso settembre (quando lo S&P500 raggiunse i livelli di maggio) può fungere da guida, il mercato arrancò per alcune sedute prima di rompere verso l'alto. Inoltre, anche allora come oggi il mercato sperimentò una lunga stringa di chiusure positive.
La settimana scorsa, i media finanziari hanno relegato sullo sfondo le problematiche sui mutui subprime, e si sono concentrati sul fatto che il Margin Debt del NYSE è salito su livelli visti l'ultima volta nel 2000. Tuttavia, si tratta di un indicatore che semplicemente viaggia di pari passo con le quotazioni. In altre parole, un Margin Debt crescente è positivo fino a quando non si gira verso il basso.
C'è anche da dire che nella misura del Margin Debt è incluso lo scoperto, che è cresciuto negli ultimi anni e che incide significativamente sull'attuale livello del MD. Come si ricorderà, a marzo lo Short Interest sul NYSE è schizzato del 9.5%. Nel frattempo, un elemento che è stato trascurato dai media finanziari su questo argomento è che l'ammontare di credito, associato con la vendita delle azioni sui conti marginati, è ad un livello sensibilmente più elevato di quello del 2000.
Ciò suggerirebbe che il MD associato alle vendite allo scoperto è di gran lunga maggiore di quello del 2000, il che è un altro modo per dire che non siamo ai livelli di euforia di sette anni fa, quando una elevata percentuale di MD era riconducibile ai finanziamenti ricevuti per comprare con leva le azioni.
E c'è dell'altro: altri mattoni sono stati aggiunti al "muro di paura" che il mercato sta scalando. I media finanziari hanno espresso timori riguardo la spesa per investimenti delle imprese, che ormai ha rimpiazzato le problematiche del settore immobiliare come timore numero uno. Nel frattempo, il Fondo Monetario Internazionale ha diffuso i propri timori circa i Leveraged Buyouts (LBO).
 

Fonte - SmartTrading.it  

 

 

 

 

 

 

 

   La corsa dell'euro non deve far paura

22 Aprile 2007 23:49 Milano - di Giuseppe Turani
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Come è già capitato in passato, siamo di nuovo alle prese con il Supereuro, cioè con la moneta europea che sta diventando troppo forte nei confronti del dollaro, l´altra importante valuta mondiale. Di solito, il Supereuro è visto male in Italia. E per una ragione molto semplice.
Siamo sempre stati abituati a recuperare competitività (e quindi esportazioni) attraverso la svalutazione della lira (quando c´era ancora) e quindi il fatto di essere costretti a lavorare con una moneta forte (che non possiamo svalutare perché non dipende da noi) ci inquieta. Le nostre imprese, si dice, avranno maggiori difficoltà nel vendere all´estero, mentre gli altri troveranno più facile vendere in Italia. In realtà, le cose non stanno proprio così. Ma vediamo, prima, perché è tornato il Supereuro (a quota 1,36, grosso modo, contro il dollaro). Tre sono i motivi principali.

Il primo consiste nel fatto che si ritiene che ci sarà un differenziale di crescita fra l´Europa e gli Stati Uniti. Nel senso che l´Europa oggi sta crescendo più velocemente dell´America. E questo pesa sul cambio delle monete: la gente preferisce avere in tasca la valuta di un´area che cresce di più.
Il secondo motivo ci porta nel mondo dei tassi di interesse. Oggi in Europa i tassi sul denaro sono al 3,75 per cento, ma entro l´anno dovrebbero arrivare al 4,25 per cento. Questo, almeno, è il giudizio dei mercati. Negli Stati Uniti, invece, il denaro costa il 5,25 per cento e si pensa che questo tasso possa rimanere stabile. Ma non si esclude che possa scendere.
In sostanza, i tassi europei vanno in su, quelli americani tendenzialmente vanno giù. E questo, ovviamente, è un altro invito a spostarsi dalla moneta americana a quella europea che in prospettiva comincia a offrire tassi di interesse meno svantaggiati rispetto a quelli di Oltre Atlantico.
Inoltre, e siamo al terzo motivo, le banche centrali dei vari paesi stanno cominciando a detenere le loro riserve non solo in dollari, ma anche in euro. In definitiva, cala un po´ la richiesta di dollari e cresce quella di euro. Tutto questo spiega perché in questo momento l´euro è in ripresa mentre il dollaro sta calando. Questo andamento ci procurerà molti guai? Ridurrà la nostra crescita nel 2007?
La risposta è no a entrambe le domande. Con una precisazione. Le cose vanno bene così fino a quando il cambio euro/dollaro rimane confinato nell´area 1,36-1,38. Se si dovesse cominciare a andare sopra 1,40 (che, secondo alcuni, è il target finale), allora la faccenda diventerebbe un po´ più complicata.

Naturalmente, si spera che non si arrivi a 1,40 o si pensa di poter evitare un simile evento. Per ora, comunque, siamo a quota 1,36. E a questo livello non ci sono grossi problemi. Certo, è vero che le nostre esportazioni verso l´America saranno meno redditizie e è anche vero che i prodotti americani potranno arrivare qui con maggior facilità, ma tutto questo non sembra in grado di modificare il trend di crescita dell´Europa (oggi intorno al 2,3-2,4 per cento).
E esiste una spiegazione per tutto questo. Il maggior parte commerciale dell´Europa non è l´America, ma la Gran Bretagna. E il tasso di cambio dell´euro rispetto alla sterlina non si è mosso. In compenso, il Supereuro ci consente di risparmiare qualcosa su tutte le nostre importazioni in dollari (dal petrolio in avanti). E quindi ha anche una funzione anti-inflazione. Naturalmente, come si diceva prima, tutto questo è vero fino a quando il Supereuro non diventa un Super-Supereuro, fino a quando cioè non va oltre quota 1,40.

Ma, se questo è vero per l´Europa, come stanno le cose per l´Italia? Non male. Se infatti il maggior partner commerciale dell´Europa è la Gran Bretagna, quello dell´Italia è la Germania. E la Germania, come noi, lavora in euro. Quindi su questo fronte non ci sono problemi. Gli eventuali pericoli, allora, da che parte possono venire? Le aree delicate sono due. Da una parte, come già detto, tutto funziona a patto che il Supereuro non diventi ancora più forte. Dall´altra parte, la questione vera riguarda l´andamento dell´economia americana. Se negli Stati Uniti l´attuale rallentamento rimane confinato nei limiti attuali (intorno al 2 per cento di crescita), allora non ci saranno seri problemi.
Se invece la frenata americana dovesse diventare più consistente, magari fino a trasformarsi in una recessione vera e propria (anche se breve), allora le conseguenze potrebbero essere di un certo peso. Perché è evidente che la crisi della più grande economia del pianeta finirebbe per avere qualche effetto sulla crescita mondiale e quindi anche su quella dell´Europa e dell´Italia. E sul destino dell´economia americana i pareri sono molto contrastanti. C´è chi ritiene inevitabile l´esplodere della recessione: doveva già esserci nel 2001, poi è stata «rinviata» dalla Federal Reserve che ha immesso liquidità nel sistema proprio per evitare la crisi dopo l´attacco alle Twin Towers. Ma c´è anche chi dice che basterà la frenata in corso. Nei prossimi mesi si capirà chi ha visto giusto.

 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

 

 

WALL STREET: ARCHIVIATO APRILE CON UN RIALZO RECORD 
 

27 Aprile 2007 22:05 NEW YORK - di ANSA
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La sessione di borsa a Wall Street si e’ chiusa con gli indici in leggerissimo rialzo. La seduta e’ stata contraddistinta da un’elevata volatilita’: al buon flusso di trimestrali si e’ contrapposto il dato macro che ha evidenziato un rallentamento della crescita economica americana, superiore alle attese. Il Dow Jones e’ avanzato dello 0.12% a 13120, piatto (-0.01%) l’S&P500 a 1494, il Nasdaq ha guadagnato lo 0.11% a 2557.
Nell’ultima settimana l’indice industriale e’ salito dell’1.2%, rialzo della stessa misura per il listino tecnologico, +0.7% per l’S&P500.

Nel solo mese di aprile il Dow Jones ha guadagnato il 6.2%: si tratta della migliore performance mensile dal dicembre 2003.

A far scattare le vendite in avvio era stata la lettura preliminare del Prodotto Interno Lordo attestatosi in progresso dell’1.3% (minor rialzo degli ultimi quattro anni), in calo rispetto alle stime del mercato pari a +1.8% e in ribasso nei confronti del dato dello scorso trimestre in cui registro’ una progresso del 2.5%. Preoccupante anche la componente del deflatore del Pil, schizzato al 4%, massimo livello degli ultimi 16 anni.
Lo scenario di una lenta espansione economica associata ad un aumento dei prezzi ha temporaneamente impensierito gli operatori che hanno preferito non esporsi maggiormente sugli investimenti in vista del weekend, soprattutto dopo i forti, recenti rialzi che hanno portato gli indici ai massimi di oltre sei anni (assoluti per il Dow Jones oltre la soglia dei 13000 punti).
Il flusso di trimestrali societarie positive ha permesso all’azionario, nell’ultimo periodo, di assorbire l’enorme quantita’ di denaro presente sul mercato.
Sul valutario, l’euro ha ripreso a salire nei confronti del dollaro segnando un nuovo record storico di $1.36813 per poi arretrare a 1.3652. In rialzo di $3.80 l’oro a quota $682.50 all'oncia. In calo i titoli di Stato Usa. Il rendimento sul Treasury a 10 anni e' salito al 4.6980%.
 

 

Fonte - ANSA