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INDICE ARTICOLI

 

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Macro USA - credito

L'America scarica i suoi guai sul resto del mondo

Politica monetaria USA

Perchè Bush vuole il dollaro debole ?

Borse e Mercati - Sentiment e previsioni

Risparmio, passata la paura torna la Borsa

Borse e Mercati - Sentiment e previsioni

Una questione di fiducia

Borse e Mercati - Sentiment e previsioni

Mercati mondiali in cerca di direzione

 

ANSA +++ Maremoto in Indonesia migliaia le vittime  +++ Lo Tzunami ha spostato di 6 cm. l'asse terrestre  +++  Decenni per riprendersi dalle devastazioni del maremoto  +++  migliaia le vittime ma ora si corre anche il rischio epidemie  +++  ANSA

martedì 28 dicembre 2004   martedì 29 dicembre 2004   mercoledì 29 dicembre2004   venerdì 31 dicembre 2004
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  L'America scarica i suoi guai sul resto del mondo

Giovanni Tamburi, uno dei migliori banchieri d'affari della piazza milanese, e profondo conoscitore della media impresa, spiega perchè è più pessimista che mai sull'economia mondiale.

02 Dicembre 2004   13:43  Milano (di Giuseppe Turani)

(WSI) - "Ero pessimista un anno e mezzo fa e continuo a essere pessimista. Lo so che molti vorrebbero finalmente un po' di ottimismo, ma la situazione è quella che è e non è affatto bella. Anzi, continuano a esserci molte ragioni di inquietudine. E questo senza andare a tirare fuori il terrorismo o la situazione geo-politica. Il quadro, insomma, è già preoccupante così".

Giovanni Tamburi è uno dei migliori banchieri d'affari della piazza milanese (pochi come lui conoscono la media impresa italiana) e è difficile ricordare l'ultima volta in cui è stato ottimista.

E' cambiato qualcosa di recente?

"Vuol dire se rimango sempre pessimista?"

Si.

"Non vedo motivi di ottimismo intorno a noi. Per mesi e mesi abbiamo spiegato che l'economia internazionale andava frenando e che la ripresa era alle ultime battute. Oggi, vedo che questo comincia a essere consegnato anche nei documenti previsionali delle grandi banche d'affari internazionali, quelle con uffici studi che sembrano eserciti. Insomma, quella che fino a qualche settimana fa sembrava una visione un po' estrema del mondo, adesso sta diventando una previsione con tanto di timbri e firme". Il boom del 2004, cioè, sta finendo? "Giudichi lei. Possiamo prendere una previsione a caso. Questa che ho in mano è della banca Schroder, e forse non sono nemmeno quelli che vedono più nero. Ebbene, fra il 2004 e il 2005 l 'America passa da una crescita del 4,3 per cento a una del 3 per cento. L'area euro dall'1,8 per cento all'1,5. Il Giappone dimezza addirittura la sua crescita: dal 4 al 2 per cento. E il mondo, nel suo complesso, scende dal 3,7 per cento di crescita del 2004 al 2,7 del 2005. E, ripeto, qui dentro non abbiamo le incognite di nuove azioni terroristiche come non abbiamo eventi catastrofici. Qui stiamo ragionando di normale evoluzione delle cose. E la semplice verità è che ci stiamo ripiegando, l'economia mondiale si sta richiudendo, mette il freno e passa alla marcia inferiore".

Ma, tutto sommato, non va poi così male...

"Nel conto, ovviamente, non abbiamo messo la Cina , che di fatto sta dimezzando la sua velocità di crescita".

Però non siamo in recessione...

"Ma ci sono in giro molti segnali preoccupanti. Vengono un po' da tutte le parti, dall'America, dall'Europa e dall'Asia".

Dagli Stati Uniti che cosa arriva?

"Il mistero di un'economia che finora è andata avanti grazie a operazioni molto spericolate e che si torva, secondo me, e anche secondo molti economisti di valore, in uno stato di instabilità grave".

Cioè?

"Cerco di spiegarmi. Se noi guardiamo i dati del Pil e le relative previsioni, tutto sembra andare più o meno bene. Se invece andiamo un po' più a fondo, allora vediamo emergere i guai. Di recente è stato calcolato l'andamento del debito aggregato americano (famiglie, imprese, Stato). Ebbene, siamo al 300 per cento del Pil. Si tratta del più alto valore dell'intera storia americana. All'inizio degli anni Trenta era arrivato a quota 270 per cento. All'inizio degli anni Novanta era un terzo in meno, a quota 200 per cento".

E questo che cosa significa?

"Molte cose e quasi nessuna bella".

Cioè?

"Intanto significa che, come peraltro si è già detto e scritto, dietro questo boom americano recente, c'è una montagna di debiti. Anzi, la più alta montagna di debiti della storia. E questo fa dell'economia americana (che è la più grande del mondo e quella da cui dipende tutto il resto) un soggetto molto instabile. Ma pone anche il problema di sistemare in qualche modo il debito. E la strada, qualunque cosa dicano le autorità americane, è una sola: far pagare il debito, il boom recente, agli altri, cioè al resto del mondo. La strategia economica americana, in questo momento, è appunto quella di esportare il loro debito attraverso il dollaro. Quelli che ci consigliano, quindi, di imitare l'America (fare debiti per crescere, per consumare di più) trascurano appunto questo piccolo particolare: gli americani possono farlo, con molti rischi, anche perché hanno il dollaro, uno strumento fantastico per esportare i debiti e farli pagare agli altri".

E come si fa?

"E' molto semplice: basta svalutare il dollaro. Questo rende un po' più competitive le loro merci e quindi si migliora un po' la situazione. Tutti hanno sempre detto che gli americani non potevano andare avanti con questo ritmo, e infatti stanno cercando di rallentare un po'. Per non cadere in recessione, svalutano il dollaro e cercano di aumentare le esportazioni, a danno ovviamente di tutti gli altri, che possono solo subire".

Lei vede dei rischi in questa operazione?

"Vedo dei danni sicuri per noi. Ma c'è anche qualche rischio per loro. Nel senso che non è affatto detto che queste operazioni riescano. Ripeto: l'America (non Greenspan o Bush) non si è mai trovata nel corso della sua storia a dover fronteggiare un debito così ciclopico. Ci stiamo muovendo su un terreno ignoto, mai percorso da nessuna Amministrazione. A questo aggiunga che nel giro di pochi mesi l'America deve ridurre del 30 per cento la sua velocità di crescita. Sarebbe un'impresa difficile da fare con un'economia a posto. Con un'economia piena di debiti (e con le imprese che già denunciano di non aver più tanta voglia di investire) il rischio di qualche sbandata, il rischio di finire nel fosso, è purtroppo reale. E, se sbanda l'America, sono guai seri per tutti, sul serio...".

Insomma, lei è preoccupato perché pensa che la locomotiva America possa sfuggire di mano...

"Esatto. Questo pericolo c'è. Ma poi sono preoccupato anche perchè nel mondo stanno avvenendo tante cose importanti, tanti cambiamenti di fronte ai quali servirebbe molta prudenza e invece vedo che la più grande economia del mondo li affronta con leggerezza, indebitandosi come mai nella sua storia".

A che cosa si riferisce?

"Quando è mai successo che un'industria automobilistica giapponese abbia dovuto chiudere i battenti per vari giorni non per mancanza di domanda (che è normale) quanto per mancanza di acciaio?".

E questo che cosa significa?

"Significa che solo adesso ci stiamo accorgendo che il boom cinese è qualcosa che sconvolge tutti i parametri economici internazionali. E' un problema e andrebbe gestito meglio. Pochi forse sanno che ormai il consumo di petrolio della Cina ha superato quello del Giappone. E questo nonostante la Cina abbia auto-limitato la sua crescita, di fatto dimezzandola. In realtà, stiamo viaggiando con la locomotiva numero 1, l 'America, che si trova in uno stato di instabilità (andrebbe messa in sicurezza, come le case lesionate) e con la locomotiva numero 2, la Cina , che è talmente grande che rischia di creare problemi ovunque".

La svalutazione del dollaro non può essere una buona medicina per tutti?

"Assolutamente no. E' solo un modo per ribaltare su altri un po' dei debiti americani. Sull'Asia e sulla Cina, comunque, non avrà effetti perché quelle economie si muovono insieme al dollaro. La faccenda riguarda, e molto da vicino, purtroppo, noi europei".

In che senso ci riguarda?

"Nel senso che alla fine quelli che pagheranno siamo noi".

E come pagheremo?

"Abbiamo già cominciato. Grazie alla svalutazione del dollaro nel 2005 cresceremo meno del 2004, e penso che la cosa andrà avanti per parecchio tempo. Il boom americano, insomma, non nasce dalla genialità di Greenspan e di Bush, ma dal fatto che alla fine saremo noi a pagare. E questo spiega perché sono fuori dal mondo quelli che ci dicono di imitare gli Stati Uniti. A chi facciamo pagare i nostri debiti? All'America?".

Quindi è un disastro, qui in Europa?

"Sì, anche perché le aziende, per resistere, stanno delocalizzando in Asia. Stanno fuggendo, chiudono gli impianti qui e vanno ovunque, ma fuori dall'Europa. D'altra parte, in quei paesi un lavoratore costa fra i 70 e i 100 dollari al mese. Poco più di mille dollari all'anno. Qui da noi, gira e rigira, siamo introno ai 25 mila dollari all'anno. Non c'è gara, purtroppo".

E quindi che cosa accadrà dell'Europa?

"Continueremo a perdere industrie. Saremo un continente di cultura, servizi e turismo. Insomma, faremo i camerieri di americani e cinesi. Qui c'è un mercato interessante: dieci anni i cinesi in giro per il mondo a fare i turisti erano 3,7 milioni, quest'anno sono già 24 milioni e crescono continuamente".

Fuori dallo scherzo...

"Guardi che non scherzo molto. L'industria tessile è già quasi tutta all'estero, credo che qui non si faccia più una sola mutanda o un solo paio di jeans. Molte aziende di scarpe si trovano nella stessa identica situazione Mentre noi parliamo e discutiamo, qui le aziende scappano..."

La Repubblica - Affari & Finanza

 

 

 

I tassi di interesse a breve americani si formano in maniera indipendente da quelli del resto del mondo e li influenzano senza esserne influenzati. In Europa invece...

martedì 4 dicembre 2004   mercoledì 8 dicembre 2004   venerdì 24 dicembre 2004
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Perchè Bush vuole il dollaro debole ?

I tassi di interesse a breve americani si formano in maniera indipendente da quelli del resto del mondo e li influenzano senza esserne influenzati. In Europa invece...

01 Dicembre 2004  05:40 Milano  (di Marcello De Cecco)

Questo del cambio è un problema che mai comprenderò". Così confidava al suo diario il re di Spagna Filippo II alle prese coi banchieri genovesi. Dopo tanti secoli sono evidentemente ancora molti a trovarsi nelle condizioni di Filippo se, come accade, uomini politici anche di rilievo si abbandonano a dichiarazioni poco avvedute in merito al cambio attuale tra euro e dollaro.

Il cambio, vale dunque ricordare a tutti gli epigoni del re spagnolo, che almeno era sincero col suo diario, è il rapporto tra due monete. Quando esso si muove, a quale delle due monete attribuire la causa del movimento? Negli anni ´20 e ´30 del ´900, e poi a partire dalla fine del sistema di Bretton Woods, che durò dal 1944 al 1971 e coincise con una poderosa crescita dell´economia occidentale, economisti e politici si sono affannati attorno a questo problema. A partire dal ´71 tra dollaro e monete forti europee si sono registrati tre cicli completi di sopravvalutazione e sottovalutazione. I tre cicli del dollaro debole, che precedono quello appena iniziato , sono stati tutti marcati da un forte deficit dei conti esteri americani, sempre più gravi col passare dei decenni. Ad esso si sono accompagnati tassi di inflazione elevati, prezzi delle materie prime particolarmente alti, e deficit fiscali americani superiori ai livelli della prudenza.

Se si eccettua l´84, anno della rielezione di Reagan, tutti gli altri anni elettorali dell´era dei cambi flessibili iniziata il ´71 sono stati affrontati dalla presidenza uscente in condizioni di più o meno accentuata sottovalutazione del dollaro, frutto di una politica economica elettorale dichiaratamente espansiva.

Non sempre l´espansione fiscale e monetaria sono bastate ad assicurare al partito del presidente la permanenza al potere per un altro quadriennio. Ma non per difetto di sforzi. Ormai da molti anni tutti hanno capito che gli Stati Uniti, possessori dell´unica moneta veramente internazionale, del sistema finanziario più ampio ed evoluto del mondo, di una economia di dimensioni continentali perfettamente integrata al suo interno, e del solo apparato militare da grande potenza rimasto al mondo, sono l´unico paese veramente padrone del proprio destino, capace quindi di scegliere la politica economica ritenuta migliore a fini esclusivamente interni e di imporla al resto del mondo.

Questo vuol dire che i tassi di interesse a breve americani si formano in maniera indipendente da quelli del resto del mondo e li influenzano senza esserne influenzati.

L´Unione europea non è affatto nelle stesse condizioni. Innanzitutto non tutti gli stati che ne fanno parte hanno adottato l´euro. L´euro non è ancora una vera moneta di riserva. Non lo è perché l´economia europea, e in particolare il suo cuore industriale, raccolto attorno alla Germania renana, dipende in maniera pesante dalle esportazioni al resto del mondo. Il mercato finanziario europeo, inoltre, è molto grande solo per quanto riguarda il debito pubblico dei vari Stati, ma non per le occasioni di investimento in azioni e obbligazioni private che offre. Infine, ed è un elemento fondamentale, la politica fiscale europea resta privilegio di ciascuno dei paesi membri.

Tutto questo vuol dire che è ancora la politica economica americana a indicare la rotta all´intera economia mondiale, col deficit fiscale e dei conti esteri che decide di avere, e con i tassi di interesse a breve che la Federal Reserve impone ai mercati con le proprie azioni.

Nella prospettiva di una crescita interna meno robusta di quella ottenuta prima delle elezioni , il presidente Bush e il suo staff hanno evidentemente deciso di mantenere invariata la rotta di politica economica scelta per vincerle, puntando sull´indebolimento progressivo del dollaro, al quale permetteranno di allontanarsi sempre di più dai picchi di sopravvalutazione raggiunti nel 2001. Il deficit fiscale, in tempo di guerra, continuerà dunque a crescere e i tassi a breve saliranno a passo di lumaca malgrado il rimarchevole buco che si è aperto nei conti esteri del paese. Il presidente e i suoi collaboratori sanno che , rispetto ai massimi raggiunti nei precedenti cicli, la sottovalutazione del dollaro è ancora modesta.

Essa raggiunse nei confronti delle monete forti europee il 30% nel 1992 e addirittura il 40% nel 1980. Si aggiunga a ciò che il dollaro era ancora sopravvalutato del 30% nel 2001. Ora siamo ancora a meno del 10% di sottovalutazione nei confronti dell´euro. Il rapporto tra le due monete ha dunque conosciuto ben altre oscillazioni prima che si sia arrivati ad accordi intergovernativi destinati a frenarle. Il governo americano sa di poter tirare ancora parecchio la corda senza temere che essa si spezzi.

E in questa opinione lo rinforza il sapere che i governi asiatici, che vogliono a tutti i costi tenere le loro monete aggrappate al dollaro, specialmente ora che è debole e tende a indebolirsi, continueranno ad assorbire (anche se con qualche mugugno) le valanghe di dollari che le autorità americane li costringono a comprare. La Cina , in particolare, ha una tale offerta di manodopera ancora da mobilitare, che può continuare a comprar dollari senza temere l´inflazione. E le importazioni a buon mercato dall´Asia continueranno a tenere a freno i prezzi anche negli Stati Uniti e nel resto del mondo sviluppato.

Di fronte ad una politica di ribasso del dollaro tanto esplicita non vale la pena cadere nella trappola che consiste nell´addossare le sue conseguenze internazionali alle autorità europee e addirittura nel ritenerle responsabili del dollaro basso. Vale la pena notare che il deficit dei conti pubblici è oltre il tre per cento sia negli Usa che nei principali paesi europei, che solo una piccola frazione percentuale separa i tassi della Bce da quelli della Fed. Ancora meno ragionevole è l´accusa rivolta agli europei di impigrire le proprie popolazioni in un welfare state troppo generoso. Lo stesso welfare state vigeva quando il dollaro era sopravvalutato e quando era sottovalutato. Così come il crollo demografico europeo, iniziato molto tempo fa, ha convissuto sia coi picchi che con gli abissi del cambio tra euro e dollaro.

Varrebbe la pena, invece, iniziare un serio dibattito sulla necessità che l´Euro divenga una vera alternativa al dollaro. Questo richiede integrare il mercato finanziario europeo, unificare la politica fiscale e quella delle opere pubbliche, riformando anche le modalità di finanziamento delle imprese private in Europa. E, soprattutto, iniziare una politica comune di grande respiro nel campo della ricerca scientifica e della tecnologia. Erano gli obiettivi di Lisbona. Ma il 2010 non è lontano e di progetti esecutivi se ne vedono davvero pochi.

La Repubblica - Affari & Finanza

 

 

 

 

 

 

venerdì 10 dicembre 2004   mercoledì 1 dicembre 2004   mercoledì 15 dicembre 204
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  Risparmio, passata la paura torna la Borsa

04 Dicembre 2004   14:11  Milano (di Rosaria Amato)

 

Il grande successo riscosso dal debutto di Geox in Borsa è solo l'ennesimo indicatore del fatto che, a poco a poco, i risparmiatori stanno riprendendo fiducia nei mercati azionari. Lo attesta anche Iposentiment, l'indice elaborato dalla Hill & Knowlton e dalla Tns Infratest, che misura ogni mese l'intenzione degli italiani di investire nei mercati azionari. A novembre Iposentiment segna un rialzo di 3 punti, attestandosi a quota 33 (il massimo è 100), il livello più alto da novembre 2002 (da quando cioè l'indice viene elaborato). Lontano anni luce, tuttavia, dalla preferenza dei risparmiatori per il mattone: oltre il 60 per cento degli intervistati, infatti, ha detto di essere interessato all'investimento immobiliare.

L'indice Iposentiment viene calcolato attraverso 1.000 interviste a un campione rappresentativo di risparmiatori italiani.

Dal punto di vista borsistico il mese di novembre ha fatto registrare un andamento positivo del listino italiano e di quello americano, sospinto anche dalla riconferma di Bush alla presidenza degli Stati Uniti.

L'aumento dell'interesse per il mercato azionario non corrisponde però a un effettivo aumento degli investimenti: si mantiene infatti invariata la percentuale di persone che dichiarano di essere possessori di azioni e di fondi (circa il 17 per cento per entrambi). A conferma dell'ottimismo dimostrato verso il mercato si riduce però la percentuale di persone che sarebbero disposte a vendere le azioni possedute ad un prezzo superiore a quello di mercato (53 per cento degli azionisti contro il 62 per cento di ottobre).

"L'indice Iposentiment ha raggiunto il punto più basso nel marzo del 2004 - spiega Valerio Vago, generale manager Hill & Knowlton Italia - dopo ha ricominciato a crescere, probabilmente anche grazie al buon andamento delle società che sono approdate in Borsa negli ultimi mesi (principalmente Enel e Geox). Più le IPO hanno successo, più poi la gente ha fiducia nelle quotazioni successive".

Tuttavia, è ancora bassa la percentuale degli intervistati che dichiara di preferire il mercato azionario, si tratta del 20 per cento. Il 60 per cento degli intervistati (sia azionisti che non) ha dichiarato che, sul fronte degli investimenti per il 2005, il comparto più interessante risulta ancora essere il mercato immobiliare, e infine il 24 per cento del totale della popolazione non sa indicare una risposta.

D'altra parte, i risultati dell'indagine condotta da Hill & Knowlton e da Tns Infratest trovano conferma nei dati sul mercato immobiliare, perennemente in crescita: secondo un'indagine dell'Acri (l'associazione che raggruppa le Casse di Risparmio e le fondazioni bancarie) realizzata in collaborazione con l'Ipsos e pubblicata all'inizio di novembre, il 70 per cento degli italiani reputa l'investimento immobiliare il modo migliore per salvaguardare i propri soldi, con una brusca impennata dal 59 per cento del 2003, il 53 per cento del 2002 e il 39 per cento del 2001.

E questo a fronte di un calo generale della propensione al risparmio, dovuta alle difficoltà economiche generali: il 48 per cento degli italiani intervistati dichiara di avere consumato tutto il proprio reddito e solo il 34 per cento afferma di essere riuscito a mettere da parte qualcosa, con un decremento di 4 punti percentuali rispetto al 2003 (era il 47 per cento nel 2002 e il 48 per cento nel 2001, con un calo del 10 per cento complessivo in tre anni).

La Repubblica - Affari & Finanza

 

 

 

martedì 7 dicembre 2004   sabato 11 dicembre 2004   venerdì 17 dicembre 204   martedì 21 dicembre 2004
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Una questione di fiducia

Le aspettative sul futuro della fiducia negli Stati Uniti continuare a scendere mentre i mercati azionari continuano a salire in controtendenza, fattore assai anomalo. Chi sta sbagliando? Bhe', e' ovvio: Wall Street.

02 Dicembre 2004  05:39 New York  (di Alex River)

(WSI) - L'indice della fiducia dei consumatori rilevato dal Conference Board è sceso a novembre ai minimi da nove mesi a questa parte, rivelando una crescita del malcontento sulle condizioni dell'economia. L'indice è sceso a 90,5 punti, il livello più basso dallo scorso mese di febbraio, da 92,9 del mese di ottobre. Ma allora, qualcosa non quadra?

Il dato è risultato in netta controtendenza rispetto alle previsioni che si attendevano un incremento a quota 96,0. A condizionare negativamente l'umore dei consumatori, l'impennata dei prezzi petroliferi e la debolezza del mercato occupazionale che accrescono i timori sulla tenuta dei redditi personali. Ma la cosa più allarmante è il netto calo dell'ottimismo sull'andamento dell'economia nei prossimi sei mesi con l'indice sceso a novembre a quota 87,4 da 92,2 del mese precedente. Gli intervistati hanno espresso preoccupazione soprattutto per le difficoltà sul fronte occupazionale e sui propri redditi: la percentuale di cittadini americani che vede con particolare pessimismo la possibilità di trovare lavoro è salita a novembre a 28,1 punti da 27,9 del mese di ottobre.

Alcuni giorni fa segnalai come una anomalia si stesse verificando sui mercati finanziari. Anomalia che viene ulteriormente confermata anche dopo questa pubblicazione che vede quindi ancora le aspettative sul futuro della fiducia continuare a scendere mentre i mercati azionari continuano a salire in controtendenza, fattore assai anomalo. Chi sta sbagliando, in questa correlazione, è senz’altro il mercato azionario che ha anticipato troppo (in termini percentuali) il corso della fiducia scontando elementi che in realtà non sussistono e che quindi potrebbero sgonfiarsi molto rapidamente.

C’è poi un ulteriore elemento di sentiment (contrarian indicator), diciamo così, che rischia ora di far deragliare i mercati azionari ed è quello visibile nel grafico che rappresenta il consensus medio fra tre diversi survey di sentiment azionari importanti negli Stati Uniti (Market Vane, AAII e Investor Intelligence). La storia ci ha sempre insegnato che movimenti estremi di qualsiasi misura non possono persistere per sempre. Anzi spesso a letture estreme sono susseguiti reversal piuttosto dolorosi. Questo è appunto quello che sembra oggi volerci suggerire il grafico che segue dove la “fiducia” degli investitori verso il mercato azionario è ai suoi massimi come a Gennaio del 2004. 

SmartTrading.it

 

 

 

 

 

giovedì 9 dicembre 2004   giovedì 23 dicembre 2004   lunedì 27 dicembre 204   venerdì 31 dicembre 2004
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  Mercati mondiali in cerca di direzione

Non c’è pace per le Borse. Ora è il mini-dollaro a generare le maggiori preoccupazioni. Ma le banche centrali non intervengono per attenuare la volatilità. Gli alti prezzi delle materie prime spingono i mercati emergenti, i preferiti dai gestori.

03 Dicembre 2004  04:55  Milano (di *Sara Silano)  

*Sara Silano è Vicecaposervizio di Morningstar in Italia.

(WSI)- Il mini-dollaro ha fermato il recente rally delle Borse mondiali, con l’indice Msci World in crescita appena dello 0,7% a novembre. Nel complesso, il 2004 è stato caratterizzato da movimenti laterali e mercati in cerca di direzione tra rinnovate preoccupazioni per il rallentamento della congiuntura, alti prezzi del petrolio e volatilità sui mercati monetari.

La discesa del biglietto verde è cominciata dopo le elezioni presidenziali statunitensi, che hanno portato alla riconferma di George W. Bush alla Casa Bianca. L’euro è salito a 1,33 dollari, mentre lo yen ha sfiorato quota 103 e non sono state da meno le valute asiatiche. Negli ultimi tre mesi, la moneta unica ha guadagnato il 10% sul dollaro e la tendenza è destinata a continuare sia perché gli Stati Uniti hanno lasciato intendere di essere favorevoli a un moneta debole sia perché gli investitori sono preoccupati per il deficit commerciale americano.

I rapporti valutari sono una variabile fondamentale per il corretto funzionamento del commercio internazionale e la volatilità è una minaccia alla crescita mondiale. Per questo, la debolezza del dollaro è all’ordine del giorno negli incontri tra le autorità monetarie e i governanti, ma finora non è emersa un’unità di obiettivi per ristabilire gli equilibri. In particolare, la Cina non sembra intenzionata a rivedere il rapporto fisso dello yuan con il biglietto verde. Anche il Giappone non ha ancora agito per frenare la corsa dello yen e la Banca centrale russa ha depresso il dollaro dicendo di voler ridurre le riserve a beneficio dell’euro.

Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea (Bce), ha più volte insistito sull’importanza di stabilità dei cambi, ma non ha per il momento deciso di intervenire. Non è avvenuto nessun cambiamento neppure nella politica dei tassi, che restano fermi al 2%, nonostante la revisione al ribasso delle stime di crescita economica per il 2005.

La linea seguita dall’istituto di Francoforte trova molti in disaccordo. Secondo gli strategist di Axa Investment Managers, “ la Bce dovrebbe agire per prevenire un ulteriore apprezzamento della moneta unica”. La casa di investimento è anche convinta che la politica restrittiva della Federal Reserve potrebbe dare una boccata d’ossigeno al dollaro. Per questo motivo, indica un rapporto tra le due valute a 1,20 entro 6-12 mesi.

Con il mini-dollaro deve fare i conti l’economia giapponese, che ha dato nell’ultimo mese segnali contrastanti, con la produzione industriale in calo e i consumi deboli. La Borsa di Tokyo, però, può contare sui buoni dati societari, le valutazioni interessanti, la nuova stagione di fusioni e acquisizioni e le ristrutturazioni nel sistema bancario.

Ma è ai mercati emergenti che gli investitori guardano con maggior interesse, come messo in luce dall’ultimo sondaggio di Merrill Lynch. Finora, l’ottimismo non è stato incrinato da periodiche crisi, come la recente debolezza delle Borse indiana e cinese o le traversie del colosso petrolifero russo, Yukos. Un ruolo importante è rappresentato dall’aumento della domanda e dei prezzi delle materie prime, che supporta la crescita economica, soprattutto in America Latina. Per John Hatherly, responsabile analisi globali di M&G Investments, comunque, nel 2005 l’entusiasmo potrebbe attenuarsi sulla scia del rallentamento dei ritmi di sviluppo.

 

Morningstar