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Valute - USD

Buffett ancora short sul dollaro

Macro USA

Pericolo deflazione

Materie Prime - Petrolio

Petrolio: effetto Teheran

Borse e Mercati - Sentiment

Sei mesi al galoppo, e la festa non è finita

Borse e Mercati - Sentiment

Borse: ma quale rally estivo

Borse e Mercati - Sentiment

Vendete subito i vostri BTP

FED e Macro USA

I rischi della bolla

 

Il no francese alla Costituzione dell'Ue, che indebolisce di fatto la costruzione della "casa comune europea", ha reso la vita difficile all'euro.

giovedì  2  giugno  2005   sabato  4  giugno  2005   domenica  19  giugno  2005
   
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Il dollaro inverte la rotta

Il no francese alla Costituzione dell'Ue, che indebolisce di fatto la costruzione della "casa comune europea", ha reso la vita difficile all'euro. Il biglietto verde sta recuperando terreno, e secondo Morgan Stanley sono diversi i motivi che spingono a vendere la moneta unica

01 Giugno 2005 - 20:15  (Mia economia)

Il no francese alla Costituzione dell'Ue, che indebolisce di fatto la costruzione della "casa comune europea", ha reso la vita difficile anche all'euro, che da lunedì ha accelerato la sua discesa nei confronti del dollaro.
Tuttavia non si tratta di una cattiva notizia, soprattutto per chi in questi mesi ha pagato dazio alla debolezza del biglietto verde, come le azienda tricolori abituate a fare la maggior parte del fatturato attraverso le esportazioni.
La pensa così anche il Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, convinto che se finora i mercati hanno saputo assorbire gli squilibri, guardando al futuro un eventuale perdita di valore del dollaro danneggerebbe l'intero sistema finanziario internazionale.

"In prospettiva è indispensabile un ridimensionamento degli squilibri - avverte il Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, nelle considerazioni finali per l'Assemblea generale dell'istituto -. Alla correzione del disavanzo corrente degli Usa dovranno contribuire un aumento del risparmio nazionale e tassi di crescita più elevati negli altri paesi industriali e nel resto del mondo".
Comunque, sottolinea il Governatore, ad oggi non si evidenzia "uno squilibrio crescente tra il volume delle attività finanziarie stilate in dollari e quello delle attività stilate in euro".
Ma le preoccupazioni di Fazio potrebbe rivelarsi inutili visto che per molti osservatori la cavalcata della moneta unica è giunta alla fine.

Morgan Stanley elenca sette motivi che potrebbero alimentare nel breve-medio periodo le vendite sull'euro, con il risultato che nel prossimo anno e mezzo non si potrà restare sorpresi se l’euro/dollaro raggiungerà la parità.
Secondo gli esperti della la nota banca d'affari statunitense, l’Euro è sopravvalutato e la crescita europea continua a mostrare segni di debolezza, inoltre il differenziale dei tassi di interesse favorisce il dollaro.
Una spinta per l'euro non arriva neppure dalla Bce, che sta perdendo credibilità, mantenendo ostinatamente i tassi invariati. Gli ultimi dati in arrivo dagli Stati Uniti mostrano un miglioramento del deficit corrente, mentre i conti dei paesi aderenti all’unione monetaria europea (Italia e Germania in testa) continuano a peggiorare.
La moneta unica pagherà anche le fratture politiche esistenti tra gli stati membri dell’Unione europea. Fratture che potrebbero portare nella peggiore delle ipotesi al fallimento dell’unione monetaria, mentre la riduzione dell’avversione al rischio negli investimenti favorirà il dollaro, che sarà considerato sempre di più un investimento relativamente più sicuro, rispetto all’euro e lo yen, per via dei maggiori tassi di interesse che sostengono la moneta.

 

 

GR1 RAI - 01 GIU ore 22:00

MP3 (62 KB)

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Fonte Mia Economia

 

 

 

 

 

  Buffett ancora short sul dollaro

I contratti in valuta estera di Berkshire Hataway hanno raggiunto il livello complessivo di $21.8 miliardi. Per il "guru di Omaha" grandi guadagni nel 2004, ma pesante perdita quest'anno con le scommesse al ribasso sul biglietto verde.

27 Giugno 2005 - 05:05 New York (di WSI)

Warren Buffett ha dichiarato in un'intervista rilasciata giovedi' scorso alla CNBC di scommettere su una discesa del dollaro nel lungo periodo. Il guru di Omaha rintraccia nella gigantesca dimensione del deficit della bilancia commerciale Usa la ragione in grado di affossare il biglietto verde, nonostante il recupero fatto segnare nelle ultime settimane.

Alla precisa domanda se si attende che la valuta statunitense riprendera' la sua discesa, Buffett, presidente Berkshire Hathaway Inc. (oltre che secondo uomo piu' ricco del mondo dopo Bill Gates) ha risposto di non saper dire se tra un anno il dollaro sara' piu' forte o piu' debole rispetto ad oggi: ma che in un arco di tempo di cinque anni non ha dubbi su un suo deprezzamento.

Buffett ha confermato la voce di mercato secondo cui lo scorso anno la Berkshire ha conseguito un profitto rilevante dal forte crollo del dollaro, ma che quest'anno ha accusato una perdita rilevante in bilancio per il rimbalzo mostrato dal biglietto verde.

Il dollaro si era deprezzato di circa il 30% negli ultimi tre anni fino allo scorso dicembre, ma dall'inizio dell'anno e' rimbalzato di un 10% dai minimi.

Il 31 marzo, i contratti in valuta estera di Berkshire avevano raggiunto il livello complessivo di $21.8 miliardi, rispetto ai $21.4 miliardi di fine 2004. Tuttavia, Buffett sottolinea come la gigantesca voragine nei conti statunitensi con l'estero puo' solo indebolire il biglietto verde in futuro.

Buffett ha ricordato come il deterioramento dei conti con l'estero sia un percorso estremanente pericoloso per l'economia di qualunque paese. Si e', pertanto, voluto riallacciare agli allarmi lanciati dal Governatore della Federal Reserve Alan Greenspan e perfino dal suo precedessore Paul Volcker con riferimento al fatto che il deficit statunitense sia ad un livello insostenibile.

L'ultimo dato disponibile mostra che il deficit corrente degli Stati Uniti ha superato i $195 miliardi nel primo trimestre di quest'anno, ovvero il 6.4% del PIL, un nuovo record negativo per quanto riguarda entrambe le misure.

In altri termini l'economia statuntense deve attirare ogni giorno circa $2 miliardi di capitali esteri solo per bilanciare il suo debito commerciale, alleviare la pressione al ribasso sul dollaro e prevenire un deciso rialzo nei tassi d'interesse.

Fonte Wall Street Italia.com

 

 

 

 

  Pericolo deflazione

Bill Gross, guru e gestore del fondo Pimco, spiega perche' nei prossimi tre-cinque anni si attende una crescita economica Usa molto debole, la continuazione della bolla sui bond e rendimenti sempre piu' bassi. I rischi nel settore immobiliare.

24 Giugno 2005 - 20:57 New York (di WSI)

Lo scorso martedi’ Bill Gross, chief investment officer dei fondi obbligazionari di Pimco ($445 miliardi) e grande guru del mercato obbligazionario, ha tenuto a Chicago il discorso d’apertura della Morningstar Investment Conference. All'attenta platea Gross ha spiegato perche’ si attende una crescita economica debole e rendimenti sui titoli di stato Usa ancora molto bassi.

Pimco sta recentemente operando sul mercato ipotizzando uno scenario di deflazione negli Stati Uniti. La previsione e' di rendimenti sui bond piu’ bassi per i prossimi tre-cinque anni. In effetti, la societa’ di Gross sta scommettendo su una fase di recessione che dovrebbe essere negativa per il mercato azionario.

Gross si attende che la crescita degli utili delle aziende americane rallentera’ al 4% o 5% e inoltre che i prezzi dei titoli rifletteranno tale dinamica. Il gestore ha dichiarato, davanti alla platea di money manager e consulenti finanziari riunitasi a Chicago, che fino allo scorso maggio aveva una posizione “neutral”, se non “bearish”, sulle prospettive dei titoli di stato statunitensi. Ma ora, assieme al suo team di gestori, ritiene che nei prossimi tre-cinque anni la possibilita’ di una deflazione sia altamente probabile.
Tale previsione e’ arrivata mentre gli investitori erano gia’ alle prese con la disperata ricerca di comprendere il “conundrum” (mistero) del mercato dei bond di cui ha recentemente parlato Alan Greenspan. L'anno scorso la Federal Reserve ha effettuato graduali aumenti sui tassi a breve termine; i tassi a lungo termine, pero’, si sono ridotti, a dispetto di tutte le certezze teoriche degli economisti. L’azione della Fed ha solo alimentato il fuoco che cova al di sotto del mercato immobiliare statunitense, ora considerato come una bolla prossima allo scoppio.

Gross e’ stato alla larga dal tema, nonostante abbia affermato che l’aumento del livello di indebitamento nel settore immobiliare stia cominciando a spaventarlo. L’esperto del mercato obbligazionario ha sottolineato come l’economia statunitense possa essere danneggiata da un affondamento del mercato immobiliare. L’attuale livello dei rendimenti obbligazionari riflette la necessita’ che il settore degli immobili continui a supportare la domanda dei consumi. Ma, ha sottolinea ancora Gross, questa non e’ la strada che percorre un paese con un’economia sana.

Lo scorso maggio, relativamente alle linee guida seguite dal fondo Pimco, Gross ha dichiarato di attendersi che il rendimento sul Treasury a 10 anni dovrebbe mantenersi tra il 3% ed il 4.5% nei prossimi anni. Rendimenti inferiori a questa soglia indicherebbero che l’economia si verra’ a trovare in una fase di recessione.
In uno scenario di indebolimento dell’economia Americana, Gross ha evidenziato l’opportunita’ di investire sul mercato obbligazionario. Finche’ il disavanzo della bilancia commerciale Usa continuera’ ad aumentare, saranno sempre di piu’ gli investimenti sui Treasury bond.
Gross, pero’, ha enfatizzato come la sua previsione sui tassi a livelli contenuti sia soggetta ad alcuni rischi, principalmente quelli relativi alle decisioni che le le banche centrali asiatiche assumeranno.
Le banche cinesi e giapponesi, in particolare, sono state, negli ultimi anni, assidue acquirenti di titoli di debito del governo Usa. Non sono poche le preoccupazioni che uno smobilizzo di asset denominati in dollari da parte di queste nazioni potrebbe colpire pesantemente l’economia statunitense. Gross giudica che le strategie di questi paesi abbiano un effetto di 50-100 punti base sui rendimenti del Treasury.
Gross, infine, ha dichiarato di mantenere una posizione short sui Treasury Inflation-Protected Securities (TIPS), titoli di stato statunitensi indicizzati all’inflazione. Una volta questi titoli costituivano le fondamenta del suo portafoglio obbligazionario, ma ora, in un ambiente che tende alla deflazione, li considera decisamente poco attraenti.

Fonte Wall Street Italia.com

 

 

 

 

ANSA  +++  USA: IL PHILADELPHIA FED CROLLA A QUOTA -2.2  +++  USA: DEFICIT DELLE PARTITE CORRENTI RECORD  +++  ANSA

 

 

USA: IL PHILADELPHIA FED CROLLA A QUOTA -2.2


Il dato delude le attese. Le stime degli analisti erano per un valore di 10 punti. A maggio l'indicatore era sceso a quota 7.3.
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Nel mese di giugno il Philadelphia Fed, l'indice che misura l'andamento dell'attivita' manifatturiera nell'area di Philadeplhia, si e' attestato a quota –2.2.
Lo ha comunicato la Federal Reserve di Philadelphia.
L'indicatore si e' rivelato nettamente peggiore delle attese del mercato. Gli economisti si aspettavano in media un valore di 10 punti.
Nel mese di maggio il dato era sceso a quota 7.3 dai 25.3 punti del mese precedente.
Il dato rappresenta una flessione dell'attivita' economica manifatturiera nell'area. Ricordiamo, infatti, che un valore superiore allo zero indica un'espansione. L'indice e' sempre stato positivo fin dal mese di giugno 2003.

 

ANSA 16 Giugno 2005 18:00

 

 

 

USA: DEFICIT DELLE PARTITE CORRENTI RECORD


Nel primo trimestre 2005 il disavanzo degli Usa nei confronti dell'estero sale al record di $195.1 miliardi. Il consensus del mercato era per un valore di $190 mld.
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Nel primo trimestre 2005 il disavanzo degli Stati Uniti nei confronti dell'estero e' salito al livello record di $195.1 miliardi.
Lo ha reso noto il Dipartimento del Commercio.
Il dato e' peggiore delle attese del mercato. Gli economisti prevedevano in media un valore di $190 miliardi. Nel trimestre precedente il deficit era di $187.9 miliardi.
L'incremento e' del 3.6%. Il disavanzo e' pari al 6.4% del Pil Usa, un livello mai raggiunto in precedenza.
A determinare il peggioramento del dato nel primo trimestre e' stato soprattutto il deficit dei prodotti, salito a $186.3 miliardi. Gli asset esteri negli Stati Uniti sono cresciuti a $226.1 miliardi.
 

 

ANSA 17 Giugno 2005 14:30

 

 

 

 

Greenspan: economia, tassi, inflazione e bolla immobiliare

09 Giugno 2005 - 21:08  New York (ANSA)

Economia Usa che poggia su basi' ragionevolmente' solide, inflazione sotto controllo e tassi d'interesse che possono crescere a un ritmo misurato. Alan Greenspan conferma le previsioni della vigilia e traccia un quadro rosa della congiuntura economica statunitense, nel corso dell'audizione periodica di fronte alla commissione ongiunta del Congresso.

"Gli ultimi dati a disposizione - osserva il presidente della Federal Reserve - ci indicano che il rallentamento di primavera è stato solo un fenomeno transitorio. L'economia poggia su basi ragionevolmente solide e, malgrado il carattere poco armonioso del ciclo dell'ultimo anno, va piuttosto bene considerando vari criteri di rilevazione". E, a fronte di un'inflazione che resta su livelli contenuti esulla quale la Fed "continua a vigilare", i tassi d'interesse possono continuare a crescere al ritmo "misurato", finora seguito dalla banca centrale statunitense. Le parole di Greenspan, oltre a rafforzare il dollaro con l'euro sceso sotto quota 1,22, hanno l'effetto di consolidare il convincimento di un'ulteriore stretta monetaria - probabilmente ancora di un quarto di punto - in occasione della prossima riunione del Federal open market committee (FOMC) del29-30 giugno. E che se attuata, costituirebbe il nono rialzo del costo del denaro consecutivo, con la conseguenza che il tasso sui Fed Funds si porterebbe al 3,25%.

Continua a restare irrisolto il 'conundrum' (l'enigma) dei tassi a medio-lungo termine incredibilmente bassi, nonostante i reiterati rialzi del costo del denaro: "é un fenomeno che abbiamo osservato non solo negli Usa, ma anche a livello internazionale e che costituisce una delle maggiori sorprese del 2004". Una vicenda "senza precedenti", almeno nella storia recente con il tasso sul Treasury decennale, attualmente pari a circa il 4% che "é - osserva - 80 punti base al di sotto del suo livello di un anno fa".

Il presidente della Fed ricorda che a marzo sono state esercitate sul mercato massicce pressioni di acquisto sui titoli del Tesoro a lungo termine (soprattutto Cina, India e Russia),con la conseguenza di far scendere i rendimenti. "L'impatto - rileva ancora - è stato alla fine modesto, mentre restano tutti i dubbi sull'origine di queste forze".

Un riferimento anche al mercato immobiliare: "malgrado una bolla dei prezzi delle case non appaia probabile su scala nazionale, segnali di 'froth' (schiuma, ndr) sono riscontrabili su scala locale, dove le quotazioni delle case hanno toccato livelli insostenibili". 'L'effetto schiuma si è riversato anche "nel mercato dei mutui immobiliari, con la diffusione degli interest-only loans (i prestiti che permettono ai sottoscrittori di pagare solo gli interessi per un certo periodo di tempo, ndr) o di altre forme innovative e preoccupanti". Il timore, in altri termini, è che gli americani si stiano indebitando oltre misura per l'acquisto di case in un'ottica speculativa, nella speranza che le quotazioni immobiliari continuino a salire. "L'economia Usa, anche nel recente passato, ha superato fenomeni di questo tipo - argomenta Greenspan sugli effetti di una possibile inversione del trend, con lo scoppio appunto della bolla - assorbendoli senza sostanziali conseguenze di carattere macroeconomico".
 

 

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Fonte ANSA

 

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GR1 RAI - 08 GIU ore 22:00

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GR1 RAI - 09 GIU ore 19:15

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+++  Petrolio: nuovo record storico oltre quota 60$  +++

  martedì  21  giugno  2005  
   
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GR1 RAI - 21 GIU ore 22:00     MP3 (71 KB)
 
 
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GR1 RAI - 28 GIU ore 22:04     MP3 (71 KB)
 

 

 

 

 

Petrolio: nuovo record storico oltre quota 60$

Superata la fatidica soglia psicologica, su Wall Street sono fioccate le vendite: Dow Jones -1,50%, Nasdaq -0,90%.

23 Giugno 2005 - 21:13  Roma (ANSA)

Petrolio sempre più caro, nuova impennata record alla fatidica soglia dei 60 dollari al barile.Una vetta sui cui da già da mesi si erano concentrate le speculazioni di economisti e analisti che nel monitorare la rapida escalation delle quotazioni avevano fissato a quota 60 il livello limite in termini di criticità per il mercato. Le quotazioni del greggio hanno poi ripiegato alla chiusura degli scambi al mercato di New York attestandosi su 59,40 dollari al barile con un rialzo del 2,3%.
Il rischio di forti squilibri tra domanda e offerta tiene in fibrillazione gli operatori che fanno i conti con le continue correzioni al rialzo delle previsioni sui consumi energetici globali. La forte crescita della domanda di greggio trainata dall'espansione economica di Cina e India rappresenta una pericolosa incognita: secondo il Dipartimento statunitense per l' Energia, infatti, la richiesta di petrolio quest' anno aumenterà del 2,5%, mentre al tempo stesso esiste più di un timore che il ritmo di produzione, e soprattutto di raffinazione di prodotti distillati, si riveli insufficiente.

Il picco record a 60 dollari è inoltre la riprova che l'Opec ha armi spuntate: l'ultimo aumento delle quote di produzione (a 28 milioni di barili al giorno) deciso al vertice di Vienna dello scorso 15 giugno ha rappresentato per il mercato una mossa simbolica che non ha prodotto un raffreddamento dei prezzi. E oggi, dopo due giorni di leggera flessione, il greggio ha avviato il rally: un'accelerazione che ha spinto i prezzi fino a un massimo 59,80 dollari mandando in archivio il fresco primato di 59,70 dollari segnato solo due giorni fa.
L'impennata odierna dei futures sull'oro nero, dopo due giorni di leggero ripiegamento che non aveva però illuso nessuno, è stata trainata dalle preoccupazioni relative alle capacità delle raffinerie Usa di far fronte alla richiesta di benzina - mantenutasi sostenuta nonostante il rialzo dei prezzi - in un momento in cui, oltretutto, la domanda giunge al culmine con l'entrata nel vivo della stagione vacanziera.

Le raffinerie Usa, inoltre, stanno indirizzando prevalentemente la loro attenzione alla trasformazione di distillati (diesel e gasolio da riscaldamento) piuttosto che alla produzione di benzina, secondo i dati resi noti ieri dal Dipartimento dell'Energia Usa che ha evidenziato come la produzione di benzina sia scesa di 255.000 barili rispetto la settimana precedente.
La produzione di combustibile da riscaldamento, al contempo, é salita nelle ultime settimane del 18% rispetto al pari periodo dello scorso anno. Gli esperti prevedono che le pressioni rialziste prevarranno sul mercato del petrolio nei prossimi giorni fino al weekend del 4 luglio che vedrà in partenza milioni di americani e anche nei giorni successivi che scandiranno le prime partenze in massa. Se in quel periodo si segnaleranno - aggiungono gli addetti ai lavori - dati in difetto sulle scorte o problemi di produzione, allora c'e il rischio di un ulteriore allungo per le quotazioni.

Fonte ANSA

 

 

 

 

 

 Petrolio: effetto Teheran

L´Occidente ha paura di "quota 80" e di rivivere lo choc di trent´anni fa. Pesa l´incognita sulla domanda cinese: terrà gli attuali ritmi? Molti credono a una crisi mondiale imminente. L´amministrazione Bush sdrammatizza il problema. E non si muove.

28 Giugno 2005 - 02:39  Roma (di Federico Rampini)

Il petrolio supera i 60 dollari a barile e i pessimisti ormai considerano ripetibile la "quota 80", il prezzo che fu raggiunto nei drammatici choc energetici di trent´anni fa. Tre eventi fanno da sfondo al nuovo record: la vittoria di un falco in Iran peggiora la tensione nel Golfo; la Cina assetata di energia ha lanciato una storica Opa su una compagnia petrolifera americana; infine è in atto da mesi il recupero del dollaro sull´euro, che amplifica gli effetti del rincaro sull´economia italiana.

Il risultato delle elezioni iraniane nell´immediato non sposta gli equilibri tra offerta e domanda di greggio: per quanto il nuovo presidente sia un estremista antioccidentale, non ha interesse a ridurre quelle esportazioni che gli procurano la valuta pregiata per mantenere le sue promesse populiste. Ma il voto iraniano aggrava l´instabilità geopolitica nella regione del mondo che resta per noi la principale fonte di petrolio. Nello scenario più catastrofico la prosecuzione del programma nucleare di Teheran - finalizzato a produrre "l´atomica degli ayatollah" - può sfociare in un attacco militare di Israele o degli Usa, in una seconda guerra dopo quella irachena, con serie conseguenze sui flussi di approvvigionamenti dal Golfo persico verso Europa e Stati Uniti.
Anche senza arrivare a tanto, la vittoria di Ahmadinejad cancella le speranze di un disgelo politico fra Teheran e Washington, che poteva sbloccare gli investimenti occidentali necessari per modernizzare gli impianti e aumentare la capacità di estrazione. In Iran infatti, così come nell´Iraq devastato dalla violenza, la produzione di petrolio resta molto inferiore alle potenzialità, per dei limiti strutturali legati a uno «sciopero degli investimenti» dai paesi ricchi. Questa è una delle ragioni per cui il cartello dei paesi produttori riuniti nell´Opec, anche quando promette di aumentare la produzione, ha scarso effetto sui prezzi.
C´è un´altra strozzatura industriale che limita l´offerta di benzina e gasolio e fa esplodere i prezzi: nonostante la lunga galoppata al rialzo, le compagnie petrolifere dei paesi ricchi hanno investito poco per potenziare le raffinerie. Le multinazionali del settore si comportano come se non credessero che il boom mondiale dei consumi energetici durerà a lungo, e quindi non vogliono esporsi accumulando troppa capacità di raffinazione. Commettono un errore di previsione? Sottovalutano la tenuta dell´economia americana e il vigore della crescita cinese?
O invece "sanno" qualcosa che noi non sappiamo? Il comportamento delle multinazionali petrolifere è parallelo a quello dei mercati finanziari che continuano a mantenere tassi d´interesse a lungo termine molto bassi: sembra che molti scommettano su una crisi mondiale imminente. Possono sbagliarsi. Ma a volte queste profezie hanno il potere di autoavverarsi.

A furia di spingere al rialzo il costo dell´energia, c´è il rischio che la Cina non riesca più a sfornare ritmi di crescita del 9% annuo, e che gli Usa non "tengano" alla loro velocità di equilibrio del 3%. Se il mondo rallenta l´Europa continentale, che è già a crescita zero, finirà ancora peggio. Gli ultimi due choc energetici avvennero nel 1974 e nel 1977, spedirono il petrolio oltre 80 dollari al barile (in valore attuale), e furono gli anni più duri dopo la seconda guerra mondiale.
Crearono il mostro della stagflazione: stagnazione economica, alta disoccupazione, aggravata da un´inflazione a due cifre che distruggeva il potere d´acquisto dei consumatori. La lira debole rendeva l´Italia uno dei paesi più prostrati. Oggi, se l´euro dovesse continuare a perdere quota sul dollaro, la bolletta energetica sarà ingigantita e forse sentiremo meno i nostalgici delle svalutazioni. A dispetto delle previsioni più catastrofiste, la Cina continua per ora a essere la locomotiva dello sviluppo mondiale e il suo boom economico altamente energivoro è una delle cause di lungo termine del rincaro petrolifero (+67% in un anno). La sete di energia spiega la mossa clamorosa del governo cinese che ha autorizzato l´azienda pubblica Cnooc a lanciare una scalata da 18,5 miliardi di dollari sulla compagnia petrolifera californiana Unocal, già appetita dalla Chevron. La Unocal controlla ricchi giacimenti anche nel Sudest asiatico.
Ma petrolio e gas sono materie prime liberamente scambiate sui mercati. Non occorre comprarsi una compagnia petrolifera per avere accesso all´energia che essa vende. Da questo punto di vista la Cina userebbe meglio quei 18,5 miliardi accelerando il suo programma di centrali nucleari. Il controllo diretto delle riserve petrolifere diventa necessario solo in situazioni estreme, come una guerra. Perciò l´accanimento con cui i cinesi perseguono l´acquisto di Unocal, e lo speculare dibattito «strategico» che questa mossa scatena in America, suonano come un altro segnale poco rassicurante per il futuro.

Per capire le vicende del mercato petrolifero è bene non dimenticare un ultimo elemento del paesaggio attuale, a cui siamo talmente abituati da trascurarne il peso. Alla Casa Bianca c´è un presidente che viene dallo oil business texano. Il vicepresidente per anni ha diretto l´azienda petrolifera Halliburton. Il segretario di Stato sedette nel consiglio d´amministrazione della Chevron, che ha battezzato "Condoleeza" una superpetroliera. Exxon, Chevron e tutte le "sorelle" petrolifere dominano la classifica delle capitalizzazioni di Borsa.
L´Amministrazione Bush nega che esista un problema di surriscaldamento climatico. Le politiche di riduzione dei consumi energetici, gli incentivi al risparmio e all´uso di tecnologie verdi, sono stati abbandonati o ridimensionati. Al governo della superpotenza mondiale c´è un gruppo dirigente che di fronte al barile di greggio a 60 dollari si dice: qual è il problema?

Fonte La Repubblica

 

 

 

 

  sabato  4  giugno  2005   sabato  18  giugno  2005   sabato  24  giugno  2005  
       
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  Sei mesi al galoppo, e la festa non è finita

Tutti, ma proprio tutti gli asset sono aumentati di valore. I tassi ai minimi hanno fatto da trampolino per azioni, bond, mattone e commodity. E il rialzo può continuare. Gli unici a rimetterci sono stati quelli che hanno lasciato i soldi...
 

21 Giugno 2005 8:10  MILANO  (di Vincenzo Sciarretta)

2005 SUPER PER GLI INVESTITORI Una specie di Eldorado. Un festival dei guadagni, se preferite. Ecco come sarà ricordata la prima metà del 2005. E sì, perché tutti, ma proprio tutti gli asset sono aumentati di valore. Per farla breve, gli unici a rimetterci sono stati coloro che hanno lasciato i propri denari sotto il materasso, nei conti correnti o nelle forme alternative di liquidità (nel senso che non sono riusciti a coprire l’inflazione). Per il resto le azioni sono salite, i titoli di Stato sono saliti, gli immobili sono saliti, le materie prime sono salite, e persino il dollaro, dopo tre anni di crollo, ha ripreso fiato.

Difficile sbagliarsi. Il minimo comune denominatore di questa marea indifferenziata viene individuato dagli esperti nel clima favorevole determinato da tassi d’interesse così bassi da rendere qualsiasi cosa interessante. A questo si aggiunge poi l’accrescimento della domanda proveniente dall’ingresso della Cina e delle altre nazioni emergenti sul libero mercato.
Prendiamo per esempio i corsi del greggio: sono passati i tempi in cui gli analisti propinavano spiegazioni transitorie come «il premio di guerra» sulle quotazioni del barile o l’eccessivo caldo o il freddo pungente (a seconda delle stagioni). Oggi si è accettata la verità per quella che è: la domanda di carburanti è in impennata e l’offerta fa fatica ad adeguarsi alla richiesta. Punto e basta. Il trend delle materie di base è stato poi amplificato da noi a causa della debolezza dell’euro: proprio questa settimana, anche l’oro ha registrato nuovi primati, se misurato nella divisa comune.

RENDIMENTI Ma si diceva dei tassi d’interesse. In Europa i rendimenti a breve termine sono i più bassi dal 1919, mentre quelli decennali hanno toccato di recente un nuovo minimo storico al 3,14 per cento. Secondo Steven Major, responsabile per il reddito fisso del colosso bancario Hsbc, «le cedole obbligazionarie fluttuano all’interno di una banda di oscillazione e c’è una buona probabilità di ritrovarle ai livelli attuali anche a fine anno». Interpellato da Borsa & Finanza su quali possano essere le occasioni residue nel settore del credito, Major indica operazioni di nicchia, forse anche un po’ da specialisti. Per esempio, suggerisce di «scommettere sull’Italia rispetto alla Germania, in quanto la storia dell’uscita dall’euro e dell’Unione monetaria che sta per sgretolarsi è un’esagerazione. Per cui il differenziale di rendimento tra i due Paesi è esagerato».
O ancora consiglia di puntare sulle scadenze ultralunghe: «Sono convinto - spiega - che la domanda per questo tipo di titoli risulterà in continuo aumento a causa della domanda crescente da parte dei fondi pensione e delle assicurazioni». Il pericolo inflazione sembra d’altra parte ridimensionato (vedi altro articolo in pagina): «In estrema sintesi, direi che l’andamento dei prezzi è calante - afferma Lorenzo Codogno, capo economista di Bank of America - L’economia europea è fiacca e se il prezzo del petrolio sale, molto altro scende. A questo punto, ci si aspetta anche che la Banca centrale europea tagli il tasso base a settembre, se la congiuntura non starà in piedi sulle proprie gambe. È una possibilità concreta».

TITOLI IN SALUTE. Secondo alcune inchieste recenti, l’umore dei risparmiatori italiani nei riguardi di Piazza Affari ha virato al pessimismo più nero, paragonabile solo ai tempi della guerra in Iraq. I nostri connazionali vedono il Paese in recessione, i commissari europei che mordono, i prezzi dei carburanti che vanno alle stelle, e non si capacitano come Milano possa trovare le energie per alimentare il rialzo. Forse la risposta sta di nuovo nei tassi d’interesse ai minimi termini e nella mancanza di alternative valide. Tutte le Borse del Vecchio Continente sono infatti a buon mercato se paragonate alle cedole delle obbligazioni governative. Perciò l’unico vero rischio per l’azionario nostrano ruota attorno a un repentino decollo dei tassi d’interesse, che però nessuno vede all’orizzonte: «Per il 2005 non prevedo alcuna stretta delle condizioni creditizie - aggiunge il capo economista della Deutsche Bank, Thomas Mayer - La tendenza dei tassi dovrebbe essere tutto sommato stabile».
E di fronte alla miseria dei rendimenti garantiti dai buoni del Tesoro, ecco che il solo dividendo legato a titoli come Eni (4,17%), Enel (4,80%), Tim (6,33%), Unicredito (5%) e via dicendo esercita il suo fascino discreto. Inoltre, vale la pena di notare che il debito societario in Europa è al minimo degli ultimi trent’anni e che la prospettiva di un mercato transnazionale ha aperto la strada a un corposo flusso di operazioni d’assorbimento. Infine una nota di cautela: diversi analisti ricordano che il periodo estivo è tradizionalmente debole per le Borse e vulnerabile a una correzione.

Fonte  Bloomberg - Borsa & Finanza

 

 

 

 

  Borse: ma quale rally estivo

La maggior parte dei gestori, interpellati da Morningstar nell’ultimo sondaggio, condotto tra il 6 e il 13 giugno, non prevede alcun rialzo nei prossimi mesi e oltre il 20% è pessimista. In Italia preoccupa il quadro congiunturale.

16 Giugno 2005 8:49 MILANO  (di *Sara Silano)
 

*Sara Silano è Caporedattore di Morningstar in Italia.

Solo sulla Borsa di Tokyo continuano a prevalere gli ottimisti. A differenza dei mesi scorsi, è meno netta la preferenza per le azioni europee rispetto a quelle americane. In Italia preoccupa il quadro congiunturale. Tra euro e dollaro la partita è ancora aperta.
Nei prossimi sei mesi le Borse europee e Wall Street oscilleranno attorno agli attuali livelli. La maggior parte dei gestori, interpellati da Morningstar nell’ultimo sondaggio, condotto tra il 6 e il 13 giugno, non prevede nessun rally estivo e oltre il 20% è pessimista.
Nel dettaglio, il 45,5% dei fund manager è convinto che i mercati del Vecchio continente resteranno sostanzialmente stabili e il 47,8% prevede un trend analogo negli Stati Uniti. L’Italia non si discosta dal resto dell’Europa, mentre in Giappone continuano a prevalere gli ottimisti, che sono circa il 61%, in linea con il mese scorso. Meno del 10% degli intervistati si attende un calo della Borsa nipponica, che è supportata dalle buone valutazioni, dai processi di ristrutturazione aziendale e dalle stime di crescita della domanda interna.

Europa e Stati Uniti meno lontani
A differenza dei mesi scorsi, la preferenza per i titoli europei rispetto a quelli americani è meno netta. La percentuale di gestori che prevede un rialzo dei primi nella seconda parte dell’anno è del 31,8% contro il 30,4% che scommette sui secondi.

Le valutazioni azionarie nel Vecchio continente restano moderatamente attraenti, soprattutto se confrontate con i rendimenti obbligazionari; tuttavia non sembra ci siano situazioni di forte sconto e, fattore ancor più rilevante, l’economia è debole. Per contro, le prospettive congiunturali negli Stati Uniti sono migliori e le attese di crescita degli utili aziendali positive, anche se l’aumento del costo unitario del lavoro e il calo della produttività potrebbero determinare una flessione dei profitti. Sulle valutazioni dei titoli quotati a Wall Street, i gestori sono divisi tra coloro che pensano che siano relativamente elevate e coloro che le considerano interessanti.

L’Italia non fa eccezione
Per il 44% dei gestori, l’indice milanese S&P/Mib oscillerà attorno agli attuali livelli nei prossimi sei mesi a fronte di un 22% che prevede un calo e del 33% convinto di un rialzo. La situazione di Piazza Affari non si discosta molto da quella del resto d’Europa, anche se è prevista minor volatilità, date le caratteristiche difensive del listino.
Le valutazioni sono considerate relativamente attraenti, in particolare nel settore bancario, che è supportato anche dai processi di fusione ed acquisizione in atto; tuttavia preoccupa il quadro congiunturale in deterioramento. Per questo, diversi gestori esprimono cautela sui titoli legati all’economia domestica.

Testa a testa tra euro e dollaro
Gran parte dei gestori (45,5%) prevede che il rapporto tra la moneta unica e il dollaro oscillerà attorno agli attuali livelli nei prossimi sei mesi, mentre il 27% stima un apprezzamento del biglietto verde e una percentuale analoga scommette sull’euro. E’ convinzione diffusa che il tasso di cambio rimarrà in un intervallo compreso tra 1,25 e 1,30.

Il doppio “no” di Francia e Olanda alla bozza di Costituzione europea non si prevede abbia effetti duraturi, mentre maggior sostegno al dollaro viene dal differenziale tra i tassi di interesse europei e americani. Tuttavia, gli squilibri sulle partite correnti e di bilancio statunitensi lasciano spazio a un ulteriore deprezzamento del biglietto verde.
Sul mercato obbligazionario, il giudizio dei gestori non si discosta da quello del mese scorso. Il 56% è convinto che i prezzi scenderanno in Europa e il 74% si attende un trend analogo negli Stati Uniti. Nel complesso i bond sono considerati sopravvalutati e mantenuti in sottopeso nei portafogli bilanciati. Il Vecchio continente continua ad essere preferito al Nord America, anche se nessun gestore si aspetta un aumento dei prezzi nei prossimi sei mesi.
Hanno partecipato al sondaggio 23 delle principali società di diritto italiano ed estero operanti sul territorio, che contano per circa il 70% degli asset gestiti in Italia. 
 

Fonte Morningstar Italia

 

 

 

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+++   Allarme BCE: bolla mondiale sui Bond   +++   Case: attenzione alla bolla   +++

 

Allarme BCE: bolla mondiale sui Bond


Rialzi record per i titoli di Stato. Gli squilibri finanziari sono già abbastanza ampi e potrebbero allargarsi ulteriormente.
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1 Giugno 2005  7:23  MILANO

Rialzi record per i titoli di Stato del Vecchio Continente, mentre la Banca centrale europea, nel rapporto annuale sulla stabilità finanziaria di Eurolandia, lancia molteplici allarmi. «L’equilibrio finanziario di Eurolandia è molto delicato - hanno sottolineato dall’istituto guidato da Jean-Claude Trichet - Da una parte si è verificato un importante miglioramento nella capacità del sistema di assorbire disturbi avversi, ma dall’altra gli squilibri finanziari sono già abbastanza ampi e potrebbero allargarsi ulteriormente».

Detto questo, la Bce ha precisato che «una sottovalutazione dei rischi ha spinto i prezzi dei bond e di altri asset a livello mondiale oltre il loro valore intrinseco». Secondo l’istituto di Francorte, poi, «una correzione di questi rialzi è possibile in futuro». In parole povere, le quotazioni dei titoli di Stato sarebbero cresciute oltre il dovuto e prima o poi imboccheranno la parabola discendente, anche in modo abbastanza brusco.

 

Fonte Finanza&Mercati

 

Case: attenzione alla bolla


L´allarme arriva da "The Economist", che ha dedicato la copertina del numero in edicola e un ampio servizio alle drammatiche conseguenze della più che probabile retromarcia dei prezzi immobiliari. Il raffreddamento è già iniziato.
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19 Giugno 2005  10:22  NEW YORK

«I prezzi degli immobili hanno raggiunto ormai livelli da bolla. Le bolle finanziarie, storicamente, tendono a gonfiarsi oltre ogni logica. Ma prima o poi, e capiterà anche per il mattone, scoppiano. E a quel punto l´economia mondiale sarà a rischio».

L´allarme arriva da "The Economist". L´autorevole settimanale inglese, che già da un anno ha lanciato l´allarme sui prezzi delle case, ha dedicato la copertina del numero in edicola e un ampio servizio alle drammatiche (dal suo punto di vista) conseguenze della più che probabile retromarcia dei valori degli immobili.

Il raffreddamento – sostiene l´Economist – è già iniziato in Australia e Gran Bretagna e tra breve partirà anche negli Usa. E la storia economica dimostra che lo scoppio di questo tipo di bolle ha effetti molto più devastanti dei crac in Borsa. Anche perché l´era dei tassi bassi ha portato sul mattone molti speculatori, pronti a vendere appena i tassi risaliranno. Il problema, conclude il settimanale, è che la crescita dei prezzi («una pura illusione ottica») è stata un fenomeno mondiale. E così anche l´eventuale caduta rischia di diventare una catastrofe globale.

 

Fonte La Repubblica

 

 

 

 

 

 

  Vendete subito i vostri BTP


Crisi in Europa: Royal Bank of Scotland invita gli investitori a liquidare le posizioni sui titoli di Stato dei Paesi dell’Unione ad alto debito: «Meglio acquistare le emissioni della Germania. Al tappeto bond greci e italiani».

1 Giugno 2005 7:02 MILANO
 

«Gli investitori dovrebbero vendere titoli di Stato italiani e greci, perché il fallimento del referendum francese potrebbe penalizzare le quotazioni dei bond emessi dai Paesi meno virtuosi». L’affermazione netta, e preoccupante, è di Wee-Khoon Chong, strategist obbligazionario di Royal Bank of Scotland. «L’incertezza creata dal no transalpino alla costituzione Ue - continua - spingerà gli operatori a rastrellare i titoli di Stato ad alto rating, in primis quelli tedeschi».

Standard & Poor’s valuta l’affidabilità creditizia della Grecia con A, al sesto gradino della scala dei rating; l’Italia vale invece AA, al quarto posto; la Germania, invece, vanta il merito di credito più prestigioso, AAA, decisamente meglio rispetto all’Italia che l’anno scorso ha subito un downgrade da parte dell’agenzia statunitense, che si dichiarò preoccupata dalla capacità di contenimento della spesa e dal taglio delle tasse messo in preventivo da Palazzo Chigi.
Oggi, il premio al rischio richiesto dagli investitori per acquistare Btp decennali anziché Bund della stessa scadenza è 22 punti base, il massimo da ottobre 2002. E la differenza di rendimento tra le emissioni (sempre decennali) tedesche e greche ammonta a 25 punti base. «Entrambi gli spread possono allargarsi di altri 5 punti base nelle prossime due settimane - prevede Wee-Khoon Chong - Il no di Parigi non causerà la disgregazione dell’Unione europea, ma renderà più attraente il Bund rispetto alle obbligazioni dei Paesi a più alto debito».
Bruxelles, lo scorso 4 aprile, ha affermato che Italia e Grecia sfonderanno il tetto del 3% del deficit/pil: sarebbe la prima volta che Roma, dall’adozione della moneta unica, viola i parametri di Maastricht. Italia e Grecia - stando all’ultimo rapporto dell’Organization for Economic Cooperation possiedono il più alto stock di debito (in rapporto al pil) tra i Paesi di Eurolandia. E ieri, per l’economia italiana, è arrivato anche l’allarme lanciato dal governatore di Bankitalia, Antonio Fazio (vedere articolo a pagina 2).
Il referendum sulla Costituzione Ue si sposta oggi in Olanda. E le previsioni non sono certo incoraggianti: il 53,2% degli elettori dovrebbe esprimere un voto contrario. In ragione di queste considerazioni, Royal Bank of Scotland prevede che il rendimento sul Bund decennale scenderà al 3,25% entro giugno, in parallelo con un’ulteriore frenata della crescita e dell’inflazione. «In Europa il carovita non sarà un problema, scenderà sotto il 2% - spiega Wee-Khoon Chong - La Banca centrale europea non avrà fretta di alzare i tassi». Allo stesso tempo, l’istituto di Francoforte si appresta a tagliare (ancora una volta) le stime di crescita 2005 per Eurolandia dall’1,6 all’1,4 per cento.


Fonte Finanza&Mercati

 

 

 

 

  I rischi della bolla

Greenspan ha dovuto ammettere che vi sono segnali di eccessi anche se limitati ad alcune aree. Il tentativo è quello di evitare un surriscaldamento eccessivo dei prezzi delle case. Che armi rimangono alla Fed?

13 Giugno 2005 20:28 SIENA 
(di *Antonio Cesarano)


* Antonio Cesarano e' il responsabile dell'ufficio ricerca MPS Finance.

Il dibattito sulle ragioni dell’attuale permanenza dei tassi su livelli molto contenuti diventa sempre più animato ed ha coinvolto anche Greenspan che ha ammesso di trovarsi in difficoltà nel trovare una ragione forte alla base di tale andamento.

Verosimilmente vi è un complesso di fattori che sta spiegando l’andamento al ribasso dei tassi a livello internazionale e che attengono in gran parte la ricomposizione della domanda in seguito a diversi cambi strutturali tra cui la maggiore domanda di investimenti a scopo previdenziale, il ruolo crescente delle banche centrali asiatiche fino ad arrivare alla maggiore mobilità dei capitali indotta dalla globalizzazione.
Negli Usa il fenomeno è ancora più evidente in quanto a fronte di una fase di rialzo dei tassi della Fed e di una continuazione della fase di crescita dell’economia, i tassi di mercato hanno seguito un trend molto forte al ribasso soprattutto a lungo termine, al punto che attualmente il differenziale tra tassi a 10 e 2 anni è prossimo allo zero.

Il capo della Fed immaginava invece che i mercati avrebbero seguito il rialzo dei tassi di riferimento, al punto che nei mesi scorsi la Fed si è sempre premurata di avvertire che i rialzi sarebbero stati comunque graduali onde evitare bruschi rialzi che avrebbero potuto mettere a rischio la ripresa dell’economia. Ed ecco che invece è accaduto esattamente l’opposto.
I livelli molto contenuti dei tassi stessi a loro volta hanno amplificato in modo evidente la speculazione nel settore immobiliare. Lo stesso Greenspan, pur rinnegando la presenza di una bolla immobiliare, ha dovuto però ammettere che vi sono segnali di eccessi anche se limitati ad alcune aree. Il tentativo è quello di evitare un surriscaldamento eccessivo dei prezzi immobiliari ossia del settore dove attualmente si annida una grossa fetta della ricchezza dei consumatori Usa. Occorrerebbe convincere gli operatori a riportare i tassi su livelli più elevati. La consueta arma del rialzo dei Fed funds finora non ha funzionato. Che armi rimangono allora a disposizione della Fed?
 

Vista la loro inefficacia, il rialzo dei Fed Funds potrebbe essere limitato alla prossima riunione del 30 giugno e forse estendersi a quella del 9 agosto. Ma di fronte ad un situazione senza precedenti occorrerà ipotizzare altri strumenti al fine di evitare che dalla bolla azionaria si passi in modo sempre più forte a quella immobiliare.


Fonte  La Repubblica