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PARTE  1

INDICE ARTICOLI

 

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Mondo - Geo politica

Invadere l'Arabia Saudita ?

Materie Prime - Petrolio

Non prendete sottogamba il caro-greggio

Materie Prime - Petrolio

Il caro-greggio ci fa un baffo

Tassi USA e Materie Prime

Tassi USA al 5% se il barile non frena

Finanza italiana

Fazio vale lo 0,00000001% di Alan Greenspan

   

Vai alla seconda parte della Rassegna

 

ANSA  +++  E' morto re Fahd d'Arabia, petrolio e livelli record  +++  L'Europa guarda al "caso Fazio" con preoccupazione  +++  Nuove minaccia da Al Quaeda  +++  ANSA

martedì  2  agosto  2005   giovedì  4  agosto  2005   venerdì  12  agosto  2005
   
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   Invadere l'Arabia Saudita ?

Bush non va ai funerali di Fahd: e' in corso un ridimensionamento dei legami tra Usa e Ryad, come chiedono i «neo con»? La loro proposta: smembrare il paese arabo in due o più stati e occupare militarmente i giacimenti di petrolio.

2 Agosto 2005   12:02 - Lugano (di Giorgio S. Frankel)

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Il nuovo sovrano dell’Arabia Saudita, Abdallah, è solo di un paio d’anni più giovane di re Fahd, suo fratellastro, morto lunedì a 84 anni. Dunque, per forza di cose, il suo regno non sarà molto lungo. Però, Abdallah ha governato il paese negli ultimi dieci anni, durante la lunga malattia di Fahd. E così c’è da pensare che l’Arabia Saudita manterrà la rotta sin qui seguita, e cioè: una politica petrolifera orientata alla stabilità del mercato, una politica estera basata sull’alleanza con gli Stati Uniti (nonostante i segni di crescente erosione), e una politica interna di lentissima evoluzione riformista.

A livello regionale, l’Arabia Saudita mostrerà, forse, un maggiore impegno contro l’estremismo islamico (ma la legittimità della monarchia saudita deriva dall’alleanza storica col fondamentalismo wahhabita) e un rinnovato interesse ad una pace tra Israele e Palestina. Tuttavia, le incognite per il prossimo futuro sono assai più numerose delle possibili, ragionevoli certezze. La principali sfide dell’ottuagenario re Abdallah, e dell’estesa dinastia dei Saud (ottomila principi maschi con le rispettive famiglie), riguardano la capacità di gestire il cambiamento interno, la modernizzazione, e i crescenti problemi sociali e culturali, mantenendo una sostanziale stabilità.

La seconda sfida, connessa alla prima, riguarda la riforma della monarchia (possibilmente in chiave costituzionale), la coesione della famiglia reale, e il passaggio del potere monarchico alle nuove generazioni di principi, visto che il possibile successore di Abdallah, principe Sultan, suo fratellastro, ha 81 anni. La terza sfida, anch’essa mortale per i Saud, e per il paese, è quella di sconfiggere la minaccia sovversiva degli estremisti islamici e dei gruppi terroristici che si ispirano ad al Qaida o ne sono una parte integrante. E poi c’è la grande incognita del petrolio. L’Arabia Saudita detiene il 25% delle riserve petrolifere mondiali. Il che vuol dire la garanzia di redditi quasi astronomici nei decenni a venire, ma anche il rischio di minacce militari esterne se ci sarà una crisi petrolifera mondiale.

Il problema è se davvero l’Arabia Saudita potrà continuare a produrre crescenti quantità di greggio. Infatti, secondo alcuni esperti, i suoi giacimenti sarebbero ormai prossimi al declino produttivo. A queste, si aggiungono numerose e gravi incognite esterne che possono tutte ricondursi alla nuova conflittualità globale «post 11 settembre» e alla guerra strisciante per il controllo e il dominio del Medio Oriente iniziata con l’invasione ed occupazione dell’Iraq nel 2003. A partire dagli attentati dell’11 settembre si è scatenata, negli Usa, una durissima campagna anti-saudita, condotta dagli ambienti vicini ai «neo-con», in contrasto con la linea ufficiale del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca.

Secondo i «neo con», l’Arabia Saudita – e, forse, la stessa famiglia reale – sarebbe la principale fonte dell’estremismo islamico globale e del terrorismo anti-occidentale. Ma la propaganda contro l’Arabia Saudita è molte volte in disaccordo nell’identificare chi sono, a Riad, i nemici e gli amici dell’Occidente e, in particolare, degli Usa. D’altra parte, lo stesso Abdallah, al quale si riconosce ora un orientamento filo-americano, ha dovuto allentare non poco i legami con gli Usa per evitare gravi ripercussioni interne, perché è proprio a causa della stretta alleanza con gli Stati Uniti che al Qaida e gli estremisti islamici hanno dichiarato guerra ai Saud.

Bisogna vedere se l’assenza del presidente americano George W. Bush ai funerali di Fahd (che pure fu fortemente filo-americano) significa forse che è in corso, a Washington, un ridimensionamento dei legami tra Usa e Arabia Saudita come da tempo chiedono i «neo con». Alcuni di essi, tra cui Max Singer, uno studioso del celebre Hudson Institute (e della Bar-Ilan University di Gerusalemme), hanno proposto, negli anni scorsi, di invadere l’Arabia Saudita, smembrarla in due o più stati e occupare militarmente i suoi giacimenti di petrolio.

Fonte - Il Corriere del Ticino per Wall Street Italia.com

 

 

 

 

RE FAHD, L' AUTOCRATE FILO-AMERICANO

2 Agosto 2005   12:52   - Roma

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Un uomo di contraddizioni pazzesche che guidava un paese dalle pazzesche contraddizioni: il Washington Post concentra in una brillante quanto efficace espressione il ritratto di Fahd ibn Abdluaziz re dell’Arabia saudita, il favorito tra i 37 figli di Abdulaziz ibn Saud, fondatore della dinastia, favorito anche tra i sette figli della sua moglie favorita, Hassa Bind Ahmad Sudeiri che godevano a corte della posizione di maggior rilievo. Gran bevitore di scotch e mangiatore di caviale nei night club del Libano e della Costa Azzurra, mentre veniva istruito fin da giovanissimo all’arte del comando.

Ammiratore dell’America dal momento in cui nel 1945 si recò a San Francisco per firmare la carta dell’Onu fino a quando nel 1991 concedette le basi per la guerra del Golfo contro Saddam Hussein. Modernizzatore da quando nel 1975, come principe della corona (quindi erede designato) decise di investire i petrodollari in autostrade, aeroporti, grandi alberghi e alloggi per i pellegrini (favorendo la crescita di una ricca classe capitalista, compresa la famiglia di Osama bin Laden). E nello stesso tempo feroce difensore del diritto della famiglia reale di considerare le ricchezze del petrolio come proprio patrimonio. Moderato liberalizzatore perché nel 1992 promulgò la prima legge scritta, eppure accentratore autocratico. Meno devoto del principe Abdullah che gli succede, ha sempre applicato rigidamente i comandamenti del Corano, fino alle esecuzioni in piazza e alla mutilazioni.

Le prigioni sono piene di moderati dissidenti che invocano una monarchia costituzionale. E’ del tutto probabile che ci resteranno anche con il nuovo sovrano, troppo vecchio (sembra che abbia 80 anni, ma la sua età non è nota pubblicamente) e malato per affrontare qualsiasi traumatico cambiamento. Nemmeno il principe Sultan, che avrebbe 77 anni e soffre di numerosi acciacchi, appare l’uomo delle riforme.Anzi la nuova coppia che comanda il più arcaico regime del mondo arabo e musulmano, sembra ancor meno incline al cambiamento del defunto re Fahd. Sarà la convenienza geopolitica a guidare le loro mosse più che le intime convinzioni.

E questa spinge a concedere qualcosa agli americani i quali sono convinti che Abdullah e Sultan abbiano quanto meno chiuso un occhio sul fondamentalismo religioso (e questo è vero per Abdullah) e sul diffondersi del radicalismo (Sultan era il capo dei servizi segreti). Osama bin Laden li odia entrambi e il suo progetto è far saltare la famiglia reale che si proclama «custode delle sacre moschee di Mecca e Medina». Le riforme, dunque, sono da maneggiare con cura nella penisola araba. Tuttavia qui più che mai la realpolitik non è stata una buona consigliera. La mancata liberalizzazione politica, la mancata redistribuzione delle immense risorse petrolifere, la mancata promozione di nuove élite, tutto ciò ha trasformato l’Arabia saudita in una pericolosa polveriera. E in un ostacolo insormontabile per l’ambizioso progetto di democratizzare il Medio Oriente.

 

Fonte - Il Riformista per Wall Street Italia.com

 

 

 

 

+++  Escalation del petrolio  +++  Un anno di rialzi senza sosta  +++

  giovedì  28  settembre  2004   martedì  21  giugno  2005   martedì  30  agosto  2005  
       
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   Non prendete sottogamba il caro-greggio

Ricordate che il prezzo del barile era attorno ai $30 nell’estate del 2003. In termini reali comunque il petrolio non ha ancora raggiunto le vette del secondo choc petrolifero del 1979, che oggi corrisponderebbero a una quotazione tra i $90 e i $120.

18 Agosto 2005   14:47 Lugano  (di *Alfonso Tuor)

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Il caro-petrolio comincia a preoccupare le autorità politiche e monetarie. La Banca centrale europea ha sottolineato nel suo ultimo bollettino mensile che l’impennata del prezzo del greggio costituisce una minaccia per la ripresa dell’economia europea; l’Agenzia internazionale per l’energia (AIE) sostiene che il caro-petrolio taglia la crescita dell’economia mondiale di 0,8 punti; il Kof del Politecnico di Zurigo stima che un aumento del prezzo del petrolio del 10%, che si protrae per due anni, costa all’economia elvetica 0,2 punti di crescita e si potrebbe continuare.

Ebbene, il prezzo del greggio, che veleggia ora al di sopra dei 65 dollari il barile si aggirava attorno ai 45 dollari durante l’estate dell’anno scorso e attorno ai 30 dollari nell’estate del 2003. Quindi, il trend ascendente è di lungo periodo. Infatti il prezzo, che era caduto all’indomani della «crisi asiatica» al di sotto dei 10 dollari il barile, si è poi ripreso e soprattutto a partire dal 2003 ha cominciato a correre al rialzo. La domanda sulla bocca di tutti è se si tratta di un eccesso oppure di un fenomeno di lungo termine.

Fino a poche settimane orsono, i più ritenevano che l’aumento fosse esagerato dalle tensioni geopolitiche e dalla speculazione e che quindi prima poi sarebbe tornato a muoversi in una fascia tra i 30 e i 40 dollari il barile. Negli ultimi mesi si è però infoltita di molto la schiera di coloro che ritengono che il caro-petrolio sia un fenomeno di lungo periodo, con ulteriori aumenti all’orizzonte.

Tra questi vi è, ad esempio, il primo ministro francese Dominique de Villepin, il quale martedì scorso ha dichiarato che il petrolio rimarrà caro anche nei prossimi anni. E vi sono soprattutto i mercati, come sottolinea l’economista di UBS George Magnus. Infatti il prezzo del petrolio a un anno sul mercato dei derivati si è continuato ad aggirare dal 2000 fino al 2004 attorno ai 25 dollari, nonostante l’anno scorso il prezzo alla consegna avesse già raggiunto i 50 dollari.

Quest’anno la differenza tra il prezzo alla consegna e il prezzo tra un anno si è notevolmente ridotto. Ciò vuol dire, come sostiene Magnus, che i mercati ritengono che non si ridurrà di molto rispetto ai livelli attuali, ma anche che per il momento non credono in un’ulteriore forte e duratura ascesa. È impossibile sapere chi ha ragione sul lungo termine. È però possibile azzardare alcune ipotesi sul breve e medio termine.

Il rialzo del greggio è il frutto di una domanda che sta crescendo ad un ritmo nettamente superiore a quello degli anni Novanta. I motivi sono noti: la fame di energia di Cina ed India e di molti altri paesi emergenti e la forte crescita di un’economia «energivora» come quella statunitense. Rispetto a questo aumento della domanda non vi è stato un corrispondente aumento dell’offerta, per cui la capacità di estrazione dei paesi produttori è pressoché completamente utilizzata. Inoltre vi sono stati scarsissimi investimenti negli impianti di raffinazione. Ciò ha per effetto che i prezzi di riferimento delle migliori qualità di greggio, che sono il Brent e il West Texas, sono esplosi ancor più.

Le strozzature dell’offerta non possono certamente essere risolte in breve tempo. Quindi è probabile che il prezzo continui a salire sul medio termine (pur facendo anche ampie correzioni). L’inversione di tendenza potrebbe avvenire grazie ad un calo del consumo. La domanda potrà però diminuire solo se l’economia mondiale rallenterà fortemente. Finora ciò non è avvenuto: in altri termini, finora l’impennata del petrolio non ha prodotto significative conseguenze economiche. Questo fenomeno è sicuramente il frutto della maggiore efficienza energetica dei paesi industrializzati (rispetto agli anni Settanta consumiamo la metà di energia per produrre un’unità di Pil), per cui il rialzo del greggio ha pesato meno sulla crescita economica.

E’ anche dovuto al fatto che l’attuale situazione economica ha fatto sì che l’aumento del prezzo del petrolio agisse come una tassa che decurta il reddito disponibile delle famiglie, senza innescare una spirale al rialzo generale dei prezzi. L’entità e la rapidità del recente movimento al rialzo stanno però mettendo in forse queste certezze. Si cominciano cioé a manifestare tensioni inflazionistiche che moltiplicherebbero gli effetti economici negativi del caro-petrolio. In buona sostanza, si confermerebbe la regola secondo cui l’ascesa del prezzo del petrolio finisce con una recessione che produce poi il declino del suo prezzo.

Insomma, ci stiamo rapidamente avvicinando alla «soglia del dolore». Basti pensare che oggi il prezzo del petrolio è ai massimi in termini nominali, ma che in termini reali non ha ancora raggiunto le vette del secondo choc petrolifero del 1979, che secondo i diversi calcoli corrisponderebbero ad un prezzo odierno tra i 90 e i 120 dollari il barile. Oggi questa soglia appare purtroppo non molto lontana.

*Alfonso Tuor e' il direttore del Corriere del Ticino, il piu' importante quotidiano svizzero in lingua italiana. 

Fonte - Il Corriere del Ticino per Wall Street Italia.com

 

 

 

 

+++  Cresce ancora il fabbisogno energetico di Cina e India +++  Petrolio tocca i 67$ a barile  +++

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PETROLIO: INDIA, PIU' IMPORTAZIONI

(ANSA) - ROMA, 11 ago 2005

Nel periodo aprile-giugno sono ammontate a 9.598 mln dlr le importazioni di greggio in India nel periodo aprile-giugno 2005 sono ammontate a 9.598 milioni di dollari. L'incremento e' stato del 33,16% sullo stesso periodo del 2004, secondo l'ultimo rapporto della Camera di Commercio Italiana in India. A spingere l'import di greggio e' il forte aumento della produzione industriale. Le esportazioni tra aprile e giugno sono cresciute del 19,54 % rispetto a un anno fa, e le importazioni hanno fatto registrare un +38,02 %.

Fonte - ANSA

 

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CINA: IMPORT PETROLIO LUGLIO +15%

(ANSA) - ROMA, 11 AGO 2005

Incremento dovuto all'espansione economica del Paese le importazioni di petrolio in Cina sono aumentate in luglio del 15% rispetto al mese precedente. L'incremento dell'import petrolifero e' spinto dalla crescita della domanda energetica, causata dall'espansione economica. Il consumo energetico in Cina, il secondo maggior utilizzatore di petrolio al mondo, dopo gli Stati Uniti, ha contribuito alla crescita record dei prezzi energetici.

Fonte - ANSA

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PETROLIO: A NY TOCCA 67 DLR A BARILE

(ANSA) - ROMA, 12 AGO 2005

Rialzo per timori legati a chiusure impianti raffinazione nuovo picco del petrolio che a New York ha toccato, sia pure brevemente i 67 dollari al barile. A provocare il rialzo, per la quinta seduta consecutiva, i timori che la capacita' di raffinazione non riesca a far fronte alla domanda di carburanti, dopo le numerose chiusure di impianti di raffinazione negli Usa. 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

   Il caro-greggio ci fa un baffo

Un danno c’è, ma è relativo. Il petrolio non è più al centro delle economie, che continuano a crescere da sole. Se il barile dovesse salire stabilmente oltre i $65, non provochera' crisi mondiali. Prezzo calmierato da nuove offerte energetiche.

13 Agosto 2005   18:39 - Milano

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Secondo la Banca centrale europea, l’eurozona sta crescendo in maniera graduale, ma durevole. Il basso livello di fiducia dei consumatori e il rincaro del petrolio comportano un rischio per la crescita, ma non c’è un problema d’inflazione. Secondo la Bce, l’alto costo del greggio (ieri ha toccato i 67 dollari) non genera inflazione ma preoccupa. Perché, trasferendosi in un elevato prezzo dei prodotti petroliferi, riduce la domanda per gli altri beni, frenando lo stimolo alla crescita. Però, dato che il livello generale dei prezzi non desta timori, la Bce non aumenterà il tasso oltre il 2 per cento. Del resto la bilancia dei pagamenti dell’eurozona è attiva nonostante il caro-barile.

A queste considerazioni si sommano quelle di Greenspan. La crescita negli Usa rimane robusta, con bassi pericoli di inflazione, nonostante il caro-petrolio, dato l’aumento della produttività. Potranno esservi altri aumenti del tasso della Fed dall’attuale 3,5 per evitare il surriscaldamento dell’economia. E ciò aiuterà l’afflusso di capitali, compensando il deficit commerciale. Insomma, l’impennata del greggio non sembra incidere molto sulle prospettive economiche dell’Europa e degli Usa. Dalla Cina vengono analoghi segnali. La crescita del pil non è minacciata dal caro petrolio: la bilancia commerciale, nei primi sette mesi, ha un surplus di 50 miliardi di dollari, dato dall’aumento del 28 per cento dell’export contro il 13 dell’import. Tenendo conto che il Giappone non è più in recessione, è facile ipotizzare che l’economia mondiale continuerà a crescere nonostante il barile oltre 60 dollari. Nell’economia dell’ottocento, quando il prezzo del grano rincarava per effetto di cattivi raccolti, vi erano grandi contraccolpi e recessioni.

Nel Novecento, con la modifica del prodotto nazionale, il ruolo primario del grano fu via via rimpiazzato dal petrolio. Così negli anni Settanta, quando l’Opec portò il barile all’equivalente di 80 dollari attuali, generò la crisi. Ma la composizione del pil è di nuovo mutata e il petrolio non è più il “grano dell’economia”. Il barile potrà salire oltre i 65 dollari senza suscitare crisi mondiali. Il suo prezzo sarà calmierato solo da nuove offerte energetiche.  

Fonte -  Il Foglio

 

 

 

 

 

 

 

Katrina è catastrofico, petrolio a 70$ al barile

 

Futures: +$4.67. Chevron, Exxon e BP hanno chiuso gli impianti nel Golfo. Anche Andrew, che provoco' decine di morti, era "categoria 5". I danni potrebbero toccare i $30 miliardi. Borsa: shortare gli assicurativi.

 

28 Agosto 2005  20:49  -  New York (ANSA)

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Il catastrofico uragano Katrina, un mostro di oltre 500 chilometri di larghezza, ha gia' fatto schizzare i prezzi del petrolio ben sopra i $70 al barile, dopo la chiusura di tutti gli impianti della zona del Golfo del Messico dove "gira" il 25%-30% della produzione americana.

 

I futures sul greggio quotati al New York Mercantile Exchange (NYMEX) sono saliti ieri sera fino a $70.80 al barile, in rialzo di $4.67 al barile.

 

Katrina, che e' passato tre giorni fa su Miami con la classificazione "categoria 1" provocando 9 vittime, si e' ora rafforzato al punto da essere diventato un "categoria 5": secondo il National Hurricane Center Usa e' uno dei piu' grandi uragani mai apparsi sul Nord America, il quarto piu' catastrofico in assoluto nell'area dell'Atlantico, con una pressione bassissima di 902 millibar.

Gli ultimi due uragani di "categoria 5" che si sono abbattuti sugli Stati Uniti sono stati Camille, che nel 1969 sfiorò New Orleans e fece 400 morti tra l'Alabama e la Louisiana, e Andrew, che nel 1992 si abbattè su Homestead, a sud di Miami, provocando decine di morti e miliardi di dollari di danni.

Gli abitanti di New Orleans sono in fuga dalla città, migliaia di auto secondo le Tv locali sono bloccate in colonna sulla I-95, l'autostrada che va verso Ovest, mentre Katrina si avvicina velocemente dal Golfo del Messico con i suoi venti di poco meno di 300 chilometri orari (oltre 175 miglia l'ora) promettendo una scia di morte e distruzione. Il sindaco di New Orleans, Ray Nagin, ha disposto l'evacuazione obbligatoria di tutti i 485.000 abitanti, anche perche' la citta' si trova letteralmente sotto il livello del mare.

Per via di Katrina "la produzione offshore per almeno 1 milione di barili al giorno e' stata fermata, mentre adesso sono minacciate le raffinerie e le operazioni di importazione del greggio intorno alla zona di New Orleans", ha detto alla Associated Press Peter Beutel, un analista petrolifero di New Canaan, in Connecticut. Per questo - avevano predetto alcuni analisti - il petrolio potrebbe gia' passare la soglia psicologica e il nuovo record assoluto dei $70 al barile gia' lunedi', il giorno in cui Katrina tocchera' la costa (il prezzo del greggio al Nymex di New York e' sulla Prima Pagina di Wall Street Italia).

Circa il 25% dell'intera produzione di petrolio e gas degli Stati Uniti ha sede nel Golfo del Messico. Le aziende del settore energetico hanno cominciato a chiudere gli impianti e a mandare a casa gli operai gia' sabato. La Chevron ha evacuato tutte le sue fabbriche sulla costa del Golfo, mentre Exxon, BP e Royal Dutch terminerano la chiusura e l'evacuazione entro domenica sera. La Louisiana Offshore Oil Port ha cancellato tutte le operazioni di consegna del greggio.

Infine la Mississippi Gaming Commission ha ordinato la chiusura di tutti i casino' della Costa del Golfo del Messico.

Secondo una stima dell'agenzia di stampa Bloomberg Katrina potrebbe costare fino a $30 miliardi, il che ne farebbe il disastro naturale piu' costoso della storia americana. Eqecat Inc., che utilizza modelli computerizzati per stimare i danni, ritiene che ci saranno da un minimo di $15 miliardi a un massimo di $30 miliardi in richieste di risarcimento alle societa' di assicurazione locali; le stime piu' alte sono legate al modello che vede la citta' di New Orleans direttamente colpita dall'uragano.

Alcuni operatori di Wall Street sostengono apertamente che Katrina avra' comunque effetti devastanti e provochera' una forte caduta dei titoli assicurativi quotati sui listini Usa.

 

Fonte -  ANSA

 

GR1 RAI - 25 AGO ore 22:00     MP3 (75 KB)
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GR1 RAI - 30 AGO ore 22:00     MP3 (66 KB)

 

 

 

 

martedì  9  maggio  2002   venerdì  14  febbraio  2003   mercoledì  4  agosto  2004
   
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   Tassi USA al 5% se il barile non frena

 

Parla Bill Ford (ex "numero 1" della Federal Reserve di Atlanta): «I consumi tengono. Ma per la stabilità dei prezzi il caro-greggio è una minaccia seria. Come evitare gli errori degli anni ’70? Bisogna alzare senza timori il costo del denaro».

 

21 Agosto 2005  17:21  -  Milano  (di Vincenzo Sciarretta)

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«Se avessi ancora una poltrona alla Banca Centrale - spiega senza giri di parole Bill Ford, ex presidente della Federal Reserve di Atlanta - suggerirei ai miei colleghi di non esitare: i tassi d’interesse devono salire. Bisogna evitare che il rincaro dei prodotti petroliferi si diffonda come un virus attraverso l’intero corpo economico nazionale, innescando una spirale inflativa. Occorre tenere alta la guardia. So per certo che diversi membri della Fed sono seriamente preoccupati a causa della bolletta energetica». 

 

Mister Ford, per fortuna l’aumento degli oli combustibili non ha scoraggiato il consumatore americano, che al contrario si dimostra la trave portante di sempre. Lei come spiega la tenuta dei consumi?

Me la spiego notando che il prezzo delle benzine è in verità meno opprimente di quanto sembri.

In che senso?

Facciamo un confronto con gli anni ’70. Due sono gli elementi cruciali. Primo, nel 1973 in media un’automobile percorreva 13 miglia con un gallone di benzina. Oggi, includendo i grossi Suv, di miglia ne percorre 20. Un bel risparmio, no?

E il secondo punto?

Aggiungiamo che i redditi sono cresciuti più rapidamente del carovita. Sicché, oggi il tipico consumatore americano deve lavorare meno della metà di allora per acquistare un gallone di carburante. Insomma, quando si fa il pieno, certo che ci scoccia pagare di più, ma alla fine chi se ne importa. È ancora una cosa ragionevole.

Nelle sue decisioni di politica monetaria, la Federal Reserve fa riferimento all’inflazione tendenziale, cioè esclude proprio l’energia e gli alimentari. La giustificazione addotta è che si tratta di componenti volatili. Altri la ritengono però una scelta superata in quanto energia e alimentari sono orientati stabilmente al rialzo. Sono la fonte dei rischi. E non si può far finta di nulla. Qual è la sua opinione?

Le potrei rispondere con una battuta: Alan Greenspan trascura il costo della benzina perché ha l’autista e a queste faccende ci pensa lui. Scherzi a parte, credo che da adesso in avanti si dovrà guardare all’inflazione complessiva e non più a quella tendenziale. Forse già nella riunione di settembre il comitato direttivo introdurrà qualche riferimento in tal senso.

I grafici di lungo termine mostrano una marcata correlazione storica tra andamento delle materie prime e inflazione. Perciò, diversi esperti si avventurano in previsioni fosche. Profetizzano un’ascesa eccessiva dei prezzi, guidata dalle risorse di base. È plausibile?

È una minaccia realistica, chi può negarlo? La terapia consiste nello stringere le briglie della politica monetaria ed evitare la tracimazione del fenomeno. Insomma, occorre evitare gli errori degli anni ’70.

Nello specifico?

Allora le quotazioni del greggio passarono da 3 a 30 dollari al barile. Arthur Burn, che era al timone della Federal Reserve, si mise a stampare moneta su larga scala per controbilanciare gli effetti negativi sulla congiuntura. E fu il disastro.

Cioè partì la spirale inflativa?

Esatto. E poi la recessione. Nei primi anni ’80, quando fui nominato presidente della Fed di Atlanta, gli sforzi della banca centrale si indirizzarono tutti al contenimento del carovita. Una specie di emergenza nazionale.

In poco più di un anno, il tasso d’interesse controllato dalla Fed è salito dall’1 al 3,5 per cento. Si dice tuttavia che debba salire ancora. Secondo lei, di quanti punti base?

Da qui a fine anno ci sono altre tre riunioni a Washington presiedute da Alan Greenspan. È facile ipotizzare 3 strette da 25 punti base. Quindi il saggio-base approderà al 4,25 per cento.

E per quanto riguarda il 2006?

Beh, tutto dipende dagli avvenimenti, è ovvio. Ma se la produzione si mantiene tonica, il costo del denaro dovrebbe toccare almeno il 5 per cento entro la prossima Pasqua.

 

 

GR1 RAI - 18 AGO ore 22:00     MP3 (83 KB)

Fonte - Bloomberg - Borsa & Finanza

 

 

 

 

 

 

 

  +++  La Federal Reserve alza come previsto il costo del denaro portando i tassi a breve al 3,5%  +++  
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Previsto rialzo aumenta divario con eurozona a 1,5 punti.                 

La Federal Reserve ha deciso di alzare il costo del denaro di un altro quarto di punto, al livello del 3,5%Viene confermata cosi' la politica di graduale rialzo del costo del denaro fin qui seguita gia' annunciata dalla stessa Fed. Con la decisione odierna e' salito a 1,5 punti percentuali il divario fra tassi Usa e tassi Bce. Questi ultimi sono fermi al 2,0% che a sua volta rappresenta il livello piu' basso dalla fine della Seconda Guerra.

(ANSA) - Roma, 9 ago 2005

 

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   Fazio vale lo 0,00000001% di Alan Greenspan

 

La disinvoltura greenspaniana ha alimentato correnti di critiche da parte di fior di economisti, non solo liberal democratici e clintoniani, sostenitori di una gestione più rigorosa. Ma pensando all’Italia "stile Alvito", viene da piangere.

 

27 Agosto 2005  16:09  -  Roma  (Il Riformista)

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L’Italia piegata in due sotto i colpi martellanti che la stampa internazionale arreca alla Banca d'Italia e alla credibilità dell’intero sistema banco-industriale italiano. La crema dell’America - cento sole persone in tutto - che si stringe ieri nel resort sulle montagne del Wyoming, in cui la Fed di Kansas City ogni fine agosto chiama a raccolta intorno al guru dei mercati da ben 18 anni, quell’Alan Greenspan che da presidente della Fed ha rivoluzionato il mestiere stesso di banchiere, riuscendo come nessun altri mai a domare le forze della recessione a costo anche di un uso spregiudicato della politica monetaria “lasca”, in maniera che i prezzi degli asset mobiliari e immobiliari riuscissero a pareggiare il minor potere d’acquisto da salari nei momenti di bassa.

 

E’ grazie a lui e a metodi tanto disinvolti che l’America del post 11 settembre ha saputo evitare quella che avrebbe potuto essere una frenata economica pericolosissima. l’Amministrazione Bush gli deve tutto a cominciare dalla rielezione, avvenuta sulle ali dell’economia prima ancora che dei valori e non certo per la lotta al terrorismo e la guerra in Iraq. Ieri, per il rivoluzionario banchiere centrale che dal monetarismo spinto di Volcker è riuscito a traghettare all’economia immateriale, è stata la sua ultima volta a Jackson Hole. L’anno prossimo, sarà il suo sostituto a parlare ai mercato mondiali dall’alto di una delle poche cime che ancora ospitano l’aquila calva che campeggia nel simbolo degli States. E infatti la Fed di Kansas City non ha avuto dubbi. Ha intitolato l’incontro a lui: «The Greenspan Era: Lesson for The Future». Viene da piangere, pensando all’Italia.

Intendiamoci. Negli ultimi anni la disinvoltura greenspaniana - e c’è anche chi è più disinvolto di lui, come quel Ben Bernanke cresciuto sotto al sua ala, e che la Casa Bianca vorrebbe fargli succedere - ha alimentato correnti crescenti di critiche da parte di fior di economisti, non solo liberal democratici e clintoniani sostenitori di una gestione più rigorosa dei bilanci. Ieri i giornali americani erano pieni di ammonimenti critici, perché sono in molti a temere che non appena il suo mandato scadrà la bolla immobiliare scoppi lasciando tutti corti nei portafogli e sprovvisti di coperture patrimoniali. Tra i più tosti Alan Blinder, l’ex vicepresidente della Fed protagonista di scontri all’arma bianca col “guru”.

Ma in ogni caso, si vedrà. Il bilancio di Greenspan non ha precedenti, in termini di successo. E ieri, comunque, non è tirato indietro dagli ammonimenti di fine mandato. Lo strisciante protezionismo commerciale e i deficit gemelli (cioè quello federale e quello degli interscambi commerciali) degli Usa - ha detto - costituiscono un rischio di lungo termine per la vitalità dell’economia americana. «La nostra riluttanza a un maggiore rigore fiscale», ha continuato, «minaccia quello che potrebbe essere il nostro asset di maggior valore: l’accresciuta flessibilità della nostra economia che si è tradotta in una resistenza straordinaria agli shock».

Mantenere l’attuale flessibilità economica, ha aggiunto Greenspan, è particolarmente importante se si vuole affrontare con efficacia il problema gli attuali squilibri. Primo fra tutti il disavanzo commerciale che nel 2004 è salito alla cifra record di 668 miliardi di dollari e il boom edilizio. Greenspan ha anche espresso preoccupazione per quel che succederà con la fine dell’attuale lungo periodo di bassi tassi di interesse e dunque di bassi rischi per gli investitori. «La storia non è stata in genere tenera alla fine di periodi prolungati di basso rischio».

 

Poi Greenspan è tornato a giudicare più in grande, la sua strategia. «Mi sono sempre preparato a una vasta gamma di possibili scenari economici, dai più ovvi a quelli più improbabili. Nel 2003 il timore che si potesse instaurare una spirale deflazionistica, caratterizzata cioè da un rapido calo dei prezzi che avrebbe severamente danneggiato l’economia, aveva spinto la Fed a ridurre i tassi al valore più basso degli ultimi quarantacinque anni a quota 1 per cento. Date le conseguenze potenzialmente drastiche della deflazione - ha detto Greenspan - i benefici della politica monetaria scelta, per quanto inusuale, sono stati considerati superiori ai rischi che questa comportava ».

E’ qui il rischio della bolla del mercato immobiliare. Grazie ai bassissimi tassi di interesse sui mutui immobiliari, infatti, il mercato del mattone ha vissuto un triennio di crescita eccezionale con drastici aumenti dei prezzi delle abitazioni. La banca centrale fino a ora ha ammesso di intravedere segnali di “schiuma” in numerosi mercati locali, ma ha sempre dichiarato di non vedere un serio problema a livello nazionale.

In sostanza secondo alcuni Greenspan avrebbe impedito nel 2001 una recessione ancora più grave abbassando aggressivamente il costo del denaro. Questa strategia tuttavia avrebbe spostato il problema solo in là nel tempo e le conseguenze potrebbero essere pagate da chi prenderà le redini della Federal Reserve dopo di lui. I successori giudicheranno. Ma l’America intanto, che continua a crescere coi portafogli gonfi, ringrazia. Proprio un’altra musica, rispetto a Bankitalia.

 

 

Fonte - Il Riformista per Wall Street Italia.com

 

 

 

 

 

 

 

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Fed: Simposio A Jackson Hole, Si Cerca Successore Greenspan

 

(ANSA) - 26 AGO  2005, 16,02

 

Argomento più significativo e di attualità era difficile da trovare a cinque mesi dal ritiro di Alan Greenspan dalla presidenza della Federal Reserve: la Fed di Kansas City ha organizzato il 29esimo simposio annuale su 'Era Greenspan: lezioni per il futuro', cercando di tracciare il profilo della prossima guida dell'istituto centrale Usa

 

Fonte - ANSA

 

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Greenspan: "Protezionismo e deficit minano la reazione agli shock"

(ANSA) - 26 Agosto 2005, 16:38  

Il protezionismo e il deficit rischiano di compromettere la risposta dell'economia statunitense a eventuali shock. Se ne è detto convinto Alan Greenspan nel simposio in svolgimento alla Jackson Hole Fed in Wyoming. Il presidente della Fed ha spiegato che la flessibilità dell'economia è il mezzo migliore per difendere l'economia americana dagli shock, ma che attualmente la stessa flessibilità è minacciata dal protezionismo e dal deficit.

 

Fonte - ANSA

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Greenspan: boom immobiliare squilibrio dell'economia

(ANSA) - 26 Agosto 2005, 16:42  

 Il boom del settore immobiliare rappresenta uno squilibrio dell'economia e potrebbe rivelarsi un elemento cattivo per la stessa. Questo in sintesi il contenuto di alcuni stralci del discorso che il presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, sta tenendo Wyoming. Greenspan, nelle sue "Reflections on Central Banking" ha messo in guardia circa i rischi attualmente presenti nell'immobiliare Us, chiarendo che i valori delle attività diminuirebbero repentinamente qualora gli investitori iniziassero a domandare tassi d'interesse maggiori.

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

   Greenspan donna

 

Il settimanale Barron's arriva alla conclusione che ci sarebbe un gruppo di candidate degne di grande attenzione per la carica di Presidente della Federal Reserve nel gennaio 2006. Intanto la task force della Casa Bianca al lavoro sulla questione...

 

22 Agosto 2005  20:40  -  New York (ANSA)

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Svolta alla Federal Reserve: il successore dell'attuale presidente, Alan Greenspan, potrebbe essere una donna. Lo ipotizza Barron's, il prestigioso periodico statunitense, notando nel numero in edicola che finora si è parlato solo di "candidati uomini". La ragione, secondo le fonti vicine all'Amministrazione Bush consultate dal settimanale, sono solo di tipo psicologico, per "evitare di spaventare i mercatifinanziari", che tradizionalmente - e Wall Street rientra sotto questo profilo a pieno titolo - non gradiscono le sorprese.

Così in un lungo articolo intitolato 'Madame Chairman', ('Signora Presidente'), Barron's prova a sfogliare la margherita delle pretendenti arrivando alla conclusione che ci sarebbe un gruppo di candidate degne di grande attenzione, con tanto di curriculum ed esperienza accademica o professionale, maturata a Washington o a Wall Street. Tutti nomi di prestigio: come Janet Yellen, presidente della Fed di San Francisco ed ex consigliere economico di Bill Clinton, Alice Rivlin, attualmente al Brooking Institute ed ex vicepresidente dalla Banca centrale Usa sempre su indicazione di Clinton, e di Abby Joseph Cohen, ascoltato guru delle strategie d'investimento di Goldman Sachs con un passato al servizio della Fed.

E poi, Susan Schmidt Bies, governatore della Fed dal dicembre 2001 su indicazione di Bush, Susan Phillips, professore presso la George Washington University ed ex governatore, e Kathleen Cooper, sottosegretario per gli Affari economici al Dipartimento del Commercio.

La task force della Casa Bianca al lavoro sulla questione Fed é guidata dal vicepresidente Dick Cheney e vede il direttore del Consiglio nazionale economico, Allan Hubbard, e il direttore del Tesoro, Joshua Bolten. Il mandato di Greenspan, salvo proroghe, scadrà a gennaio 2006, ma i nomi più accreditati per la successione sono almeno quattro. Si tratta, risultato di una figura bipartisan, di Lawrence B. Lindsey, già coordinatore del Consiglio economico nazionale di Washington nel primo mandato di George W. Bush (ma anche di Bush padre), governatore della Fed nel corso della presidenza Clinton e uomo di fiducia di Reagan durante i primi anni '80.

La lista dei nomi vede poi in gara economisti di rilievo: Martin Feldstein della Harvard University, Glenn Hubbard della Columbia University e Ben Bernanke, presidente dei consiglieri economici della Casa Bianca, carica affidatagli da Bush dopo essersi dimesso da governatore dell'istituto centrale. Quest'ultimo, nonostante le smentite, sembra essere il nome più gettonato, almeno dai media.

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

 

 

BORSA: NY SCENDE CON ALLARME GREENSPAN E INDICE FIDUCIA/ANSA

RISCHI DA RIALZI IMMOBILI E AZIONI.

 

26 Agosto 2005  23:07  NEW YORK  (ANSA)

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Wall Street cede terreno e accusa il crollo della fiducia dei consumatori stimata dall'Università del Michigan e l'allarme del presidente della Federal Reserve,Alan Greenspan, che hanno proiettato timori sulle prospettive dell'economia Usa. Il Dow Jones scivola dello 0,51% a 10.397,29 punti, il Nasdaq si ferma a quota 2.120,77 (-0,64%), mentre lo Standard & Poor's 500 perde lo 0,60% a 1.205,10 punti. Greenspan, al convegno dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming, ha osservato come sia sempre all'attenzione della Fed l'andamento al rialzo dei prezzi degli asset, quali titoli azionari e beni immobiliari, in un momento in cui i bassi tassi d'interesse incoraggiano a correre più rischi. Il banchiere ha ammonito anche gli investitori a "non dare per scontata" la stabilità economica attuale, visto che la storia dimostra come "non sia stato l'ideale risvegliarsi da protratti periodi di premi a basso rischio". Le parole del numero uno della banca centrale Usa hanno depresso ulteriormente gli indici già deboli per il tonfo a quota 89,1 dell'indice dell'Università del Michigan di agosto rispetto alla prima stima di 92,5 e contro 96,5 di luglio. A pesare sul sentimento dei consumatori, osservano gli esperti, è stata soprattutto la folle corsa del greggio che continua a segnare record.

 

Fonte - ANSA