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INDICE ARTICOLI

 

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Borse & Mercati

Guru e gufi: quando mai ci azzeccano ?

Macroeconomia - Tassi

Nel 2007 i tassi scenderanno

Macroeconomia - Valute

Ecco perchè il dollaro non crollerà

Borse & Mercati

Parola d'ordine: ancora azioni

Borse & Mercati

A tutto toro nel 2007 ? Siamo sicuri ?

Borse & Mercati - Focus fondi

L'anno degli azionari Paese

 

+++  Palestina sull'orlo della guerra civile   +++   La situazione in Israele si fa incandescente   +++   Bush chiede più soldati in Iraq   +++   Saddam Hussein condannato a morte   +++   L'ex Rais di Bagdad impiccato all'alba   +++

Sabato  16  dicembre  2006   Mercoledì  27  dicembre  2006   Domenica  31  dicembre  2006
   
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   Guru e gufi: quando mai ci azzeccano ?

Dicembre 2006 New York - di M. T. Cometto

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Il 2006 è stato un anno pieno di sorprese a Wall Street. La prima, è che pochissimi guru hanno azzeccato le previsioni: 12 mesi fa la grande maggioranza era pessimista e vedeva uno scenario a tinte fosche fra possibile recessione, frenata dei profitti e svalutazione del dollaro. Così non è stato, l'economia e i consumatori americani si sono mostrati più forti del temuto, la «bolla» dei prezzi immobiliari non è scoppiata, i bilanci aziendali non sono mai stati in così buona salute. Così a metà dicembre l'indice Dow Jones, l’S&P500 e il Nasdaq hanno performance del 15, 13 e 12%, che fanno dimenticare lo spavento di luglio quando il petrolio toccò i 78 dollari al barile e il mercato azionario Usa scivolò bruscamente. E il Dow Jones resta anche stabilmente sopra il record storico del 2000.

Continuerà la corsa del Toro anche nel 2007? Questa volta gli strategist vedono rosa con un rialzo dell'8% (media delle stime raccolte da Barron's). Fuori dal coro, c'è ancora Abhijit Chakrabortti di JPMorgan, che resta Orso anticipando una crescita zero delle azioni nei prossimi 12 mesi. Fra i Tori, spicca Henry McVey di Morgan Stanley, uno dei pochi ad essere andato vicino agli attuali livelli con il suo target 2006 per lo S&P500 a 1.400 punti. Ecco le loro analisi e raccomandazioni.

L’ottimista Henry McVey, Morgan Stanley. «No, il Toro suonerà la quinta carica»
Ancora Toro. Henry McVey, lo strategist di Morgan Stanley scommette che il 2007 sarà il quinto anno consecutivo, con un rialzo di circa il 9% a quota 1.525 dell'S&P500. Passerà quindi alla storia come uno dei periodi positivi più lunghi della Borsa americana: solo altre tre volte dal 1900 il Toro è durato cinque anni (dal 1924 al '28, dall'82 all'89, dal '95 al '99).
Secondo McVey ci sono diversi motivi per essere ottimisti e investire il 70% del portafoglio in azioni, lasciando in obbligazioni solo il 25% e in cash il 5%. Innanzitutto agli attuali livelli le azioni costano poco e rendono di più dei bond. In secondo luogo la crescita dei profitti nel 2007 verrà da settori diversi e il nuovo mix favorirà rapporti prezzo/utili più alti: quest'anno il 79% dell’aumento dei profitti è venuto da settori con un basso rapporto prezzo utili come energia, finanza, telecom, utilities e industriali.
L'anno prossimo il testimone dovrebbe passare a settori che tendono ad avere quotazioni superiori alla media del mercato, come la salute, la tecnologia e i beni di largo consumo. Ma il comparto dell'energia dovrebbe continuare a correre, anche perché nel 2007 si verificherà probabilmente una fiammata dei prezzi petroliferi, per le tensioni con l'Iran.
McVey indica tre temi di investimento vincenti nel 2007. Il primo è puntare su titoli per i quali il mercato ha basse aspettative: la holding del tabacco e dell'alimentare Altria, il fornitore texano di elettricità Txu , il gruppo finanziario-assicurativo Prudential.
Il secondo tema è comprare società con alto potenziale di crescita degli utili e quindi delle quotazioni, come American tower e Sba communications (possiedono e gestiscono torri-ripetitori per la telefonia senza fili); la compagnia mineraria Arch coal; la casa d'aste online eBay; la società di consulenza strategica nell’information technology Cognizant technology solutions ; e Cameron international (sistemi per il controllo della pressione di petrolio e gas durante l'estrazione e la trasmissione). Infine un altro gruppo di titoli suggeriti da McVey ha il potenziale per migliorare il suo ritorno sul capitale: il gruppo dell'aerospazio-difesa General dynamics , il broker finanziario Merrill Lynch , il produttore e distributore di latte e latticini Dean foods , la società di servizi e attrezzature per l'estrazione e la produzione di petrolio e gas Weatherfords international.
L'unica cosa su cui McVey è d'accordo con Chakrabortti di JPMorgan, è che la banca centrale Usa non taglierà i tassi più a lungo di quanto si aspetta oggi il mercato, ma non perché l'economia e i profitti crollano, bensì perché l'inflazione rimane bassa. Se invece ci fosse una recessione, e la Fed fosse costretta ad abbassare il costo del denaro al 4,25%, l’S&P500 potrebbe scendere a 1.275 punti, uno scenario Orso probabile solo al 20% per McVey. All'opposto il 30% di possibilità ce l'ha uno scenario di solida crescita economica che spinge la Fed a un altro rincaro dei tassi: l’S&P500 salirebbe a 1.625. Le vere sorprese, teme lo strategist, potranno venire da choc estranei a Wall Street.

Il pessimista Abhijit Chakrabortti, JPMorgan. «Wall Street soffrirà»
Aveva azzeccato le previsioni per il 2005, ma quest’anno ha perso completamente il rialzo di Wall Street. Colpa della sua preoccupazione per i possibili, sinistri significati della curva invertita dei rendimenti dei titoli di Stato del Tesoro americano, il fenomeno per cui i rendimenti dei titoli decennali sono inferiori di quelli a due anni.
Finora hanno avuto ragione gli ottimisti e non Abhijit Chakrabortti , lo stratega di JPMorgan , che anche per il 2007 vede nero a Wall Street. Non pensa che l'economia americana cadrà in recessione, ma crede che rallenterà a un tasso del 2,7%, molto inferiore a quello degli ultimi quattro anni.
Nello stesso tempo, l'inflazione non scenderà a livelli accettabili da parte della Federal Reserve e per questo la banca centrale Usa non taglierà i tassi. Anzi, forse li alzerà. Poiché le quotazioni azionarie oggi scontano già il ribasso del costo del denaro, secondo Chakrabortti quando questa aspettativa non verrà accontentata il mercato reagirà con un veloce e significativo scivolone. Anche la crescita dei profitti aziendali deluderà le attese: sarà in media solo del 3% contro le stime del 9%. Inoltre lo strategist di JPMorgan crede che il rapporto prezzo/utili della media del mercato rimarrà al livello attuale e che il dollaro continuerà a indebolirsi.
Se queste convinzioni si riveleranno esatte, l'indice S&P500 si troverà a fine 2007 attorno a quota 1.440, con una performance pari a zero, ma potrebbe anche chiudere con un calo del 7-8% a 1.290 punti, se l'economia e i profitti andranno peggio e la Fed sarà costretta a tagliare i tassi. Al contrario l'indice potrebbe salire del 9% a 1.530 se si avverasse lo scenario più roseo, con l'economia che cresce al 3%, i profitti al 9% e la Fed che non cambia politica monetaria.
Per minimizzare i rischi e massimizzare i guadagni in Borsa, Chakrabortti raccomanda le società che distribuiscono buoni dividendi: questi titoli sono tipici dei settori telecom, finanza e utilities; At&T e Bank of America sono nella lista dei suoi preferiti. Secondo tema chiave: puntare su società i cui profitti deluderanno meno gli operatori, quindi titoli nei settori dove le aspettative sono già moderate (telecom, energia, finanza), non ciclici, legati a business con maggior potere di controllo sui prezzi (beni di largo consumo, alimentare e bevande, tabacco, telecom), esposti alla crescita dei Paesi emergenti (aerospazio e difesa, servizi e infrastrutture per l'energia e per la salute) e alle esportazioni, soprattutto verso l'Eurozona. Fra le azioni che corrispondono a questo identikit: Altria, Colgate, PepsiCo, McDonald’s, Johnson&Johnson.
In un'ottica difensiva, meglio le azioni a larga capitalizzazione di quelle piccolo-medie. Secondo Chakrabortti il dollaro continuerà a indebolirsi, fra l'altro perché i tassi dei T-bond saranno sempre meno competitivi verso quelli dei titoli in euro, con la Bce che deve continuare ad alzare il costo del denaro. Una protezione contro i rischi valutari è investire in oro con titoli di società minerarie come Newmont e Agnico mines.
 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

La Bce alza i tassi
 

07 Dicembre 2006 - ANSA
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Il consiglio direttivo della Banca centrale europea ha rialzato i tassi di interesse di un quarto di punto: dal 3,25% al 3,50%. Ora il costo del denaro nell’Eurozona torna ai livelli di marzo 2000 con il tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginale che sale al 4,5% e quello sui depositi overnight al 2,5%. L’ultimo intervento dell’Eurotower risale al 5 ottobre scorso e vide un analogo rialzo di 0,25%, mentre vi fu una pausa nel meeting del 2 novembre scorso quando il board della Bce lasciò il costo del denaro inalterato. Con la decisione, presa per evitare un surriscaldamento dei prezzi di Eurolandia, i mutui e i prestiti sono diventati quindi più cari. A raffreddarsi ulteriormente dovrebbe quindi essere il mattone proprio perché tassi più alti si traducono in mutui più onerosi. Numeri alla mano, secondo l’Adusbef, con l’aumento dei tassi al 3,5%, un mutuo di 100.000 euro a 10 anni al 5% comporta una rata mensile di 1.060,66 euro o semestrale di 6.414,71. Gli italiani che - spiega l’associazione - hanno stipulato 13 mesi fa un tasso variabile pagheranno in più da un minimo di 936 euro annui (mutuo 100mila euro con rimborso decennale) fino a 1.980 euro (mutuo di 200mila euro con rimborso ventennale).
Gia nelle scorse settimane il presidente dell’istituto di Francoforte, Jean-Claude Trichet, aveva lasciato intendere che un ritocco all’insù del costo del denaro sarebbe stato probabile a fine anno, data la ripresa economica ormai solida in Europa e qualche fiammata inflazionistica indesiderata. Ieri inoltre è arrivato anche il parere favorevole del Fondo monetario internazionale, il cui numero due John Lipsky ha spiegato che una stretta monetaria moderata sarebbe una mossa appropriata.
Intanto il presidente della Bce Trichet ha spiegato - nella conferenza stampa seguita alla decisione di alzare il costo del denaro al 3,5% - che i pericoli insiti nelle pressioni inflazionistiche restano alti e quindi, nonostante il rialzo deciso oggi, il livello dei tassi nell’eurozona resta tuttora accomodante. La crescita economica resta però robusta anche nel quarto trimestre, anche se non sui livelli del primo trimestre dell’anno.  Le ultime stime degli esperti della Bce sulla crescita di Eurolandia indicano un tasso compreso fra il 2,5 e il 2,9% per il 2006, e poi l’anno prossimo un rallentamento a un tasso compreso fra l’1,7 e il 2,7%.
Il tasso d’inflazione nella zona dell’euro dovrebbe invece aggirarsi attorno al 2,0% nei prossimi due anni. A giudizio di Trichet infine i rischi di un andamento al rialzo dei prezzi prevarranno in ogni caso sul medio e lungo periodo.
 

Fonte - ANSA

 

 

LA FED lascia invariati i tassi
 

12 Dicembre 2006 - WSI
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Come ampiamente atteso dal mercato, il Federal Open Market Committee, il braccio operativo della Federal Reserve, ha lasciato invariato il costo del denaro degli Stati Uniti.

Il target sui fed funds e' dunque fermo al 5.25%. Nella riunione dello scorso 8 agosto, la decisione di non ritoccare i tassi, poi confermata in quelli del 20 settembre e del 25 ottobre, aveva chiuso la serie di rialzi durata per ben due anni. Il primo rialzo della serie fu deciso nel meeting del Fomc del 30 giugno del 2004.
Per i lettori di Wall Street Italia ecco la traduzione in italiano del documento ufficiale della Federal Reserve:

Il Federal Open Market Committee ha deciso di lasciare invariato il tasso sui fed funds al 5.25%.
La crescita economica ha subito un rallentamento nel corso dell’anno, riflettendo parzialmento il raffreddamento del settore immobiliare. Sebbene i recenti indicatori economici si siano rilevati contrastati, l’economia dovrebbe crescere ad un tasso moderato nei prossimi trimestri.

I segnali relativi all’inflazione core sono stati piuttosto elevati, e gli alti livelli dell’utilizzazione delle risorse hanno il potenziale di sostenere ulteriori pressioni inflazionistiche. Tuttavia, queste sembrano dover calmarsi nel tempo, come conseguenza dell’abbassamento dei costi energetici e sulla scia delle aspettative contenute sull’inflazione, nonche’ grazie alle azioni di politica monetaria ed altri fattori capaci di contenere la domanda aggregata.

Tuttavia, il Comitato ritiene che alcuni rischi inflazionistici ancora restano. La modalita’ e i tempi di qualsiasi azione di politica monetaria che potrebbe essere necessaria per contenere tali rischi dipenderanno dall’evoluzione dell’outlook inflazionistico e delle crescita economica, cosi’ come sara’ implicato dalle informazioni rilasciate quotidianamente.

A votare a favore dell’azione di politica monetaria del FOMC sono stati: Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Susan S. Bies; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Frederic S. Mishkin; Sandra Pianalto; William Poole; Kevin M. Warsh; e Janet L. Yellen. A votare contro e’ stato Jeffrey M. Lacker che avrebbe preferito un incremento di 25 punti base del target sui fed funds nel meeting giornaliero.

 

 

Fonte - Wallstreetitalia.co

 

 

 

 

Domenica  10  dicembre  2006   Martedì  12  dicembre  2006   Venerdì  29  dicembre  2006
   
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GR1 RAI - 07 DIC ore 22:00

   

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GR1 RAI - 11 DIC ore 22:00

   

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GR1 RAI - 12 DIC ore 22:00

   

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   Nel 2007 i tassi scenderanno

12 Dicembre 2006 Roma - di Giovanni Ajassa

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*Responsabile del Servizio Studi BNL.

Con tutta probabilità, giovedì prossimo 7 dicembre la Banca Centrale Europea deciderà un nuovo aumento che porterà il tasso di rifinanziamento al 3,50%. E’ quanto economisti e operatori prevedono in maniera piuttosto unanime. Poi, il martedì successivo, sarà il turno della Federal Reserve.
Il consenso dei pronostici dice che la riunione del comitato direttivo della Riserva Federale (il FOMC) del 12 dicembre potrebbe confermare invariati sia il livello del tasso sui Fed Funds sia l’intonazione (il cosiddetto "bias") vigile della politica monetaria americana. Poi ci saranno le feste e comincerà il nuovo anno. Ma il 2007 non sarà un anno di facili previsioni sulle scelte delle due principali banche centrali del pianeta.

Cosa succederà ai tassi americani? Nell’edizione di novembre del "Consensus Forecasts", la previsione più frequente tra quelle raccolte presso gli esperti indica una stabilità del tasso sul Fed Fund al 5,25% sino a tutto il primo trimestre del 2007 seguita da possibili tagli già nel secondo e nel terzo trimestre. Un po’ come le medie di Trilussa, le previsioni di consenso sono però difficili da interpretare in periodi in cui l’incertezza appare destinata ad aumentare. E’ questo il caso dello scenario americano, su cui grava l’alea di un deciso rallentamento economico.
Secondo le previsioni degli economisti di BNP Paribas riprese in Italia nel "Focus settimanale" del Servizio Studi di BNL, la decelerazione degli Usa è già oggi evidente in settori strategici come le costruzioni e l’automobilistico.
Tra gli agenti immobiliari americani circola l’aneddoto che, di questi tempi, per vendere rapidamente una nuova casa sia opportuno aggiungere all’immobile anche il regalo di un comodo garage, meglio se con una macchina nuova dentro.
Riguardo all’industria, una significativa discesa sotto quota 50 dell’indice ISM relativo alla fiducia delle imprese manifatturiere statunitensi potrebbe indurre la Fed ad anticipare i tempi di un allentamento. Le autorità monetarie preferiranno agire prima che il rallentamento dell’economia si traduca in un calo marcato degli occupati. Farlo dopo potrebbe danneggiare la loro credibilità e rendere meno efficace la futura condotta della politica monetaria.
L’affievolimento della crescita, in assenza di tensioni sui corsi del petrolio, lenirà le preoccupazioni che in America ancora si nutrono sull’andamento della cosiddetta inflazione "core", ovvero al netto di energia e alimentari.
A ben vedere, negli Usa l’attuale vivacità dell’inflazione "core" non indica un rischio prospettico di surriscaldamento, mentre è un sintomo della crescita che abbiamo alle spalle. L’inflazione al netto dell’energia si aggiusta oggi con ritardo ai forti aumenti segnati in passato dal prezzo del petrolio. Questo accade perché, a monte della filiera, il problema dei rincari dell’oro nero appare al momento superato.
In più, l’indice "core" americano aumenta perché crescono negli Usa gli affitti che la gente trova più convenienti rispetto ai prezzi troppo alti raggiunti dalle case in vendita. Anche questo non è un presagio di inflazione futura bensì un ulteriore sintomo delle difficoltà in cui già oggi versa il mercato immobiliare americano.

Varcando l’Atlantico, lo scenario della politica monetaria europea appare ugualmente confrontarsi con numerose incertezze. L’economia di Eurolandia chiuderà il 2006 ad un passo ancora tonico, trainato dall’anticipazione di acquisti di beni durevoli da parte dei consumatori tedeschi. Poi, però, nel corso del 2007 sconteremo sulla crescita sia gli effetti dell’aumento dell’Iva in Germania sia le conseguenze delle manovre di riduzione dei disavanzi pubblici decise in importanti paesi.
A tutto ciò si aggiungerà il riflesso del rallentamento negli Usa. Seppur con ritardo, la trasmissione transatlantica del ciclo americano rallenterà la crescita del Vecchio Continente. Oltre all’effetto diretto di minori importazioni degli Usa dall’Europa ci sarà un "effetto eco" dato dai contraccolpi mediati da altre aree globali. Se gli Usa rallentano, i primi a soffrirne potranno essere la Cina e gli altri grandi paesi del continente americano.
La decelerazione dei partner commerciali più stretti si riverbererà poi sull’Europa. Quale sarà la misura complessiva di riduzione della crescita europea? A Francoforte stimano un calo di 0,2 punti di crescita annua del Pil dell’area euro per ogni punto intero di riduzione del saggio di sviluppo Usa. Altre stime indicano la possibilità di un arretramento più sostenuto e pari a circa mezzo punto percentuale di crescita europea.
Il riverbero del rallentamento americano sarà tanto più intenso per l’Europa quanto più si accompagnerà a un marcato deprezzamento del dollaro sull’euro. E la rivalutazione della moneta europea, che appare iniziata già in questo ultimo scorcio del 2006, potrebbe suggerire prudenza alla Bce nella decisione se proseguire o meno nella fase di aumento dei tassi nel corso del prossimo anno.
Tirando le somme, una lettura dello scenario monetario internazionale ci consegna un 2007 ove Fed e Bce potrebbero tornare a preoccuparsi più della crescita che dell’inflazione. Tra il 2006 e il 2007 i numeri previsti dagli economisti di Bnp Paribas parlano di un calo dal 3,2 all’1,6 per cento del tasso di aumento del Pil americano e di un ribasso dal 2,6 all’1,8 per cento per la crescita dell’area dell’euro. In questo contesto, l’allentamento delle politiche monetarie potrebbe rendersi visibile prima negli Usa per poi interessare, verso la fine del 2007, anche l’Europa.
Oggi sono due i punti percentuali che separano i livelli dei saggi guida sulle due sponde dell’Atlantico. Tra tredici mesi, a dicembre del prossimo anno, i tassi di riferimento di Fed e Bce potrebbero trovarsi appaiati al 3 per cento. E’ una possibilità.

 

Fonte - La Repubblica - Affari & Finanza

 
 

 

 

 

 

Cambi: Greenspan, dollaro restera' debole per alcuni anni
 

11 Dicembre 2006 Roma - ANSA
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ROMA, 11 DIC - Il dollaro sara' debole ancora per 'alcuni anni'. Lo ha detto l'ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan. Le valutazioni di Greenspan hanno messo sotto pressione il biglietto verde (scivolato ai minimi di seduta di 1,3263 contro euro) e avvalorato al tempo stesso la strategia adottata dalle banche centrali che da tempo stanno diversificando le proprie riserve riducendo la quota in dollari.





ECCO PERCHE' IL DOLLARO NON CROLLERA'

12 Dicembre 2006 Milano - di Carlo Pelanda
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Fioccano scenari catastrofici che prevedono non solo il crollo temporaneo del dollaro, ma anche una sua crisi strutturale. Questa rubrica, invece, ipotizza che il dollaro potrà scendere ancora, ma poi risalirà a razzo. Il punto: non è interesse di alcuno che il dollaro cessi di essere moneta di riferimento e che resti depresso troppo a lungo.
Quindi prima o poi si rialzerà, incerto solo il quando. Comunque è utile vedere gli argomenti dei catastrofisti. In America la produttività non cresce più e si riduce lo spazio per la crescita non inflazionistica. Ciò toglie attrattività agli impieghi in dollari. Il deficit commerciale statunitense, in particolare, richiede che il dollaro scenda per bilanciare uscite ed entrate.
Ma lo yuan cinese resta agganciato al dollaro e lo yen tenta di farlo, ambedue furbescamente sottovalutati del 40 per cento. Quindi la caduta morbida del dollaro non toglie competitività alle merci asiatiche e non aiuta a ridurre il deficit commerciale americano, pur stabilizzandolo.
Ci vorrebbe proprio un crollo catastrofico per riequilibrare il sistema. Il mercato potrebbe crederci e smettere del tutto di comprare valori in dollari. Se la Bce continuasse con la politica di euro fortissimo, che chiama capitali in cerca di rifugio, farebbe precipitare ancor di più il biglietto verde. Ciò, in effetti, stenderebbe la moneta americana per un lungo periodo. Ma anche manderebbe in crisi tutta l’economia globale dove prevalgono gli esportatori nel mercato americano.
Per evitarlo Pechino userà il surplus commerciale per sostenere il dollaro e accetterà, forse già nell’incontro bilaterale di oggi con Paulson e Bernanke, di ridurre la pressione esportativa sull’America.
La Bce non lascerà cadere il dollaro oltre una data soglia perché teme una recessione imputabile ai suoi dirigenti. L’America vuole il dollaro debole per un po’, ma non troppo e non per molto perché in caso contrario rischierebbe, oltre ad una grave recessione con inflazione, la fine della sua moneta come riferimento mondiale, quindi del suo impero.
In sintesi, le ragioni politiche superano quelle tecniche per contenere la caduta del dollaro. Quando il mercato percepirà tale dato di base inizierà a scommettere sul rialzo del dollaro, amplificandolo. C’è anche un terzo scenario: deprezzamento controllato del dollaro e suo assestamento ad un valore basso duraturo. Ma il mercato va a salti e non per curve armoniche. Inoltre, finito l’immobiliare, il mercato ha bisogno di un’altra bolla. Si tratta di inquadrare il punto di inversione e rimbalzo del dollaro e non di posizionarsi in vista del suo crollo. Buona speculazione.
 

Fonte - Il Foglio

  
 

 

 

 

 

La variabile impazzita
 

24 Dicembre 2006 Roma - di Galapagos
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La scorsa settimana è arrivata la conferma che l'economia statunitense sta rallentando vistosamente: il tasso di crescita del pil che nel primo trimestre marciava al ritmo annuale del 5,5%, nel terzo trimestre è sceso al 2%. Una decelerazione che non significa recessione visto che i numeri sono in ogni caso positivi.
Però l'economia Usa è in sofferenza: seguita a importare troppo; l'attività edilizia, dopo anni di boom, registra «abbondanti decrementi» - come ha commentato il Bureau of Economic Analysis - e c'è un forte rallentamento anche nell'accumulo di scorte, segnale anticipatore di un rallentamento della domanda.
Di più: sotto la spinta del forte rialzo delle quotazioni delle materie prime, l'inflazione si mantiene a livelli di guardia, tanto che convincere la Fed a non ridurre i tassi che in prospettiva potrebbe essere addirittura aumentati.

Eppure, lo abbiamo già accennato nei giorni scorsi, mai come nel 2006 i profitti delle imprese sono andati così bene: il rapporto tra fatturato e profitti si aggira sul 10%. Una cifra enorme che in molti analisti ha evocato lo spettro del '29. Anche allora i profitti si sfioravano il 10%. Poi, all'improvviso la grande bolla esplose e l'economia Usa (e non solo) precipitò nella più grande crisi economica dell'era moderna.
Al boom dei profitti fa riscontro una caduta della quota di reddito destinata al lavoro: nei primi 9 mesi del 2006 al lavoro è andato il 56,5% del Pil. Solo nel 2000 la quota era due punti più alta. La sintesi è una crescita della produttività molto legata ai bassi salari e una ridotta capacità di spesa per decine di milioni di famiglie che per mantenere inalterati o quasi i consumi sono costrette a indebitarsi sempre di più. Non a caso il risparmio delle famiglie da mesi è negativo.
Il meccanismo dell'indebitamento era perfettamente oliato dalla crescita dei valori delle abitazioni che consentiva la rinegoziazione dei mutui e dai bassi tassi di interesse che consentivano la crescita del credito al consumo a poco prezzo. Ora queste condizioni sono al capolinea, i consumi frenano e l'economia rallenta.
A peggiorare la situazione si aggiunge la progressiva svalutazione del dollaro che rende più care le merci importate. Però la svalutazione sembra l'unica possibilità di uscita degli Usa dalla stagnazione. Certo, sarebbe possibile attuare politiche fiscali e di bilancio differenti. Ma queste non sembrano all'ordine del giorno e nemmeno nel programma dei democratici.

Allora, come nel '85 con l'accordo del Plaza non rimane che la via della svalutazione «pilotata» per ridare competitività e frenare l'import. Ma nei piani Usa potrebbe inserirsi una variabile impazzita: se l'Iran e altri paesi decidessero di convertire, come minacciato, le riserve in dollari in euro, potremmo assistere a un crollo improvviso della valuta Usa e la crisi potrebbe esplodere improvvisa. 

 

Fonte - Il Manifesto

  
 

 

 

 

 

  Sabato  2  dicembre  2006   Sabato  9  dicembre  2006   Sabato  30  dicembre  2006  
       
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   Parola d'ordine: ancora azioni

12 Dicembre 2006 Milano - di Luca Fornovo e Gabriele Petrucciani

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Ancora un giro di giostra per le principali piazze finanziarie internazionali. Che per la quarta volta consecutiva si apprestano a chiudere l’anno con il segno più. I numeri del 2006, dunque, hanno dato ragione alle previsioni dei gestori, fatta eccezione per la grande delusione, il Giappone, atteso in forte crescita, e che oggi viaggia a ridosso dei livelli di inizio anno. Nonostante un triennio (2003-2005) di rialzo delle Borse per gli esperti il motto è rimasto comunque «azioni, azioni, azioni».
E per il 2007 la musica non cambia, anche se le incognite non mancano. A partire dalla debolezza del biglietto verde, ormai proiettato verso i minimi storici: il cambio euro/dollaro ha infatti sfondato l’importante soglia tecnica e psicologica di 1,30 e si sta ora dirigendo verso quota 1,36. Non vanno poi dimenticate l’estrema volatilità del petrolio e l’incertezza, soprattutto in Europa, sulla politica monetaria.
Per queste ragioni i money manager, sebbene continuino a preferire l’equity al reddito fisso, consigliano al tempo stesso massima prudenza agli investitori. E soprattutto un’attenta selezione dei titoli (stock picking).

Sono questi i principali temi discussi al Forum organizzato da Borsa&Finanza, al quale hanno partecipato: Corrado Caironi (responsabile investimenti per l’Europa di BlackRock-Merrill Lynch I.M.), Marco Ghilotti (responsabile clienti istituzionali di Schroders in Italia), Vittorio De Luigi (capo economista di Mp Am), Marco Ratti (responsabile investimenti di Caam Sgr), Nicola Trivelli (direttore investimenti di Sella Gestioni e Sella Capital Management), Gianmarco Stanga (responsabile fondi di fondi Mc Gestioni), Giorgio Giovannini (country manager per l’Italia di Henderson Global Investors), Marco Pirondini (direttore globale degli investimenti di Pioneer Investments) e Guido Casella (strategist di Azimut Sgr).
1 Dopo un 2006 all’insegna del rialzo, quali sono le vostre aspettative per il prossimo anno?

Caironi: Quest’anno le Borse hanno visto due movimenti distinti. Da un lato le obbligazioni si sono confrontate con un aumento della volatilità e un rialzo dei tassi di interesse a lungo termine, che hanno generato ritorni negativi: per esempio l’indice Jpm Global Bond perde da gennaio il 3,5 per cento. Dall’altro l’equity è stato protagonista di un buon rialzo, superiore al 10%, con alcune aree ancora in evidenza, come l’Europa e i mercati emergenti, che hanno registrato performance intorno al 15 per cento. Nonostante questi movimenti, i nostri modelli di asset allocation presentano ancora pochi spazi per l’obbligazionario governativo e corporate, destinato a soffrire ulteriori pressioni sui prezzi. Al contrario le prospettive sull’azionario rimangono positive. Anche se alcune variabili saranno determinanti per poter scoprire quanto spazio di crescita abbia ancora il mercato e quanto, invece, abbia già scontato.
Ghilotti: Sono d’accordo. L’equity è ancora favorito rispetto ai bond, ma ci stiamo spostando verso Paesi con un beta più basso. In poche parole stiamo riducendo il peso sugli emergenti a favore di altri mercati come l’Europa. La prudenza, però, è d’obbligo, quindi è importante fare un’attenta valutazione dei singoli titoli. Nonostante il rallentamento dell’economia americana, restiamo positivi sull’azionario Usa, in particolare sulle società coinvolte in operazioni di fusioni e acquisizioni. Certo, il soft landing potrebbe aiutare il reddito fisso. Ma gli attuali livelli, soprattutto del mercato corporate, consigliano ancora di stare lontani dai bond.
De Luigi: È vero, l’America sta rallentando, ma è l’unica importante economia che lo sta facendo. Gli altri Paesi sono in accelerazione. Non ci sono dunque tendenze visibili di flessioni. Bisogna comunque fare attenzione a Paesi come la Germania, dove dal 1° gennaio 2007 scatterà l’aumento dell’Iva dal 16 al 19% (si veda pagina 15, ndr). Quest’aumento potrebbe avere ripercussioni negative sull’economia tedesca per i primi tre mesi del 2007.
Ratti: Anche noi siamo ancora lunghi di equity e corti di bond. Si potrebbe obiettare che l’azionario non può crescere in eterno. Ma dopo aver analizzato le variabili più disparate siamo giunti alla conclusione che non ci sono particolari segnali d’allarme per la crescita dell’economia e delle piazzze finanziarie. E non siamo neanche preoccupati della redditività delle imprese americane. Gli utili sono sui massimi storici, ma siamo convinti che gli attuali livelli di Borsa siano sostenibili. E in un contesto multi-asset continuiamo a essere corti anche sul credito.
Trivelli: Bisogna essere prudenti: veniamo da una lunga fase in cui il mercato sta pagando poco il rischio. Di conseguenza non si possono escludere correzioni. Le incognite che potrebbero imprimere maggiore volatilità ai mercati sono tante: il rallentamento del Pil americano, il cambio euro/dollaro e il petrolio. Il 2007 sarà, dunque, un anno di transizione, improntato alla ricerca di conferme sulle piazze azionarie e di uscita da una fase negativa per l’obbligazionario.
Stanga: Anche noi siamo moderatamente ottimisti sull’equity. Se immaginiamo un prezzo del greggio ai livelli attuali, cioè attorno a 60 dollari al barile, e una politica espansiva da parte della Banca centrale americana, il nostro scenario prevede un rialzo dei listini in linea con la media storica di lungo periodo. Tuttavia, siamo convinti che bisognerebbe ragionare più sui settori che sui Paesi.
Giovannini: Condivido quanto detto finora dai colleghi: ottimismo sì, ma con prudenza. A settembre eravamo molto positivi sulle azioni, anche perché non vedevamo alternative. Di conseguenza, si poteva ipotizzare un’asset allocation con il 50% del portafoglio dedicato all’equity, il 40% alla liquidità e soltanto il 10% ai bond. Oggi lo scenario è leggermente cambiato. È chiaro che le Borse non possono crescere all’infinito. Per il primo trimestre 2007, dunque, abbiamo un atteggiamento più cauto, con un minor peso sulle azioni a favore delle obbligazioni.
Pirondini: È difficile rinunciare alle azioni nel contesto attuale: il quadro macroecnomico è molto positivo. È vero che la crescita economica, soprattutto in Usa, è in frenata ma questo è un bene, perché ha attenuato le tensioni inflazionistiche. Inoltre, siamo convinti che non ci siano valide alternative all’azionario. Comprando obbligazioni oggi, per esempio, c’è il rischio di perdere rendimento. Sull’equity, invece, il ritorno atteso è del 100% superiore a quello di asset class alternative come i bond. A differenza dei miei colleghi, però, sono abbastanza positivo sulle obbligazioni corporate con scadenze non superiori ai 2-3 anni. Meglio, invece, stare alla larga dai titoli di Stato.
Casella: Io mi pongo un interrogativo. Se il tavolo è concorde sul fatto che lo scenario economico non è preoccupante, allora perché tutti hanno deciso di scalare una marcia sull’equity? Tutto questo mi fa pensare a una situazione poco stabile. Personalmente, comunque, sono nemico degli scenari di Borsa elaborati sulla macroeconomia. E sono molto più ottimista dei miei colleghi. L’industria non ha generato grandi performance. Di conseguenza sul mercato non c’è quell’euforia generale che accompagna la fine di una fase di bull-market. Inoltre, sul mercato c’è molta liquidità. Insomma, c’è una domanda latente di azioni che prima o poi verrà fuori e darà ulteriore spinta alle Borse.
2 Ma sui mercati finanziari dei paesi emergenti? Tutti d’accordo nel ridurre l’esposizione?
Caironi: Quello degli emerging market è sicuramente uno dei temi di forte riflessione per l’anno prossimo. Tre sono i punti chiave: crescita economica ancora sostenuta, valutazioni relative e prospettive di crescita degli utili. La minor capacità di crescita dell’economia globale potrebbe condizionare le piazze emergenti in funzione di una minore crescita della domanda internazionale e dei consumi. Ma d’altro canto, un fattore positivo è dato dalla capacità degli emergenti di creare domanda e consumi interni. Bisogna però entrare più nel dettaglio di ogni singola area: dire che l’Asia rimane un ottimo luogo per investire è poco significativo. Vi sono mercati che sono già cresciuti tanto, come l’India, e altri che presentano valutazioni interessanti, come Thailandia e Taiwan. Ma la variabile più importante è il rapporto tra prezzo e utile, cioè il p/e dei singoli titoli, e la solidità dei business aziendali. Restiamo positivi sulle Borse di Cina, Hong Kong e Singapore, ma con un’ottica di lungo periodo, vista la volatilità di questi mercati. Per quanto riguarda l’America Latina il listino brasiliano è quello che preferisco.
Ghilotti: Gli asset manager internazionali tendono a sottopesare questi mercati, sottolineando la correlazione tra rallentamento dell’economia e alleggerimento dell’esposizione su queste aree. Tuttavia, la domanda e le importanti riforme strutturali avviate in molte economie emergenti fanno pensare che l’attuale scenario sia leggermente diverso. Inoltre le valutazioni non sono care, dal momento che il p/e medio delle società presenti sui listini emergenti è 11,5. Ciò significa il 20% di sconto rispetto ai mercati sviluppati. Nell’ambito della asset allocation globale nel 2007, adotteremo un approccio cauto, con una sovraesposizione azionaria, ma un beta basso nel sottostante.
De Luigi: Anche noi pensiamo che sia arrivato il momento di ragionare per singoli Paesi. L’azionario emergente ha beneficiato, specialmente in Asia, della solida crescita macroeconomica e dell’attesa rivalutazione delle monete locali. Condividiamo l’opinione che la Thailandia possa rappresentare una scommessa interessante, soprattutto in considerazione della sottovalutazione del mercato rispetto alla condizione congiunturale, del recupero della stabilità politica e della previsione di un forte afflusso di capitali.
Ratti: Come i colleghi abbiamo cominciato a ridurre, già a partire dall’estate, il beta dei nostri portafogli, uscendo dagli emergenti ed entrando in aree più core.
Trivelli: Sì agli emergenti, ma solo con le obbligazioni perché riteniamo che i livelli di valutazione sui mercati azionari siano a rischio di una correzione. Certo il processo di risanamento dei bilanci pubblici e del sistema economico, grazie al ciclo positivo delle commodity, ha sicuramente rafforzato i fondamentali. Detto questo, nel 2007, sarà decisiva la selezione e non l’investimento sugli indici.
Stanga: Noi, invece, non siamo negativi sull’azionario emergente. Su queste piazze bisognerebbe fare una previsione solo considerando attentamente il ciclo delle commodity. A nostro avviso, nell’immediato futuro, queste continueranno a stabilizzarsi, favorendo i Paesi dell’area emergente asiatica quali India, Cina e Thailandia.
Giovannini: In genere anche noi guardiamo con interesse alle piazze finanziarie dell’area asiatica. Tuttavia, in vista di un possibile rallentamento dell’economia statunitense, che potrebbe impattare in maniera rilevante sull’andamento dei mercati emergenti, suggeriamo di investire in settori esposti più all’andamento della domanda interna che all’export. In particolare, abbiamo un outlook positivo sulla Cina.
Pirondini: Concordo con le opinioni già espresse dai miei colleghi, ovvero di ottimismo, ma selezionando con attenzione i singoli Paesi. Personalmente preferisco l’Asia e parte dell’America Latina.
Casella: Anche per me gli emergenti sono ok, anche se il profilo rischio rendimento è indubbiamente meno efficiente rispetto ai mercati maggiori.
3 Dunque, meglio l’equity dei bond. Ma la vostra view negativa sul mercato obbligazionario è legata alle politiche monetarie di Fed e Bce? Quali sono al riguardo le vostre aspettative?
Caironi: La pressione per il calo della crescita economica in Usa sarà determinante sulle scelte di politica monetaria della Fed. Non sappiamo al momento come Ben Bernanke, numero uno della Banca centrale americana, saprà e dovrà affrontare questo nuovo scenario, tenendo conto della sua attenzione ai dati inflattivi. Per il 2007 rimaniamo in sospeso anche sulla Bce, dopo l’ulteriore aumento di 25 punti base che giovedì 7 dicembre ha portato il costo del denaro di Eurolandia al 3,5 per cento. Secondo la nostra previsione, comunque, a fine 2007 i tassi Fed e Bce resteranno invariati, rispettivamente, al 5,25 e al 3,50 per cento. Le curve dei tassi? Le attendiamo ancora molto piatte, mentre rimaniamo moderatamente positivi sugli high yield.
Ghilotti: Anche per me la Fed ha ormai concluso il ciclo di rialzo dei tassi. Anzi, la decelerazione del ciclo economico e il rallentamento dell’inflazione potrebbero addirittura spingere la Fed a una riduzione dei tassi a partire da luglio 2007, siano al 4,50% per fine anno. Sulla Bce, invece, non mi trovo d’accordo con Caironi. Anzi, sono convinto che la Banca centrale europea continuerà ad aumentare il costo del denaro, fino ad arrivare al picco del 4% in aprile.
De Luigi: È vero, la Bce non si fermerà al 3,5% e già nel primo trimestre 2007 potrebbe portare i tassi al 3,75 per cento. Per cui le pendenza delle principali curve governative è destinata a rimanere negativa. Pertanto, in valuta locale, i mercati obbligazionari governativi e quelli corporate potrebbero offrire ancora apprezzabili ritorni nell’arco di 6-12 mesi. Certo, non sul livello degli azionari.
Trivelli: Mi sembra che fino a ora su una cosa siamo tutti d’accordo. Che le due Banche centrali vivono fasi differenti. Da un lato la Fed mostra un atteggiamento prudente, in attesa di conferme sul lato macroeconomico e sul lato inflazione; per cui riteniamo probabili due tagli dei tassi per il 2007. Dall’altro lato, la Bce si rapporta al mercato ancora in modo duro, confermando di essere in una fase di politica restrittiva e facendo scontare alle quotazioni dei bond almeno altri due rialzi fino al 3,75 per cento. Il mercato obbligazionario sconta esattamente questo e potremmo avere sorprese positive nel caso di un atteggiamento meno rigido. In un contesto come quello attuale, comunque, preferiamo prendere posizioni sulla parte a breve-medio temine della curva, privilegiando emittenti governativi visto il livello medio dei credit spreads ormai ai minimi storici.
Stanga: Per quanto ci riguarda prevediamo per fine 2007 una discesa dei tassi Usa fino al 4,75%, mentre in Europa dovrebbero attestarsi attorno al 3,50 per cento. Sul mercato obbligazionario, molto dipenderà dal livello delle valute. Comunque ci aspettiamo il mantenimento dei profili delle curve attuali. Il nostro posizionamento sui governativi a livello di duration è a benchmark. I corporate invece sono sottopesati.
Giovannini: Noi crediamo che dopo l’ultimo rialzo della Bce si possa assistere a una fase, anche prolungata, di neutralità/stabilità dei tassi. Di conseguenza il mercato obbligazionario potrebbe rimanere fermo sui valori attuali, scarsamente appetibili se paragonati ai ritorni attesi dall’equity.
Casella: Personalmente a fine 2007 vedo i Fed Funds al 4,5% e i tassi Bce al 3,25 per cento. Con riferimento al mercato obbligazionario, credo che l’anno prossimo i bond dovrebbero comportarsi benino, meglio di quest’anno.
4 In vista di una Fed pronta a invertire la rotta, ovvero pronta a sposare una politica monetaria espansiva, quali sono le vostre previsioni sull’azionario Usa? Secondo voi è da preferire all’Europa?
Caironi: Le nostre previsioni sull’America restano improntate su uno scenario ancora positivo. Il mercato azionario oggi presenta valutazioni coerenti con la fase del ciclo economico e storicamente ancora a sconto. Se nel 2007, come ancora può sembrare, le aziende saranno in grado di far crescere gli utili, il mercato, seppur in modo molto selettivo, le seguirà. In base alle valutazioni relative, però, il mercato da preferire rimane l’Europa. All’interno dell’area, comunque, è difficile scegliere un mercato anziché un altro. In generale, l’Italia mantiene ancora buone valutazioni, mentre il mercato svizzero sembra il più caro.
Ghilotti: Noi siamo positivi sia sull’America sia sull’Europa. Negli Usa, l’allentamento delle pressioni inflazionistiche e l’attesa riduzione dei tassi da parte della Fed spingeranno la fiducia degli investitori e apriranno spazio alla crescita delle valutazioni azionarie. Storicamente, inoltre, il mercato azionario statunitense ha sempre performance positive a fronte di uno scenario di rallentamento della crescita economica. Per quanto riguarda l’Europa, invece, se da un lato è vero che il mercato dell’equity ha un beta elevato, dall’altro non si possono negare le indicazioni positive provenienti dal fronte macro e microeconomico, con una robusta crescita degli utili robusta e valutazioni ragionevoli.
De Luigi: A differenza dei miei colleghi, io non ho una view molto positiva sull’America. Considerato che forse è ancora prematuro attendersi un ribasso dei Fed Funds nel primo trimestre 2007, i rendimenti attesi per l’azionario statunitense sono circa la metà del 2006. Sono invece più ottimista sull’area euro, dove le prospettive di un prosieguo del trend rialzista sono legate alla elevata liquidità, all’attività di M&A (fusioni e acquisizioni, ndr) e alla tenuta della propensione al rischio degli investitori. In particolare, reputo molto attraente il mercato inglese, sia per la maggiore connotazione difensiva sia per le buone condizioni macroeconomiche e per le prospettive di calo dei tassi di interesse.
Ratti: Io sono invece moderatamente positivo sia sull’Europa sia sull’America. Soprattutto in un’ottica di asset allocation efficiente. Come già detto in precedenza, infatti, ritengo che da oggi in poi sia fondamentale avere un approccio molto prudente verso il mercato azionario. Come? Uscendo dai Paesi più rischiosi, come quelli emergenti, e privilegiando le aree core: America e Europa.
Trivelli: Tra Europa e America, invece, io non ho alcun dubbio. Gli Stati Uniti sono da preferire. La prospettiva di un soft landing abbinato a una Fed disponibile a tagliare i tassi è da considerare un fattore positivo per il 2007. Inoltre, l’America potrà beneficiare anche per l’anno prossimo di un dollaro strutturalmente debole. Sono meno ottimista sull’Europa. Se l’euro dovesse mantenersi sui livelli, l’impatto sugli utili delle società in cui la componente export ha un forte peso si farà sentire. Fra i Paesi da sottopesare per il 2007 abbiamo la Francia e la Spagna: nel primo caso i dati macro lasciano intendere una certa debolezza nei consumi e quindi nell’economia del Paese; nel secondo, invece, le vicende di M&A hanno contribuito ad accrescere le valutazioni di tutti i settori. La view è più positiva per Gran Bretagna, Grecia e Italia.
Casella: Non posso che associarmi all’opinione di Trivelli. Considerata la debolezza del dollaro, ci sono buone prospettive per l’azionario americano. L’economia europea, invece, rimarrà discreta e le fusioni e ristrutturazioni continueranno. A livello di singoli Paesi anche io sono pessimista sulla Spagna.
Stanga: Non sono tanto d’accordo sulla Spagna. Credo che debba essere sovrappesata come il Belgio, la Germania e la Svizzera. Anche io, invece, penso che la Francia, al pari delle piazze nordiche, sia un Paese da evitare nel 2007.
Giovannini: La nostra previsione è che il mercato statunitense possa continuare a dare buoni ritorni. In Europa prevediamo che la crescita economica possa mantenersi sostenuta. Ma piuttosto che guardare agli indici di Borsa la nostra strategia punta all’analisi e alla selezione delle singole azioni.
Pirondini: Mi ripeto. In questo momento sono convinto che non si possa rinunciare all’equity. Soprattutto a quello americano, che è un mercato globale. Basti pensare che le società incluse nell’indice S&P500 realizzano il 40% del proprio fatturato fuori dagli Usa. Per quanto riguarda l’Europa, invece, l’opportunità migliore è sicuramente rappresentata dalla Borsa del Regno Unito.
5 Tutti positivi sull’America, dunque. A una condizione. Che il dollaro resti debole contro l’euro. Ma qual è il livello considerato critico?
Caironi: Non abbiamo un’idea chiara sul dollaro. Da gestori pensiamo che a breve i fondamentali giochino ancora a sfavore della valuta statunitense. L’unica considerazione che posso fare è che manteniamo ormai immutata da inizio anno una politica di copertura del cambio.
Ghilotti: Anche per noi è difficile dare una risposta a questa domanda. In questo momento, comunque, siamo corti di dollaro e riteniamo che sia ragionevole aspettarsi a inizio 2007 un ulteriore indebolimento della valuta americana nei confronti sia dell’euro sia dello yen.
De Luigi: Assolutamente d’accordo. L’attuale tendenza al deprezzamento del dollaro appare dovuta ai flussi e come tale non è di facile previsione. E solitamente, le tendenze guidate dai flussi hanno una durata e un’ampiezza non trascurabili.
Stanga: È sempre stato difficile fare previsioni sui cambi. A nostro avviso, comunque, si potrebbe rivedere il livello di 1,36, ma non nel breve periodo.
Trivelli: Potrebbe succedere. Sì, anche noi crediamo che il trend di indebolimento del dollaro continuerà fino a testare la soglia tecnica di 1,36, livello a partire dal quale potrebbe esserci un riposizionamento.
Giovannini: Le nostre previsioni indicano un cambio euro/dollaro compreso tra 1,25 e 1,35. Non è escluso che il cambio arrivi a testare l’area 1,40. Ma se la moneta europea raggiungerà quota 1,45-1,50 ci saranno grossi problemi, non solo per l’America, ma anche per tutte le economie mondiali.
Casella: Mi associo ai miei colleghi. Il dollaro continuerà a essere debole. Tuttavia non credo che ci siano i presupposti perché possa superare di molto gli attuali livelli, se non per brevi periodi.
6 Parliamo ora dei settori, quali sono da privilegiare e quali da sottopesare?
Caironi: La nostra idea è che il ciclo economico rientri in una fase sostenibile e ciò ci porta a considerare ancora con favore le materie prime e in particolare i metalli. Un altro settore su cui manteniamo un buon orientamento è quello dell’energia. Oltre al comparto petrolio, molto volatile, abbiamo iniziato a diversificare gli investimenti verso aziende coinvolte nelle energie alternative: sole, vento, idrogeno, ma anche gas naturale e carbone pulito. Anche l’healthcare potrebbe essere favorito in tutte le sue sfaccettature: dal pharma alle biotecnologie, fino alla ricerca pura e alla diagnostica.
Stanga: Io partirei, intanto, dalla considerazione che è meglio avere in portafoglio le large cap piuttosto che le small cap. Detto questo, i settori che privilegio sono l’immobiliare, le utility e i finanziari.
Trivelli: Non sono d’accordo con Stanga. Noi siamo, invece, molto cauti sulle utility e sulle banche. Credo, infatti, che le vicende di M&A dei mesi scorsi abbiano portato il mercato a sopravvalutare i titoli di questi settori, su cui ci aspettiamo prese di beneficio. Sui titoli assicurativi, invece, riteniamo che il risiko non sia ancora concluso. Come Caironi sono a favore del pharma, mentre nell’hi-tech sono positivo solo sui semiconduttori.
De Luigi: Io mi trovo d’accordo in parte con Stanga e in parte con Trivelli. Mi spiego meglio; secondo me le utility hanno ancora spazio per correre, mentre sono scettico sui titoli oil. Sul fronte finanziario privilegio solo le assicurazioni.
7 Un’ultima domanda. Contrariamente alle previsioni del mondo dei gestori, quest’anno il Giappone è rimasto al palo. Come mai? E cosa vi aspettate per il 2007?
Caironi: È vero. Il Giappone è stata la grande delusione del 2006 per motivi di natura economica e politica. Sul fronte macro sembrava che il Sol Levante fosse uscito dalla deflazione e invece ancora non è così. Inoltre l’uscita di scena del primo ministro, Junichiro Koizumi, e l’ingresso del nuovo premier Shinzo Abe ha portato a un rallentamento delle riforme in campo economico. Ora, per una effettiva ripresa del Paese asiatico, è necessario che Shinzo Abe acceleri sul risanamento dei conti pubblici e sul fronte delle privatizzazioni.
De Luigi: In questo momento noi siamo positivi sul Giappone, ma ci stiamo lentamente spostando verso la neutralità, perché lo scenario macro è in frenata.
Ratti: Personalmente sono ottimista sul Giappone e credo che lo yen, oggi estremamente sottovalutato, possa l’anno prossimo dare una mano all’economia e alle Borse del Sol Levante.
Trivelli: Mi associo a Ratti. E sono convinto che, in un contesto meno positivo per le altre Borse, il Giappone possa essere la vera sorpresa del 2007. Tra due o tre mesi lo scopriremo.
Stanga: Il Giappone per noi è un vero rebus. Ed è per questo che fino a poco tempo fa siamo rimasti fuori dal Paese. Poi abbiamo visto cambiare qualcosa, con le commodity che hanno permesso una rivalutazione non solo degli emergenti asiatici, ma anche del Giappone.
Casella: Io vorrei concludere con una polemica. Mi chiedo: perché gli investitori sono così interessati al Giappone? È un mercato piccolo, lontano e quindi problematico da seguire, nonché di difficile lettura da un punto di vista sia economico sia politico. Secondo me è molto meglio avvicinarsi al mercato americano o a quello europeo.
 

Fonte - Bloomberg - Borsa&Finanza

 




 

 

 

A tutto toro nel 2007 ? Siamo sicuri ?
 

25 Dicembre 2006 Milano - di Vincenzo Sciarretta
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«L’unica cosa che mi spaventa davvero è che l’intera comunità finanziaria è animata da grande ottimismo, compreso il sottoscritto. È raro che la grande maggioranza di analisti e operatori sia capace a prevedere correttamente la tendenza».

David Kotok, numero uno di Cumberland Advisors, stempera la generale visione rosea con l’ironia. Ma non riesce ad andare controcorrente. «Finché l’inflazione e i tassi rimarranno bassi - aggiunge - ci sarà un forte incentivo a detenere titoli azionari piuttosto che obbligazioni governative».

Qual è il potenziale di rialzo della Borsa Usa nel 2007? Anche il 10-13%, in virtù di una contestuale espansione degli utili e dei multipli, a cui bisogna aggiungere l’ondata di fusioni e acquisizioni. Negli ultimi anni Wall Street è rimasta attardata per la debolezza del dollaro. Che c’è da aspettarsi per l’anno venturo? Temo che il trend sia destinato a perdurare. Nel 1998, il mercato azionario statunitense rappresentava il 50% della capitalizzazione globale. Oggi il peso è sceso al 40%, ma si tratta tuttora di una cifra elevata rispetto alla dimensione dell’economia reale.
Cosa intende dire? Intendo dire che la produzione nazionale americana è circa il 28% di quella mondiale, sicché la stazza della sua Borsa dovrebbe essere congrua. Ma se gli Stati Uniti calano, chi ne guadagna? In primo luogo l’Oriente. Dal 1998 al 2006, i listini asiatici sono passati dal 14,9% della capitalizzazione internazionale al 22,4 per cento. Se prevalesse il consensus, la Cina, l’India, il Vietnam e le altre potenze emergenti dovrebbero mostrare un dinamismo ben maggiore di quello dell’Occidente. L’aumento di valore dei listini ne sarà l'immagine riflessa.

E l’Europa? L’Europa beneficia di una valuta solida. Investire all’estero può esporre i risparmiatori del Vecchio Continente a una perdita sul cambio.
Si riferisce al biglietto verde? Certo. Il dollaro reca in sé una notevole fragilità strutturale. Se guarda al grafico, ci si rende conto che dal 2002 al 2004, la valuta era caduta a piombo, rimbalzando un po’ solo nel 2005. Ebbene il 2005 fu un anno speciale. Primo perché i tassi d’interesse a breve termine erano decisamente favorevoli agli asset denominati in dollari. Secondo per una norma speciale che consentiva alle nostre multinazionali di rimpatriare i profitti detenuti all’estero con un forte sconto fiscale. Tutto ciò ha dato le ali al trasferimento di fondi verso gli Usa, un fatto che non si ripeterà nel 2007.

In effetti, il biglietto verde sta cedendo terreno… Riferisco questo rinnovato indebolimento soprattutto a due cause che vanno di pari passo: l’assottigliamento del differenziale di crescita fra le due sponde dell’Atlantico e l’avvicinamento dei rendimenti obbligazionari. La Fed manterrà stabile il costo del denaro, o attiverà una politica di taglio dei tassi. Per contro, la Bce stringerà le condizioni del credito, alzando il saggio base un altro paio di volte. Ciò avvicina la remunerazione della carta emessa nelle due aree geografiche.
E poi? La congiuntura statunitense è in frenata, mentre quella europea è in accelerazione. Infine, il deficit delle partite correnti sfiora da noi il 7% del Pil. I fondamentali lasciano presagire un calo della divisa Usa verso 1,40 entro la fine del 2007.

Torniamo a Wall Street. Su cosa sta scommettendo con maggiore convinzione? Sono fortemente posizionato sull’energia. La Exxon Mobil mi ha dato grandi soddisfazioni. Il management è di prima qualità. Rifiuta di imbarcarsi in campagne d’investimento faraoniche perché sa che non ci sono zone sicure nel mondo dove impiegare coscienziosamente i denari dell’azionista. Le altre major hanno sbattuto la testa in Sud America o in Russia, dove i Governi sono impegnati nella nazionalizzazione dell’industria energetica. La Exxon preferisce restituire gli utili ai propri investitori accordando sostanziosi dividendi e programmando riacquisti massicci di azioni proprie.
Ci dice qualcosa sui titoli del debito americano? Dovrebbe chiedermi piuttosto di quelli europei, perché sono questi il nuovo centro di gravità del sistema internazionale.
In che senso? Il mercato del debito americano è più ampio della controparte europea. Tuttavia, se si esclude la fetta che viene trattata solo a livello nazionale per ragioni fiscali o regolamentari, il rapporto si inverte. Ossia sulla piazza mondiale il debito espresso in euro vale il 46% circa del totale, mentre le pendenze in dollari il 38 per cento. Ecco perché i tassi europei iniziano a esercitare un peso maggiore di quelli federali. Ed ecco perché, forse, meritano una leggera preferenza.
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Fonte - Bloomberg - Borsa&Finanza 

  
 

 


 

 

   L'anno degli azionari Paese

12 Dicembre 2006 Milano - di Sara Silano

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Dicembre, tempo di bilanci. Per l’industria europea dei fondi sono stati dodici mesi all’insegna dei guadagni. Hanno brillato i prodotti specializzati su singole nazioni; maglia nera per il Giappone, che, invece, era dato per favorito. Il rally delle Borse internazionali ha sorpreso in positivo.
Azionari Russia +53%, azionari Svizzera small e mid cap +48,9%, azionari Spagna +48,5%: sono le tre categorie di fondi che a livello europeo hanno reso di più nel 2006 (al 20 dicembre). Ma hanno avuto performance medie superiori al 30% anche i prodotti specializzati su Cina, Austria, Finlandia, Belgio, Germania e Italia. Il focus sui singoli Paesi, dunque, è stato premiante e la nuova classificazione di Morningstar permette di cogliere le differenze anche all’interno di Eurolandia.

La maglia nera spetta, invece, ai fondi che investono sul Giappone. Gli azionari specializzati sulle società medio-piccole, tra i migliori nel 2005, hanno perso il 23,7%, quelli large cap hanno lasciato sul terreno circa il 10%, così come gli obbligazionari area yen. Su tutti è pesato il deprezzamento della valuta nipponica rispetto all’euro. Analogamente, sono stati penalizzati dal rapporto di cambio, i portafogli costituiti da titoli del debito in dollari.

Nel complesso, è stato un anno positivo per i fondi europei, con 70 categorie che hanno reso in media più del 10% e una trentina in rosso. I rialzi, seppur significativi, sono stati più contenuti rispetto al 2005: allora, i migliori erano stati i prodotti specializzati sulla Corea (+87%), che nel 2006 hanno registrato una performance negativa, seguiti dagli azionari Russia e America latina (entrambi +69%). Nel 2006, inoltre, sono aumentate le categorie con il segno meno, che nel periodo precedente erano una quindicina.

Il trend europeo si riflette anche nell’offerta italiana di fondi domestici ed esteri, anche se mediamente le performance sono state inferiori. E non si tratta di una peculiarità dell’ultimo anno: secondo uno studio condotto recentemente da Morningstar considerando il rating overall, la gamma distribuita nel nostro Paese è complessivamente di qualità più bassa (meno prodotti sopra le tre stelle) rispetto al resto del Vecchio continente, tanto per gli azionari quanto per gli obbligazionari globali. Questo non significa, tuttavia, che mancano prodotti di qualità; bensì che sono presenti in numero inferiore rispetto al resto d’Europa.

Limitando l’analisi ai fondi domiciliati in Italia, l’offerta risente della scarsa presenza di prodotti specializzati sui singoli Paesi, ad eccezione dell’Italia, e in particolare sulle nazioni emergenti. Il miglior fondo, da inizio anno, è Gestielle Cina, l’unico che investe nell’ex celeste impero (+35%), seguito da Azimut Real estate e Ducato Geo Europa Pmi (entrambi +27%).

Per i mercati azionari, il 2006 è stato un anno positivo, con l’indice Msci World aumentato dell’8% (in euro), in linea con quanto avevano stimato i gestori nel sondaggio europeo di Morningstar condotto nel dicembre scorso. A livello geografico, tuttavia, non tutte le previsioni si sono avverate. La principale delusione è stata la Borsa giapponese, data per favorita dopo il rally del 2005 e cresciuta del 5,5% contro le attese di un rialzo sopra quota 17.200. Ha nettamente battuto le aspettative, invece, il Dow Jones, che si è spinto ai massimi di sempre oltre la soglia dei 12.400 punti. Per quanto riguarda l’Europa, si è concretizzata l’ipotesi di sorpasso della piazza tedesca su quella francese: la prima è salita di oltre il 21%; la seconda del 17% da gennaio. Entrambe, tuttavia, hanno corso più del previsto.

Per il 2007, i gestori continuano ad essere ottimisti sui titoli azionari, preferendoli agli obbligazionari, considerati troppo cari. Secondo il sondaggio effettuato a novembre in tutta Europa tra le principali case di investimento, i mercati internazionali dovrebbero salire tra il 6 e il 10% per il 76% degli intervistati. Nessuno prevede un anno in rosso. L’area favorita è l’Europa continentale per il 40% dei fund manager; i quali ritengono che il Regno Unito correrà meno.

 

 

Fonte - Morningstar.it