.

 
 

 
 

INDICE ARTICOLI

PARTE  2

.

Guru & Previsioni

Il toro a Wall Street per ora può attendere

Sentiment Mercati

Tra paure di crolli e speranze di rally

Bond & Mercati

Bond, la cura chiude il rubinetto delle emissioni

Sentiment Mercati

Gestori più liquidi

Credit Crunch & Borse

Giallo a Wall Street: ex re degli hedge fund fugge ...

Credit Crunch & Borse

Prendi i soldi e scappa

Sentiment Mercati

La fase di negatività è destinata a continuare...

   

Italia - MIFID & Consulenza

Consulenza, meglio certificata

Macro Italia

Allarme di Confindustria: è stagflazione

   
Vai alla 1° parte della Rassegna Vai alla parte cronologica della Rassegna

 

+++   ANSA - Martedì 3 Giugno 2008, 15:12 -   Fed: Bernanke, consumi migliori delle aspettattive, ancora venti contrari   +++   Fed: Bernanke, i mercati finanziari migliorano, la situazione rimane ancora tesa   +++   ANSA   +++   20 Giugno 2008 18:21 MILANO   +++
 
  Martedì 03 giugno 2008   Venerdì 06 giugno 2008   Sabato 07 giugno 2008  
       
..... Scarica in formato PDF ..... Scarica in formato PDF ..... Scarica in formato PDF .....
 

GR1 RAI - 04 GIU ore 22:00

   

MP3 (53 KB)

 

GR1 RAI - 06 GIU ore 22:00

   

MP3 (49 KB)

     
 

 

 

  Il toro a Wall Street per ora può attendere

02 Giugno 2008 11:15 MILANO - di Giuseppe Turani

________________________________________

In questo momento è in atto una specie i corsa fra europei e asiatici a chi riesce a comprare più cose in America. Soprattutto case, ma anche nei negozi ci sono discreti assalti. E non è difficile capire perché. Il dollaro è molto basso, e quindi si spende poco. Inoltre, anche il prezzo delle case è sceso moltissimo, a seguito della crisi dei prestiti subprime. Ebbene, secondo alcuni esperti, tutto questo potrebbe finire nel giro di qualche mese o, almeno, potrebbe subire un rallentamento.
C´è una corrente di pensiero, infatti, la quale sostiene che da qui alla fine dell´anno il dollaro potrebbe anche rivalutarsi di un buon dieci per cento, come conseguenza di un mutamento di politica economica da pare dell´America. O meglio: della banca centrale americana, la Federal Reserve.
Fino a oggi la Fed ha avuto soprattutto due obiettivi: impedire che gli Stati Uniti vadano in recessione e impedire che la crisi subprime si trasformi in una catastrofe finanziaria. Per entrambe le cose la cura trovata dalla banca centrale americana era, e è, una sola: molto denaro a poco prezzo, cioè con tassi di interesse molto bassi.
Questo, però, ha provocato la discesa del dollaro (per la gioia degli europei e degli asiatici che volevano comperarsi una casa a Miami o a New York), ma anche il rialzo del prezzo del petrolio (in parte) che viene pagato in dollari. Gli sceicchi e in genere i paesi produttori non sono stati affatto contenti di essere pagati con una moneta svalutata. In sostanza, poi, il dollaro basso è un veicolo per importare inflazione. Cosa che ovviamente non piace.
Ma tutto questo, si diceva, potrebbe finire o potrebbe attenuarsi. Perché, secondo una minoranza (per ora) di esperti, la banca centrale americana sarebbe sul punto di cambiare politica. La priorità numero uno verrebbe data non più al sostegno della congiuntura (l´ipotesi di una recessione appare a molti scongiurata), ma alla lotta all´inflazione (che peraltro in America non è ancora così esplosiva come in Europa).
Questo la porterebbe in autunno, o comunque entro la fine dell´anno, a rialzare i tassi di interesse. In sostanza, l´attuale politica (molto denaro e a basso prezzo) verrebbe capovolta. La conseguenza di tutto ciò sarebbe, ovviamente, una ripresa del dollaro, che potrebbe guadagnare anche il dieci per cento rispetto ai valori attuali. E questo farebbe la gioia delle imprese europee che esportano negli Stati Uniti.
Ma potrebbe anche innescare una corsa a Wall Street, dove si trovano moltissimi titoli (soprattutto bancari) a prezzi scesi anche del 30-40 per cento (a questo proposito si dice che una grande banca italiana sta studiando il dossier di una banca americana, con l´intenzione di comprarsela, visto che ormai costa pochissimo). In sostanza, andando a comprare a Wall Street si potrebbe guadagnare due volte: sul rialzo dei titoli (perché sono molto bassi) e sul rialzo del dollaro.
E´ sensato tutto questo ragionamento? Secondo molti esperti, no. O, meglio, non ancora. Lo scenario, spiegano, ha una base logica e ci si arriverà certamente, magari non in autunno, ma più avanti.

E questo per una serie di ragioni:
1 - La crisi del mercato immobiliare non è affatto finita. A settembre saranno messe in vendita le case sequestrate perché comprate con prestiti subprime non pagati (i militari sono i maggiori protagonisti di questa vicenda: nelle città dove ci sono basi militari le crisi subprime sono il quadruplo rispetto al resto dell´America). Il momento della verità sarà appunto a settembre. E è difficile che la Federal Reserve decida di rialzare i tassi prima di aver visto la conclusione di questa vicenda.
2 - Il mondo del credito (banche e istituzioni finanziarie) non è ancora a posto e possono esserci altre sorprese, con conseguenti crisi. La Fed, quindi, dovrà adottare ancora per un po´ una politica prudente, senza svolte troppo accentuate. E quindi il costo del denaro dovrebbe rimanere bloccato. Cambiare troppo presto potrebbe comportare la necessità di smentirsi nel giro di poche settimane.
3 - L´inflazione non è poi così violenta. Il fenomeno è molto più grave in Europa, dove infatti la Banca centrale europea (fra le proteste dei vari governi, interessati a un rilancio delle loro congiunture), resiste e non abbassa i tassi di interesse.
4 - Infine, anche se comincia diventare ragionevole pensare a un´America la cui economia rallenta fino alla crescita zero (per qualche mese), e se appare sensato escludere l´ipotesi di una recessione, un po´ di denaro a basso costo ancora per un po´ certo non può fare male. I rischi di un incidente di percorso sono sempre presenti.
Insomma, il momento del cambio di rotta dell´America, con conseguente boom di Wall Street, probabilmente sta già scritto negli oroscopi della Federal Reserve, ma non è detto che sia proprio per dopodomani, appena dopo le vacanze. Forse bisognerà aspettare di più.

 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

MUTUI: S&P TAGLIA RATING SU BANCHE D'AFFARI

02 Giugno 2008 19:49 NEW YORK - di ANSA
______________________________________________

L'agenzia Standard & Poor's ha abbassato il giudizio sul credito di Morgan Stanley, Merrill Lynch e Lehman Brothers. Accelerano le vendite sull'intero comparto finanziario.
Il downgrade effettuato da S&P ha affondato i titoli delle banche coinvolte: Merrill Lynch cede il 4,19% a 42,08 dollari, Morgan Stanley il 3,14% a 32,44 dollari, Lehman Brothers il 7,42% a 34,08 dollari.
Il rating di Morgan Stanley è stato ridotto da S&P da A+ a AA-, quelli di Merrill Lynch e Lehman Brothers da A+ ad A-.
 

 

 

Specchietto retrovisore o binocolo?

Monday, 2 June, 2008 - di John Christian Falkenberg
______________________________________________

Standard & Poors ha appena tagliato i rating di Merrill Lynch, Morgan Stanley e Lehman Brothers. Si è salvata Goldman Sachs, la più grande e meglio gestita del gruppo.
Fra le banche universali, J.P.Morgan, Citigroup, Bank of America hanno visto ridursi l’outlook a negativo. Wachovia, altra maxibanca a stelle strisce il cui CEO si è dimesso (leggi: è stato cacciato) oggi, si è aggiudicata una indagine tutta per sé. Siamo tornati ai tempi cupi - o non li abbaimo mai abbandonati?
Gli ottimisti, quelli che pensano che il peggio sia ormai passato, la prenderanno come l’ennesimo esempio di come le agenzie di rating agiscano quando ormai il danno è fatto ed anzi, abbiamo già toccato il fondo. I pessimisti, come la dimostrazione che persino le agenzie di rating ci sono arrivate e hanno capito l’estensione del danno. Insomma, la luce in fondo al tunnel potrebbe essere un treno in arrivo.
Le azioni bancarie stanno, ovviamente, trascinando al ribasso un mercato che già in Europa era mezzo collassato sempre grazie alle pessime notizie dal fronte bancario, questa volta inglese.
Questa crisi dura da ormai nove mesi, un tempo abbastanza lungo, per gli standard recenti delle crisi finanziarie. Ricordiamoci tuttavia che, nonostante nove mesi siano parecchi, non sono certo una durata estrema, o molto lontano dalla media - soprattutto sino a quando la crisi non porta ad una recessione, ma ad un rallentamento nell’economia in generale.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

  Tra paure di crolli e speranze di rally

03 Giugno 2008 11:22 MILANO - di *Alessandro Fugnoli

*Questo documento e' stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank

________________________________________

Che belle le tinte forti. Che belli i sapori forti. Che bello leggere testi di singolaritariani alla Kurzweil (il mondo è alla vigilia di un’esplosione inaudita delle conoscenze perché le macchine stanno diventando più intelligenti di noi) e alternarli con declinisti e teorici del societal collapse alla Tainter o ecopessimisti alla Diamond. E’ come andare da McDonald’s e alternare le patate fritte salatissime e il gelato dolcissimo.
Allo stesso modo troviamo eccitante (nel suo genere) la lettura degli strategist azionari europei di JP Morgan, positivi con solide argomentazioni fin dai giorni cupi di febbraio, saldi nelle loro convinzioni, fieri e pronti a sfidare il consenso, guidati dalla stella polare dei rimborsi fiscali già partiti da quasi un mese e dall’impennata del Pil che ne deriverà nel terzo e quarto trimestre.
E dopo averli letti, il massimo del piacere è fare come i finlandesi (che dopo la sauna si gettano nella neve) e andarsi a guardare gli studi degli strategist europei di Morgan Stanley, severi e spietati nell’argomentare le fine della ricreazione del bear market rally e la ripresa del bear market tout court (all’interno, per di più, di un ciclo secolare negativo per gli asset finanziari, iniziato nel 2000 dopo tre decenni di bull market e destinato a proseguire fino a metà del prossimo decennio).
Anche i finlandesi, però, dopo essersi rotolati nella neve si rivestono e tornano in ufficio, fanno la spesa, vanno a pagare le tasse e si reimmergono nel flusso grigio, lento e a suo modo potente della vita. Chi sta sui mercati in questo 2008 (ma il discorso vale anche per il 2009) fa bene a tenersi aperta la mente e a nutrirla di quando in quando con visioni limite fortemente positive o fortemente negative, ma farà ancora meglio a stare ancorato a uno scenario di base grigo, opaco, mediano.
Il biennio 2008-2009 si profila grigio non per l’assenza dei colori, ma per la loro compresenza tutti insieme. C’è la tendenza all’implosione del mercato finanziario e immobiliare, ma c’è anche una risposta di policy estremamente energica sul piano monetario e che alla fine (con un secondo pacchetto sui mutui nel 2009 dopo quello che verrà verosimilmente approvato nelle prossime settimane) risulterà energica anche sul piano fiscale e politico.
Allo stesso modo ci sono perdite da parte delle banche ancora non scontate dai mercati, ma c’è anche una capacità di ricapitalizzazione anch’essa non scontata. Quanto ai profitti corporate, l’attacco ai margini arriva da molte parti (in particolare dall’aumento delle materie prime), ma in compenso la produttività sta riaccelerando. Si sta ripetendo, su scala inferiore, quello che avvenne dopo l’11 settembre, quando le imprese tagliarono drasticamente i costi di ogni tipo. Oggi i tagli sono meno appariscenti (a parte le banche non si licenzia, ma d’altra parte si evita rigorosamente di assumere), ma gli effetti sono tutt’altro che trascurabili.
Insomma questo è un mondo, ci pare, che riesce a restare in piedi, sia pure barcollando. L’assorbimento degli eccessi di leva nella finanza e nell’immobiliare procede speditamente e, per quanto molto (più di quanto pensi il mercato) resti ancora da fare, è ragionevole pensare che per la fine dell’anno prossimo l’operazione sarà completata.
Per le borse gli scenari a tinte forti positivi e quelli negativi possono essere conciliati e convivere. Il bull market strutturale degli utili è finito, ma quello che si profila non è un bear market, ma un plateau strutturale con un intervallo ciclico moderatamente negativo (in Europa più che in America) per questo biennio.

Dall’altro lato, simmetricamente, il bear market strutturale dei multipli iniziato nel 2001 può subire in questo biennio un’interruzione ciclica per poi riprendere più lento dal 2010 in avanti.
L’effetto combinato del rialzo degli utili e del ribasso dei multipli è stato in questi dieci anni una borsa che non si è mossa (o che si è mossa tornando al punto di partenza). Se il fenomeno, al di là dei movimenti ciclici di questo biennio, dovesse proseguire negli anni Dieci, portando i multipli da anormalmente alti ad anormalmente bassi, avremmo un decennio e mezzo di correzione senza ribasso dopo tre decenni di bull market.
In altre parole, sulle borse è bene pensare in bianco e in nero da una parte e agire in grigio dall’altra. La traduzione pratica è che non bisogna troppo lasciarsi trascinare da paure di crolli o da speranze di forti bull market ma agire come si agisce in un trading range, comprando nella parte bassa e vendendo nella parte alta.
Un’esogena importante in questo biennio è stata, è e continuerà ad essere il petrolio. Anche qui circolano teorie a tinte forti, insieme a qualche sciocchezza. Tra le sciocchezze mettiamo ad esempio le interpretazioni prevalenti nel dibattito politico tedesco, dove il principale imputato del rialzo sono gli hedge fund, oppure le tesi che prevalgono nell’opinione pubblica americana, che incolpa il Congresso e le società petrolifere.
Tra le tesi forti più degne di considerazione ce ne sono di rialziste e di ribassiste. La tesi di base rialzista più forte è che il petrolio sta iniziando a finire. Questo è un truismo. Il petrolio ha iniziato a finire il giorno in cui i Babilonesi ne hanno usato una piccola quantità per asfaltare una strada. E’ come dire che la vita inzia ad avviarsi verso la sua conclusione un attimo dopo il concepimento.
Fino a oggi abbiamo usato metà del petrolio conosciuto. In realtà si può stare certi che se ne scoprirà dell’altro, forse altrettanto (anche se d’altra parte la domanda globale di energia è avviata a crescere aggressivamente). Nel mondo concreto, in ogni caso, agli effetti pratici non è vero che il petrolio stia finendo. La scadenza trattata più lontana è il 2016 e possiamo stare sicuri che per quella data il petrolio non sarà finito.
Un argomento forte dei ribassisti è che questo è uno spike e che presto si tornerà nell’alveo dei prezzi medi di lungo periodo, orientati al rialzo ma in modo moderato. Una versione interessante che tenta una sintesi è quella di GaveKal. E’ vero, si dice, che siamo in peak oil, ma lo eravamo e sapevamo di esserlo anche un anno fa, quando il greggio costava la metà. A questo punto, prosegue il ragionamento, che il greggio costi 50, 100 o 200 dollari non dipende tanto dai flussi abbastanza stabili di domanda e offerta quanto dalla disponibilità di credito da una parte e dalla riflessività del mercato dall’altra.

Se la disponibilità di credito scenderà, si conclude, la riflessività agirà verso il basso e riporterà il greggio sotto i 100 dollari. C’è del vero in questa tesi. Dopo tutto negli ultimi sette giorni siamo passati da 125 a 135 solo perché T. Boone Pickens (che sui mercati conta spesso di più di Opec, Iea e Aie messe assieme) si è dichiarato rialzista.
Tuttavia, per quanto sia innegabile la presenza di rumore nelle quotazioni e per quanto la loro volatilità esasperata sia un segno della confusione di questa fase, è altrettanto vero che ci sono due semplici fatti che depongono a favore di un petrolio sopra i 100 dollari.
Il primo è che i tre quarti dell’offerta marginale vengono dal non convenzionale, cioè dalle sabbie del Canada, del Venezuela e, fra poco, del Congo. I costi del non convenzionale sono molto alti e in rapida crescita. Sotto i 100 dollari molti progetti cesserebbero di essere economici. Il secondo è che un terzo della crescita dell’offerta (quella poca che c’è) viene assorbito dalla domanda voracissima dei paesi produttori stessi. Sul gas naturale, che ha una dinamica affine, i paesi del Golfo, con l’eccezione del Qatar, stanno diventando tutti importatori netti.
Per quanto fermamente convinti del bull market strutturale del greggio per i prossimi due decenni, saremmo comunque perplessi di fronte a uno spike a 200 dollari. Nelle condizioni attuali, per questo biennio, un range tra i 100 e i 150 ci sembra più verosimile.
Un range di questo tipo, pur ampio e tale da avere molta influenza sulle tendenze di breve delle borse, non sarebbe tale da mettere in discussione né il quadro macro né la tenuta dei mercati. Assumendo queste ipotesi, come sintesi operativa, ribadiamo qunto scritto la settimana scorsa.
Siamo in una fase di moderata correzione dopo le dieci settimane di recupero successive a Bear Stearns. Questa fase può prolungarsi ancora qualche settimana e coincidere con l’arrivo di dati che confermano il rallentamento ciclico globale iniziato in marzo. I primi dati di questa serie non sono così negativi, ma non c’è da contare troppo su una tenuta. In aprile e maggio il mondo, con l’eccezione cinese, non è cresciuto e si è praticamente fermato.
Da giugno in avanti, con l’entrata in circolo dei rimborsi fiscali americani, la crescita riprenderà. I dati di conferma arriveranno ai mercati da luglio. La ripresa, anche se solo fino a fine anno, avrà sui mercati un effetto superiore all’effetto negativo della discesa ulteriore dei prezzi delle case. Verso fine anno, però, gli effetti positivi gradualmente cesseranno e le case continueranno invece a scendere.

 

Fonte - Il Rosso e il Nero

 

 

 
 

Borsa: NY CALO CON FINANZIARI, LEHMAN SCENDE A MINIMI 2003

03 Giugno 2008 22:39 NEW YORK - di ANSA
______________________________________________

(ANSA) - NEW YORK, 3 giu - Lehman Brothers affossa Wall Street che chiude in negativo per la seconda seduta consecutiva. I timori che la banca d'affari possa essere costretta a un aumento di capitale per far fronte alla prima perdita trimestrale dal suo sbarco in borsa, hanno pesato sugli indici: il Dow Jones è calato dello 0,82% a 12.400,74 punti, il Nasdaq ha ceduto lo 0,44% a 2.480,48 punti, mentre lo S&P 500 è arretrato dello 0,59% a 1.377,51 punti. Le parole del presidente della Fed, Ben Bernanke, e l'inaspettato aumento degli ordinativi industriali sembravano, insieme al calo del petrolio, aver dato una spinta a Wall Street. Poi però le preoccupazioni per la crisi del credito hanno preso il sopravvento, con gli indici arrivati a cedere oltre l'1%. Il comunicato diffusa a giornata avanzata da Lehman Brothers ha smorzato in parte le tensioni, consentendo agli indici di ridurre le perdite. Il downgrade di Standard & Poor's e le indiscrezioni su un possibile aumento di capitale da 4 miliardi hanno fatto sprofondare Lehman, che ha chiuso ai minimi degli ultimi cinque anni, -9,40% a 30,65 dollari. Le indiscrezioni su Lehman hanno pesato sull'intero comparto finanziario: Wachovia è arretrata del 6,28% a 21,93 dollari, Washington Mutual del 3,00% a 8,73 dollari e Merrill Lynch -1,81% a 41,85 dollari. Più contenute le flessioni di Citigroup e Bank of America che hanno lasciato sul terreno rispettivamente lo 0,42% a 21,37 dollari e lo 0,80% a 33,31 dollari. Il mercato premia General Motors e il piano per andare incontro alle nuove esigenze dei consumatori: il titolo sale dello 0,92% a 7,60 dollari, dopo essere arrivato a guadagnare oltre il 4% nel corso degli scambi. La casa automobilistica ha varato una riorganizzazione che prevede la chiusura di quattro stabilimenti in Nordamerica, da cui dovrebbe derivare risparmi per un miliardo di dollari, e deciso di cambiare strategia puntando su auto più piccole. Sale anche Ford (+0,30% a 6,66 dollari). (ANSA).
 

Fonte - ANSA

 

 

 

Lehman Bloodbath day - yet again

Tuesday, 3 June, 2008 - di John Christian Falkenberg
______________________________________________

Chi ha detto che la crisi era finita? L’altro ieri, la monoline Ambac ha annunciato di avere di fatto già bruciato l’aumento di capitale del mese scorso. Nulla è accaduto. Oggi, Lehman Brothers ha perso sino al 12 percento sulla scia di un reportage che la darebbe vicina ad un nuovo aumento di capitale, per fronteggiare la difficoltà nello sbarazzarsi della montagna di asset legati ai mutui all’edilizia commerciale. L’effetto sulle Borse è stato notevole, questa volta.
Se Lehman è stata il detonatore, il malessere non è limitato al solo comparto azionario: anche oro e petrolio sono in netto calo, mentre i titoli di Stato a lunga rimangono a malapena stabili. Potrebbe trattarsi di un semplice strascico della crisi dei mutui, ma al secondo giorno di ribasso pesante delle Borse USA, è probabile che chi pensava che il peggio fosse passato debba avere ancora una certa pazienza.
Sino a quando il sistema finanziario non si sarà ripreso, inutile sperare che ogni rialzo di Borsa sia più che un fuoco di paglia, né che una ripresa economica sia poco di più di pochi punti decimali sopra la stagnazione: senza un sistema finanziario e dei pagamenti in efficienza, senza credito, non esiste leva per gli investimenti, non esiste rete di protezione nei confronti della poca liquidità e della necessità di capitale circolante.
Sena contare le problematiche legate all’inflazione: il petrolio potrebbe anche scendere, ma l’isteresi inflazionistica è un fenomeno ben documentato e molto pericoloso, di cui si sono già viste le avvisaglie: le aspettative di rialzo dei prezzi stanno aumentando e rischiano di innescare un circolo vizioso indipendentemente o quasi dall’andamento dei prezzi delle materie prime. Quando le aspettative di inflazione futura sono alte, infatti, ogni operatore cercherà a sua volta di aumentare i prezzi dei propri prodotti o aumentando le proprie pretese salariali, provocando una ulteriore previsione di aumento dell’inflzione.
 
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

  Mercoledì 11 giugno 2008   Giovedì 12 giugno 2008   Venerdì 13 giugno 2008  
       
..... Scarica in formato PDF ..... Scarica in formato PDF ..... Scarica in formato PDF .....

 

 

 

  Bond, la cura chiude il rubinetto delle emissioni

09 Giugno 2008 14:44 MILANO - di Marco Caprotti

________________________________________

C’è bonaccia sul mercato obbligazionario internazionale. L’indice Lehman Brothers Global Aggregate nell’ultimo mese (fino al 9 giugno e calcolato in euro) ha perso quasi il 2%. E’ vero che gli ultimi dati macroeconomici (soprattutto quelli sulla disoccupazione Usa ai massimi dal 2003) stanno spingendo gli investitori verso questo asset di investimento considerato sicuro, dicono gli analisti. Ma è anche vero che negli ultimi mesi è diminuita l’offerta.
La conferma arriva da uno studio appena pubblicato dalla Bank for International Settlement (Bis, l’organizzazione che svolge il ruolo di “banca delle banche centrali”) nel suo bollettino trimestrale, secondo cui il comparto internazionale del debito, da gennaio a marzo 2008 è rimasto stagnante. “L’emissione di bond è scesa del 26% arrivando a 360 miliardi di dollari, al di sotto del livello registrato nel terzo trimestre del 2007, quando la crisi dei mercati ha iniziato a farsi sentire”, spiega lo studio della Bis. “Detto questo, ci sono stati anche segni di recupero nei segmenti delle obbligazioni investment grade”.
Il calo delle emissioni, nei Paesi sviluppati, si è avuto principalmente per i titoli denominati in euro che avevano mostrato un rimbalzo alla fine del 2007. Nei primi tre mesi di quest’anno si sono dimezzate arrivando a 105 miliardi di dollari. Il declino più evidente è stato osservato in Spagna, seguita da Irlanda e Francia. “In questi Paesi la discesa riguarda soprattutto le istituzioni private ed è legata probabilmente alla crisi dell’immobiliare”, continua lo studio della Bis.
La stagnazione, tuttavia, si è fatta sentire anche su strumenti denominati in altre valute. Le emissioni di bond in dollari sono passata da 204 a 189 miliardi, mentre quelle in yen (da parte di società giapponesi) sono scese da 16 a 6 miliardi. Nello stesso tempo il collocamento di obbligazioni denominate in valuta giapponese sul mercato del Sol levante da parte di aziende straniere (i cosiddetti Samurai bond) sono passate da 5 a 7 miliardi.
Spaccando il dato a livello settoriale, si nota che la diminuzione maggiore è stata registrata dalle istituzioni finanziarie (da 348 a 239 miliardi) e dagli emittenti corporate (da 85 a 54 miliardi). Per quanto riguarda la qualità del credito c’è una chiara divergenza fra le emissioni investment grade e non investment grade. Le prime sono salite da 548 a 778 miliardi (426 miliardi per le AAA, il 59% in più rispetto alla media degli ultimi cinque anni fino al 2007). Le seconde sono scese a 2 miliardi: un livello che non si vedeva da quarto trimestre del 2002.
Nei Paesi in via di sviluppo l’emissione di obbligazioni nel primo trimestre di quest’anno è andata in territorio negativo. La discesa è coincisa con un allargamento degli spread che si erano ristretti alla fine del 2007. Il declino è stato particolarmente accentuato in America latina, Africa e Medio Oriente.
Dal punto di vista operativo Richard Woolnough gestore di M&G Optimal Income consiglia di puntare sulle obbligazioni corporate investment grade. “Oggi sono molto interessanti”, spiega in una nota. “Innanzitutto dovrebbero beneficiare dal calo dei tassi di interesse e, in secondo luogo, l’extra-rendimento che offrono rispetto ai titoli di stato è quasi senza precedenti. Sono un po’ più cauto per quanto riguarda i bond high yield, che non stanno ancora prezzando le minacce di una recessione. Tuttavia, stanno emergendo alcune aree di valore anche nel settore degli high yield”.
 
 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

INDIA E cINA sono la zavorra dell'Asia

11/06/2008 14.36 - di Marco Caprotti
______________________________________________

Cina e India stanno pesando sull’andamento della regione asiatica (Giappone escluso). E sui fondi specializzati in quell’area. Nell’ultimo mese (fino al 10 giugno e calcolato in euro), l’indice Msci di riferimento ha perso circa il 5,3%. I due Paesi, spiegano gli analisti, sono stati fra i peggiori performer dell’Asia a partire da novembre dell’anno scorso, quando la crisi scatenata dai mutui americani subprime (quelli di scarsa qualità) si è trasformata in una correzione dell’azionario a livello globale.
Un brutto colpo, soprattutto per quegli investitori che si erano esposti in maniera significativa su quei mercati, credendo che le zone emergenti (India e Cina in particolare) avrebbero mantenuto un po’ della loro forza nonostante il rallentamento dell’economia globale. I fondi raccolti nella categoria Morningstar Asia Pacifico ex Giappone, a livello globale, dai picchi toccati a novembre dell’anno scorso hanno registrato (fino al 31 maggio) un crollo medio del 14,4%, facendo peggio di quelli specializzati su Stati Uniti ed Europa. “Questa debolezza è dovuta principalmente all’aura negativa che ha condizionato i mercati azionari mondiali e alla paura degli investitori che il rallentamento dell’economia americana portasse il resto del mondo a una recessione”, spiega Ash Kumar, analista di Morningstar. “Ma è anche attribuibile a fattori specifici dei singoli Paesi”. Gli economisti, per esempio, scommettono su una possibile stretta monetaria da parte della Reserve Bank of India per contenere l’inflazione derivante dalla corsa delle materie prime. “Questo può coincidere con il rallentamento dell’economia del Paese che quest’anno potrebbe crescere del 7,5% contro il 9% circa registrato in passato”.
L’effetto negativo dei giganti asiatici sui fondi dell’area diventa ancora più evidente se si osservano le composizioni dei portafogli negli ultimi sette mesi. Gli strumenti che stanno andando male (e sono quindi nell’ultimo quartile) hanno un’esposizione nei confronti della Cina doppia rispetto a quelli che si trovano nel primo quartile. Lo stesso discorso vale per chi investe in India. Una ulteriore conferma arriva guardando l’andamento degli indici di riferimento. Gli Msci China e India, che hanno toccato i massimi a ottobre 2007, da allora sono scesi rispettivamente del 27,2% e 19,3% in euro. I fondi raccolti nelle categorie Morningstar Cina e India, a livello globale, hanno lasciato per strada il 25,2% e il 19,4%. Per avere un’idea dell’ampiezza di questo declino basta vedere cosa avevano fatto da marzo 2003, quando il precedente mercato Orso era terminato, fino a ottobre dell’anno scorso: +44,1% e +40,7% (annualizzati).
“Il cattivo andamento nel breve termine probabilmente si spiega con la fiducia che i gestori danno alla regione asiatica nel lungo”, continua Kumar. “Non a caso continuano ad aumentare gli investimenti su Cina e India a spese di Hong Kong”. Secondo l’analista l’esposizione sui due Paesi è ai massimi storici ed è il risultato della debolezza di quei mercati negli ultimi sette mesi.
Visto con gli occhiali degli investitori privati, l’andamento dell’area dimostra che non può essere considerata un porto sicuro nei momenti di turbolenza dei mercati. “Questo non significa che le due economie non abbiano forti potenzialità future e una buona capacità di diversificazione”, precisa Kumar. “Noi crediamo che le abbiano e per questo comprendiamo perché i gestori si stanno sbilanciando. Tuttavia suggeriamo agli investitori di capire bene quanta parte del portafoglio è investita in maniera diretta e indiretta su questi due Paesi. I titoli delle risorse energetiche, per esempio, sono legati a filo doppio alle prospettive di crescita di India e Cina. L’aumento del prezzo del petrolio potrebbe bloccarsi improvvisamente se l’appetito dei due giganti dovesse passare. Il nostro consiglio è quello di investire in un fondo che abbia una buona diversificazioni su tutti i Paesi della regione”.
 

Fonte - MorningStar.ir

 

 

India: INFLAZIONE VOLA SOPRA 11%, MASSIMI DA 13 ANNI

20 Giugno 2008 12:42 NEW DELHI - di ANSA
_____________________________

(ANSA) - NEW DELHI, 20 GIU - L'inflazione in India ha raggiunto il suo tetto più alto degli ultimi tredici anni. In base ai dati comunicati oggi dal Ministero del Commercio e dell'Industria, l'inflazione ha toccato, nella settimana terminata il 7 giugno, l'11,05%. Si tratta del livello più alto dal 6 maggio 1995, quando si arrivò all'11,11%. In pochi giorni si è registrato un aumento notevolissimo. Solo la settimana precedente il tasso era stato dell'8,75%. L'incremento del prezzo del petrolio, che ha comportato aumenti per la benzina, il diesel e il gas da cucina, è considerato il principale responsabile di questo forte balzo in avanti del livello di inflazione. Pochi minuti dopo che il tasso di inflazione è stato reso noto, il Sensex, l'indice della Borsa di Mumbai, è crollato di 350 punti, riflettendo la sfiducia degli investitori sull'efficacia delle misure adottate dal Ministero delle Finanze e della Reserve Bank of India per contenere l'inflazione.(ANSA).
 

 

 

CINA: AUMENTATO PREZZO BENZINA, LA BORSA SI RIPRENDE

20 Giugno 2008 09:48 PECHINO - di ANSA
__________________________

(ANSA) - PECHINO, 20 GIU - La benzina e il diesel costeranno da oggi in Cina rispettivamente 0,8 yuan (0,07 euro) e 0,92 (0,08 euro) in più al litro. Per il cherosene utilizzato nel trasporto aereo l' aumento sarà di 1.500 yuan (140 euro) a tonnellata, mentre rimarranno invariati i prezzi del gpl (gas di petrolio liquefatto) e del gas naturale. Lo ha annunciato la Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo. Il rialzo del prezzo dei derivati del petrolio è stato accolto con favore dalla Borsa di Shanghai, che ha interrotto un lungo periodo negativo facendo registrare un rialzo del 4,75 per cento. Le misure - le prime da otto mesi a questa parte - riflettono la necessità di adeguare i prezzi al consumo alle impennate del greggio (oltre 130 dollari al barile) e di tamponare le pressioni inflazionistiche. Secondo quanto riportato dalla stampa locale, la mossa del governo è soprattutto mirata a fronteggiare le ingenti perdite subite negli ultimi mesi dalle compagnie petrolifere domestiche, che sono tra quelle preferite dagli investitori cinesi. Sono compagnie statali e la politica di sussidi pubblici provoca loro gravi perdite, perché devono comprare ai crescenti prezzi internazionali e vendere ai prezzi artificialmente bassi imposti dallo Stato. Con il rialzo dei prezzi, le loro prospettive migliorano. Dal prossimo primo luglio è previsto anche un rincaro delle tariffe elettriche pari a 0,025 yuan per chilowattora, con alcune eccezioni che riguardano soprattutto le attività agricole, mentre il prezzo del carbone sarà temporaneamente sottoposto al controllo delle autorità. (ANSA).
 

 

 

 

  Gestori più liquidi

12/06/2008 16.00 - di Sara Silano

________________________________________

I portafogli dei gestori diventano più liquidi a discapito di azioni e obbligazioni. Secondo l’ultimo sondaggio condotto da Morningstar tra le principali società di gestione, italiane ed estere, nei fondi bilanciati il cash è in media del 25%, con punte del 60%. Per tutti gli intervistati, la preoccupazione principale è rappresentata dal rallentamento economico, che dagli Stati Uniti è arrivato in Europa.

Il prezzo dell’euro forte
La percentuale di gestori ottimisti sulle Borse europee è scesa ai minimi da oltre un anno e mezzo, passando dal 30% di maggio al 25%. E’ aumentato, invece, il numero di coloro che prevedono una stabilità attorno agli attuali livelli (45,8%) nei prossimi sei mesi, mentre i pessimisti sono rimasti invariati. Nel Vecchio continente, l’euro forte pesa sulla competitività e sugli utili delle imprese, con effetti che si cominciano a vedere appena ora. Inoltre, i prezzi più elevati di alimentari ed energia erodono il potere di acquisto dei consumatori e la politica monetaria, tra le più restrittive nei Paesi sviluppati, non stimola l’economia in sofferenza. Secondo molti fund manager, le stime sui profitti continuano a rimanere troppo alte e dovranno necessariamente essere riviste al ribasso. Per questo motivo l’area è sottopesata, anche se non viene esclusa una possibilità di ripresa dei listini nella seconda parte del 2008.

Piazza Affari a rischio rialzo dei tassi
L’S&P/Mib è stato uno degli indici europei peggiori da inizio anno, a causa soprattutto del peso del settore finanziario. Un ulteriore colpo potrebbe arrivare dall’aumento dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea, che si somma alla debolezza dell’economia. Per queste ragioni il 47% dei gestori prevede un calo del listino milanese nei prossimi sei mesi, contro il 31,6% che si aspetta un incremento. La preferenza è accordata ai titoli difensivi, i cui utili sono scollegati dall’andamento del ciclo e che possono proteggere dall’aumento dell’inflazione.

Usa, ancora timori di recessione
Il sentiment sul mercato americano è alterno. A maggio, la percentuale degli ottimisti era salita al 55% perché la Federal Reserve aveva dato fiducia a Wall Street con il salvataggio di Bear Sterns. Nell’ultimo mese sono riemerse le preoccupazioni per il rallentamento dell’economia a causa dei deboli dati sull’occupazione, della fragilità del settore immobiliare, degli alti costi dei beni alimentari e dell’energia che rischiano di annullare i benefici delle agevolazioni fiscali. I gestori che si attendono un rialzo della Borsa americana sono, quindi, scesi al 45,8% a giugno, mentre coloro che prevedono un ribasso sono saliti sopra il 30%. Tra gli intervistati i pareri non sono unanimi sul fatto che il minimo della congiuntura sia stato raggiunto e sulla durata degli effetti della crisi: secondo alcuni sarà pluriennale; secondo altri limitata.

Qualche spiraglio in Giappone
I timori di inflazione e di un rallentamento globale ostacolano i tentativi di rimbalzo della Borsa di Tokyo. I gestori, però, cercano di cogliere i segnali positivi che si sono manifestati negli ultimi mesi, in particolare i crescenti flussi di denaro provenienti dal Medio Oriente e dagli Stati Uniti e il minor impatto del rincaro del petrolio, conseguente a un uso più efficiente di questa risorsa rispetto ad altre regioni. A giugno, la percentuale di ottimisti è cresciuta, passando dal 50% di maggio al 62,5%, mentre i pessimisti sono rimasti sui medesimi livelli. Questi ultimi sostengono che la sovra-performance del Topix rispetto all’indice mondiale a partire da marzo è dovuta principalmente ai riacquisti di azioni da parte delle aziende, alla crescita dei dividendi e ai bassi tassi di interesse, mentre lo scenario generale non è molto diverso da quello dei mercati occidentali.
 

Bond europei tra forze opposte
Nel discorso del 5 giugno, il presidente della Banca centrale europea ha aperto la strada a un possibile rialzo dei tassi a luglio. Resta, però, difficile definire un livello appropriato per i saggi di riferimento, spinti da due forze opposte (crescita economica e inflazione), per cui i gestori prevedono forti oscillazioni sul mercato obbligazionario. E’ possibile che i prezzi scendano nel breve per effetto della stretta, ma potrebbero risalire se il rallentamento congiunturale raffredderà l’inflazione. Il 50% degli intervistati prevede che le quotazioni rimarranno attorno agli attuali livelli nei prossimi sei mesi, mentre il 41,7% stima una discesa. La maggior parte, inoltre, dichiara di voler mantenere bassa la duration.

Il reddito fisso Usa sta alla finestra
Dopo la forte correzione del mercato obbligazionario americano, alcuni gestori hanno cambiato il loro giudizio sui titoli governativi da negativo a neutrale. Per decidere le mosse future, tuttavia, i fund manager attendono di capire quali saranno le prossime mosse di politica monetaria, la durata della crisi economica e l’andamento dell’inflazione. La maggior parte degli intervistati, comunque, è convinta che i prezzi scenderanno, a fronte di un rialzo dei rendimenti, e solo il 12,5% prevede un incremento.

Più chance per il dollaro
Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, l’euro ha recuperato rispetto al biglietto verde, successivamente, però, si è nuovamente indebolito portandosi intorno a quota 1,53. Per il 65% dei gestori il dollaro si apprezzerà nei prossimi sei mesi contro il 4% che stima un indebolimento. Le ragioni sono diverse: il ritorno verso la normalità della politica monetaria americana, il rallentamento dell’economia europea, che dovrebbe stemperare le tensioni sui prezzi, la convinzione della Federal Reserve e del governo americano che la valuta debba stabilizzarsi per contrastare l’aumento dell’inflazione. Gran parte degli intervistati è convinto che nel giro di dodici mesi, il rapporto tra le due divise si assesti sotto quota 1,5.

Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra il 3 e il 10 giugno, 24 delle principali società di diritto italiano ed estero operanti sul territorio, che contano per circa l’80% degli asset gestiti in Italia. Si tratta di Aberdeen Am, Aletti Gestielle, American Express, Anima Sgr, Axa Im, Banca Profilo, Bnp Paribas Am, Clariden Leu, East Capital, Eurizon Capital, Euromobiliare Am, Fideuram asset management, Ing Im, Investitori, JC&Associati, Julius Baer, Maxos, MC Gestioni, Mps Am,, Pioneer Im, Sella gestioni, Sgam, Total Return, Vontobel.

 

Fonte - MorningStar.it

 
 

 

 

Chi si salva dall’effetto-gregge

20/06/2008 14.28 - di Sara Silano
______________________________________________

Quando i mercati sono in ansia, il freddo “cervello” del computer può potenzialmente dare risultati migliori della mente umana emotivamente più sensibile agli umori delle Borse. Nell’ultimo anno, però, non è stato così e un primo assaggio del cambiamento si è avuto l’estate scorsa con l’esplosione della crisi dei mutui subprime. A pagare il prezzo più alto sono stati i fondi cosiddetti 130/30, che, impiegando modelli quantitativi, assumono posizioni lunghe sui titoli che ritengono possano salire e corte su quelli che pensano possano scendere.
Secondo un recente studio del Cfa Institute tra 31 società di gestione europee e statunitensi, agenzie di rating dei fondi e altri esperti del settore, il fenomeno si spiega con la sempre maggiore correlazione tra i mercati, la rotazione dei portafogli e, soprattutto, il crescente numero di operatori che adottano metodi matematico-statistici fattoriali, poco differenti tra loro e basati sugli stessi dati per la selezione dei titoli.
In altre parole, se tutti si muovono nella stessa direzione è difficile generare extra-rendimenti. Come ha commentato ironicamente Larry Siegel, direttore della Fondazione per la ricerca del Cfa Institute, “una strategia studiata per evitare l’effetto-gregge degli analisti fondamentali, ha finito per creare a sua volta un comportamento analogo”. La questione è delicata, perché è proprio sulla capacità di generare Alfa, ossia valore aggiunto in termini di performance e controllo del rischio, che si misura la bontà di un modello.
I tre quarti dei partecipanti allo studio del Cfa Institute, hanno ammesso che è sempre più difficile trovare opportunità di profitto per un gestore azionario perché i modelli giungono spesso alle medesime conclusioni. La sfida, dunque, è quella di avere più informazioni “esclusive”. Per questa ragione, molte società di gestione hanno cominciato a considerare una strategia ibrida che combina l’approccio fondamentale, basato sulla conoscenza approfondita di un settore o un titolo, con quello quantitativo, più rigoroso perché matematico-statistico.
E’ troppo presto, però, per dire se saranno celebrate le nozze tra i due metodi, anche perché i sostenitori del quantitativo puro sono riluttanti ad accettare qualsiasi forma di commistione, preferendo investire sulla ricerca di modelli più sofisticati, che tengano conto della complessità dei mercati.
Negli ultimi anni, la crescita dell’impiego delle metodologie quantitative è stata esponenziale. Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, il numero di membri dell’indice Barclay sistematic trader index (che comprende i fondi alternativi gestiti almeno per il 95% con modelli matematici) è passato da 390 a 434. E il trend è destinato a continuare. La crisi dell’estate scorsa, però, ha dato a tutti la consapevolezza che non è possibile non tenere conto dei mercati che cambiano e degli attori che si moltiplicano. Per questo motivo, secondo i gestori, un fattore discriminante delle società di successo sarà l’abilità nello sviluppare i sistemi e, di conseguenza, sulla capacità di trovare le persone con le competenze per farlo.
 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

  Sabato 14 giugno 2008   Domenica 15 giugno 2008   Martedì 17 giugno 2008  
       
..... Scarica in formato PDF ..... Scarica in formato PDF ..... Scarica in formato PDF .....

 

 

 

  Giallo a Wall Street: ex re degli hedge fund fugge con i soldi dei clienti

16 Giugno 2008 16:50 NEW YORK - di WSI

________________________________________

La polizia federale americana ha lanciato la più imponente caccia all'uomo che si ricordi per uno scandalo finanziario: l'Fbi, gli Us Marshals (gli agenti federali specializzati nei grandi latitanti) l'Interpol e la polizia di mezzo mondo stanno dando infatti la caccia a Samuel Israel III, ex re degli hedge fund di Manhattan, fondatore di uno tra i fondi speculativi più noti, il Bayou Management, sospettato di essere fuggito con diverse centinaia di milioni di dollari. Sulla testa dell'ex trader 48enne, figlio di una facoltosa famiglia della Louisiana e considerato uno dei geni della finanza creativa, pesa una condanna a 20 anni di carcere per aver fatto sparire dal fondo, oggi defunto, quasi 500 milioni di dollari dei propri clienti.
Solo che oltre ai soldi, da circa tre giorni è sparito anche lui, con una messinscena in stile hollywoodiano che fa passare in secondo piano il caso di Jerome Kerviel, il trader francese accusato di un buco da 5 miliardi di euro a SocGen e trovato dalla gendarmerie in casa sua alla periferia di Parigi.
Il giallo finanziario che sta animando Wall Street e ha messo in allarme gli agenti federali e gli inquirenti internazionali è iniziato lunedì scorso, quando Israel avrebbe dovuto presentarsi davanti alle autorità per scontare una pena di 20 anni in carcere per appropriazione indebita e altri reati finanziari. Dopo aver salutato la compagna ad Armonk, cittadina a un'ora da New York, è salito in macchina, ma in Massachussets, dove era atteso, non è mai arrivato. Di lui nessuna traccia: la sua vettura è stata trovata lunedì pomeriggio a Bear Mountain, zona di boschi e laghi frequentata da cacciatori nella parte settentrionale dello stato di New York. Nell'auto gli investigatori hanno trovato un messaggio che recita «suicide is painless», il suicidio non dà dolore, una frase tratta dalla sigla di una celebre serie tv americana, «M.a.s.h.».
E qui comincia il mistero: perché il tutto farebbe pensare un suicidio, a partire dal luogo, un ponte sull'Hudson River dove negli ultimi 28 anni si sono registrati 40 casi di persone che si sono tolte la vita gettandosi nel fiume. Ma il corpo di Israel non si trova e, quasi a sfida beffarda verso gli investigatori, la canzone a cui fa riferimento il messaggio compare in un episodio della serie tv dove va in scena proprio un finto suicidio. Lo scandalo del fondo Bayou risale a tre anni fa, quando nell'estate del 2005 l'hedge newyorchese chiuse improvvisamente i battenti con in portafoglio 400 milioni di asset. All'epoca Israel giustificò la chiusura motivandola con la volontà di stare vicino ai figli dopo il divorzio e rassicurò che il fondo non era insolvente. Ma le cose non stavano così e la Sec aprì un'indagine.
Nell'autunno del 2005 il finanziere si dichiarò colpevole di associazione a delinquere e frode finanziaria e lo scorso aprile è stato definitivamente condannato a 20 anni di carcere. Fino a lunedì, però, Israel era rimastoa piede libero dietro pagamento di riscatto e per la collaborazione offerta nel tentativo di recuperare parte delle somme del fondo (a oggi sono stati ritrovati 100 milioni). Morte o fuga abilmente orchestrata, dunque? Nessuno lo sa, per ora. Pattuglie di agenti stanno perlustrando l'Hudson River in cerca del presunto cadavere di Israel ma, data la portata del fiume, è come cercare un ago in un pagliaio;nel frattempo foto segnaletiche dell'ex trader sono state inviate agli uffici della polizia di tutto il mondo.
Finti suicidi e messinscene hanno scandito la storia del crack di Bayou: due anni dopo la nascita del fondo, nel 1996, Israel e soci crearono una società di revisione fantasma per certificare falsi rendiconti finanziari. Di certo Israel si è rilevato il più spregiudicato fra i suoi soci: il compagno d'affari Daniele Marino, che per l'anagrafe Usa è Daniel E. Marino, è da tempo in prigione dopo essersi dichiarato anche lui colpevole e condannato a 20 anni. Pure Marino, però, aveva lasciato un messaggio negli uffici del fondo in cui annunciava il suo suicidio. E la storia recente dei fallimenti degli hedge fund è piena di misteriose scomparse: due anni fa la polizia ha rintracciato tale Kirk Wright, un finanziere che era apparentemente scomparso dopo il collasso del suo hedge fund, costato 150 milioni ai risparmiatori. E lo scorso autunno un altro gestore di fondi speculativi finito in crisi, Angelo Haligiannis, è stato arrestato in un lussuoso resort di Creta, dopo essere scappato da New York nel 2006.
 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

 

RETATA FBI A WALL STREET PER I MUTUI SUBPRIME

19 Giugno 2008 21:22 NEW YORK - di WSI
______________________________________________

Frode, complotto e insider trading. Con queste accuse l'Fbi ha arrestato due manager di Bear Stearns, insieme a 60 altre persone, incriminandone un totale di 406 in quella che appare come una vera e propria retata a Wall Street, nata dalla crisi dei mutui subprime.
Cento giorni. Nella rete dell'operation malicious mortgages, avviata il 1 marzo e durata più di cento giorni, sono finiti Ralph Ciotti e Matthew Tannin, manager di hedge fund falliti che facevano capo a Bear Stearns, prelevati dalle rispettive abitazioni a Manhattan e nel New Jersey. Come annunciato dal direttore dell'Fbi Robert Mueller, in una conferenza stampa al dipartimento di Giustizia, dovranno rispondere del fallimento dei fondi speculativi che hanno acceso la miccia della crisi subprime. Su Ciotti e Tannin pesa l'accusa di inganno a scapito degli investitori: i due ex manager erano perfettamente al corrente del cattivo stato di salute dei fondi, anche se pubblicamente affermavano il contrario rassicurando e allo stesso tempo ingannando gli investitori, causando così perdite stimate per il momento intorno al miliardo di dollari.
Inchiodati dalle e-mail. A inchiodare Ciotti e Tannin sarebbe uno scambio di e-mail: Tannin dal suo indirizzo privato proponeva a Ciotti di discutere della chiusura degli hedge fund. Cioffi accettava invitandolo nella sua casa in New Jersey. Ambedue erano a conoscenza delle difficoltà dei fondi ma, nonostante questo, quattro giorni dopo, nel corso di una conference call, Cioffi, pur dichiarando che i risultati dei fondi speculativi erano in calo, constatava apertamente che non c'erano problemi di liquidità e che il portafoglio titoli era solido. Il fallimento dei fondi è costato agli investitori 1,6 miliardi di dollari.
Preda facile. «Il suo fondo è stato il primo a fallire e questo lo rende una preda facile, ma non significa che abbia fatto qualcosa di sbagliato», spiega l'avvocato di Cioffi, Edward Little, sottolineando che «perdere soldi non è un crimine». «Il mio cliente è innocente ed è il capro espiatorio per un'estesa crisi dei mercati», afferma invece uno dei legali di Tannin, Susan Brune. «C'è molta pressione politica ad andare avanti nelle indagini in questo settore», constata Dan Richman, ex pubblico ministero e ora professore alla Columbia Law School.
Cattiva condotta. Nell'illustrare i risultati preliminari dell'indagine e spiegare le motivazioni alla base dell'arresto di Cioffi e Tannin, le autorità sottolineato che «gli arresti degli ex manager di Bear Stearns forniscono la magnitudine e la grossolanità della loro cattiva condotta. Hanno gravemente violato la fiducia pubblica», tradendo gli investitori. Cioffi e Tannin non sono i primi a scivolare su uno scambio di e-mail: prima di loro si erano cacciati nei guai con la posta elettronica Henry Blodget (Merrill Lynch), Jack Grubman (Citigroup) e Frank Quattrone (Credit Suisse First Boston).
 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

Mutui: MAXI-INDAGINE FBI A UN ANNO DA INIZIO CRISI / ANSA

20 Giugno 2008 01:28 NEW YORK - di ANSA
______________________________________________

(ANSA) - NEW YORK, 20 GIU - A poco più di un anno dallo scoppio della crisi dei mutui subprime, innescata lo scorso luglio dal fallimento di due hedge fund di Bear Stearns, arrivano la maxi indagine federale sulla crisi e i primi arresti, anche eccellenti. Ma nel frattempo le teste cadute a Wall Street a causa dei subprime sono già molte, così come le società che sono state travolte dall'onda lunga della crisi. In manette nelle ultime ore sono finiti proprio i due gestori degli hedge fund di Bears Stearns, Ralph Cioffi e Matthew Tannin, che hanno provocato poi l'effetto domino sul mercato, dichiarando l'avvio della crisi. E quasi in contemporanea con i primi due arresti eccellenti, sui quali gravano - e questa è la novità - accuse penali, il Dipartimento di Giustizia e l'Fbi hanno reso nota la propria maxi-indagine che, apertasi lo scorso marzo, ha già portato alla condanna di 173 persone su 283 arresti e 406 incriminati. Di vittime, negli ultimi dodici mesi, la crisi dei mutui subprime ne ha fatte molte. Fra queste Bear Stearns, la più piccola delle banche d'affari statunitense, sull'orlo del fallimento e salvata in extremis da un'azione congiunta JpMorgan-Fed. Alcuni nomi di primo piano di Wall Street sono stati costretti a cedere i posti di comando, travolti dalle ingenti perdite e svalutazioni ammesse: fra questi Marcel Ospel (Ubs), Charles 'Chuck' Prince (Citigroup) e Stanley O'Neil (Merrill Lynch). Determinante nella crisi il ruolo giocato dalla Fed che, modificando il proprio consueto atteggiamento, è intervenuta massicciamente sia sul mercato (concendendo alle banche d'affari di accedere alla finestra di tasso di sconto) sia a supporto dell'economia (riducendo drasticamente i tassi di interesse al 2%). La crisi e il crollo di Bear Stearns hanno acceso un forte dibattito sulla normativa in vigore negli Usa e soprattutto sul ruolo della Fed, per la quale in molti chiedono più poteri e maggiore accesso alle informazioni delle banche d'affari. Il segretario al Tesoro Usa, Henry Paulson, lo ha ribadito anche nelle ultime ore: alla Fed devono andare più poteri per garantire la stabilità dei mercati. Nelle ultime ore le novità, soprattutto legali, legate alla crisi si sono succedute: - Le autorità newyorkesi arrestano due ex manager di Bear Stearns, accusandoli di frode. I legali di Cioffi e Tannin respingono le accuse ma per i loro assistiti il rischio è di oltre 20 anni di prigione. Tannin, infatti, rischia 20 anni per frode e complotto, mentre Cioffi ne rischia 40 in quanto su di lui grava anche l'accusa di insider trading. - L'Fbi e il Dipartimento di giustizia rendono noti i primi risultati dell'operazione 'malicous mortgage', che dal 1 marzo ha portato all'arresto di 273 persone, di cui oltre 170 già condannate, su 406 incriminanti. Solo nelle ultime 24 ore gli arresti sono stai 60. L'indagine Fbi-Dipartimento di Giustiza non è collegata con quella che ha portato alla cattura dei due ex manager Bear Stearns. - Dibattito in Senat sul piano casa che prevedrebbe la creazione di un fondo da 300 miliardi di dollari. la casa Bianca minaccia il veto sulla proposta.(ANSA).
 

Fonte - ANSA

 

 

Mutui: FBI INDAGA MENTRE UBS CONFESSA MEGA-EVASIONE /ANSA - INCHIESTA SI ESTENDE A MACCHIA D'OLIO IN TUTTI GLI USA

20 Giugno 2008 22:05 NEW YORK - di ANSA
______________________________________________

(ANSA) - NEW YORK, 20 giu - C'é chi si è pagato matrimoni da 1 milione di dollari e chi ha cercato rifugio nelle bellezze tropicali di Samoa: nel mirino dell'indagine dell'Fbi non ci sono solo grandi società e pescecani di Wall Street ma anche 'pesci' più piccoli e organizzazioni criminali attive nel riciclaggio di denaro sporco. Ad arricchire di particolari lo spaccato di un'America in qualche modo 'corrotta' tracciato dalla indagini federali e governative è anche la mega-evasione fiscale orchestrata da alcuni banchieri di Ubs: davanti a un corte della Florida Bradley Birkenfeld, ex banchiere dell'istituto svizzero, ha ammesso di aver preso parte a uno schema che ha consentito ad abbienti americani di evadere tasse per 20 miliardi di dollari. L'indagine dell'Fbi, svelata nelle ultime ore, si estende a macchia d'olio per tutti gli Stati Uniti, anche se la città finora più colpita è Chicago con 67 casi di frode scovati. Non mancano però all'appello Miami, Houston, Los Angeles, New York. A colpire gli agenti federali è il fatto di essersi imbattuti in truffe sui mutui nell'ambito di altro tipo di indagini, quali ad esempio quelle relative allo spaccio di droga e al riciclaggio di denaro. L'ampia portata dell'azione in atto da parte degli investigatori è data anche dal variegato panorama di personaggi coinvolti: se da un lato finiscono in manette due ex manager di Wall Street, dall'altro vengono accusati anche due ex agenti di star, Joseph Babajian e Kyle Grasso, che si sono dichiarati innocenti e che dovranno apparire in tribunale il prossimo ottobre. molti costruttori edili sono finiti nel mirino delle autorità, fra questi Charles Elliot Fitzgerald e Mark Alan Abrams, che hanno ammesso la propria colpevolezza. Fitzegerald, sul quale pende l'accusa di frode per 5 milioni di dollari, aveva lasciato gli Stati Uniti nel 2003 per cercare rifugio a Samos. Le autorità, però sono riuscite a scovarlo e arrestarlo. A far finire dietro le sbarre in North Carolina Joy Jackson e il marito Kurt Fordham è stato il matrimonio da mille e una notte, svoltosi al Myflower Hotel di Washington con 360 invitati e dal costo di circa 1 milione di dollari. Un evento che ha insospettito ancora di più le autorità che già indagavano sulla società che faceva capo a Jackson-Fordham, anche per via del tanto elevato da destare sospetti, tenore di vita della coppia, sulla quale ora grava un'accusa per frode da 35 milioni di dollari. Il ritratto dell'America alle prese con i mutui scattato dall'Fbi è completato nelle ultime ore dalla prima comparizione davanti a un giudice dell'ex banchiere di Ubs, Birkenfeld, che si è dichiarato colpevole, ammettendo di aver fatto parte di uno schema organizzato per aiutare alcuni ricchi americani ad evadere le tasse. In una testimonianza scritta, Birkenfeld racconta che la divisione di private banking di Ubs consigliava ai clienti americani di 'nascondere' denaro e gioielli in cassette di sicurezza svizzere, di acquistare opere d'arte e preziosi tramite conti offshore e di aprire conti sotto falso nome nei paradisi fiscali come la stessa Svizzera, il Liechtnstein, Panama, Hong Kong e Isole Vergini. Ubs, tramite questo servizio, guadagnava annualmente 200 milioni di dollari all'anno, ha confessato Birkenfeld, raccontando di aver accettato in un'occasione di acquistare diamanti per un cliente americano utilizzando fondi svizzeri e di "aver esportato illegalmente le pietre negli Stati Uniti nascondendole in un tubetto di dentifricio". Nell'ambito dell'indagine per evasione fiscale, nella quale è finita Ubs, una delegazione svizzera è in queste ore a Washington per discutere con le autorità americane la domanda di estradizione. (ANSA).
 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

  Prendi i soldi e scappa

23 Giugno 2008 13:28 TORINO - di Fabio Pozzo

________________________________________

La lista degli speculatori truffaldini si allunga. Proprio nella settimana in cui gli agenti dell’Fbi stanno soffiando sulla tela di «Mutuo maligno», l’operazione che ha portato sott’accusa oltre 400 persone e in carcere più di 300, tra le quali anche gli ex top manager di Bern Stars Ralph Cioffi e Mattewh Tannin, la polizia di New York è sulle tracce di Samuel Israel, un trader che è accusato di aver sottratto 450 milioni di dollari a decine di investitori attraverso il suo fondo Bayou Grop.
Israel - abituato a vivere alla grande, tanto da risiedere in una delle ville che furono di Donald Trump, pagando un affitto di 30 mila dollari al mese - ha tentato l’ultima truffa anche ai danni dei detective della Grande Mela. Il 9 giugno scorso doveva presentarsi in un penitenziario del Massachussets, dove avrebbe dovuto scontare la pena di 20 anni di carcere (ne rischiava 30, ma ha avuto lo sconto perché ha collaborato con le autorità). Ma ha preferito inscenare il suicidio: la polizia ha trovato il suo Suv vicino ad un ponte e un biglietto con scritto «il suicidio è indolore». Il suo corpo non è stato trovato, gli agenti non se la sono «bevuta» e lo hanno dichiarato latitante.
Certo, 450 milioni sono poca cosa, volendo, rispetto alla frode da 7,2 miliardi di dollari, 4,9 miliardi di euro contestata a Jérome Kerviel, il trader della seconda banca francese Société Générale, ormai passato alla storia e alla celebrità. Già, Kerviel. Che ne sarà ora del suo futuro? E che cosa ne sarà di quello di tanti altri speculatori che sono in odore di sbarre? Qualche indicazioni potrebbe venire dalla storia personale di altri traders che, prima di loro, sono finiti sotto i riflettori per aver messo sotto i piedi codici deontologici e penali. Un club piuttosto ampio, quanto ad iscritti d’ufficio. Qualcuno, la buona parte, è finito in prigione; altri hanno cambiato decisamente vita; altri ancora, hanno firmato una cambiale con la dea fortuna.

Nick Leeson, per esempio. E’stato uno dei primi trader inglesi a negoziare contratti futures ed altri derivati, le cui azioni provocarono il fallimento della Barings Bank, la più vecchia e una delle più prestigiose banche d’investimento del Regno Unito. Leeson operava (senza l’autorizzazione dei suoi superiori) soprattutto sul mercato monetario di Singapore: cominciò nel 1992 e in principio gli andò bene; quando arrivarono le prime perdite, le registrò segretamente sull’account error 88888 (8 è considerato uno dei numeri fortunati dai cinesi) e le nascose. Il tracollo seguì nel 1995, quando Nick scommise sul rialzo del mercato asiatico, andato in collasso. Non la indovinò e fuggì, lasciandosi dietro le spalle una perdita di 827 milioni di sterline (1,3 miliardi di dollari) e una nota ai suoi superiori. «I’m sorry», mi dispiace.
Arrestato, è stato condannato a sei anni e mezzo di prigione e quindi rimesso in libertà, dopo la diagnosi di un cancro. Ma è stato fortunato: ha vinto la malattia e oggi vive a Galway, sulla costa Ovest dell’Irlanda. E’ general manager della squadra di calcio locale, ha scritto due libri sulla sua avventura, il primo dei quali ha ispirato il film «Rouge Trader», con la star Ewan McGregor. Tiene un regolare circuito di conferenze in giro per il mondo, in cui parla dello stress e dei rischi ai quali sono sottoposti i manager. La tariffa? 12 mila dollari per mezz’ora. E poi scrive articoli per giornali e magazine (mille sterline a pezzo), e ha un Web site attraverso il quale vende i suoi libri, Dvd e servizi. Servizi? racconta alle banche come difendersi da quelli come lui. Ultimamente, in occasione dello scandalo Kerviel, è riuscito anche a piazzare due interviste esclusive a due media inglesi. La Bbc ha ammesso di averlo pagato.

Altri trader sono ancora dietro le sbarre. Come John Rusnak, di Baltimora, che s’è beccato 7 anni e mezzo per il buco di 691 milioni di dollari arrecato alla Allied Irish Banks. O Chen Jiulin, che ha lasciato una perdita di 550 milioni di dollari nella «schiena» della China Aviation Oil Corp. di Singapore. Qualcuno, invece, ha scelto l’oblìo: è il caso di Yasuo Hamanaka, detto Mister Copper, che negoziò contratti infedeli sul rame per 2,6 miliardi di dollari a danno della Sumitomo Corp. e che ora, dopo aver trascorso otto anni in galera, vive anonimamente in un suburbo di Tokio.
E poi ci sono quelli che hanno svoltato. Toshihide Iguchi, ad esempio, che tra gli Anni ‘80 e ‘90 ha causato una perdita di 1,1 miliardi di dollari alla divisione americana della Daiwa Bank. Quattro anni di carcere, in cui ha conosciuto il mafioso Greg Scarpa Junior, il terrorista Ramzi Yousef (World Trade Center, 1993) e George Harp, il fondatore dell’Aryan Brotherhood, una gang che conta molto dietro le sbarre, che lo ha difeso dai Latin Kings e distolto dai brutti pensieri. Con quest’ultimo è nata un’amicizia: Iguchi gli parlava di futures e bond, Harp di rapine in banca.
«Qualcosa di molto simile al trading», ha commentato di recente al Wall Street Journal il trader pentito. In prigione, Iguchi ha scritto anche un libro, che è diventato un best-seller in Giappone, dove oggi - è un nipponico naturalizzato in Usa - è ritornato. Ha aperto una scuola d’inglese, vicino a Kobe, grazie a un prestito della madre. Il libro era andato bene, ma i diritti gli sono serviti per pagare la multa di 2,6 milioni di dollari inflittagli dal tribunale.

 

Fonte - La Stampa

 

 

 

  Sabato 21 giugno 2008   Sabato 28 giugno 2008   Domenica 29 giugno 2008  
       
..... Scarica in formato PDF ..... Scarica in formato PDF ..... Scarica in formato PDF .....

 

 

 

 

Crisi dei mercati: in arrivo altre grosse perdite ?

Giovedì 19 Giugno 2008, 7:52 - di Banche e Risparmio
______________________________________________

Mentre qualcuno iniziava già a considerare alle spalle la crisi dei mutui subprime, i mercati hanno iniziato a segnare una serie di risultati negativi, riaccendendo le preoccupazioni di molti operatori.
Ma soprattutto, non mancano previsioni a tinte decisamente fosche. Secondo alcuni analisti, nei prossimi tre-quattro mesi si potrebbe assistere per lo S&P 500 a discese fino a 300 punti, cioè vicine al Questa fase negativa avrebbe comunque caratteristiche differenti da quella a cui abbiamo assistito nei mesi scorsi: mentre quest'ultima era riconducibile a una sorta di bolla del settore del credito, quella che potrebbe aprirsi invece è da ricondurre alle difficoltà dell'economia americana. E ad aggravare la situazione c'è il fatto che la fase di rallentamento dell'economia USA si accompagna ad una inflazione sempre maggiore, generando uno scenario di stagflazione che potrebbe essere molto difficile da gestire.
In parole semplici: se si contrasta l'inflazione si frena la crescita, se invece si cerca di supportare la crescita i prezzi potrebbero "esplodere" mettendo in seria difficoltà l'economia (e poi alla fine comunque frenando la domanda). Ecco il perché dello scenario negativo che viene prospettato.
Va però detto che non vi è unanimità su queste previsioni. Non manca chi sottolinea che gli ultimi dati USA su occupazione, PIL, fiducia delle aziende, ed ordini industriali, per quanto non siano positivi non indicano l'avvicinarsi di una recessione prolungata: e anzi qualcuno (Bank of England, per fare nomi) lascia intendere che le difficoltà dell'economia reale sarebbero sopravvalutate.
E' vero però che i consumatori americani starebbero iniziando a tagliare le spese quotidiane (dai pranzi ai caffè), un dato che non può non essere interpretato come un sintomo di difficoltà.
Ma come si riflette tutto ciò sull'economia europea? Per quanto sia secondo me opportuno non dare per scontato che quello che accade in USA accada anche in Europa, è chiaro che è improbabile che l'economia europea vada in una direzione completamente diversa. Se non altro perché la malattia di fondo è comunque la stessa, con un rallentamento dell'economia che non è solo "importato", e dove comunque le tensioni inflazionistiche non mancano (per quanto la BCE abbia probabilmente cercato di contrastare l'inflazione più di quanto ha fatto la FED).

 

Fonte - Banche e Risparmio [http://banche.blogspot.com]

 

 

 

 

  La fase di negatività è destinata a continuare ! Atteso il superamento dei precedenti minimi !

Giovedì 19 Giugno 2008, 10:32 - di Il punto-borsainvestimenti

________________________________________

Il mercato americano è ai minimi degli ultimi tre mesi. Manca poco alla rottura dei minimi che sarebbe un evento molto rilevante che non farebbe che accelerare le vendite. Non sappiamo se già settimana prossima saremo con gli indici americani sotto i minimi. È probabile che potremo assistere ad un altro rimbalzo prima della "grande discesa". Non guardiamo i movimenti di breve, ma LA TENDENZA DI MEDIO! E allora...CASH IS KING. Questa mattina in Asia abbiamo visto un bel po' di vendite

RECESSIONE IN RITARDO...(per colpa della statistica).
In America la domanda di greggio sta scendendo rapidamente! I prezzi alti stanno cambiando la mentalità degli americani. Il calo della domanda è prevedibile che diverrà stabile. Per ora la crescita del PIL americano è stato sorretta da un cattivo deflattore che non considerava in maniera corretta il rialzo dei prezzi di petrolio e materie prime (gonfiando erroneamente il PIL). La continua riduzione dei consumi porta a prevedere un futuro rallentamento del PIL. Tuttavia se i prezzi della benzina dovessero scendere rapidamente...beh allora il PIL potrebbe anche CROLLARE...(evidenziando, con ritardo, una recessione). È pensabile che quando i dati saranno terribili...il peggio sarà alle spalle. Ricordatelo! Sarà tempo di shopping!

ALLARME: AUMENTA IL RISCHIO INSOLVENZA DEGLI STATI AMERICANI
Gli Stati dell'America si aspettano una recessione nel 2008 che avrà significativi impatti sulle finanza degli stessi. Ben 29 Stati, fra i quali California, Florida, NY, NJ, Rhode Island, Nevada, Alabama, Arizona, stanno affrontando un deficit di oltre $48 miliardi per il 2009; hanno bisogno di assitenza da parte dello Stato Centrale (aumentando il contributo per le spese mediche, per esempio). La caduta delle case e dei consumi, uniti all'aumento della disoccupazione, porta a minori entrate per gli Stati (minori entrate dalle tasse sui redditi, minori tasse sui capital gains, minori tasse dalle vendite di case, minori entrate dalle vendite del patrimonio immobiliare dei singoli stati). A questo sommiamo un costo maggiore per l'emissione dei MUNI BONDS. (obbligazioni municipali). Molti sono gli Stati a rischio d'insolvenza, ad esempio NY, NJ, California, Alabama): alcuni di essi potrebbero decidere di aumentare le tasse e aumentare i tagli alle spese (costi per la salute, per l'educazione ecc ecc) aspettando aiuti dal Congresso (che però è alle prese con le elezioni a novembre...).


Cari lettori, la crisi dei mercati finanziari NON è che all'inizio! Il peggio è davanti a noi. Ci aspettano target sugli indici direi drammatici:
S&P500: 1050
Dow Jones (notizie): 9.800
Dax (Xetra: notizie): 5.000
S&P/Mib (Milano: notizie): 23.000


Gli indici potrebbero perdere entro fine anno fra il 30% e il 45% del valore che avevano a inizio anno. Nelle prossime settimane i dati ci confermeranno che l'inflazione raggiungerà proporzioni bibliche. I tassi cominceranno a salire nuovamente. Si dirà che un aumento dei tassi non sarà sufficiente. I mercati azionari continueranno a scendere. Le aziende a fallire sotto il peso dei debiti. L'immobiliare crollerà anche in Europa. Gente come Zalesky e Zunino verranno spazzati via. Grosse perdite colpiranno tutti i settori. I bassi volumi estivi permetteranno alla speculazione di affondare BUSH, la FED, la BCE, Trichet ecc ecc.
VI PREGO DI RIMANERE CON LA CASSA SUL CONTO CORRENTE O AL MASSIMO DI INVESTIRE IN BOT A UN ANNO.
Lo so che verrò bollato di catastrofismo, ma ricordatevi questo articolo fra qualche mese. Quando un mese fa vi ho detto che la crisi sarebbe arrivata dal Bric qualcuno mi ha telefonato e mi ha detto che ero esagerato, ma da allora l'indice cinese ha lasciato sul terreno il 25% per non parlare degli altri mercati). Quando guardi il mercato azionario italiano ti accorgi che arrivano vendite continue senza fermarsi. Molti titoli sono venduti da settimane lentamente e inesorabilemente.
Seguo la Borsa da oltre 25 anni e sono sicuro che fasi come queste vengono sempre seguite da crolli violenti. Non fatevi ingannare dai prezzi apparentemente attraenti. ALLONTANATEVI DALLA BORSA fino a che siete in tempo, o perlomeno compratevi una protezione.
 

Fonte - Il punto-borsainvestimenti

 

 

 

 

Wall Street alletta senza i finanziari  

26/06/2008 15.52 - di Sara Silano
______________________________________________

Non è un sì convinto, forse più un “nì”, ma i gestori sono tornati ad affacciarsi su Wall Street. Da inizio anno l’indice S&P 500 (total return, ossia che tiene conto del reinvestimento dei dividendi) ha lasciato sul terreno il 9% in dollari, meno dei listini europei, che registrano ribassi a due cifre. E il Nasdaq 100, che non ha titoli finanziari nel paniere, si è comportato ancora meglio (-8,5%). Nell’ultimo trimestre il divario è aumentato, con il benchmark tecnologico che ha registrato un incremento del 5% contro il -1,8% dell’S&P 500.
Nei sondaggi Morningstar degli ultimi tre mesi, la percentuale di gestori che prevedono un aumento della Borsa americana nel prossimo semestre è stata vicina al 50%. I mali dell’economia sono noti (fragilità del settore immobiliare, dati sull’occupazione e l’inflazione in deterioramento, possibili nuove svalutazioni creditizie), ma la parola “recessione” viene pronunciata con meno frequenza e le previsioni sul Prodotto interno lordo sono state riviste al rialzo.
Nella riunione del 25 giugno, la Federal Reserve ha lasciato i tassi invariati, dopo sette tagli consecutivi. Rispetto all’incontro di aprile, i toni sono cambiati: i timori si sono spostati dai rischi per la crescita a quelli per l’inflazione. E come sottolinea l’economista Michael T. Darda, i mercati finanziari hanno provato sollievo nel vedere che l’istituto guidato da Ben Bernanke ha spostato il focus sui prezzi, anche se non è imminente una mossa restrittiva.
Secondo l’investitore miliardario Warren Buffett, l’economia è nel bel mezzo di una stagflazione (stagnazione e inflazione) ed è difficile prevedere quando avverrà la ripresa. Tuttavia, in una prospettiva
storica, il quadro economico appare meno fosco di quanto possa sembrare considerando solo gli ultimi anni. Esistono tutta una serie di indicatori che, se l’America fosse in recessione, avrebbero un trend opposto all’attuale. “La produzione industriale è in crescita, grazie alle esportazioni che sono sostenute dal dollaro debole. Il problema, piuttosto, è che mancano i container per trasportare le merci, soprattutto sul versante Atlantico”, spiega Marco Pirondini, responsabile globale degli investimenti di Pioneer Investments. “La disoccupazione è stata così bassa solo due volte negli ultimi cinquant’anni. Inoltre, i massicci interventi della Fed hanno evitato una crisi sistemica di liquidità”.
Assumendo sempre una prospettiva di lungo periodo, le valutazioni azionarie di Wall Street, intese come rapporto tra prezzi e utili (p/e), sono al livello più basso degli ultimi 25 anni in rapporto ai rendimenti dei titoli governativi. La ragione principale risiede nella crescita dei profitti, anche se, avvertono alcuni gestori, su questo fronte potrebbe esserci qualche sorpresa negativa.
I bilanci delle aziende, comunque, sono solidi e la generazione di flussi di cassa elevata, con l’eccezione del settore finanziario, che è ancora nel bel mezzo della crisi. Nonostante alcuni gestori abbiano cominciato a prendere posizioni nel comparto, la maggior parte preferisce starne fuori. Un investitore privato che desideri esporsi al mercato d’oltreoceano attraverso un fondo tradizionale o un Exchange traded fund deve essere consapevole del fatto che gli indici di riferimento usati con più frequenza sono l’S&P 500 e l’Msci US, nei quali la quota di titoli finanziari è intorno al 16%. In media, nel portafoglio degli strumenti specializzati sull’area, banche ed assicurazioni pesano per il 15%.
Nei prodotti a gestione attiva, la percentuale può essere sensibilmente inferiore (ma anche superiore), per cui è bene controllare sempre la scheda del fondo. Negli Etf, che sono passivi, la replica dell’indice è fedele, per cui se non si intende avere un’esposizione al settore finanziario è possibile scegliere gli strumenti che hanno per benchmark il Nasdaq 100, ricordando, però, che il paniere è molto concentrato sui tecnologici che rappresentano circa i due terzi del totale.
 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

  Domenica 01 giugno 2008   Venerdì 27 giugno 2008   Sabato 28 giugno 2008  
       
..... Scarica in formato PDF ..... Scarica in formato PDF ..... Scarica in formato PDF .....

 

 

 

  Consulenza, meglio certificata

11/06/2008 14.35 - di Sara Silano

________________________________________

Sono settimane decisive per i consulenti finanziari. La Consob ha avviato le consultazioni sulla bozza di regolamento che disciplina il nuovo albo, mentre il decreto del ministero dell’Economia che stabilisce i requisiti professionali, patrimoniali, di indipendenza ed onorabilità per le persone fisiche è all’esame del Consiglio di Stato. Difficilmente il nuovo quadro riuscirà ad essere completato entro il termine del 30 giugno, fissato dalla legge che ha recepito la direttiva Mifid e sarà probabilmente necessaria una proroga.
La normativa comunitaria, che ha rivoluzionato il mercato finanziario, ha accentuato l’importanza della formazione dei promotori e dei consulenti finanziari. Non è un caso che, durante la prima convention nazionale di €fpa (European financial planning association), dal tema “Il valore della professione certificata nel mercato del risparmio”, che si è tenuta a Verona, il presidente Sergio Boido, abbia ricordato come l’associazione, che promuove la diffusione di standard europei nel mondo della consulenza, abbia partecipato alle consultazioni pubbliche della Consob e del ministero dell’Economia per disciplinare il nuovo albo.
“Con l’avvento della Mifid sono stati definiti alcuni principi che pur insiti nel Dna del promotore/consulente finanziario non erano stabiliti puntualmente a livello normativo”, spiega Boido. “Mi riferisco in particolare alla conoscenza del cliente non solo sotto l’aspetto patrimoniale ma anche culturale, finanziario e addirittura, definirei, emotivo; alla gestione dei conflitti di interessi e alla problematica dell’inducement (accordi di retrocessione). Questo, oltre a costringere gli intermediari a qualificare sempre di più l’offerta, ha posto ancora più in evidenza l’importanza di un interlocutore (il promotore/consulente finanziario) da sempre abituato a mettere il cliente al centro della propria attività di consulenza”.
Oggi, i professionisti certificati €fa in Italia sono 2.590, contro i 189 “pionieri” del 2002. “La formazione è sempre più importante per chi vuole rimanere competitivo in un mercato che richiede, come ha mostrato una ricerca Eurisko, informazioni chiare, complete e trasparenti, oltre alla correttezza e professionalità degli operatori”, sostiene Boido. Non solo, sono necessari standard europei, perché, come ha sottolineato Susan Middelboe, presidente dell’€ducational advisory commitee, nel corso della convention, i clienti sono ormai “transnazionali”, grazie alla maggior mobilità e alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia.
La certificazione €fa è frutto di un percorso formativo che comprende standard qualitativi riconosciuti a livello europeo ed è basato su criteri rigorosi nell’individuazione dei contenuti. Un altro aspetto importante è l’aggiornamento professionale costante e continuativo sull’evoluzione dei servizi e della normativa, pena la perdita della certificazione stessa.
La principale sfida futura, secondo il presidente di €fpa Italia, è quella di far riconoscere e percepire dal cliente il vantaggio di usufruire di una prestazione qualificata. Non meno importante, è il sempre maggior incremento di professionisti certificati e la diffusione nelle istituzioni bancarie del diploma D€FS (il cui primo esame si svolgerà il 13 giugno 2008), che non solo avrà il vantaggio di unificare su standard comuni, riconosciuti e riconoscibili, la formazione erogata ai propri operatori dai singoli istituti, ma anche di essere propedeutica alla preparazione per l’acquisizione della certificazione di primo livello €fa. “Da ultimo”, conclude Boido, “riuscire a essere sempre un riferimento per tutto il mercato in virtù della capacità di tradurre in processi formativi strutturati e condivisi le istanze di qualità, professionalità ed eticità che di volta in volta il mercato stesso riterrà di manifestare”.

 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

Mutui: TASSI RECORD,DA 5 ANNI MAI COSI'CARO COMPRAR CASA/ANSA  

18 Giugno 2008 20:30 ROMA - di ANSA
______________________________________________

(ANSA) - ROMA, 18 GIU - Negli ultimi anni comprar casa non era mai stato così caro. A maggio infatti, secondo le rilevazioni mensili dell'Abi, il costo dei mutui immobiliari ha toccato il record da cinque anni a questa parte salendo al 5,75%. Un dato che rispecchia sostanzialmente quanto emerso più in generale dalla recente Relazione annuale della Banca d'Italia che rilevava come in Italia il costo dei mutui, sia a tasso variabile, sia fisso, fosse maggiore che nel resto dell'area euro, anche se per quelli a tasso fisso il differenziale si è ridotto a fine 2007 di 7 decimi di punto grazie alla maggior concorrenza. Il costo dei prestiti per l'acquisto di nuove case fotografato a maggio, precisano tuttavia i tecnici dell'associazione bancaria, rappresenta un valore medio tra i tassi variabili e quelli fissi ed è stato influenzato anche dal fatto che in molti hanno deciso di passare dai mutui a tasso variabile a quelli a tasso fisso. Il costo dei prestiti immobiliari del mese scorso, pari al 5,75%, mostra tuttavia un aumento piuttosto consistente rispetto al 5,66% di aprile. E se poi si va ad analizzare il trend dell'ultimo anno si nota come la tendenza al rialzo dei tassi sia stata costante. Dal maggio 2007, quando un prestito si ripagava mediamente al 5,39% l'accelerazione è stata continua fino al 5,71% di ottobre. Il saggio applicato è quindi sceso nel mese successivo per toccare un nuovo record quinquennale a dicembre con il 5,72% per poi scendere in linea con le previsioni a gennaio, febbraio e marzo fino al 5,61%. Ad aprile si è registrata una nuova tendenza al rialzo al 5,66%, per poi toccare un nuovo picco il mese scorso. Scoraggiate forse dal rialzo del costo del denaro anche le famiglie sembrano meno propense a indebitarsi. Proprio un recente rapporto dell'Abi ha fatto vedere che nel 2007 i prestiti erogati dal sistema bancario ai nuclei familiari, quindi mutui immobiliari e credito al consumo, sono cresciuti meno di prima. Hanno infatti superato i 367 miliardi di euro, con una crescita dell'8,7% rispetto all'anno precedente, ma nel 2006 la crescita era stata stata del 10,4%, nel 2005 del 13,8% e nel 2004 del 15,4%. "Non c'é all'orizzonte il rischio di una 'stretta al credito', piuttosto c'é un forte segnale di maturità delle famiglie che, in una congiuntura incerta, pianificano con attenzione i loro comportamenti di spesa", aveva comunque rassicurato il direttore generale dell'Abi, Giuseppe Zadra. (ANSA).
 

 

 

ITALIA TERZULTIMA  

24 Giugno 2008 04:30 ROMA - di ANSA
______________________________________________

L'Italia arretra ancora nella classifica europea del Pil pro capite. E' nella media Ue-27 ma viene superata praticamente da tutti i Paesi dell'Unione Europea prima dell'allargamento, a eccezione di Grecia (98) e Portogallo (75). E si allarga la forbice con la Spagna: nel 2007, infatti, considerata pari a 100 la media Ue a 27, la Spagna arriva a 107 mentre l'Italia si ferma a 101.
Nel 2006 la classifica Eurostat aveva assegnato all'Italia un valore di 103 e di 105 alla Spagna, dando dato adito a una polemica sul sorpasso di Madrid che aveva portato l'ex premier Romano Prodi a ricalcolare da solo i dati sulla ricchezza per affermare che comunque il 'sorpasso' non c'era stato, perlomeno non in termini assoluti.
E tuttavia la distanza tra Italia e Spagna nel 2007 è passata da due a sei punti. La ragione principale - spiegano fonti della Commissione - è la crescita tumultuosa registrata nel Pil spagnolo negli ultimi anni, a fronte di "un incremento quasi nullo, o comunque molto ridotto" del Pil italiano.
Ma già nei prossimi mesi potrebbe verificarsi un'inversione di tendenza - spiegano gli esperti - soprattutto a causa della crisi che in Spagna sta colpendo il settore delle costruzioni, e che molto probabilmente causerà un rallentamento della crescita economica.
Secondo i dati di Eurostat il Lussemburgo si conferma come il Paese leader in Europa con un Pil pro capite che nel 2007 si è attestato a quota 276. A seguire ci sono l'Irlanda (146), i Paesi Bassi (131), l'Austria (128). Sopra a Spagna e Italia si attestano la Francia (111), la Germania (113) e il Regno Unito (116).
 

 

 

Subprime: BANKITALIA VUOLE VEDERCI CHIARO

26 Giugno 2008 16:51 NEW YORK - di ANSA
______________________________________________

La Banca d'Italia chiede alle banche di fornire "un'ampia e dettagliata informativa" sulle esposizioni verso prodotti finanziari "rischiosi". Per il governatore Mario Draghi...
La Banca d'Italia chiede alle banche, in ottemperanza alle raccomandazioni del Financial stability forum, di fornire "un'ampia e dettagliata informativa" sulle esposizioni verso prodotti finanziari percepiti dal mercato come rischiosi in occasione delle relazioni del primo semestre 2008.
E' quanto si legge in una lettera inviata dalla Vigilanza alle filiali il 16 giugno.
Per il governatore Mario Draghi, che è anche presidente del Fsf, "l'incertezza e il lento ripristino di una fisiologica condizione di reciproca fiducia tra gli operatori appare, infatti, in parte riconducibile a prassi informative non sempre corrispondenti alle crescenti esigenze conoscitive che si vanno manifestando".
 

 

 

 

 

  Allarme di Confindustria:  è stagflazione

26 Giugno 2008 12:52 ROMA - di Reuters

________________________________________

Andamento dell'economia stagnante per il 2008 e una modesta ripresa per il prossimo anno. È il quadro macroeconomico delineato dal Csc di Confindustria secondo il quale "il compimento del risanamento dei conti pubblici è a portata di mano", anche se bisogna ancora agire sul contenimento della spesa corrente primaria.
Nel dettaglio, Confindustria stima che l'economia italiana cresca di uno 0,1% nel 2008 e dello 0,6% nel 2009. Il rapporto deficit/Pil, secondo le nuove stime del Centro studi di viale dell'Astronomia diffuse oggi, è visto al 2,5% quest'anno e al 2,6% nel 2009; il debito al 103,2% nel 2008 e al 102,7% nel 2009.
Le previsioni di Confindustria arrivano due giorni dopo la pubblicazione ufficiale del Dpef, che ha rivisto il quadro macroeconomico rispetto alle previsioni di marzo. Il governo stima ora una crescita del Pil allo 0,5% quest'anno e a +0,9% il prossimo. Il deficit programmatico è visto al 2,5% nel 2008 e al 2% nel 2009, il debito a 103,9% e a 102,7%.
DA DL FISCALE SOSTEGNO A CONSUMI DI 0,3% PUNTI L'ANNO Confindustria apprezza il fatto che il ministro dell'Economia Giulio Tremonti abbia "fatto propri sia l'obbiettivo di pareggio di bilancio sia le linee di azione fissati dal suo predecessore, in un raro esempio di continuità di azione bipartisan. Ha inoltre anticipato i tempi della manovra 2009 inserendola in un programma triennale opportunamente modificato". Inoltre, per Confindustria le misure contenute nel decreto legge fiscale [abolizione Ici prima casa e detassazione straordinari], "se pienamente efficaci, offriranno un sostegno alla crescita dei consumi che si stima in misura pari a 0,3 punti percentuali in ragione d'anno".
INFLAZIONE PROGRAMMATA 1,7% "CREDIBILE E COERENTE" Analogamente a quanto scrive il governo nel Dpef, Confindustria stima una crescita media dell'inflazione del 3,4% nel 2008. Per il 2009 il Csc prevede un rallentamento a +2,5%. A fronte di queste stime, Confindustria ritiene "credibile e coerente" la scelta del governo di fissare nel Dpef un'inflazione programmata di +1,7% nel 2008 e +1,5% negli anni successivi.
"L'accelerazione dei prezzi al consumo è stata marcata. Tuttavia rimane concentrata nei prodotti derivati da materie prime energetiche e alimentari e potrà rientrare altrettanto rapidamente a partire dall'autunno" verso il 3% in dicembre, dice Confindustria. Nei giorni scorsi i sindacati hanno criticato aspramente il livello dell'inflazione programmata, arrivando a dire che la decisione del governo mette a rischio il dialogo con gli industriali per la riforma dei contratti. Il Csc sottolinea che per aumentare il potere d'acquisto delle famiglie servono interventi fiscali mirati. Anche ieri la presidente degli industriali Emma Marcegalia ha ricordato che non spetta alle parti sociali ma al governo adottare le misure adeguate per risollevare i redditi. 

 

 

Fonte - Reuters