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INDICE ARTICOLI

 

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Macro USA - settore immobiliare

Immobili: la festa è finita

Finanza italiana - Risparmio gestito

Fondi comuni: costano tanto rendono niente

Finanza italiana - Crack Parmalat

Parmalat: rapporto Bondi critica Banche internazionali

FED e mercato creditizio

La FED è il più grande Hedge fund del mondo

 

ANSA +++ segnali discordanti dagli indicatori macroeconomici USA  +++  ANSA

giovedì 1 luglio 2004   sabato 3 luglio 2004   mercoledì 21 luglio 2004   sabato 31 luglio 2004
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  Immobili: la festa è finita

30 Luglio 2004  20:41 New York  (WSI)  

 

La festa e’ finita. E’ la frase che John Talbott, ex banchiere di Goldman Sachs e autore del best seller “The Coming Crash of the Housing Market” (Il prossimo crack del mercato immobiliare) usa per descrivere quello che potrebbe succedere al mercato immobiliare americano, dopo 35 anni di costante aumento dei prezzi.

Le principali ragioni indicate da Talbott sono due. Innanzitutto, quando i tassi di interesse aumentano, i nuovi acquirenti hanno una qualificazione per prestiti di valore molto inferiore. In secondo luogo, l’intero mercato dell’edilizia abitativa e’ "contaminato", scrive Talbott in un articolo pubblicato dal Financial Times. Ai compratori poco importa quanto viene chiesto per l’acquisto di una casa. Tanto, non e’ denaro loro.

Le banche, per contro, non sono sensibili ai prezzi ne’ sono preoccupate per l’ammontare dei crediti. La maggior parte degli istituti creditizi "rivende" i mutui a Fannie Mae e Freddie Mac. A questi due colossi para-governativi del mutuo, a loro volta, poco importa quale e’ il prezzo pagato per una casa perche’ beneficiano una garanzia implicita: quella offerta dai cittadini americani che pagano le tasse.

Nel recente libro “The Coming Crash of the Housing Market”, Talbott indica una serie di trend allarmanti. Il dato probabilmente piu’ allarmante e’ il livello record raggiunto negli Stati Uniti dai mutui non piu' onorati e dalle bancarotte personali. E cosa succederebbe se i prezzi delle case iniziassero a scendere? Un simile scenario non e’ poi cosi’ remoto: una ricerca della Associazione Nazionale degli Agenti Immobiliari evidenzia che i prezzi hanno raggiunto un picco nel luglio 2003 e da allora non si sono piu’ mossi.

In un’anteprima di quello potrebbe succedere, a New York sta salendo il numero di persone che vendono i loro appartamenti multimilionari (anche bilocali senza vista e poco spaziosi): questa gente deposita in banca i ricavi della vendita e va a vivere in affitto.

La bolla immobiliare non e’ un fenomeno che interessa unicamente gli Stati Uniti. Anche Irlanda, Inghilterra, Spagna, Australia, Cina e molti altri paesi (compresa l'Italia) hanno visto salire in maniera esorbitante i prezzi di case e appartamenti.

Talbott nota che l’esaurirsi delle bolle viene normalmente segnalato dal verificarsi di un certo evento limite, una specie di campanello d’allarme che segnala che le cose potrebbero presto cambiare. Ne fu un esempio la cifra oltraggiosa, pari a 20 volte il cash flow, pagata da KKR (Kolbert, Kravis e Roberts) per RJR Nabisco, affare che segno’ la fine della mania dei leveraged buy-out degli anni ’80. La recente vendita di una casa a Londra per $158 milioni potrebbe essere un indicatore che la bolla del mercato immobiliare internazionale ha toccato il top.

Sul mercato americano, nello specifico, l’evento folle che segnala che la bolla sta per scoppiare - scrive Talbott - e’ il numero crescente di prestiti "esotici" offerti dalle banche, e di nuovi tipi di mutui a tasso variabile. L'autore giudica una follia il fatto che la gente stia prendendo denaro in prestito a tasso variabile in un contesto di aumento dei tassi di interesse, un rialzo che capita proprio dai minimi di piu' di 40 anni.

E la ragione per cui tutto cio’ sta accadendo e’ forse ancora piu’ spaventosa: la gente sta approfittando del basso costo del denaro per prendere a prestito la somma piu’ alta possibile e comprare la casa piu’ grande possibile.

Ma se il prezzo degli immobili iniziasse a scendere, l’alternativa sarebbe tra lo svendere il bene a prezzi calanti e il fare i conti con rate mensili molto piu’ alte, in certi casi il doppio, nel caso di un incremento dei tassi.

In questo periodo si assiste a un profilerare di varie forme di mutui. Da quelli che non richiedono un deposito, a quelli con pagamanto dei soli interessi ma non sul capitale, fino a quelli che non richiedono il controllo della credit history, cioe' della solvibilita' e serieta' di chi chiede il mutuo. E’ facile immaginare l’affidabilita’ delle persone che ne potrebbero fare richiesta!

Quello che si sta profilando in questo periodo e’ una sorta di truffa tipo catena di Sant'Antonio, con proprieta' che vengono passate di mano in mano sempre piu’ velocemente per un valore sempre piu' alto in un folle gioco in cui perde l’ultimo che rimane col cerino in mano.

In realta' sta diventando via via piu’ difficile trovare l'idiota di turno disposto a pagare qualunque cifra per una casa. L’importante, mette in guardia Talbott, e’ che non siate voi l'ultima persona a lasciare la festa.

30 Luglio 2004  20:41 New York  (WSI)

fonte Wall Street Italia.com

 

 

 

 

martedì 6 luglio 2004   venerdì 9 luglio 2004   lunedì 12 luglio 2004   martedì 20 luglio 2004
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  Fondi comuni: costano tanto rendono niente

26 Luglio 2004  18:16 Milano  (di Giuseppe Turani)  

 

Puntuale come sempre arriva l'annuale indagine di Mediobanca su quel che hanno fatto (e non hanno fatto) i Fondi di investimento italiani. Va detto subito che nell'indagine di quest'anno ci sono una buona notizia e almeno tre cattive notizie.

La buona notizia consiste nel fatto che nel 2003, finalmente, i fondi italiani hanno guadagnato complessivamente 19 miliardi di euro. E questo farà certamente contenti i loro sottoscrittori. Questa buona notizia, peraltro, ha un suo risvolto pesante. Se infatti si vanno a considerare gli ultimi cinque anni di attività nel loro insieme, i fondi italian i hanno perso il 19,2 per cento. Il che significa circa 90 miliardi di euro.

Qualcuno, molto maligno, ha fatto i conti e ha calcolato che con quei soldi 500 mila italiani avrebbero potuto comprare un discreto appartamento ( 90 metri quadri) senza fare nemmeno una centesimo di mutuo. Zam, zam, in contanti, sull'unghia. Invece questi 90 miliardi di euro sono volati via, persi nel turbine delle Borse mondiali sotto l'attenta regia (e consulenza, ben pagata) dei gestori dei fondi italiani.

Ma rimangono da elencare le tre cattive notizie che accompagnano la prima buona notizia. La prima di queste è il fatto che continuano a salire i costi. Ormai i fondi si fanno pagare (per gestire i denari dei sottoscrittori, con risultati almeno dubbi) qualcosa come il 2,5 per cento del patrimonio. Il che è il massimo degli ultimi cinque anni e il doppio di quanto si paga a un fondo americano per farsi gestire i soldi (con risultati migliori del doppio).

La seconda cattiva notizia è che gli anni passano, ma i gestori dei nostri fondi continuano a essere personcine un po' confuse e agitate. Continuano a comprare e vendere titoli, in una sarabanda frenetica. Al punto che ogni otto mesi rigirano tutto il patrimonio, e poi ricominciano da capo. Nervosi e, visti i risultati, non troppo efficienti. I loro colleghi americani impiegano invece due anni (e non otto mesi) per rigirare tutto il patrimonio. Sono più calmi, pensano di più (probabilmente vanno anche a pesca e in vacanza più spesso), ma alla fine guadagnano molto di più dei nostri, che danno un po' l'impressione di perdersi dentro i loro comitati strategici.

Ma c'è di peggio. Alla fine di tutto questo movimento, i gestori italiani riescono a guadagnare meno dei benchmark da essi stessi indicati. E non è che sia capitato una volta, è la regola.

I fondi azionari, ad esempio, nel 2000 sono andati sotto (rispetto al benchmark (cioè al riferimento di rendimento da essi stessi indicato) del 4,7 per cento, nel 2001 sono andati sotto del 3,9, nel 2002 dell'1,7 per cento e nel 2003 sono tornati a peggiorare: sono andati sotto infatti del 2,8 per cento.

Ma insomma conviene o non investire nei fondi? Dipende da fondo a fondo, ovviamente. Nel loro insieme, comunque, negli ultimi cinque anni hanno perso il 3,1 per cento (che diventa il 19,2 per cento se confrontato con i poveri Bot). Negli ultimi dieci anni, rispetto ai Bot, i Fondi hanno reso il 30,6 per cento in meno. Dal 1984 a oggi (data della loro nascita) i fondi hanno reso quasi il 70 per cento in meno rispetto ai Bot. Aveva ragione la nonna, che non si è mai voluta separare dai suoi Bot, anche quando sembrava che non rendessero niente. 

La Repubblica

 

 

 

Parmalat: FT, rapporto Bondi critica Banche internazionali  +++  HANNO FORNITO RISORSE FINANZIARIE PER TENERE IN PIEDI GRUPPO  +++

martedì 13 luglio 2004   venerdì 16 luglio 2004   mercoledì 21 luglio 2004   venerdì 23 luglio 2004
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Parmalat: rapporto Bondi critica Banche internazionali

hanno fornito risorse finanziarie per tenere in piedi il gruppo

 

(ANSA) - LONDRA, 23 LUG - Le banche internazionali per anni hanno sostenuto la Parmalat con miliardi di euro anche quando il gruppo alimentare era in guai finanziari e faceva imbrogli. Lo sostiene - secondo quanto riferisce oggi il Financial Times - il nuovo amministratore Parmalat Enrico Bondi in un rapporto che la prossima settimana invierà al governo italiano. "Un continuo afflusso di risorse finanziarie ha costituito la condizione necessaria per mantenere in piedi il gruppo ben oltre la sua naturale capacità di sopravvivenza. Queste risorse furono fornite direttamente dalle banche, o attraverso queste,tramite veicoli creati a questo scopo dalla Parmalat all'estero,spesso in paradisi fiscali", è scritto nel rapporto di cuiFinancial Times è entrato in possesso. 

"Banche straniere e banche di investimento hanno usato -continua il rapporto - le leggi particolari dei così detti paradisi fiscali per piazzare i bond. Queste banche hanno direttamente fornito le risorse finanziarie attraverso prodotti finanziari strutturati che, di fatto, hanno contribuito alla falsa rappresentazione nei conti del gruppo della situazione economica e finanziaria". Bondi, riferisce Ft, valuta che Parmalat direttamente o indirettamente ha ottenuto 13,2 miliardi di euro dalle banche fra il 31 dicembre del 1998 e il 31 dicembre del 2003. Le banche internazionali hanno fornito l'80% dei fondi ed il resto è venuto dagli italiani. Durante quel periodo Parmalat generò solo 1 miliardo di euro in flusso di cassa lordo. Bondi, scrive ancora il quotidiano della City, calcola che Parmalat ha speso circa 5,4 miliardi di euro in acquisizioni ed altri investimenti, 2,8 miliardi di euro in commissioni alle banche, 2,5 miliardi in pagamenti ai titolari di obbligazioni, 900 milioni in tasse e 300 milioni in dividendi. I rimanenti 2,3 miliardi sono apparentemente stati distratti per altri scopi, compreso il finanziamento dell'impresa turistica della famiglia Tanzi. "Nel tentativo di occultare il suo stato di insolvenza, Parmalat si è invischiata in sempre più costose operazioni finanziarie su larga scala", si legge nel rapporto che, rileva Financial Times, non muove critiche a singole banche. Il rapporto Bondi suggerisce che "fin dal 1997, le informazioni sulla vera condizione di Parmalat erano sufficienti per consentire all'intera comunità finanziaria di realizzare che la compagnia era nei guai. La Parmalat avrebbe potuto crollare nel 1997-98 e lo scandalo sarebbe costato meno soldi agli investitori". (ANSA). 

 

23 Luglio 2004  10:25 Londra (Ansa)

 

 

 

 

 

 

  La FED è il più grande Hedge fund del mondo

21 Luglio 2004   14:52  New York (di Stephen Roach)

 

 " La Federal Reserve e’ il piu’ grande hedge fund del mondo". Ad affermarlo e’ Stephen Roach, capo economista di Morgan Stanley. Nell’articolo che segue, Roach accusa la Fed di aver adottato in passato e di continuare a seguire una politica monetaria irresponsabile, che favorisce il formarsi di bolle speculative di enormi dimensioni e accresce i rischi di collasso del sistema finanziario globale.

Roach punta il dito sulla crescente pericolosita’ di strategie di investimento - indirettamente incoraggiate dalla Fed - come il carry trade (e cioe' l'investimento su vari mercati e assets finanziari con denari presi a credito). Nella sua forma piu’ semplice, il carry trade consiste nel prendere a prestito fondi della Federal Reserve reinvestendoli in titoli finanziari, come il classico Treasury Usa a 10 anni. Il differenziale dei rendimenti costituisce il guadagno dell’operazione.

Ecco il testo dell' articolo con l'attacco alla Federal Reserve scritto da Steven Roach per i clienti della Morgan Stanley, che ringraziamo per la gentile concessione.

La Federal Reserve e’ il piu’ grande hedge fund del mondo. Non solo la Fed e’ leader nel ristretto circolo delle banche centrali mondiali, ma e’ anche artefice dei piu’ grandi ‘macro trade’ dei tempi moderni. Tra le sue "creazioni", il "Carry Trade I" del 1993, che fini' con la bolla speculativa della fine degli anni ’90, e il "Carry Trade II" in atto in questo momento: sono tutte dirette conseguenze delle strategie di trading implicitamente raccomandate da Greenspan & Co. La crescita di queste strategie ha aumentato la precarieta’ del sistema finanziario globale, con la costante presenza del rischio di una rottura.

Questa trasformazione ha avuto inizio nel 1987. La crescita dei mercati azionari fino all’estate di quell’anno aveva diffuso la sensazione che non occorreva piu' temere i rischi di un ribasso dei titoli azionari; e che questi rischi potevano essere agevolmente contenuti attraverso un' adeguata strategia basata sull' utilizzo di opzioni (portfolio insurance). Il crash dell'ottobre 1987 svelo' l’infondatezza di tale modo di ragionare.

In quella circostanza, la risposta della Fed fu di iniettare liquidita’ nel sistema. Ed e’ da quel caos nato diciassette anni fa che tra gli investitori di borsa e' nata la mentalita’ del "dip buying" (acquistare quando il prezzo scende). Le opportunita’ create dal Crash dell’87 erano un affare che gli operatori – soprattutto i gestori di hedge funds - non potevano lasciarsi scappare. 

 

21 Luglio 2004   14:52  New York (di Stephen Roach)

fonte Wall Street Italia.com