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Borse & Mercati

Allarme rosso bond-equity: la coppia scoppia

Macroeconomia - Tassi

Così parlò Bernanke

Macroeconomia - Tassi

Greenspan: economia USA a rischio recessione

Borse & Mercati

La festa dei listini presto sarà finita

Borse & Mercati

Borse: è un BLIP o una correzione vera ?

Borse & Mercati - Focus Cina

La correzione che il drago stava cercando

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Se la bolla cinese scoppia sui mercati

 
 

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  Lunedì  19  febbraio 2007   Giovedì  22  febbraio 2007   Lunedì  26  febbraio 2007  
       
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   Allarme rosso bond-equity: la coppia scoppia

7 Febbraio 2007 NEW YORK - di Finanza&Mercati
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Dopo aver viaggiato in coppia per quasi tutto il 2006, il mercato obbligazionario e quello azionario iniziano a divergere. Ma potrebbe non durare: in gennaio l’indice azionario S&P500 ha guadagnato l’1,4%, mentre il Dow Jones Stoxx600 Europe è cresciuto di due punti percentuali. Al contrario i rendimenti sul reddito fisso, nello stesso mese, sono in rosso: i bond del Regno Unito, con maturità superiore a un anno, perdono l’1,5%, le obbligazioni dell’area euro sono negative di uno 0,4% e i contratti future Usa sul debito a lunga scadenza sono sotto di un punto.
È come se il mercato obbligazionario stesse riscoprendo le ragioni per cui alzare la soglia d’allarme. Il rischio bolla sul mercato immobiliare americano e il crollo dei consumi negli shopping mall, per esempio, sono due fenomeni troppo sottovalutati dal consumatore americano. In tutto questo, l’economia americana è più in salute di quanto gli economisti avessero previsto: nel quarto trimestre il Pil Usa ha registrato un incremento del 3,5%, contro stime del 3% e rispetto alla crescita solo del 2% nel terzo trimestre.
Per l’esperto economista di Abn Amro, Tim Drayson, «la battaglia tra bond e equity sembra andare a vantaggio dell’azionario». Opinione rafforzata dalle ultime esternazioni della Fed sull’andamento dell’economia, molto più ottimistiche rispetto a dicembre. È dunque la fine del periodo d’oro dei bond? Non sembra, visto che i governi continuano a inondare il mercato di obbligazioni a lunga scadenza come i trentennali: Germania, Grecia, Austria, Olanda, Francia, Turchia e Italia hanno venduto 24 miliardi di dollari di trentennali solo a gennaio. Il Giappone ne ha piazzati altri 5 miliardi e la Francia ha emesso anche un cinquantennale da 1,6 miliardi. Forse la fase recessiva è meno lontana di quanto si creda.
 

Fonte - Bloomberg - Finanza&Mercati

 

 

 

 

 

Gestori, correzione possibile ma non duratura
 

14 Febbraio 2007 - Sara Silano
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Le azioni continuano ad essere preferite alle obbligazioni, ma il peso nei portafogli bilanciati è più vicino al livello di neutralità. Le Borse europee sono supportate dal quadro macro, mentre a Wall Street attraggono le valutazioni. Euro verso il capolinea.

Oltre il 60% dei gestori interpellati da Morningstar nel sondaggio di febbraio, condotto tra le principali case di investimento italiane ed estere che operano sul territorio, prevede un rialzo delle Borse occidentali nei prossimi sei mesi, ma mette in guardia su possibili prese di beneficio di breve periodo. E nella maggior parte dei portafogli bilanciati, il peso delle azioni si avvicina al livello di neutralità.

In Europa riflettori puntati sulla congiuntura

Quasi il 62% dei fund manager prevede un rialzo delle Borse del Vecchio continente nei prossimi mesi, contro il 33% che stima una stabilizzazione attorno agli attuali livelli e il 5% che è pessimista. Non si discosta molto il giudizio sull’Italia, con l’unica differenza che gli ottimisti sono più numerosi (circa il 65%) e nessun intervistato si attende un calo, dal momento che Piazza Affari è considerata più difensiva rispetto ad altri mercati europei.

In generale, la visione sui mercati azionari è positiva, ma non viene esclusa una correzione di breve periodo, che, per alcuni va considerata come un’opportunità di acquisto. La previsione è basata sul quadro macroeconomico: nel 2006, il Prodotto interno lordo è cresciuto del 2,7% e i gestori sono convinti che il trend continuerà quest’anno, mentre l’inflazione rimarrà sotto controllo. Non destano particolari preoccupazioni i futuri rialzi dei tassi di interesse e la forza dell’euro, anche se non è escluso un modesto impatto sugli utili aziendali.

Negli Usa, valutazioni “ragionevoli”

Per il 60% dei fund manager, Wall Street continuerà a salire nei prossimi mesi a fronte di un 15% di intervistati che stima un ribasso. I listini sono vicini ai massimi del 2000, ma non in una situazione di bolla speculativa. Le valutazioni sono, secondo la maggior parte dei gestori, eque; tuttavia è possibile un rallentamento della crescita dei profitti sotto il 10% annuo, con conseguente impatto negativo sui corsi azionari. E’ stata accantonata, invece, l’ipotesi di una recessione economica: “Il soft landing proseguirà”, sostiene Kevin Grice, economista di American Express, “e il maggior rischio è che sia troppo ‘soft’ con la conseguenza che l’inflazione non scenderà sotto la soglia di sicurezza fissata dalla Federal Reserve”.

Il Giappone continua a piacere

L’85% dei gestori prevede un rialzo della Borsa di Tokyo nel semestre, percentuale superiore al mese scorso, alla quale, però, si contrappone un maggior numero di pessimisti (10%). Il potenziale di crescita di lungo periodo rimane inalterato: molte case di investimento stimano un incremento dei profitti superiore all’occidente, ma il quadro macro è controverso. I bassi tassi di interesse favoriscono lo sviluppo, tuttavia il fatto che il mercato sconti un aumento minimo getta qualche dubbio sulla solidità della ripresa.

Sui settori giudizi contrastanti

I comparti che catalizzano l’attenzione sono il finanziario, l’energetico, le telecomunicazioni e il tecnologico. Gli ottimisti superano nettamente i pessimisti sui titoli bancari e assicurativi e su quelli telefonici, mentre sui petroliferi i giudizi sono contrastanti. Sono moderatamente positive le previsioni su tecnologici e farmaceutici, i primi premiati per le valutazioni interessanti; i secondi per il carattere difensivo.

Tassi in crescita in Europa

La quasi totalità dei gestori prevede un ulteriore aumento dei tassi di riferimento da parte della Banca centrale europea nella riunione di marzo e la maggior parte considera probabile un altro ritocco successivamente, con target finale del 4%. A gennaio, la curva dei rendimenti si è leggermente alzata, ma rimane ancora piatta, per cui i fund manager continuano a privilegiare le scadenze brevi. Per il 52% degli intervistati, i prezzi delle obbligazioni del Vecchio continente si stabilizzeranno attorno agli attuali livelli, mentre per il 38% scenderanno.

I gestori non prevedono grandi cambiamenti neppure per le quotazioni dei bond negli Stati Uniti, nella convinzione che la Federal Reserve (Fed) rimarrà ferma, almeno nel primo semestre. Una manovra espansiva è considerata probabile solo in caso di aumento dei rischi di rallentamento dell’economia, ipotesi data, però, per remota.

Euro verso il capolinea

Rispetto a gennaio, si è quasi dimezzata la percentuale dei gestori che stimano un apprezzamento della moneta unica sul dollaro, dopo il lungo ciclo rialzista. Il 45% degli intervistati considera, invece, possibile un ribilanciamento del rapporto valutario. Il biglietto verde può beneficiare dell’incremento dei rendimenti dei bond americani e dalla posizione “di attesa” della Fed. Il continuo acquisto di euro da parte delle Banche centrali da impiegare come riserva di divise estere potrebbe, però, limitare la ripresa del dollaro.

Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra il 6 e il 12 febbraio, 21 delle principali società di diritto italiano ed estero operanti sul territorio, che contano per circa l’80% degli asset gestiti in Italia. Si tratta di Aberdeen AM, Aletti Gestielle, Alpi Fondi Sgr, American Express, Anima Sgr,, Banca Fideuram, BNL Gestioni, Caam Sgr, Credit Suisse AM, Dws Investments Italy, Eurizon Capital Sgr, Henderson, Investitori Sgr, Julius Baer Sgr, Morley, Mps Am, Nextam Partners, Pioneer Im, Sella Gestioni Sgr, Sgam Italia Sim, WestLB Mellon Am.
 

 

Fonte - Morningstar.it

  
 

 

 

 

Giovedì  01  febbraio 2007   Venerdì  02  febbraio 2007   Venerdì  02  febbraio 2007
   
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   Così parlò Bernanke

16 Febbraio 2007 5:11 MILANO - di *Alessandro Fugnoli
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*Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank

Le previsioni ufficiali della Fed per i 18-24 mesi successivi, comunicate al Congresso, due volte all’anno, dicono molto ai mercati, ma non dicono tutto. Raccontano di quanto crescerà l’economia e di come andranno l’inflazione e la disoccupazione, ma tacciono sul livello dei tassi che sarà necessario tenere o raggiungere per conseguire gli obiettivi annunciati.
Pur con questo limite non piccolo, la testimonianza di Bernanke è stata letta positivamente dai mercati e giustamente. Viene confermato, nelle stime della Fed, il rallentamento del 2007, anche più che nelle stime presentate sei mesi fa. Si tratta però di un rallentamento dolce, quasi il più dolce dei rallentamenti possibili, e per di più circoscritto all’edilizia. In compenso per il 2008 si offre un quadro di riaccelerazione al 3 per cento, quanto di meglio si possa sperare per sesto anno di espansione di un’economia già molto vicina al pieno utilizzo dei fattori.
Questi obiettivi vengono inseriti da Bernanke in un contesto internazionale presentato come positivo e con una crescita superiore a quella americana, tale da garantire anche un piccolo miglioramento del disavanzo commerciale degli Stati Uniti, le cui esportazioni da alcuni mesi stanno salendo più velocemente delle importazioni.

Un altro elemento positivo, non incluso nella relazione ufficiale (opera collettiva del Fomc) ma citato da Bernanke nella risposta a un senatore, è la fiducia del governatore nel mantenimento di buoni livelli di crescita della produttività. Questo aspetto, leggermente più arcano rispetto a dati di comprensione più intuitiva come produzione e prezzi, è la chiave di volta per la salute degli asset finanziari. A differenza di altri indicatori che se sono positivi per i bond sono negativi per l’azionario e viceversa, un buon livello di produttività è rassicurante per qualsiasi portafoglio long only.
E’ evidente che Bernanke non considera così preoccupanti, almeno per i prossimi due anni, alcuni studi (anche provenienti dall’interno della Fed stessa) che ipotizzano un declino strutturale delle potenzialità di crescita della produttività americana, dovuto al deterioramento qualitativo e quantitativo della forza lavoro nei prossimi due decenni.
Nonostante la fiducia nella produttività, la Fed non intende allentare la vigilanza contro l’inflazione, anzi. Pur mantenendo un atteggiamento nel complesso rassicurante, Bernanke parla dei rischi di inflazione con un’enfasi tale da fare pensare a qualcosa di più dell’omaggio formale al compito istituzionale di mantenere il potere d’acquisto della moneta. Per come stanno le cose in questo momento è veramente difficile continuare a pensare a un ribasso dei tassi per quest’anno. Può essere invece possibile un rialzo.

L’ipotesi del rialzo non va inclusa nello scenario centrale. Semplicemente non va esclusa a priori. Il primo trimestre sarà meno brillante del quarto trimestre 2006, ma non di molto (le probabili revisioni al ribasso sul quarto si travaseranno in correzioni al rialzo delle stime sul primo). In compenso, nel secondo e terzo trimestre potremo vedere una ripresa della produzione industriale per ricostituire quelle scorte di magazzino che in questi ultimi mesi di domanda vivace e di politiche prudenti di produzione si sono molto assottigliate in tutto il mondo.
Potrà così accadere, verso metà anno, che la riaccelerazione della produzione industriale porti a una maggiore domanda di materie prime e a una ripresa dei prezzi. Un rialzo piccolo e reversibile dei tassi potrebbe apparire in quel contesto opportuno, anche se non indispensabile.
Al momento i bond lunghi non sembrano farne un dramma e apprezzano anzi la cautela della Fed. Certo, se le borse si manterranno spumeggianti, i bond dovranno agire da freno, ma i movimenti, nel complesso, si preannunciano molto limitati. Quanto alla forma della curva, per Bernanke non ci sono problemi. Le curve piatte, dice, sono qui per restare.
Effettivamente, se ci pensiamo, quello che può far cambiare forma alle curve può essere un inizio di surriscaldamento (che farebbe salire i tassi a breve più di quelli a lungo) o, al contrario, un’espansione globale che inizia a perdere colpi (che provocherebbe una discesa dei tassi a breve più veloce di quella dei tassi a lungo).
Forse sarà un’ambizione eccessiva, ma la Fed punta a mantenersi lontana da questi due pericoli ancora a lungo. Un giorno (è una certezza) qualche esogena si metterà di traverso, ma nel frattempo la Fed vuole continuare ad accettare la sfida più eccitante e difficile che esista per una banca centrale, ovvero mantenere tutto il più noiosamente vicino allo stato stabile di pieno impiego senza inflazione.

Massimizzare la crescita e minimizzare l’inflazione è come percorrere in bicicletta la stradina che costeggia la scogliera. Più ci si avvicina al ciglio meglio si gode il panorama del mare e del dirupo sottostante, ma maggiore è il pericolo di cadere. Ovviamente la Fed si tiene al di qua della linea gialla (il leggero rallentamento della crescita è esattamente questo), ma solo di pochi millimetri.
In queste situazioni, che richiedono concentrazione e al tempo stesso una certa souplesse, i mercati azionari fanno una fatica tremenda ad autocontrollarsi. In pratica non ci riescono mai.
La visione di una strada diritta di crescita regolare e bassa inflazione è più beatifica di una sostanza psicotropa altamente concentrata. Lo stato stabile perfetto richiederebbe mercati azionari in stato stabile (che non vuol dire immobili, ma in crescita proporzionata alla crescita deli utili). Impossibile.
Lasciati a se stessi, dunque, i mercati azionari saliranno inerzialmente in un clima da 1986-87 fino a quando non incontreranno qualche ostacolo. Chi assumerà il ruolo di ostacolo? Per qualcuno saranno gli utili. E’ interessante che due tra i più bottom up tra gli strategist come McVey e McManus siano tra i più prudenti a riguardo e parlino di continua decelerazione della crescita anno su anno fino ad arrivare (secondo McVey) a crescita negativa per fine anno inizio 2008.
Se l’appuntamento trimestrale con la realtà degli utili non calmerà gli ardori, le banche centrali sfrutteranno le piccole sbavature nel loro cammino di perfezione per dare qualche scossa, aumentare la volatilità e rallentare il rialzo azionario e l’accumulo crescente di posizioni di carry.

 

Fonte - Il Rosso e il Nero, settimanale di strategia di Abaxbank

 
 

 

 

 

L'ALLARME SUONERA' CON TASSI SOPRA IL 5%
 

27 Febbraio 2007 NEW YORK - di G. MAR.
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Sorpresa. L’economia cresce più del previsto. Nelle ultime settimane i mercati finanziari si sono trovati davanti a un dato «macro» importante. Ma ne vedremo gli effetti sui mercati finanziari? Peter Oppenheimer , strategist europeo di Goldman Sachs , da tempo studia l’impatto delle sorprese positive e negative sui mercati. Nell’ultimo lavoro - uscito proprio a ridosso della grande riconversione delle statistiche sulla tenuta della ripresa negli Stati Uniti e in Europa - mette in fila numeri e idee per dimostrare che, se possibile, è meglio comprare azioni in un mercato pessimista (Niny) piuttosto che in uno ottimista (Nipy).
Che cosa significa? Un mercato «Niny», cioè news interpreted negative ly, tende a vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto, cioè a innervosirsi di fronte a qualsiasi tipo di colpo di scena, indipendentemente dal segno. Ebbene, conclude l’analisi, da giugno 2006 ad oggi ci sono state ben poche «sorprese» e quindi il mercato si è abituato a ragionare sulle storie delle singole società, senza badare molto ai fattori macro.
Adesso l’attenzione allo stato di salute dell’economia in generale è ben più alto e il mercato ha cominciato a diventare più «permaloso». In teoria, dunque, la Borsa sta ridiventando «Niny» e quindi interessante perché le statistiche dicono che le performance successive sono migliori di quelle realizzate da chi compra in un mercato che prende tutto con troppa filosofia (Nipy, ovvero News interpreted positively).
Lo studio di Goldman Sachs ha poi analizzato la relazione che esiste tra il movimento dei tassi di interesse e quello dei listini azionari dal 1990 in poi. Cioè dall’epoca in cui il Vecchio Continente si è preparato per la moneta unica abbassando e facendo convergere i tassi di tutti i paesi che aderivano al progetto. Ebbene, dicono i numeri, il «su e giù» del costo del denaro nel mondo che gira comunque a tassi bassi, trascina le azioni in un senso o nell’altro tenendo come riferimento la soglia critica del 5%.
In pratica se i tassi salgono da livelli molto bassi verso il 5% le Borse sono contente perché sentono odor di ripresa. E quindi, come è successo proprio negli ultimi mesi, la risalita del costo del denaro - in genere associata a mal di pancia per i listini - viene interpretata come una buona notizia. Perché l’economia cresce e la ripresa tiene senza risvegliare con sufficiente patos la paura dell’inflazione. I tassi calanti nel triennio 2000-2003, invece, non furono affatto percepiti come un buon augurio dalla Borsa, che proprio in quei tre anni ha vissuto un periodo di grandi ribassi. Tutto crollava perché, giustamente, i tassi sempre più asfittici rivelavano le corde di un’economia al capolinea e ancora lontana dalla rimessa in moto. Che in Europa è cominciata, appunto, solo un paio di anni fa.

 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

I CICLI ECONOMICI NON FINISCONO PIU' ALL' IMPROVVISO
 

27 Febbraio 2007 NEW YORK - di M.SAB
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Quel che rende unico l’attuale ciclo economico è stato - ed è tuttora - il livello relativamente basso dei tassi di interesse, l’estrema prudenza gestionale delle aziende, la compressione dei costi dopo gli eccessi di fine anni Novanta, e il fatto che la crescita si sia infiammata contemporaneamente in molte aree del mondo».

Ecco le sorgenti da cui trae alimento la forza dell’economia internazionale secondo Karen Olney, strategist azionario europeo di Merrill Lynch e curatrice dell’indagine sulle aspettative dei grandi investitori internazionali. Perché è così importante conoscere il «sentiment» degli investitori professionali?
«L’indagine sui fund manager offre uno spaccato delle loro opinioni che si rivela preziosissimo per conoscere le linee di tendenza delle vendite e degli ordinativi aziendali, l’evoluzione dei costi e le prospettive di crescita. Tutte informazioni di prima mano che i gestori ricavano dai frequenti incontri e colloqui diretti con il management delle imprese». E i fund manager hanno decretato che il ciclo economico ha ancora lunga vita...

«E’ esattamente questa la loro valutazione. In pratica dopo la correzione dei mercati azionari del 2000 - la più grave dopo la crisi del 1929 - l’economia globale ha registrato un brusco rallentamento. Ma il forte calo dei tassi di interesse deciso immediatamente dalla Fed guidata da Alan Greenspan e l’eliminazione degli eccessi creati dal boom delle dotcom sono i fattori che ancora oggi continuano a spingere la crescita economica e l’aumento degli utili aziendali».
Si sta forse andando verso una fine dei cicli economici? «Questo è ciò che sperano in molti. Ed effettivamente la scarsa volatilità dei mercati indica che nessuno prevede che il ciclo finisca all’improvviso. La politica monetaria reagisce rapidamente alle minacce inflazionistiche, l’economia è meno sensibile ai prezzi delle materie prime, i mercati sono più aperti di un tempo.

Tuttavia i forti squilibri commerciali tra le grandi aree del mondo potrebbero portare a qualche forte e improvviso aggiustamento. Semplicemente non lo sappiamo».
In questo scenario quali sono le sue scelte settoriali? «Al momento in Europa siamo neutrali sulle tecnologie, sebbene i produttori di hardware siano trattati a multipli inferiori a quelli delle società industriali. Ci piacciono invece i gruppi assicurativi, con una preferenza per le compagnie più attive nel ramo vita».
 

 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

 

  Domenica  11  febbraio 2007   Giovedì  15  febbraio 2007   Venerdì  16  febbraio 2007  
       
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GR1 RAI - 05 FEB ore 23:00

   

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GR1 RAI - 07 FEB ore 22:00

   

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GR1 RAI - 08 FEB ore 22:07

   

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GR1 RAI - 12 FEB ore 23:00

   

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GR1 RAI - 13 FEB ore 22:00

   

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GR1 RAI - 15 FEB ore 22:07

   

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GR1 RAI - 16 FEB ore 23:00

   

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GR1 RAI - 20 FEB ore 23:00

   

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GR1 RAI - 21 FEB ore 23:00

   

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   GREENSPAN: ECONOMIA USA A RISCHIO RECESSIONE
 

26 Febbraio 2007  New York - di ANSA
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Una recessione economica negli Usa è possibile a fine anno, anche se si tratta di uno scenario difficile da predire. E' l'ex numero della Federal Reserve, Alan Greenspan, a ipotizzarlo intervenendo via satellite a un convegno organizzato a Hong Kong.
L'ex banchiere dei banchieri spiega che l'economia statunitense ha iniziato la sua fase di espansione nel 2001 e che ci sono segni di chiusura del ciclo. A questo proposito, ci sono "i margini di profitto che si sono stabilizzati, un segnale appunto della fase conclusiva di un ciclo". Tuttavia, pur se è "difficile fare previsioni", Greenspan dice che l'inizio della recessione potrebbe esserci "negli ultimi mesi dell'anno".

Il Pil americano è aumentato al sorprendente tasso del 3,5% nell'ultimo trimestre del 2006, dal 2% dei tre mesi precedenti, e il rapporto della National Association for Business Economics (Nabe), diffuso in giornata, ipotizza una crescita del 2,7% nel 2007, il tasso più basso dall'1,6% del 2002, con la percezione di maggior rischio dell'inflazione rispetto al rallentamento economico.

Greenspan, inoltre, rinnova l'allarme sul deficit del budget federale, sceso nel 2006 a 247,7 miliardi di dollari (il livello più basso dal degli ultimi 4 anni) che è "un vero e proprio motivo di preoccupazione per tutti quanti stanno cercando di valutare sia il futuro immediato dell'economia americana sia del resto del mondo".
 

 

Fonte - ANSA

  

 

 

USA: PIL QUARTO TRIM. IN RIALZO DEL 2.2%

28 Febbraio 2007 14:30 NEW YORK  - (ANSA)

Il Prodotto Interno Lordo Usa - un dato che rappresenta il valore totale di tutti i beni e servizi prodotti e venduti nel Paese - nel quarto trimestre del 2006 ha registrato un aumento del 2.2%.
Lo ha comunicato il Dipartimento del Commercio Usa.
L’indicatore, che rappresenta il dato rivisto, si e’ rivelato leggermente inferiore alle stime degli economisti che si attendevano un rialzo piu’ contenuto, pari a +2.3%. Il dato finale del terzo trimestre si era attestato a +2%, quello preliminare del quarto a +3.5%
A causare la revisione al ribasso del dato e’ stata la minore spesa dei consumatori, I prezzi al consumo "core" sono stati rivisti al ribasso dell'1.9% dal precedente 2.1%.
Il deflatore e' salito dell’1.7%, oltre le stime degli economisti (+1.5%)

 

USA: IL CHICAGO PMI SCENDE A 47.9 PUNTI

28 Febbraio 2007 15:45 NEW YORK  - (ANSA)

Nel mese di febbraio l'indice che misura l'attivita' manifatturiera nell'area di Chicago e' sceso a quota 47.9 dai precedenti 48.8 punti di gennaio.
Lo ha comunicato la Purchasing Management Association di Chicago, l'associazione dei manager responsabili degli ordini di acquisto del settore manifatturiero.
Il dato si e' rivelato inferiore alle attese degli economisti, che erano per un lieve rialzo a 50 punti.
Ricordiamo che un valore superiore ai 50 punti indica un’espansione dell'attivita' manifatturiera, mentre un valore inferiore ai 50 punti indica una contrazione.
 

 

 

USA: VENDITE  CASE NUOVE CROLLANO DEL 16.6%

28 Febbraio 2007 16:00 NEW YORK  - (ANSA)

Nel mese di gennaio le vendite di nuove case negli Stati Uniti hanno registrato un crollo del 16.6% a 937 mila unita' (dato annualizzato e destagionalizzato). Si tratta del minor livello degli ultimi quattro anni e del maggior calo percentuale degli ultimi 13 anni.
Lo ha comunicato il Dipartimento del Commercio USA.
Il dato, che si riferisce alla vendita di unita' abitative unifamiliari di nuova costruzione, si e' rivelato inferiore alle attese del mercato. Le previsioni degli economisti erano in media per un valore di 1.08 milioni di unita'.
Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, le vendite sono risultate in flessione del 20.1%. Il prezzo medio di vendita e’ diminuito del 2.1% su base annuale a $239.800.
 

 

 

Martedì nero per i mercati mondiali
 

28 Febbraio 2007 - di ANSA
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Una seduta da dimenticare in tutto il mondo per le Borse finanziarie che in scia al crollo dell’indice di Shanghai sono ritornate ai valori di oltre tre anni. Un vero e proprio effetto domino che non ha escluso proprio nessuno: a Shanghai l’indice di riferimento ha perso il 9%, un tonfo che nel Vecchio Continente ha causato una perdita di 270 miliardi di euro, calcolati in base alla capitalizzazione dell'indice Stoxx 600.

Ma la reazione degli operatori è stata pressoché globale, visto che anche a Wall Street, disorientata tra il calo dell'indice sugli ordinativi di beni durevoli e l'inatteso rialzo dell'indice della fiducia dei consumatori, la voglia di vendere non si è stemperata ed il Dow Jones, in concomitanza con la chiusura delle piazze europee, ha segnato un calo di circa 1,5 punti percentuali.

A guidare i ribassi, nel Vecchio Continente, è stato proprio il comparto delle materie prime, oggetto recentemente di speculazione da parte degli hedge fund e, in ogni caso, reduce da forti rialzi a causa delle quotazioni dei metalli, drogate dall'inarrestabile domanda cinese. Sotto pressione anche le assicurazioni, che tendono a replicare l'andamento dei listini, le auto, le compagnie aeree e l'industria.

Pesanti Xstrata (-6,66%), Bhp Billiton (-6,16%), Vedanta Resources (-4,92%) e Rio Tinto (-4,8%) sulla piazza di Londra, frenate dai timori di una possibile stretta sugli investimenti da parte del governo cinese. Sotto pressione anche Arcelor-Mittal (-5,61%) a Parigi e Thyssen (-5,02%) a Francoforte.

In calo anche gli assicurativi Old Mutual (-4,53% a Londra), Axa (-4,27% a Parigi) insieme ad Allianz (-3,79%) e Munich Re (-3,01%) a Francoforte e a Baloise (-5,56%) sulla piazza di Zurigo, dove l'omonimo gruppo assicurativo ha ceduto il 4,52%.

Secondo gli operatori il comparto, data l'esposizione dei portafogli delle compagnie assicuratrici sul comparto azionario, é particolarmente sensibile ai movimenti dei listini e tende a replicarli accentuandone la tendenza.

In campo automobilistico segno meno, oltre che per Fiat (-4,55%), anche per DaimlerChrysler (-3,54%), che ha siglato un accordo di licenza proprio in Cina con il costruttore locale Chery per l'assemblaggio di vetture nel Celeste Impero. Segno meno anche per Bmw (-3%), Volkswagen (-2,41%) e per le francesi Michelin (-3,25%), Peugeot (-3,22%) e Renault (-1,8%). Sotto pressione anche il comparto tecnologico, con Infineon (-2,19%), Wincor-Nixdorf (-4,54%) e Stm (-3,74%), insieme ai telefonici Cable & Wireless (-3,38%), Vodafone (-2,55%), Telefonica (-2,34%) e Deutsche Telekom (-2,07%).

In calo anche Lufthansa (-2,87%), insieme a British Airways (-3,63%), Air France (-3,61%) e Iberia (-4,52%), mentre nel comparto industriale hanno ceduto a Francoforte Basf (-2,83%) e Siemens (-2,74%) insieme ad Abb (-6,36%), quotata sia a Zurigo che a Stoccolma. Difficoltà per Repsol (-2,6%) che ha annunciato i risultati trimestrali e per il costruttore svedese di autocarri Volvo (-4%), che ha annunciato l'acquisizione di Ingersoll Rand, attiva nella produzione di macchinari per l'edilizia. Effetto-trimestrale anche sulla spagnola Fomento de Costrucciones (-5,5%), mentre a Francoforte è scivolata Henkel (-5,8%), che ha confermato le proprie stime sulle vendite per l'anno in corso.

 

Fonte - ANSA

  
 

 

 

 

TERREMOTO ALAN HA COLPITO ANCORA
 

28 Febbraio 2007  NEW YORK - di Carlo Bastasin
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C’è qualcosa di beffardo nel fatto che sia stato Alan Greenspan a vestire i panni di Cassandra e a scatenare - con la sua previsione di una recessione americana entro la fine dell’anno – la caduta delle Borse mondiali. Proprio Greenspan è alla fonte dell’instabilità che a ondate prende nuove forme e scuote i mercati finanziari.
L’eccesso di liquidità immesso dal governatore della Federal Reserve a cavallo del Duemila nell’economia americana ha creato prima la bolla della new economy, poi quella delle obbligazioni, poi quella dell’immobiliare e ora una nuova supervalutazione meno convenzionale e più difficile da classificare, ma non meno pericolosa: la ricerca di rendimenti elevati attraverso investimenti molto rischiosi con «margini» sempre più stretti e mercati dei titoli con volatilità non correlata ai rischi, spesso attraverso operatori «privati» poco trasparenti e per mezzo di derivati il cui valore nozionale è stimato da Morgan Stanley in 440 mila miliardi di dollari (sia quotati, sia «over the counter”) cioè nove volte il reddito aggregato dell’economia mondiale.
In perfetto stile con la globalizzazione, Greenspan partecipava via satellite a una conferenza a Hong Kong da cui è uscito il messaggio pessimista sull’economia americana. Nonostante l’ultimo rapporto della Fed preannunci un «atterraggio morbido», il rischio di un arretramento della crescita è ritenuto concreto dall’ex governatore. Alla fine della conferenza i titoli del Tesoro americano scoppiavano di salute (anticipando tassi d’interesse bassi) e la Borsa ha cominciato a scendere. Quando dagli Stati Uniti sono giunti segnali di conferma del rallentamento, con la caduta degli ordini di beni durevoli del 7,8% e con i pessimi dati sui mutui ipotecari, Shanghai ha rotto la diga e registrato una perdita del 9%, la più alta da dieci anni.
Le sorti finanziarie e industriali dell’Asia meridionale e degli Stati Uniti sono legate e l’enorme squilibrio di bilancia dei pagamenti americano (anch’esso frutto dello stimolo artificiale di Greenspan) è solo l’altro nome dell’eccesso di risparmio dei cinesi.
Se questo fosse «il canarino nella miniera», il primo segnale di un aggiustamento strutturale dell’economia globale, allora dovremmo prepararci al terremoto «Alan» e sarebbe di dimensioni inaudite. Tali da spostare le faglie dei continenti, rompendo i ponti commerciali e finanziari. Interrompendo di fatto la più lunga e forte fase di benessere dell’economia globale di questa generazione, con conseguenze imprevedibili anche sugli equilibri politici. Ma la scommessa di assorbire gli squilibri attraverso la crescita dell’economia non è ancora perduta. Ben Bernanke, il sobrio successore di Greenspan, ritiene che le prospettiva di crescita in America non siano deteriorate e che si avrà solo un rallentamento, coerente con la necessità di ridurre la domanda interna e il deficit esterno.
L’aumento di produttività nel mondo industriale d’altronde è reale, non è un fenomeno finanziario. E’ stato reso possibile tuttavia anche dalle ristrutturazioni finanziate da fondi con leve finanziarie ardite e che valutano il capitale 15 volte i profitti attesi.
Potrà essere mantenuto un livello di redditività del capitale così elevato, o bisognerà che le Borse scendano in fretta? Gli ultimi dati dalle imprese non sono negativi. Lehman Brothers valuta che metà delle imprese americane del S&P 500 abbia registrato profitti a fine 2006 più alti delle attese e solo il 13% abbia deluso. I dati non sono del tutto convincenti, ma nel complesso non si può dire che siano statistiche che preannunciano una recessione, tutt’altro.
 

 

Fonte - La Stampa

 

 

 

WS RIMBALZA, BERNANKE RASSICURA
 

28 Febbraio 2007  NEW YORK - di ANSA
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Ben Bernanke tranquillizza Wall Street che, pur con un petrolio salito a quota 61,79 dollari al barile (+0,5%), chiude gli scambi in positivo, rimbalzando, sia pure parzialmente, all'indomani del tonfo segnato dai mercati per effetto del crollo di Shanghai. Il Dow Jones, con la piazza cinese in ripresa (+3,9%) e i mercati europei che contengono le perdite a poco più dell'1%, si ferma in progresso dello 0,43% (a 12.268,63 punti), il Nasdaq sale a quota 2.416,13 (+0,34%), mentre lo Standard & Poor's 500 si attesta a 1.406,82 punti (+0,56%). Dopo un avvio di seduta all'insegna della volatilità, gli indici virano al rialzo registrando guadagni oltre 1% grazie alle rassicurazioni del presidente della Federal Reserve che, parlando alla Commissione Budget della Camera, pone l'accento sulla positiva capacità di reazione dei mercati specificando che non si è verificato alcun cambiamento dal punto di vista dei fondamentali. L'economia Usa, assicura Bernanke, ripartirà a metà anno mentre fino ad allora si dovrebbero registrare tassi moderati di crescita, ribaltando lo scenario illustrato appena domenica dall'ex numero uno della banca centrale, Alan Greenspan, sui rischi di possibile recessione per fine 2007. In più, Bernanke spiega che la Fed segue con attenzione quanto sta accadendo sui mercati e che quanto è accaduto ieri non è il risultato di un singolo fattore. Sono passate così in secondo piano le brutte notizie giunte in giornata, a partire dal debole dato sul Pil Usa del quarto trimestre 2006: in base alla seconda lettura, il tasso di crescita è rivisto al ribasso al 2,2% dal 3,5% della prima stima, mentre l'industria continua a tagliare produzione e ordinativi anche all'inizio del 2007. A febbraio, l'indice Pmi di Chicago, che sintetizza il trend del comparto manifatturiero, è inaspettatamente sceso a 47,9, segnalando una contrazione del ciclo per il secondo mese di fila (48,8 a gennaio). A questo si va ad aggiungere il crollo delle vendite di case nuove a gennaio (-16,6%) che allunga nuove ombre sulla crisi del mercato immobiliare spingendo al ribasso i titoli del settore. Uniche notizie positive, il raffreddarsi dell'inflazione e il solido trend di crescita dei consumi, che negli Usa pesano per circa il 70% della crescita economica: dalla statistica sul Pil emerge che l'indice 'core' (al netto di cibo e petrolio) scende all'1,9% nel quarto trimestre 2006 (dal 2,1% della prima lettura) mentre i consumi crescono al tasso del 4,2%, correndo più del 2,8% dei tre mesi precedenti.
 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

  Sabato  17  febbraio 2007   Sabato  24  febbraio 2007   Sabato  03  marzo 2007  
       
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GR1 RAI - 23 FEB ore 23:00

   

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GR1 RAI - 26 FEB ore 23:00

   

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GR1 RAI - 27 FEB ore 23:00

   

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   La festa dei listini presto sarà finita

28 Febbraio 2007 5:22 MILANO - di (vi.p.)

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«Oggi abbiamo avuto una serie di shock sui mercati azionari: il punto è che gli Stati Uniti potrebbero entrare in recessione entro l´anno». Nouriel Roubini, professore di Economia e Affari internazionali alla Stern School of Business della New York University aveva già previsto altre crisi e stavolta non è ottimista. Come si è arrivati al crollo in Cina? «Lì c´era una bolla nel mercato azionario, che doveva esplodere».
E gli altri mercati? «Ieri la Cina ha contagiato le altre Borse, ma occorre tener presente che sempre ieri sono arrivati molti segnali negativi da parte dell´economia americana, che suggeriscono come gli Usa potrebbero entrare in recessione quest´anno, come avevo previsto la scorsa estate e come ha appena paventato lo stesso Greenspan».
Quindi la situazione negli Stati Uniti è seria. «Lo ripeto: è probabile che gli Usa entrino in recessione nel 2007 e nemmeno una politica monetaria accomodante da parte della Fed preverrà questa recessione. Ci sono troppi fattori di debolezza nell´economia Usa: recessione sul fronte delle case, dell´auto, dell´industria manifatturiera, degli investimenti reali (le società stanno riducendo gli investimenti in linea capitale)».
E al resto del mondo cosa accadrà? «L´Europa, l´Asia, il resto del mondo non si sottrarrà all´atterraggio duro dell´economia americana: se negli Usa ci sarà un soft landing, un atterraggio morbido dell´economia, allora anche l´Europa andrà bene. Ma se ci sarà recessione negli Usa, ciò comporterà una rallentamento significativo anche dell´economia in Europa, come in Cina e in Asia».

 

Fonte - La Repubblica

 
 

 

 

 

   Borse: è un BLIP o una correzione vera ?

28 Febbraio 2007 5:22 MILANO - di *Antonio Cesarano
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*Antonio Cesarano e' Head of Research and Strategy MPS Finance BM S.p.A.

Dopo la turbolenta giornata di ieri, può essere utile ordinare le idee su quanto accaduto e sulle analogie (molte) e differenze (poche) rispetto a quanto già avvenuto nel maggio del 2006. Il tutto per cercare di rispondere al quesito prevalente in circostanze come quella di ieri: si tratta di un movimento temporaneo? nel caso rientri in che tempi è lecito attendersi che ciò si verifichi?
Procediamo con ordine. Innanzitutto mettiamo nero su bianco i punti più evidenti e per quanto possibile oggettivi:

1) incipit arrivato dal ridimensionamento (o dal timori di ridimensionamento ) dei carry trade: il movimento ha avuto come causa scatenante di breve il forte calo del mercato cinese. Si è trattata della classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. In realtà è stato il pretesto per richiamare l'attenzione sull'eccesso di posizioni a leva finanziate in valute caratterizzate da tassi di finanziamento prossimi a zero (tipicamente Yen e Franco svizzero) con successivo reinvestimento in asset con più elevato grado di rischio e rendimento (ad esempio azioni ed obbligazioni dei paesi emergenti);

2) forte calo dei mercati azionari emergenti, rapidamente propagatosi a tutte le aree;

3) fuga verso la qualità, alias forti acquisti dei titoli obbligazionari governativi, in primo luogo Treasury Usa.

4) forte rialzo del premio al rischio: l'indice Embi+ spread sui titolo obbligazionari dell'area emergente ha registrato un allargamento di circa 20pb.

Rispetto al 2006 il movimento è praticamente analogo con una differenza : il movimento non è partito questa volta dal comparto delle materie prime che anzi tutto sommato ha evidenziato un andamento piuttosto composto ad eccezione del comparto agricolo.

Nelle scorse settimane se non addirittura mesi, diversi banchieri centrali avevano richiamato l'attenzione sul tema dei carry trade, che, insieme ad altri fattori hanno contribuito a schiacciare in modo impressionante il premio al rischio. Ad esempio i banchieri centrali europei ma soprattutto il governatore della banca centrale svizzera Jean-Pierre Roth che a più riprese ha cercato di richiamare l'attenzione sulla pericolosità delle posizioni a leva (c.d. carry trade), consapevole del fatto che una grossa parte era ed è finanziato proprio in franchi svizzeri, il cui profitto poggia su un'assunzione fondamentale: la valuta di finanziamento non comporterà rischi di perdite e quindi non si apprezzerà. Come si può vedere si tratta di un'assunzione molto pericolosa che in passato ha già riservato sorprese piuttosto dolorose (si ricordi il caso della Long Term Capital Market del 1998).

In questa sede basta evidenziare come le banche centrali complessivamente si siano interessate al tema dei carry trade richiamandone i rischi. I toni sono diventatati via via più forti. Fin qui tutto regolare: è compito delle banche centrali cercare di prevenire rischi di eccessi sui mercati che potrebbero poi avere ripercussioni anche sull'economia reale. Questi richiami assumono però una luce diversa se lette insieme alle dichiarazioni (sempre da parte delle banche centrali) in merito all'intenzione di diversificare le proprie riserve valutarie, non solo in termini meramente valutari (riduzione della quota in Dollari ed aumento di quella in Euro e Sterlina) ma anche in termini di tipologia di asset. Il recente sondaggio condotto da Royal Bank of Scotland tra 47 banche centrali ha ad esempio evidenziato come più della metà intenda procedere ad investimenti direttamente sul mercato azionario. A tal proposito la banca centrale cinese direttamente o indirettamente ha più volte lasciato trapelare questa iniezione. Un fattore non di poco conto se si pensa che la banca centrale cinese "siede" sul più elevato ammontare di riserve valutarie al mondo : circa 1000Mld$. Da pochi mesi ha infatti strappato la vetta della classifica al Giappone. Come la Cina, anche la banca centrale russa (accreditata di circa 300Mld$ di riserve ma con un forte tasso di crescita grazie ai proventi del petrolio e gas) ha manifestato intenzioni analoghe.

E' verosimile ipotizzare che in realtà gli acquisti sul mercato azionario siano già iniziati da un bel pò ed in parte potrebbero spiegare come mai il rialzo ininterrotto delle borse da diversi mesi a questa parte si sia verificato con variazioni molto contenute, alias, come si suol dire in gergo, con livelli di volatilità molto contenuti. Altrettanto verosimilmente è nell''interesse delle banche centrali stesse preservare un andamento composto dei mercati benchè supportivo della crescita economica come nel caso dei mercati azionari, in modo da avere il supporto anche finanziario al positivo scenario macro. Per preservare però il trend di tanto in tanto occorre consentire un rientro degli eccessi. L'operazione è ovviamente molto delicata in quanto presenta notevoli rischi. Il peso crescente delle banche centrali su mercati prima inesplorati (come l'azionario e le materie prime) riduce però il grado di rischiosità. Probabilmente qualcosa del genere è già accaduto nel mese di maggio del 2006. Anche allora il calo era stato precedeuto come oggi da un'accentuazione dei toni forti delle banche centrali.

In sintesi. Queste considerazioni, laddove si rivelassero corrette, porterebbero alle seguenti conclusioni:

1) le turbolenze di ieri potrebbero continuare per ancora qualche settimana;

2) nel frattempo gli operatori potrebbero portare le aspettative di crescita dell'economia mondiale su livelli più prudenziali rispetto all'eccesso di ottimismo emerso ad inizio anno;

3) il rientro degli eccessi pertanto potrebbe avvenire nel giro di un mese o poco più, come accadde già a metà del 2006, rimanendo nel frattempo favorevole lo scenario macro di fondo.
 

Un'ulteriore considerazione sul tema crescita, in particolare quella Usa: nei prossimi mesi gli operatori potrebbero apprendere la lezione di non dare troppo per scontata l'assunzione di assenza di effetti negativi del rallentamento del settore immobiliare Usa sui consumi, soprattutto se il tasso di morosità sui mutui dovesse continuare ad aumentare.
Pertanto le aspettative di crescita Usa per il 2007 potrebbero spostarsi più verso il 2,5% anziché verso il 3%. In questo contesto la Fed potrebbe mantenere i tassi fermi per il semestre in corso e a più riprese potrebbe acquistare peso l'ipotesi di tagli tra il terzo ed il quarto trimestre.

Il vecchio Greenspan pochi giorni fa ha richiamato l'attenzione sui rischi di recessione a fine anno. L'intento dell'ex presidente della Fed probabilmente non era tanto quello di dichiarare concretamente possibile una recessione quanto piuttosto la necessità di evitare che gli operatori arrivino ad escludere del tutto tutto questa ipotesi, fino ad eccedere nelle aspettative ottimistiche con il rischio di leggere come negativa una crescita comunque molto vicina al potenziale. La ripresa in considerazione di tale ipotesi, per quanto per ora remota, consente e dovrebbe ancora consentire ai bond di presentare performance positive,sebbene non paragonabili a quelle che nel semestre è lecito attendersi da altri mercati.
Nel breve termine il flight to quality verso i bond potrebbe interessare l'intero mese di marzo, replicando anche per tale via quanto già accaduto nel maggio del 2006.

 

Fonte - Bloomberg - Finanza&Mercati


 



 

  Giovedì  01  marzo 2007   Giovedì  01  marzo 2007   Venerdì  02  marzo 2007  
       
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NUOVO MASSIMO STORICO PER LA BORSA CINESE


(ANSA) - Il toro e' globale. Top assoluto per l'indice Shangai e Shenzhen 300 e' salito del del 10,7% da inizio settimana e del 3,1% oggi a 2.668,83 punti, sostenuto in particolare dalla buona performance dei titoli finanziari.

 


IL GIAPPONE STUPISCE DI NUOVO: CRESCITA AL +4,8%


(ANSA) - Balzo nelle valutazioni dello sviluppo economico di Tokyo, che nell'ultimo trimestre 2006 ha raggiunto il 4,8% annuo in termini reali. Il rialzo viene anche incontro alle aspettative UE per una rivalutazione dello yen.
 

 

Corre il duo Singapore-Bombay
 

12 Febbraio 2007 - Sara Silano
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Sono le Borse dell’area del Pacifico che hanno registrato i maggiori rialzi nel primo mese dell’anno; battuta d’arresto per Shanghai. Le economie indiana e cinese sorprendono in positivo. In Thailandia, giro di vite sugli investimenti stranieri.
Il 2007 non è iniziato sotto il segno della Borsa di Shanghai. A gennaio, il miglior listino dell’area del Pacifico è stato quello di Singapore (+7,4%), che si è spinto sopra la soglia dei 1.400 punti, seguito da Bombay (+6,4%), che ha bruciato un nuovo record oltre quota 14.700. Hanno corso anche Seul (+4%) e Hong Kong (+3,2%), mentre Taiwan ha guadagnato l’1,6% e la Cina si è fermata allo 0,8% (al 9 febbraio).

Il mercato azionario indiano è supportato dal buon andamento dell’economia, una delle più dinamiche dell’area, insieme a quella cinese, e da alcune operazioni societarie. Il Prodotto interno lordo è cresciuto del 9% nel 2006, battendo le stime che erano dell’8%, grazie all’aumento di produttività registrato nel settore manifatturiero e in quello agricolo. Sul fronte aziendale, Tata steel è diventato il quinto produttore di acciaio al mondo, grazie all’acquisizione della britannica Corus. Inoltre, Tata Motors, principale industria di camion e bus, insieme a New Holland Tractors (India) del gruppo Fiat, sono intenzionati a rafforzare la presenza nella regione acquisendo una partecipazione in Punjab Tractors. Qualche preoccupazione destano, tuttavia, le dichiarazioni del governo sulla rupia forte, che potrebbe penalizzare le esportazioni.

E’ cresciuto più del previsto il Prodotto interno lordo cinese (+10,7%), anche se l’ultimo trimestre ha segnato un leggero rallentamento rispetto a quelli precedenti. L’incremento è superiore al target fissato dalla Banca centrale, che è pari all’8%. Nel suo ultimo rapporto, l’istituto ha dichiarato di voler ricercare un livello “ragionevole” per la divisa locale, lo yuan, in modo da favorire la riduzione del surplus commerciale e raffreddare la congiuntura. Dalla fine del rapporto fisso con il dollaro, nel luglio 2005, l’apprezzamento è stato di oltre il 6%.

Per la Borsa di Shanghai, il 2007 è iniziato all’insegna dei realizzi, dopo il rally dell’anno precedente. Ad alimentare le vendite ha contribuito l’ammonimento dell’autorità di vigilanza sulle banche di frenare i prestiti agli investitori per l’acquisto di azioni e di richiamare i debiti inevasi. L’obiettivo è quello di evitare una crisi creditizia e una distorsione del corso dei titoli dovuta all’effetto leva, che potrebbe avere effetti pesanti in caso di correzione dei listini. Nel 2006 la capitalizzazione del mercato è più che triplicata, dopo quattro anni di debolezza.

Intanto, continuano i collocamenti sulla Borsa cinese. A inizio gennaio, China Life è balzata del 106% nel primo giorno di contrattazioni. La capitalizzazione del colosso assicurativo è salita a 129 miliardi di dollari, un valore inferiore solo al gigante statunitense, Aig. La compagnia era già quotata a Hong Kong e a New York. Gli investitori hanno accolto positivamente anche il debutto di Industrial Bank, sesta banca del Paese.

Gli acquisti hanno premiato gran parte delle altre piazze finanziarie asiatiche, in particolare Singapore, che ha beneficiato del buon andamento dei titoli tecnologici e di alcune matricole, tra cui China Farm Equipment, mentre è stato misto il trend del comparto immobiliare. In Thailandia, invece, il giro di vite sugli investimenti stranieri, con la previsione di un limite del 50% della proprietà estera in alcune delle principali aziende del Paese, ha depresso il listino.
 

 

Fonte - Morningstar.it

 

 

Bizzarrie valutarie
 

22 Febbraio 2007 - Sara Silano
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Il rialzo dei tassi in Giappone non ha dato fiato allo yen, che al contrario è sceso ai minimi storici contro l’euro. Il dollaro ha risollevato la testa nei primi mesi del 2007, anche se l’economia americana dà segnali di rallentamento. Oggi più che mai è difficile fare previsioni sul mercato dei cambi.
In molti aspettavano questa mossa e alla fine la Banca centrale giapponese ha agito. I tassi sono stati innalzati di 25 punti base allo 0,5%, il livello più alto da oltre un decennio. E’ il secondo ritocco dal luglio 2006, data in cui l’istituto guidato da Toshihiko Fukui ha abbandonato la politica dei tassi zero. A sorpresa, lo yen non ne ha beneficiato, al contrario ha toccato i minimi storici sull’euro e si è portato al livello più basso degli ultimi quattro anni nei confronti del dollaro.

In teoria, il rialzo dei tassi avrebbe dovuto riflettersi positivamente sulla divisa nipponica, perché riduce il differenziale rispetto agli Stati Uniti e all’area Euro. Invece, non è accaduto e le ragioni addotte sono diverse. In primo luogo, lo spread con gli altri due Paesi continua ad essere elevato (i saggi nominali di riferimento in America sono al 5,25% e nel Vecchio continente al 3,5%). In secondo luogo, il governatore della Banca centrale ha lasciato intendere che non ci saranno altre strette a breve, almeno non prima delle elezioni parlamentari di luglio.

Ma esiste un ulteriore fattore che gioca un ruolo da protagonista nel caso dello yen. Si tratta del fenomeno noto come carry trades: gli investitori prendono a prestito capitali in valute con basso tasso di interesse per poi investire in Paesi con saggi più alti, soprattutto negli Stati Uniti. Interrompere tale meccanismo non è interesse di nessuno, perché è un modo per finanziare il corposo debito americano.
Le anomalie valutarie non finiscono qui. Dall’inizio dell’anno, il dollaro si è apprezzato nei confronti dell’euro, nonostante i segnali di rallentamento dell’economia statunitense. Un trend che non è stato determinato da fattori macro, ma dai movimenti di mercato, innescati dal venire meno delle speculazioni relative al taglio dei tassi da parte della Federal Reserve. Un altro fattore da non trascurare sono le riserve valutarie, in particolare dei Paesi esportatori di petrolio: se continuerà la diversificazione degli istituti centrali rispetto al biglietto verde, quest’ultimo potrebbe indebolirsi.

Quello dei rapporti di cambio è sempre stato un mercato difficile da prevedere e oggi lo è ancor di più, perché è mosso in gran parte dall’enorme disponibilità di liquidità nel sistema. Ma, a parte i trader, chi ha un obiettivo di lungo periodo non ha grandi motivi di preoccupazione. Secondo uno studio dei professori Elroy Dimson, Paul Marsh e Mike Staunton della London Business School, il tasso di cambio reale ha avuto un impatto molto limitato sui rendimenti di Borsa nell’ultimo secolo, le performance annue in valuta locale e in dollari presentano scostamenti minimi. Per l’Italia, l’incidenza è stata dello 0,1%, per la Germania dello 0,23% e per il Regno Unito del -0,03%.
E’ chiaro, un investitore non ha un orizzonte temporale così esteso, ma tale analisi dimostra, ancora una volta, che costruire un portafoglio cercando di indovinare o cavalcare i trend del momento è spesso poco redditizio e molto rischioso. E’ più proficuo perseguire un accrescimento graduale del capitale, attraverso strumenti che abbiano un buon rapporto tra rischio e rendimento nel lungo termine o con formule, come i piani di accumulo, che permettono di annullare gli effetti della volatilità temporanea dei mercati. Le valute sono bizzarre, ma non indomabili.

 

Fonte - Morningstar.it 

 

 

 

 

BORSE IN CRISI: NUOVI CROLLI IN ASIA

28 Febbraio 2007 4:36 PECHINO  - (ANSA)
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Continua la crisi globale delle borse, vendite emotive in quasi tutti i mercati azionari dell'Asia, con l'eccezione di Shanghai, che rimbalza. A Hong Kong l'indice Hang Seng Index ha perso mercoledi' mattina il 3.8%, in Australia il benchmark S&P/ASX200 ha accusato un calo del 3.5%. La borsa in Indonesia ha perso il 5.2%, mentre nelle Filippine il crollo ha toccato -9.4%. La Borsa di Tokyo ha chiuso gli scambi in ribasso del 2,85%. Il Nikkei e' sceso a 17.604,12 punti, 515,80 in meno di ieri.
La Borsa di Shanghai ha chiuso con un rialzo del 3,94 per cento, con il Composite che si è assestato a livello 2,881,07. "Sembra che gli investitori non siano più in preda al panico", ha commentato un operatore riferendosi al crollo dell' 8,8 per cento di ieri, il più grave dopo la crisi asiatica del 1997 aveva innescato una reazione a catena sulle Borse europee e a Wall Street.
Anche l' altra Borsa della Cina, quella che ha sede nella città industriale di Shenzhen, nel sud del paese, ha chiuso con un rialzo che ha sfiorato il 4 per cento. Ai risultati positivi ha contribuito l' annuncio del governo, che ha smentito le voci secondo le quali sarebbe stata introdotta un' imposta sui profitti ottenuti in Borsa.
Circa Tokyo, la Borsa giapponese aveva sospeso nella sessione della mattina le contrattazioni dopo il il peggior crollo da quasi sei anni. La sospensione, di 15 minuti, e' stata decisa dopo che l'indice Nikkei 225 ha perso oltre 700 punti.
Solo nel primo quarto d'ora l'indice Nikkei aveva perso oltre 580 punti, cioé più del 3,2 per cento, una caduta quasi equivalente in percentuale a quella dell'intera giornata di ieri a New York. Le peggiori perdite si sono registrate nei settori delle assicurazioni e delle industrie ceramiche. Alla fine Tokyo ha chiuso gli scambi in ribasso del 2,85%.

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

   La correzione che il drago stava cercando

28 Febbraio 2007 MILANO - di Federico Bazzoni
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Osservata dalle lucenti torri di Hong Kong, la Cina dà forse l’impressione di un Drago disturbato, quasi sorpreso, dalla bufera borsistica di due giorni fa. Per nulla spaventato, tuttavia. Anzi, forse soddisfatto. Martedì, l’indice Shanghai Composite è crollato dell’8,8%, con una correzione da 3.040 punti a 2.771 punti. È la prima volta negli ultimi 10 anni che i ribassi raggiungono un tale picco, tanto che la seduta si è guadagnata l’appellativo di «martedì nero» del listino cinese. Tra l’altro, non c’è stata alcuna notizia particolare alla base del crollo.
La nostra opinione è che si sia trattato dell’ultima reazione degli investitori alle misure adottate dallo scorso anno da Pechino con l’intento di raffreddare la temperatura della Borsa. Le azioni di tipo A sono infatti balzate del 128% nel 2006, e al 26 febbraio il progresso da gennaio era del 13,6%. Dal punto di vista politico, la Cina ha un bisogno disperato di stabilità per preparare l’Olimpiade e il 17.mo congresso del Partito il prossimo anno. La classe politica ha manifestato timori crescenti sulla bolla dei mercati e si dice che i leader del Paese abbiano commentato diverse volte i rischi che corre il mercato azionario.
È opinione comune che la corsa del mercato cinese negli scorsi 12 mesi abbia poco a che fare con i fondamentali economici, ma si debba attribuire principalmente al successo della riforma delle azioni A e, soprattutto, all’eccessiva liquidità. E mentre molti titoli venivano sopravvalutati, gli investitori hanno iniziato a nutrire timori sulla sostenibilità dei rialzi e hanno reagito con prese di beneficio. Non a caso, abbiamo commentato all’inizio di gennaio, nella nostra January Version of Inside China, che la correzione prima delle sessioni del Parlamento cinese (che iniziano il 5 marzo) sarebbe stata inevitabile.
Ci aspettiamo un rallentamento economico quest’anno (dal 10,7% del 2006 al 9,6%), che corrisponde all’obiettivo del governo cinese e al target delle politiche macroeconomiche restrittive. In ogni caso, non è prevista una vera inversione di tendenza. I clienti mi hanno posto molti interrogativi sulla flessione del mercato cinese, in particolare se questa rifletta una caduta dell’economia come riportano alcuni media: io però mi aspetto che il governo continui nella sua politica di riduzione della liquidità e che la China Securities Regulatory Commission acceleri sulle nuove Ipo. Come abbiamo detto più volte, suggeriamo agli investitori di abbandonare i titoli sopravvalutati e guidati dal fattore liquidità.
Tuttavia, dato che i fondamentali economici restano solidi, riteniamo che gli utili delle società dovrebbero essere ancora promettenti. Ci sono ancora molti titoli convenienti, e dato che la liquidità generale resta abbondante, la correzione non dovrebbe essere troppo profonda. Al contrario, questa potrebbe essere un’ottima opportunità per gli investitori.

 

Fonte - Bloomberg - Finanza&Mercati

 
 

 

 

   Se la bolla cinese scoppia sui mercati

28 Febbraio2007 PECHINO - di Federico Rampini
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Fino agli anni Novanta, all´apice dell´egemonia economica degli Stati Uniti sul resto del mondo, si usava dire che "quando l´America ha il raffreddore l´Europa si prende la polmonite". Il fatto che martedì uno starnuto della Borsa di Shanghai abbia fatto tremare i mercati globali dimostra com´è cambiato il mondo.
E quanto il baricentro del potere economico si è spostato verso l´Asia, quanto si sono alterati i rapporti di forze in favore dei giganti orientali. La Cina è il nuovo "elefante nella cristalleria" del pianeta: un suo movimento brusco può creare sconquassi inimmaginabili fino a pochi anni fa. Perciò il martedì nero della Borsa di Shanghai ha rilanciato interrogativi che ci riguardano da vicino. Esiste una vera bolla speculativa cinese, di quali dimensioni, ed è destinata a sgonfiarsi ulteriormente? Stiamo per vedere l´inizio della fine del miracolo asiatico?

Che la Borsa di Shanghai sia una pericolosa bolla speculativa, è noto da mesi alle stesse autorità cinesi. L´anno scorso quel listino azionario è salito più di ogni altro mercato al mondo, raggiungendo quotazioni tanto stratosferiche quanto irrealistiche.
Il governo di Pechino ne è seriamente preoccupato, per motivi comprensibili. Quando un quarto di secolo fa Deng Xiaoping avviò la Cina verso il capitalismo con il celebre slogan "arricchirsi è glorioso", il messaggio sottinteso era: "fate soldi e tacete". Per chi non volle capirlo, come gli studenti di Piazza Tienanmen, ci pensarono i carri armati nel 1989 a rendere esplicite le clausole del patto sociale: un nuovo modello di capitalismo sigillato dall´autoritarismo. Oggi che il ceto medio-alto ha scoperto il gioco della speculazione in Borsa (in soli dodici mesi sono stati aperti sette milioni di nuovi conti-titoli individuali nelle banche), un crac potrebbe aprire delle crepe nell´edificio del consenso.
Perciò i leader del regime da tempo moltiplicano gli avvertimenti. Vari esponenti del governo hanno ammonito ripetutamente i risparmiatori sui rischi della Borsa, sui prezzi troppo alti delle azioni, sui rischi di perdite improvvise e pesanti. Lo stesso martedì nero è stato scatenato da voci sull´introduzione di un´imposta sulle plusvalenze azionarie: una tassa che oltre a essere logica e legittima, ha anche l´evidente scopo di sgonfiare la bolla prima che essa scoppi da sola con troppa violenza.

Le peripezie della Borsa di Shanghai tuttavia non sono un indicatore molto significativo dello stato dell´economia reale nella nazione più grande del mondo. Quel mercato azionario è notoriamente opaco, povero di controlli sulla qualità dei bilanci, con regole di corporate governance inesistenti. Le stesse aziende cinesi più solide e serie vanno a quotarsi a Hong Kong o New York o Londra. L´economia cinese è molto meno "finanziarizzata" delle nostre, il sistema bancario resta la fonte principale di sostegno alle imprese. I veri problemi dell´economia cinese sono di altra natura. In certi settori industriali c´è sovrainvestimento e la capacità produttiva è troppo elevata. La crescita è surriscaldata nelle zone più ricche della fascia costiera, è insufficiente nell´ampio retroterra del centro-ovest. Il governo tenta di riequilibrare il modello di sviluppo per spostare risorse verso le regioni arretrate.
In questa difficile operazione c´è sempre il rischio dell´over-shooting, di una manovra troppo violenta che perturbi la fantastica crescita del 10% annuo del Pil messa a segno da un decennio. Le Olimpiadi del 2008 potrebbero perfino avere un effetto boomerang: per eccesso di efficienza i grandi cantieri di opere pubbliche saranno già conclusi alla fine di quest´anno, all´avvicinarsi dei Giochi l´attività potrebbe sgonfiarsi più di quanto sia desiderabile. Al tempo stesso, nessuno di questi rischi è ineluttabile.

Il vero tallone d´Achille della Cina, paradossalmente, in questo momento sta fuori dalle sue frontiere e sfugge al controllo del governo di Pechino. Il boom degli ultimi anni è stato largamente alimentato dalle esportazioni. Il rallentamento dell´economia americana - anch´esso provocato dallo sgonfiarsi di una bolla speculativa, quella immobiliare - è la minaccia più seria per il made in China. Se alla minore domanda di consumi delle famiglie americane dovesse aggiungersi una virata protezionista di Washington - i democratici sono sempre stati meno liberisti dei repubblicani nel commercio estero - allora si guasterebbe la simbiosi sino-americana su cui si reggono gli equilibri mondiali.
L´intera economia globale ha due motori: la produzione cinese e i debiti dei consumatori americani che comprano made in China (debiti generosamente rifinanziati dalla banca centrale di Pechino con l´acquisto dei Bot Usa). Un granellino di sabbia in questo delicato ingranaggio può avere effetti rovinosi, da cui noi non siamo al riparo. Una quota crescente di capitali europei - spesso all´insaputa dei risparmiatori - sono stati investiti tramite fondi comuni, derivati e hedge funds sulle Borse dei paesi emergenti: Cina, India, Russia, Brasile. Una prolungata caduta delle quotazioni azionarie in quelle zone del mondo lascerebbe delle tracce sui risparmi degli italiani.
L´Unione europea, così poco dinamica da salutare come un evento fausto una modestissima ripresa del 2%, non ha davvero nessun motivo di augurarsi il deragliamento nel miracolo asiatico. Dopo aver tanto demonizzato la Cina, ci scopriremmo orfani del suo vigore, e tutti più poveri.

 

 

Fonte - La Repubblica