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Giovedì
03 gennaio
2008 |
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Venerdì
04 gennaio
2008 |
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I
cinque principali temi di investimento del
2008
Venerdì 4 Gennaio 2008,
09:17 - Di
TrendOnLine ________________________________________
Nei giorni scorsi è stato diffuso
un report elaborato dal Team Strategy di Crèdit Agricole Asset
Management, nel quale sono stati analizzati i cinque principali temi
di investimento per il 2008. Gli analisti hanno preso in
esame innanzitutto il tema caldo relativo all'eventualità di una
recessione, alla luce dell'annunciato rallentamento della
congiuntura mondiale.
E' questo il primo tema di
investimento per il nuovo anno, in merito al quale vengono messi in
evidenza tre fattori di rischio per l'economia globale:
petrolio, settore immobiliare e produttività. Per quanto riguarda il
primo fattore, l'impatto di una crisi petrolifera sembra essere
diminuito nel tempo per 3 motivazioni: in primi la maggiore
flessibilità del mercato del lavoro impedisce la generazione di un
trade-off tra la stabilizzazione dell'inflazione e quella del gap di
produzione. In secondo luogo le Banche Centrali, dirette con il fine
di stabilizzare le aspettative di inflazione, possono esercitare una
politica monetaria meno aggressiva. Infine c'è da considerare che
l'utilizzo del petrolio è diminuito nel corso degli ultimi
decenni.
Secondo le nuove stime
di consensus, rettificate a novembre, nel 2008 la crescita del Pil
mondiale dovrebbe essere inferiore a quella attuale, ed è attesa un
incremento dell'inflazione. Gli analisti però fanno notare che se
ipotizziamo uno shock petrolifero prolungato (il prezzo del WTI -
West Texas Intermediate - pari a USD 95 per tutto il 2008) e
consideriamo l'elasticità dei Paesi OECD, queste rettifiche sembrano
insufficienti.
Parlando del mercato
immobiliare, le crisi del settore negli Stati Uniti, con l'eccezione
del 1967, hanno sempre portato a una recessione economica. In
Europa, le evoluzioni di mercato aumentano considerevolmente il
rischio di una correzione del settore immobiliare in diversi Paesi
europei.
Sul fronte della
produttività, con un'attenzione rivolta al credit crunch, al rischio
sistemico e allo scenario politico, gli esperti del Credit Agricole
(Parigi: FR0000045072 - notizie) fanno notare che l'idoneità delle
banche di sostenere e di assumere nuovo rischio di credito sta
rendendo, e continuerà a rendere, le condizioni standard del credito
stesso più restrittive e aumenterà gli spread dei tassi per le
imprese e i retail.
Da ricordare che il
2008 sarà dominato dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti e
a tal proposito, i dati dei mercati azionari USA dal 1927 a oggi,
dimostrano che durante le presidenze repubblicane il rendimento
medio eccedente il Treasury Bill index (T-Bill) è stato del 2%,
mentre è stato dell'11% nel corso delle presidenze democratiche.
Possibili spiegazioni di questa significativa differenza sono le
diverse aspettative dei rendimenti, il cosiddetto “democratic risk
premium” e i diversi “rendimenti inattesi”, dovuti alle sorprese
positive del mercato di fronte alle scelte politiche dei
Democratici.
Il secondo tema segnalato per il
nuovo anno è quello riguardante il picco del ciclo dei profitti,
partendo dalla riflessione sul fatto che nelle scorse settimane
tutti i mercati sviluppati hanno registrato un calo della fase
crescente degli utili e, per la prima volta dal 2003, le revisioni
al ribasso superano quelle al rialzo. Un Pil mondiale
inferiore comporta un rallentamento del ciclo dei profitti, dopo 4
anni di crescita sostenuta. Gli analisti sono ancora molto
ottimisti, e si attendono una crescita a due cifre per gli USA. Il
settore tecnologico, delle materie prime, finanziario e dei beni
discrezionali potrebbero essere deludenti.
In generale, le attese
che gli utili per azione delle società dell'S&P500 continuino a
crescere sono sostenute dalla continua espansione dei margini, in
uno scenario caratterizzato da un rallentamento della crescita dei
ricavi. Anche alla luce di ciò, gli analisti sottolineano che il
rallentamento e i downgrade degli utili sono già scontati nei prezzi
azionari, soprattutto in Europa.
Un altro tema cado per il 2008 è
quello dell'inflazione, visto che c'è il rischio di una ripresa
delle pressioni inflazionistiche nell'area Euro, anche se la forza
della moneta unica riduce tali minacce per i principali beni
industriali. Gli esperti ricordano che l'alto tasso di
capacità produttiva e le dinamiche dei prestiti sono state le due
principali cause della pressione inflazionistica nell'Unione
Europea, anche se queste tensioni dovrebbero diminuire nel corso del
nuovo anno.
Il Team Strategy del
Crèdit Agricole si sofferma anche sull'analisi dei Paesi emergenti,
dichiarando che le economie di questi ultimi rappresentano oltre la
metà della crescita mondiale, e la gran parte dell'espansione a
parità del potere di acquisto. In termini di crescita globale, nel
2007 il contributo di Brasile, Russia, India e Cina (BRIC) è stato
probabilmente maggiore di quello degli Stati Uniti. La crescita dei
consumi nelle economie emergenti è robusta e gli investimenti
domestici sono in ripresa, particolarmente in Asia.
Spostando l'attenzione sulla
politica monetaria e sugli adeguamenti valutari nei mercati
emergenti, gli esperti dichiarano che le vendite del settore retail
sono cresciute a livello globale. Gli Stati Uniti traggono
vantaggio da questa crescita, visto che il contributo delle
esportazioni nette al PIL reale, soprattutto verso i Paesi
emergenti, è sempre più importante. D'altra parte la forte domanda
interna si traduce in una maggiore inflazione e spinge le banche
centrali verso politiche restrittive. Nei Paesi emergenti la
crescita dell'inflazione comporta un apprezzamento dei tassi di
cambio nominali. Nella regione asiatica i tassi di cambio sono
ancora attrattivi, e offrono ulteriore spazio di apprezzamento. Il
Crèdit Agricole fa notare che si sta verificando una convergenza fra
le valutazioni dei mercati emergenti e di quelli sviluppati, in base
a fattori ciclici e strutturali: il ROE di Europa e USA è allo
stesso livello, mentre la differenza fra i costi del capitale si è
ridotta sulla scia di una compressione dei tassi di lungo termine e
della diminuzione dei rischi di inflazione nei mercati emergenti.
L'ultimo tema di investimento per
il 2008 è rappresentato dalla leva finanziaria e dalla crescita dei
costi di finanziamento. Gli effetti ritardati di politica monetaria
si sono manifestati su questi ultimi, tanto che negli ultimi due
anni i prestiti bancari di breve e lungo termine, così come le
obbligazioni societarie, hanno registrato un aumento medio di 200
basis point. La leva finanziaria ha cominciato ad aumentare
da livelli molto bassi, anche perché le società fanno ricorso
all'indebitamento per effettuare il riacquisto di azioni proprie, ai
massimi storici. Il tasso di crescita della leva accelererà
probabilmente con la diminuzione dei margini reddituali, ma siamo
ancora lontani dai picchi dell'ultimo ciclo economico.
 |
Fonte -
TrendOnLine |
ABBY JOSEPH COHEN: ZERO CREDIBILITY
05 Gennaio 2008 16:17
NEW YORK - di
WSI ______________________________________________
La strategist di
Goldman Sachs, Abby J. Cohen, 55 anni, si e' giocata in pieno
la credibilita' con la stima di un rialzo a Wall Street di
circa +10.00% a quota 1.600 per l'indice S&P500 entro il
31 dicembre 2007. Avrebbe dovuto essere il piu' forte balzo
del benchmark dal 1971, un "Christmas rally" coi fiocchi,
invece il 4 gennaio lo S&P500 ha chiuso a quota 1411,
cioe' circa 13.5% al di sotto del target fissato dalla Cohen a
meta' novembre. Qualcuno negli ambienti finanziari di New
York comincia a chiedere a gran voce che la Cohen sia
licenziata, non ha senso pagarle uno stipendio milionario e
soprattutto che sia partner di una delle piu' prestigiose
banche d'affari Usa. La Cohen non e' piu' un "guru": e' un
trombone sfiatato. Non solo la stima di un rialzo a 1600 dello
S&P500, annunciata il 19 novembre, non e' stata
rispettata, ma con la chiusura di venerdi' la borsa americana
ha archiviato una prima settimana di trading molto pesante,
che ha visto il Dow Jones perdere il 4.3%, lo S&P500 il
4.5% mentre il Nasdaq Composite ha accusato un calo del 6.4%.
Peggio: la prima settimana del 2008 e' stata la piu' negativa
in assoluto in termini di performance degli indici americani
dal 1932, quando l'America era in piena Grande Depressione.
La fallacia della "ex guru" di Goldman Sachs e' diventa
oggetto di ludibrio e battute sui blog finanziari Usa. Ecco
cosa scrive un lettore: "Abby Joseph Cohen has ZERO
credibility. Her appearances on CNBC where she calls for
higher stock prices (at a time when the equity market had
already made a nice move higher) have been well documented
near term tops. She is a well documented FADE". Insomma il suo
annuncio di rialzi e' ormai considerato dagli investitori un
"contrarian indicator": in quel preciso momento e' meglio fare
il contrario e vendere, molto probabilmente si guadagnera'
nell'altra direzione la stessa percentuale stimata dalla
Cohen. La Cohen, famosa per le sue previsioni rialziste
negli anni Novanta (ma sbaglio' in pieno il periodo post-11
settembre e l'arrivo della recessione nel 2002) stando a
quanto riportato dall'agenzia Bloomberg, sostiene che le
perdite delle aziende Usa colpite dal calo del mercato
immobiliare saranno compensate dall'aumento degli utili di
societa' che operano nel comparto tecnologico e industriale al
di fuori degli Stati Uniti. La strategist di Goldman Sachs
sostiene anche che una recessione in America e' improbabile.
"Nel 2008 il mercato azionario Usa offrira' guadagni moderati
ma sovraperformera' in modo clamoroso ("dramatically
outperform") i bonds in un orizzonte di 12 mesi", la Cohen ha
scritto in un rapporto dall'ufficio Goldman Sachs di New York.
"Una recessione sara' probabilmente evitata, grazie alla forza
dell'export e delle spese in conto capitale da parte delle
aziende private e pubbliche, e grazie anche a una Federal
Reserve vigile e flessibile". Non mancano gli analisti
invece assolutamente negativi sul futuro della borsa Usa,
soprattutto tra coloro che seguono la Dow Theory, secondo la
quale i segnali di forti ribassi in arrivo sono
inequivocabili.
Fonte
- WallStreetItalia.com
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Risparmiatori
fermi,
chi si muove
paga
06 Gennaio 2008 22:35
MILANO - di Giuseppe
Turani ________________________________________
Tira una strana aria sui mercati finanziari in questi
primi giorni del 2008. Di solito ad inizio anno, rinfrancati dallo
sci e dalle cene natalizie, analisti, broker, gestori e clienti si
lanciano con puntiglio in grandi disegni di sistemazione del
patrimonio sulla base di scenari economico-finanziari, che magari
risulteranno superati dopo meno di un mese. Ma che importa? Il bello
del gioco è in fondo questo, che è sempre lo stesso ma è sempre
nuovo, ogni giorno.
La novità di questo
2008, però, è che nessuno sembra aver troppa voglia di giocare. I
rischi sono davvero tanti e le prospettive di guadagno sembrano un
po´ povere per giustificarli. Basta leggere qualche report dei
cosiddetti esperti per rendersene conto e basta guardare
l´incertezza che regna in questi giorni sui mercati, con segni
altalenanti (più negativi, a dire il vero) e volumi molto ridotti.
Non ci vuole molto, dicevo, a
capire perché nessuno ha voglia di muoversi in questo momento; ecco
nei dettagli le motivazioni.
1 - E´ in corso una significativa
revisione al ribasso della crescita economica americana, con il
rischio di poter vedere una recessione nella prima parte del
2008, se la crisi immobiliare e la salita dei prezzi
dovessero colpire l´attitudine al consumo delle famiglie americane.
Un anticipo si è avuto venerdì con il rapporto sul mercato del
lavoro che ha creato in dicembre solo 18 mila occupati, frutto
peraltro della parte pubblica, ed ha mostrato un improvviso balzo
del tasso di disoccupazione al 5 per cento dal 4,7 per cento. In una
situazione di deterioramento dei consumi, l´export, anche se
sostenuto da un dollaro debole, non basterebbe a mantenere la
crescita trimestrale sopra lo zero (e sarebbe recessione). Inoltre,
l´aiuto offerto dalla Fed con i ribassi dei tassi potrebbe non
spingersi troppo avanti in presenza di una inflazione crescente.
2 - E´ in corso una parallela
riconsiderazione, sempre al ribasso, della crescita in Europa,
dovuta all´euro forte e alla restrizione delle condizioni del
credito, oltre che al rallentamento americano. In un simile
contesto è lecito chiedersi se gli utili aziendali potranno restare
ancora così elevati, specie in alcuni settori. Ma se questo è il
pericolo e se anche da noi l´aiuto parziale offerto dalla politica
monetaria potrà essere solo marginale per colpa dell´inflazione,
quanto possiamo aspettarci dai mercati azionari? E quanto invece
potrebbero perdere se andassero male le cose?
3 - Se in America ed in Europa il
problema è crescere, almeno per l´Asia ed i paesi emergenti la
crescita potrebbe continuare ad essere buona. Lì le cose stanno
andando ancora bene, in alcuni casi per il traino del petrolio e
delle materie prime, in altri (Cina in testa) grazie alla crescita
della domanda. Ma un po´ queste cose si sapevano già nel 2007
ed infatti i mercati di queste aree hanno corso molto. Se ci fossero
problemi ulteriori di fiducia dei grandi investitori, potrebbero
mettersi a scendere e anche crollare, letteralmente. Insomma, sui
mercati emergenti uno ci può anche fare un pensiero, ma per una
piccola parte dei suoi risparmi, non di più.
4 - Scartati in questo modo quasi
tutti i mercati azionari, si potrebbe pensare di buttarsi sulle
obbligazioni. In un mondo che fatica a crescere, di norma i
tassi non possono certo salire e potrebbe esserci valore. Ma su
quali obbligazioni puntare?
Probabilmente non su quelle
aziendali (banche e società industriali) e neppure su quelle
derivanti da cartolarizzazioni. In fondo, non siamo così sicuri che
le sorprese siano finite. Magari prima di agire, aspettiamo di
vedere i bilanci di fine anno. Allora si può puntare almeno sui
titoli governativi? Con un´inflazione in crescita? Qualsiasi corso
base di finanza lo sconsiglierebbe. Pensate poi se per caso le banche
centrali cedessero alle pressioni politiche e si mettessero a
tagliare aggressivamente il costo del denaro per inseguire la
crescita. Di quanto crollerebbero i bond a lungo
termine?
Ecco fatto. In pratica abbiamo
scartato tutti i possibili impieghi dei nostri risparmi.
Esclusa la vecchia e poco elegante soluzione di mettere i soldi nel
materasso (oggi li fanno di lattice e sigillati per giunta), non
resta che spenderli o metterli in investimenti molto liquidi.
Chi suggerisce il
contrario pensa che tutte le paure elencate sopra siano esagerate e
che le cose si metteranno presto a marciare per il verso giusto, in
America come da noi. E magari anche molto in fretta. Ma chi ha
voglia di scoprirlo sulla propria pelle? Alla fine uno si guarda
intorno e vede che un Cct rende oggi intorno al 4 per cento annuo
lordo, virtualmente senza rischi. Certo, lo facevano già le nostre
zie, e non sembra una cosa molto emozionante. E è escluso che si
possano fare favolosi guadagni lungo questa strada. Ma, almeno, si è
ragionevolmente sicuri di non vedere svanire il proprio capitale con
il disgelo primaverile.
La confusione, in
sostanza, è tale in questo momento che l´unico consiglio che si può
dare è quello di non essere coraggiosi e, soprattutto, di non
cercare di essere troppo intelligenti.
 |
Fonte -
La
Repubblica |
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Martedì
08 gennaio
2008 |
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Martedì
08 gennaio
2008 |
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Venerdì
11 gennaio
2008 |
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Il
gufo di turno:
attenti ai
mercati azionari
08 Gennaio 2008 05:44
MILANO - di Vincenzo
Sciarretta ________________________________________
Fioccano le notizie dagli Stati Uniti, qualcuna
discreta, molte preoccupanti, sicché il Dow Jones continua a
fluttuare all’interno della banda di oscillazione fra 13.000 e
14.000 punti, senza un trend di fondo. Intanto il petrolio buca di
slancio la barriera storica dei 100 dollari al barile e l’oro si
proietta in territori inesplorati. Il leggendario guru svizzero (ma
vive a Hong Kong), Marc Faber, che su questo giornale aveva già
profetizzato il boom delle risorse di base dal 2000-2001, adesso
consiglia prudenza sull’azionario, e coraggio sull’oro e altre
commodity come lo zucchero e il cotone.
Dr. Faber, la domanda è se
l’America sta scivolando in recessione. Lei che ne pensa?
Non ho una risposta
univoca, perciò raccomando prudenza sulle Borse. Durante la
Seconda Guerra Mondiale, tra i piloti della Raf circolava un adagio:
esistono piloti vecchi e piloti arditi, ma non esistono piloti
vecchi e arditi. Ecco, credo che non sia il caso di essere arditi in
Borsa.
Ciò che rabbuia
l’orizzonte è la prospettiva del mercato immobiliare e del credito.
È d’accordo?
È sicuramente così.
I lavori edili appena
avviati si sono dimezzati. In passato questo si è sempre
accompagnato a una recessione, come negli anni 1970, 1974, 1981 e
1990. Il prezzo delle abitazioni dovrebbe calare del 25%, oppure
stare fermo 5 anni per ristabilire una qualche attinenza con i
fondamentali.
Qualcuno dice però che le banche
d’affari americane, crollate sotto il peso dei debiti subprime,
siano ora un affare. È un’ipotesi condivisibile?
No, applicherei di nuovo il
motto della Raf. Il fatto che un titolo sia caduto in verticale non
ha alcun significato. Per
esempio, nel 1985 raccomandai l’acquisto di un paniere di banche
texane, che avevano lasciato sul terreno il 95% del loro valore...
E com’è andata?
Sono fallite tutte con
mio grande stupore!
Dunque no alle varie
Bank of America, JP Morgan, o Citigroup? Si è ricamato molto sul
ruolo dei fondi sovrani e sui loro interventi di salvataggio.
Prendiamo il caso di
Citigroup: le sue azioni sono rimbalzate da 30 a 35 dollari, dopo
che il 27 di novembre il fondo di Abu Dhabi ha annunciato un
investimento da 7,5 miliardi. Poi però il titolo è tornato sui suoi
passi come uno yo-yo.
E il resto del listino
azionario?
Non escludo che esistano delle
occasioni. Ma in tutta la mia carriera non ho mai visto una Borsa
correre al rialzo senza la partecipazione del settore
finanziario.
Sull’economia Usa
quali sono i segnali positivi e quali i negativi?
Oltre a edilizia e
credito sul fronte negativo sottolineerei due elementi. Primo, gli
indicatori reali inerenti il volume dei container, i carichi di
merci su gomma e su rotaia, tutti descrivono un’economia in
frenata, un rischio del resto segnalato pure in Borsa dal
pessimo andamento dei titoli del consumo.
E il secondo?
L’altro aspetto negativo è
l’inflazione. Stando all’associazione delle carte di credito
20 milioni di americani pagheranno la bolletta del riscaldamento
indebitandosi sulla carta di credito. Una cosa mai viste. Inoltre, i
dati ufficiali sono tutti taroccati per quanto riguarda
l’inflazione.
In che senso?
Consideri che il 95%
delle famiglie americane spende oltre il 20% del reddito in
alimentare. Eppure nelle statistiche federali, il peso dato al cibo
è solo dell’8%. Al contrario, in Europa il peso è quasi del 16% e in
Giappone del 19%. C’è qualcosa che non torna.
Osservavamo come non
tutti i sintomi sono quelli tipici di una recessione. Qualche
esempio?
È mancato il solito
ciclo di boom-crollo nella spesa per investimenti. La capacità
produttiva ha seguito una parabola ascendente molto dolce, e le
scorte non destano allarmi eccessivi.
Se la costringessero ad acquistare
azioni, quali listini preferirebbe?
Forse Wall Street perché negli
ultimi 5 anni ha mostrato un trend deludente rispetto alle piazze
estere, in parte dovuto alla debolezza del cambio. Eviterei invece i
mercati emergenti. Qui i capitali esteri hanno giocato un ruolo di
primo piano e se fossero rimpatriati causerebbero un capitombolo a
quelle Borse. L’Europa si colloca in posizione intermedia.
Cambiamo argomento: il
petrolio è schizzato oltre i 100 dollari mentre il metallo giallo ha
raggiunto nuovi record. Cosa riserva il futuro?
Non sono sorpreso
dalla performance del petrolio. I lettori ricorderanno che per anni
ho indicato 100 dollari al barile come obiettivo di lungo termine.
Il rialzo può proseguire. Adesso, però, vedo opportunità più
interessanti nelle commodity agricole.
Su quali basi?
Domanda e offerta. Le
scorte di derrate sono ai minimi, molti terreni nei Paesi emergenti
risultano inquinati o destinati all’urbanizzazione. Le acque
appaiono in condizioni pessime. La domanda, al contrario, va di pari
passo con il maggior reddito disponibile. L’introduzione delle carni
nella dieta comporta la moltiplicazione nell’uso dell’acqua e delle
granaglie. Infine, rispetto al prezzo dei prodotti energetici,
quelli agricoli sono ai minimi degli ultimi due secoli.
Ha delle preferenze in
particolare?
Sì, lo zucchero e il
cotone, per gli specialisti. Nei prossimi 10 anni la domanda cinese
di zucchero dovrebbe schizzare alle stelle. Le stime dell’Ocse sono
impressionanti. L’uso come base per l’etanolo è ormai una realtà
industriale. Sottolineo infine come nei passati due anni, il prezzo
dello zucchero sia sceso del 21%, contro un rialzo del 185% per il
grano, del 105% per il mais, del 93% per la soia. Se conosco gli
agricoltori, ovunque sia possibile, sradicheranno la canna da
zucchero, optando per colture più profittevoli, e così facendo
abbasseranno l’offerta.
Che ci dice dell’oro?
Che dovrebbe essere accumulato
gradualmente da tutti i risparmiatori prudenti. Le politiche
lassiste delle Banche centrali sono le migliori amiche dei metalli
preziosi. A tempo debito, non escludo che l’oro possa raggiungere i
3.000 dollari l’oncia. A quel punto persino i fondi sovrani
incominceranno a comprare, e sarà allora il caso di vendere.
 |
Fonte -
Borsa&Finanza |
BORSA: ORA GIU', MA L'ANNO CHIUDERA' POSITIVO
15 Gennaio 2008 03:07
MILANO - di
Borsa&Finanza ______________________________________________
Ben otto degli undici
analisti messi sotto la lente da Borsa & Finanza prevedono
un 2008 positivo per l’azionario europeo, con rialzi a volte
non lontani dal 20%. Troppo ottimismo? Vediamo. Due di
loro - Francesco Caruso di Gestioni Lombarda Suisse e Ronan
Carr di Morgan Stanley - parlano esplicitamente di un mercato
già Orso. Alain Bokobza di Sociètè Gènèrale, qualifica invece
il trend come «laterale». Tutti guardano però con apprensione
alle prossime settimane. E le ragioni non mancano. Come spiega
Ian MacFarlene di Bca Research: «Oltre il 50% dei profitti
europei è generato al di fuori del perimetro comunitario. Ma
soprattutto la correlazione con l’indice americano S&P500
è compresa fra l’85 e il 98%, ossia l’andamento delle piazze
continentali ricalca come su carta velina quanto accade al di
là dell’Atlantico. Diversamente, il livello interno
dell’attività economica esercita un’influenza abbastanza
moderata sulla performance delle Borse europee, che tendono a
battere i listini stranieri se l’orientamento generale è al
rialzo, e a perdere terreno, se l’orientamento generale è al
ribasso». Insomma, il nostro destino è appeso a quello
dell’America, dove si moltiplicano i timori di un’imminente
recessione. Secondo l’ex-numero uno della Fed, Alan Greenspan,
le probabilità sono di crescita negativa sono ormai superiori
al 50 per cento. Stesso discorso per Martin Feldstein, che
dirige il National Bureau of Economic Research, cioè proprio
l’organo preposto a classificare il ciclo economico
statunitense come positivo o negativo. Bill Gross, ritenuto il
miglior gestore al mondo sull’obbligazionario, pensa che la
flessione della congiuntura sia già iniziata col mese di
dicembre. Mentre per il capo economista della Merill Lynch,
David Rosemberg, le chance di una recessione sono totali, cioè
al 100 per cento. Questi sono dunque i colori, assai cupi,
che aprono il 2008 e che rischiano di pesare sull’andamento
delle Borse nel primo trimestre. Anche perché «la situazione è
peggiore di quel che sembra - dice Francesco Caruso - Oltre il
50% dei titoli ha già perso più del 30% dai massimi. È una
carneficina. Gli indici mostrano un andamento decisamente meno
drammatico solo grazie alla buona tenuta di poche società a
larga capitalizzazione». Caruso guarda con inquietudine alla
performance dell’EuroStoxx 600. L’indice preme contro il
limite inferiore della sua banda di oscillazione, e
l’eventuale rottura di 345 punti «aprirebbe le porte verso
quota 310». Ciò detto, la maggior parte degli analisti
riesce però a vedere la luce alla fine del tunnel. Come già
accennato ben otto analisti su undici scommettono che il 2008
sarà comunque il sesto anno consecutivo di rialzo per
l’Eurostoxx 50. Le speranze, chiamiamole così, si aggrappano
soprattutto a quattro temi principali. 1) Le valutazioni
sono attraenti. La Borsa paneuropea passa di mano a circa 12
volte gli utili del 2008, un multiplo storicamente basso, «E
diventa quasi irresistibile se paragonata ai tassi d’interesse
europei», riflette Kevin Gardiner di Hsbc. «Il ragionamento è
ancor più vero se si guarda alle società di larga
capitalizzazione», aggiunge Alain Bokobza di Sociètè Gènèrale.
Non è d’accordo invece Ronan Carr di Morgan Stanley, il quale
sottolinea come «I profitti degli ultimi anni siano stati
molto superiori alla media e sono di conseguenza vulnerabili a
una rettifica». 2) L’offerta di nuovi titoli azionari è
scarsa. In base ai dati raccolti da Ian Scott di Lehman
Brothers, durante gli ultimi 12 mesi, l’emissione di nuovi
titoli (al netto di buy-back) ha raggiunto appena lo 0,6%
della capitalizzazione di mercato. In passato, sempre stando a
Ian Scott, questa circostanza si è accompagnata a forti rally
di Borsa, non di rado superiori al 30% nell’anno successivo.
3) L’umore verso le azioni europee è molto depresso. I
riscatti dai fondi comuni azionari hanno toccato solo in
Italia i 60 miliardi di euro da luglio a dicembre 2007. Simili
apici di pessimismo sono coincisi con i minimi di marzo 2003 e
giugno 2005. 4) Nel 2008 la Federal Reserve continuerà a
ridurre il costo del denaro. Giovedì scorso, Ben Bernanke è
stato chiaro su questo punto, affermando che all’occorrenza è
pronto ad impegnarsi in «Una sostanziale azione aggiuntiva in
soccorso della crescita e per fornire un’adeguata
assicurazione contro i rischi recessivi». Insomma già nella
riunione del 29 e 30 di gennaio, la Fed dovrebbe annunciare un
altro taglio dei tassi d’interesse, forse di 50 basis points
(il costo del denaro è calato dal 5,25% di settembre al 4,25%
attuale, e potrebbe finire sotto il 4% entro fine mese). «Con
la Fed che apre i rubinetti del credito - ragiona Ian Richards
di Abn Amro - gli investitori si tranquillizzeranno e si
lasceranno sedurre dalle valutazioni compresse dei titoli
borsistici. Parlando con gli esperti sono poi emerse
alcune tesi d’investimento che vale la pena di rimarcare. In
primo luogo, concordano nel preferire le società di ampia
capitalizzazione ai titoli di minore spessore. Avevamo già
registrato questo parere anche nei mesi scorsi, e la scelta si
è rivelata piuttosto indovinata, come del resto la mattanza
delle small-cap italiane prova inconfutabilmente. Gli esperti
ritengono che la tendenza sia destinata a proseguire. Le
società di grossa stazza hanno cominciato a battere le
small-cap solo nell’ottobre 2006, mentre nei precedenti 6 anni
era accaduto il contrario. Le small cap erano trainate dalla
mergermania, che ora è su un binario morto. E ora Gli
investitori privilegiano la sicurezza delle multinazionali e
la loro esposizione verso i mercati emergenti. Gli
analisti sconsigliano altresì i settori troppo sopravvalutati.
Nel 2007, fu il caso dei bancari, nel 2008 potrebbe essere
quello degli automobilistici o delle risorse di base. Ad
esempio, i titoli auto non sono mai stati così cari rispetto
al fatturato, e soffrirebbero decisamente in caso di
rallentamento delle vendite. Il comparto dei servizi
petroliferi riscuote un buon apprezzamento, come pure i
farmaceutici per il loro carattere difensivo. Per concludere,
e se gli analisti hanno ragione, i mesi entranti rischiano di
essere all’insegna della volatilità. In caso di flessione, le
azioni andrebbero comprate, in attesa di un rilancio nella
seconda metà dell’anno. Gli specialisti potrebbero
acquistare le multinazionali e contemporaneamente vendere allo
scoperto le small-cap. I titoli automobilistici e delle
risorse di base andrebbero evitati. Sui finanziari (di cui è
ricchissima Piazza Affari) non c’è consenso: Kevin Gardiner di
Hsbc e Ian Scott di Lehman Brothers dicono che sono un affare,
altri la pensano all’opposto.
Fonte
- Borsa&Finanza
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Domenica
13 gennaio
2008 |
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Martedì
15 gennaio
2008 |
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Mercoledì
16 gennaio
2008 |
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Ci
sono momenti
in cui Wall
Street non è amata
16 Gennaio 2008 01:14
MILANO - di Francesco
Arcucci ________________________________________
Con riferimento al mercato azionario nel suo
complesso, un rialzo dei prezzi può derivare solo dal fatto che le
società quotate in borsa hanno acquisito un maggior valore, valore
che a sua volta non è null’altro che la crescita dei profitti nel
tempo delle società in parola.
Se, ad esempio, si
considera il mercato azionario americano, come potranno aumentare i
profitti delle imprese statunitensi? Vi sono solo due strade: o
quella dell’aumento dei fatturati, o quella dell’incremento dei
margini di profitto. La prima via è assai difficile che sia
attualmente percorribile. A chi venderanno di più le imprese?
Agli americani? E’ un po’
difficile se si considera che il salario reale medio del 95% della
popolazione si è ridotto di circa il 25% negli ultimi 15 anni. E,
inoltre, le famiglie americane sono indebitate per circa mille
miliardi di dollari attraverso le carte di credito e ancora di più
con i prestiti personali e, soprattutto, con i mutui.
Agli stranieri? E’
vero che il dollaro si è indebolito negli ultimi anni, ma il
rapporto export/import non sta migliorando, visto che quasi tutto
l’indebolimento del dollaro è avvenuto contro l’euro e la sterlina,
mentre il deficit della bilancia dei pagamenti statunitense riguarda
prevalentemente i rapporti commerciali con l’Asia e i Paesi
petroliferi.
L’aumento dei margini
può passare solo attraverso l’incremento dei prezzi e la riduzione
dei costi. Si dirà, tuttavia, che vi è una terza strada per
aumentare i profitti: quella dell’inflazione creditizia che consente
alle famiglie di acquistare sempre di più e alle imprese di
effettuare sempre maggiori investimenti a parità di mezzi propri. Ma
questa via è stata percorsa correndo a più non posso negli anni
passati.
L’effetto di essa è stato quello
di ridurre gli standard creditizi oltre ogni limite e di usare il
credito in modo così smodato che gli offerenti credito, tipicamente
il sistema bancario, hanno concesso a imprese e famiglie
finanziamenti così abbondanti da consentire loro di comprare a
qualsiasi prezzo quello che volevano acquistare.
Ma la crisi
finanziaria di agosto ha reso molto più cauti gli offerenti credito:
infatti il sistema bancario si è trovato di fronte a grandi
minusvalenze nei propri attivi che si sono riflesse in nette
riduzioni di mezzi propri. E con mezzi propri ridotti le basi
patrimoniali per poter concedere i finanziamenti, in coerenza con
Basilea 1 e 2, si sono contratte bruscamente. In seguito a ciò le
imprese, che in passato avevano potuto migliorare facilmente il
proprio ROE indebitandosi, avranno molta più difficoltà a farlo in
futuro, nonostante l’intervento delle banche centrali.
Anche la cosiddetta
terza via (quella dell’inflazione creditizia, oltre a quella di
vendere di più e quella di migliorare i margini) non ha più la
possibilità di fare lievitare il mercato azionario nel suo
complesso.
L’industria
finanziaria pretende di ottenere risultati crescenti nel tempo, ma a
prescindere da innovazioni finanziarie, che sono ben più rare di
quanto non venga sbandierato, essa è un’industria essenzialmente
ciclica. E l’unico ciclo che si conosca a Wall Street, o nei mercati
azionari in genere, è quello da una situazione di sottovalutazione
dei prezzi delle azioni ad una situazione di sopravalutazione dei
medesimi (bull market primario) e poi di nuovo di sottovalutazione
(bear market primario), seguendo le ondate di ottimismo e di
pessimismo.
Questo ciclo non è regolare, ma dà
luogo a movimenti intermedi erratici e casuali. Negli anni 1930 e
1940 Wall Street non era nelle grazie degli investitori. Negli anni
1950 e 1960, fino al 1966, Wall Street era adorata. Dal 1966 al 1982
gli investimenti in borsa erano di nuovo disprezzati. Dal 1982 al
2007 si sono accumulate in borsa fortune straordinarie. Dove ci
troviamo ora? Per quanto detto circa l’impossibilità di aumentare i
fatturati e di ampliare i margini di profitto e circa l’inevitable
passaggio dall’inflazione creditizia alla deflazione creditizia,
nonostante gli sforzi delle banche centrali, è probabile che nei
prossimi anni Wall Street sarà di nuovo odiata. Per essere poi
nuovamente adorata fra qualche anno o decennio. Dato che l’industria
finanziaria è di natura essenzialmente ciclica senza progressi
sostanziali, se non illusori, è probabile che sarà sempre
così.
 |
Fonte -
La
Repubblica |
Il
Toro? Non è affatto
stramazzato
17 Gennaio 2008 01:01
NEW YORK - di Corriere della
Sera ________________________________________
Gli Stati
Uniti eviteranno la recessione, anche se di poco. La Federal Reserve
continuerà a tagliare i tassi. La crisi creditizia migliorerà e si
risolleverà la fiducia degli investitori. Wall Street continuerà ad
essere volatile, ma a un certo punto gli indici azionari toccheranno
nuovi massimi. Ecco le previsioni per il 2008 di Robert Doll,
vicepresidente e responsabile degli investimenti azionari globali di
BlackRock, una delle maggiori società di gestione al mondo (1.300
miliardi di dollari amministrati).
Il suo consiglio è quindi di
preferire le azioni alle obbligazioni, approfittando degli scivoloni
della Borsa per comprare titoli a prezzi bassi e puntando sulle
società a larga capitalizzazione, per esempio le multinazionali,
soprattutto nei settori dell’information technology, della salute e
dell’energia. Oltre al mercato americano, che oggi offre un rapporto
prezzo/utili molto conveniente, Doll raccomanda di non perdere di
vista le Borse Emergenti.
Chi gli avesse dato
retta nel 2007 sarebbe oggi piuttosto soddisfatto. Ben otto delle
previsioni elaborate da Doll 12 mesi fa si sono infatti rivelate
corrette compreso l’ottimismo sui titoli tecnologici (il Nasdaq è
salito del 9,8% contro il 3,5% dell’indice S&P500) e il
pessimismo sul dollaro, con una sola completa delusione circa il
Giappone (la cui Borsa non ha fatto meglio delle altre come sperava
il gestore) e una anticipazione azzeccata a metà, quella sul ritorno
alla quasi normalità della curva dei rendimenti obbligazionari, con
i titoli a lungo termine più redditizi di quelli a breve, ma non
risaliti secondo le attese. Ed ecco il dettaglio dei nuovi vaticini.
Primo: dopo essere cresciuta sopra
il 3,5% annuo dal 2004, l’economia mondiale rallenterà, a causa non
solo degli Usa, ma anche di una nuova debolezza dell’Europa. I Paesi
Emergenti continueranno a correre. Secondo: gli Usa sono sull’orlo
della recessione, a causa del crollo dei prezzi immobiliari e della
stretta creditizia, ma non ci cadranno dentro, perché comunque il
livello di occupazione e dei salari rimane alto, e il dollaro ai
minimi spinge le esportazioni. La recessione però ci sarà per i
profitti aziendali.
Terzo: la Fed taglierà i tassi
fino al 3,5% o anche più in basso rispetto all’attuale 4,25%, ma
starà attenta ai segnali di ripresa del’inflazione; mentre con il
miglioramento del mercato creditizio i rendimenti dei bond
dovrebbero risalire.
Quarto: il dollaro si riprenderà
rispetto all’euro, sia perché le esportazioni europee sono sotto
pressione, sia perché strutturalmente l’economia Usa appare più
forte nel lungo termine, con deficit e debiti statali inferiori a
quelli dei Paesi europei in rapporto al Pil e una popolazione più
giovane. Dall’altra parte aumenterà la spinta per sganciare le
valute dei Paesi emergenti, come quella cinese, dal dollaro e
lasciarle rivalutare.
Quinto: il Toro continuerà a
correre a Wall Street, anche se è il sesto anno di rialzo (e nella
storia dell’indice S&P500 dopo cinque anni positivi i prezzi
sono sempre scesi) e i profitti sono in calo. Infatti il rapporto
prezzo/utili è tuttora inferiore al livello del 2002 ed è il più
basso dal 1995, quindi c’è spazio per una rivalutazione. Inoltre
questo è un anno di elezioni presidenziali, che nel passato hanno
fatto registrare una performance media del 7,8% della Borsa
americana e di oltre il 10% se viene eletto un democratico.
Sesto: continuerà la tendenza
iniziata nel 2007 con le società a larga capitalizzazione e ad alto
potenziale di crescita che offrono migliori guadagni rispetto alle
piccole aziende e ai titoli value.
Settimo: continuerà la tendenza
dei mercati emergenti a far meglio di quelli sviluppati, ma gli
investitori dovranno stare attenti alle bolle speculative. Ottavo:
dopo un rincaro del 57% nel 2007 e dopo aver superato i 100 dollari
al barile all’inizio del 2008, i prezzi petroliferi dovrebbero
chiudere l’anno a livelli più bassi grazie a un rallentamento della
domanda e a un aumento dell’offerta; ma nel lungo termine la
tendenza è ancora al rialzo per tutte le materie prime.
Nono: vinceranno a
Wall Street le aziende con un più prevedibile andamento degli utili,
bilanci solidi, buon potenziale di crescita dei dividendi, dei
flussi di liquidità e degli utili, e con una maggior quota del
fatturato derivante dalle esportazioni. Caratteristiche comuni oggi
fra i titoli tecnologici, della salute e dell’energia. Da sotto
pesare i titoli finanziari, dei consumi non primari e delle
(sopravvalutate) utilities.
Decimo: per la prima
volta dal 1992 il partito democratico vincerà con larga maggioranza
nelle elezioni per la Casa Bianca, il Senato, la Camera e i posti da
governatore in molti Stati. Questo rafforzerà politiche fiscali (per
un rialzo delle tasse) e commerciali (maggior protezionismo) non
positive per la Borsa. Ma i contraccolpi su Wall Street non saranno
drammatici.
 |
Fonte -
Corriere della
Sera |
Per i gestori la discesa non è finita
17/01/2008 15.42 Milano
- di Sara
Silano ______________________________________________
I gestori vedono
lontana la fine della crisi finanziaria e toccano con mano
ogni giorno l’indebolimento dell’economia. Il mix dei due
fattori li induce al pessimismo sul futuro delle Borse o
quanto meno alla prudenza. Il risultato, che emerge dal primo
sondaggio 2008 di Morningstar, è un sensibile peggioramento
delle previsioni per i prossimi sei mesi. Borse
alla prova della Bce Il calo di consensi per le
Borse europee dura ormai da un trimestre. A gennaio, i gestori
che prevedono un rialzo sono scesi passando dal 39% di
dicembre al 27,3%, la percentuale più bassa di ottimismo dal
2001, primo anno in cui è stato svolto il sondaggio. Per
contro, i pessimisti sono saliti dal 26 al 40,9%. E’
convinzione diffusa che l’intenzione della Banca centrale
(Bce) di non tagliare i tassi, per mantenere sotto controllo
l’inflazione, possa penalizzare i listini. Negli ultimi mesi,
i mercati del Vecchio continente hanno perso più di quello
statunitense e i fund manager sono convinti che
l’atteggiamento dell’istituto guidato da Jean Claude Trichet
sia stato la causa principale. Sul fronte degli utili
aziendali, il giudizio è più ottimista: il tasso di crescita
sarà minore, ma lo scenario scontato dalle Borse appare
eccessivo. Italia quasi come l’Europa
La percentuale di gestori ottimisti sull’Italia
è scesa sensibilmente rispetto a gennaio, passando dal 55% di
dicembre al 27,8%. Il giudizio su Piazza Affari si è allineato
a quello sull’Europa, anche se i pessimisti sono un po’ meno
(33%). Secondo alcuni fund manager, il calo dell’S&P/Mib è
stato eccessivo (-7% nel 2007), dal momento che le banche, che
rappresentano una grossa fetta dell’indice, hanno avuto uno
scarso coinvolgimento nella crisi dei mutui di bassa qualità
americani. Qualche preoccupazione riguarda i titoli legati
all’economia domestica, anche se si spera in un impatto
positivo sulla redditività aziendale della Finanziaria 2007.
In generale, però, le valutazioni di diverse società risultano
contenute o addirittura basse. A Wall Street
crescono i pessimisti Per il 45,5% dei gestori,
la Borsa statunitense scenderà nei prossimi sei mesi (erano il
27% a dicembre). Per contro, il 31,8% degli intervistati stima
un apprezzamento (45% a dicembre). A preoccupare è
l’incertezza sull’entità del rallentamento economico e sulla
possibilità che gli Stati Uniti cadano in recessione. I fund
manager, però, confidano sull’attivismo della Federal Reserve,
che ha annunciato una politica aggressiva di taglio dei tassi
di interesse. Le valutazioni sono considerate interessanti
perché incorporano una crescita nulla o leggermente negativa
degli utili. Inoltre, la debolezza del settore immobiliare è
controbilanciata dalla forza delle esportazioni, soprattutto
verso i mercati emergenti. Fiducia ai minimi sul
Giappone Nell’ultimo mese è cambiato il
sentiment sulla Borsa di Tokyo, che salirà nei prossimi sei
mesi solo per il 22,7% dei gestori (erano oltre la metà a
dicembre). Il 41% si attende stabilità attorno agli attuali
livelli, mentre il 36,4% è pessimista. Il mercato nipponico è
stretto nella morsa di un’economia anemica, di una crescita
degli utili deludente (il 40% delle società ha ridotto le
stime per il 2008) e di vendite sostenute da parte degli
investitori esteri, che preferiscono altri listini asiatici.
Uniche note positive sono le valutazioni, scese bruscamente, e
un rendimento da dividendi (dividend yield) superiore a quello
delle obbligazioni governative. Obbligazioni, la
curva non è più piatta Gli investitori stanno
ricominciando a domandare un premio per detenere titoli con
scadenza lunga, dal momento che l’inflazione ha rialzato la
testa. Per questo motivo la curva dei rendimenti è tornata ad
inclinarsi positivamente sia in Europa sia negli Stati Uniti.
Tra le due sponde dell’Oceano, però, esistono differenze
sostanziali nella politica monetaria. Mentre la Bce non sembra
intenzionata ad alzare i tassi, almeno nel primo semestre, la
Fed ha annunciato nuovi tagli che potrebbero portare il saggio
al 3,5-3% entro giugno. In questo contesto, oltre il 36% dei
gestori è convinto che i prezzi delle obbligazioni europee
saliranno nei prossimi sei mesi, percentuale che supera il 40%
per i titoli dell’area dollaro, nonostante gran parte delle
mosse delle banche centrali sia già incorporata nelle
quotazioni. Riscatto del dollaro vicino
Sul rapporto tra l’euro e il dollaro, i gestori
hanno confermato il giudizio espresso nei mesi scorsi. Pochi,
meno del 10%, prevedono un ulteriore apprezzamento della
moneta comunitaria, mentre il 43% stima una ripresa del
biglietto verde a partire da metà anno. Le principali ragioni
sono il miglioramento della bilancia commerciale americana, la
possibilità che l’economia Usa, ora in forte rallentamento,
possa riprendersi prima di quella del Vecchio continente,
l’eccessivo deprezzamento del dollaro e il fatto che molte
notizie negative sono già inglobate nelle quotazioni.
Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra l’8
e il 15 gennaio, 22 delle principali società di diritto
italiano ed estero operanti sul territorio, che contano per
circa il 75% degli asset gestiti in Italia. Si tratta di
Aberdeen AM, Aletti Gestielle, Alpi fondi Sgr, American
Express, Anima Sgr, Banca Profilo, Bnp Paribas AM, Bsi, Dws
Investments, East Capital, Euromobiliare Sgr, Fideuram
investimenti Sgr, Henderson global investors, Horatius sim,
Ing Im, Investitori, Julius Baer, Morley fund management, Mps
Am, New Star, Pioneer Im, Sgam.
Fonte
- MorningStar.it
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Sabato
19 gennaio
2008 |
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Mercoledì
23 gennaio
2008 |
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Giovedì
24 gennaio
2008 |
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Borsa:
sì, ci vuole uno stomaco di
ferro
18 Gennaio 2008 13:47
NEW YORK - di David
Kotok ________________________________________
I risultati dell’ultima Taf, cioè l’asta competitiva
della Fed, sono buoni. Si tratta della terza operazione in assoluto,
dopo le due di dicembre. La banca centrale ha messo all’asta20
miliardi di dollari al tasso base di 2,88%: le offerte, dopo che la
Fed ha aumentato la «posta» a 30 miliardi in prestiti collaterali,
hanno raggiunto il 3,95 per cento. A dicembre, i risultatio delle
prime due aste erano state 4,65-4,67 per cento. I tassi reali,
insomma, stanno scendendo così come vuole la Fed.
È ovvio, a questo
punto, che a fine mese verrà ritoccato al ribasso il tasso ufficiale
di sconto, oggi al 4,74% mentre i mercati già scontano il taglio di
mezzo punto del Fed fund, oggi al 4,25. Condivido questa previsione.
Sono inoltre convinto che la prossima Taf, il 28 gennaio, avrà un
grande successo. Se venissi smentito, allora cambieranno pure le
decisioni della Fed.
Non avranno alcun
peso, invece, i dati sull’inflazione o i risultati aziendali. La
novità è che, finalmente, la politica della Fed funziona. Lo
dimostra l’andamento del tasso Libor, oggi sotto il 4%, coerente con
la prospettiva dei Fed fund al 3,75 e ad un esito della Taf sotto il
4.
Per la prima volta,
insomma, vediamo che la politica delle banche centrali funziona.
Certo, sarebbe stato meglio se la Fed avesse dedicato la necessaria
attenzione alla curva già dall’estate in poi. Certo, sarebbe stata
meglio una politica della comunicazione più convincente. Certo, la
banca ha dato la sensazione di subìre gli eventi. Ma è anche vero
che adesso la Fed Fed sta restituendo la fiducia ai mercati.
Inoltre, la Banca centrale ha ormai capito che non ha senso
affrontare i nodi di fondo (crescita contro inflazione, stretta
sulla speculazione, nuove regole sui mutui, ecc...) se prima non si
affrontano le disfunzioni operative.
E così, mentre il mercato
azionario si concentra sui dati delle corporations nell’ultimo
trimestre, «drogati» dalla crisi del credito, quelli obbligazionari
si stanno finalmente convincendo che gli Stati Uniti non sono alla
frutta. Regna ancora, negli States ma soprattutto all’estero, la
paura che porta al paradosso di T-bond e dollaro in caduta gemella.
Ma non durerà a lungo. Per questo mi aspetto che la ripresa
ripartirà dalla discesa dei tassi dei bond.
E le azioni? Il mio amico Vince
Farrell mi ha detto che, secondo un suo amico, vale la pena di
entrare sul mercato quando la sola idea ti fa star male. Sono
d’accordo: in questi mesi i mercati sono stati così brutti e
spaventosi da far star male gli investitori. Un mio cliente, di
fronte a questi miei pensieri, mi ha chiesto se io abbia uno stomaco
di ferro. È proprio così.
Ne ho viste tante in
38 anni sul mercato. La prima volta che mi ha graffiato l’Orso
correva il 1973-74. E il Dow era a quota 600. Dico 600, non 6.000.
Allora, a novembre, io e il mio socio Shep Goldberg abbiamo deciso
di comprare: i prezzi erano stracciati, ma tutti vendevano. Andò
così per tre mesi, per la nostra disperazione: i clienti se ne
andavano, altri ci facevano piazzate terribili. È lì che ho scoperto
di avere un stomaco d’acciaio.
A febbraio del 1975 decollò il
mercato Toro: e la mia vita cambiò. Oggi come allora, la gente ha
paura. Se guardo i miei clienti, i venditori battono i compratori
dieci a uno. È un magnifico segnale di ipervenduto. Sì, caro Vince
Farrell, ho proprio uno stomaco di ferro. Consiglio ai miei clienti
di dare uno sguardo al passato e di non spaventarsi.
Ma so che qualcuno si
spaventerà lo stesso. E tra un po’ se ne pentirà. Intanto, mi verso
un po’ di Tabasco sulle uova sode per mettere alla prova il mio
stomaco di ferro. Sì, funziona ancora a dovere.
 |
Fonte -
Finanza&Mercati |
CINA:
BANK OF CHINA, FORTI PERDITE PER SUBPRIME
21 Gennaio 2008 06:49
PECHINO - di
ANSA ______________________________________________
(ANSA) - PECHINO, 21
GEN - La Bank of China, una delle quattro grandi banche
pubbliche della Cina, annuncerà in aprile delle perdite
astronomiche a causa della sua esposizione nei subprime, i
mutui facili travolti da una crisi negli Stati Uniti. Lo
scrive oggi il quotidiano di Hong Kong South China Morning
Post, citando fonti bancarie cinesi. La Bank of China ha
annunciato lo scorso agosto di avere investimenti per 9,65
miliardi di dollari nei subprime, che nei mesi seguenti sono
tagliati e ridotti a 7,95 miliardi. Nei primi tre trimestri
del 2007, la Bank of China ha annunciato profitti per 45,47
miliardi di dollari, con una crescita del 40 per cento
rispetto all' anno precedente. Secondo il South China Morning
Post, "anche se il governo cinese ha mantenuto un
atteggiamento calmo verso l' esposizione delle banche nei
sub-prime, i massimi leader hanno espresso privatamente la
loro preoccupazione" per la la situazione e avrebbero
sottolineato la necessità di "maggiori controlli" sugli
investimenti finanziari all' estero.
(ANSA.
|
Borsa: Lunedi' Nero; Spettro Recessione Scuote
Mercati
Lunedì 21 Gennaio 2008,
19:41 - di
ANSA ______________________________________________
(ANSA) - MILANO, 21 GEN
- E' stato un lunedì nero quello che ha colpito le Borse di
tutto il mondo con la sola Wall Street 'graziata' dalla
chiusura dovuta alla festività del Martin Luther King Day ma i
cui futures hanno subito un pesante ribasso e che
preannunciano per domani una giornata di forti ribassi. Un
crollo generalizzato partito in mattinata dall'Asia che ha
quasi eguagliato le perdite dell'11 settembre 2001, e che ha
bruciato nella sola Europa 437 miliardi di euro, preoccupando
i governi e gli organismi internazionali. Allora gli
attacchi alle Torri Gemelle dei terroristi islamici, arrivati
in un contesto economico già negativo, provocarono crolli
vicini al 10% e innescarono un ciclo di ribassi terminato solo
nel marzo 2003 quando partì invece una lunga fase rialzista.
Ora quel periodo, spinto dalla vertiginosa crescita delle
economie emergenti, pare finito e si teme l'arrivo della
recessione negli Stati Uniti che le misure per 150 miliardi di
dollari varate dall'amministrazione Bush non sembrano poter
arginare. Ma alla base del calo odierno vi è anche una
miscela esplosiva di vari fattori: in primis l'onda lunga del
crollo del mercato dei mutui subprime, risultato peggiore del
previsto e i cui effetti si fanno sentire ora sui bilanci
delle grandi banche. Dopo Merrill Lynch a pagare il conto è la
tedesca WestLb con perdite per oltre 1 miliardo. Nei guai
anche gli assicurativi che coprono il rischio delle emissioni
obbligazionarie delle società ma anche le società di
investimento e ancora una volta le banche, ad esempio la Bank
of China, che con il crollo dei mercati vedono deprezzarsi le
loro partecipazioni e sono costrette a maxi svalutazioni
rivedendo le loro stime di utili e ricavi. I ribassi dei
listini, spiegano analisti e operatori, provocano quindi
vendite generalizzate dei titoli azionari per coprire le
perdite e per spostare la liquidità su strumenti più sicuri
come le obbligazioni governative in una spirale negativa che
affossa sempre di più i mercati. Insomma l'arrivo dell'Orso,
termine con il quale si indica una fase di calo duraturo e
continuo dei listini mentre il Toro indica uno scenario di
rialzi, è ormai realtà. La Morgan Stanley in una nota spiega
infatti che non è ancora il momento di tornare a comprare
nonostante gli indici siano, rispetto ai massimi degli ultimi
mesi, inferiori alla soglia critica del 20%. I numeri dei
ribassi di questo lunedì nero sono impressionanti anche solo
citando i grandi colossi bancari-assicurativi come Axa (-10%),
Allianz (-9%), Bnp (-9,6%), Bank of China (-6,4%) o Ing
(-10,5%). Le vendite non hanno però risparmiato i titoli di
altri settori come BP (-6,3%), Suez (-8,1%), Nokia (-6,3%) e
Siemens (-8,5%). Nella tabella la chiusura dei principali
listini mondiali: - Tokyo -3,86% - Hong Kong -5,49% - Shangai
-5,14% - Mumbai -7,13% - New York chiusa per festività - San
Paolo (in corso) -6,03% - Londra -5,48% - Parigi -6,83% -
Francoforte -7,16% - Milano -5,17% - Madrid -7,54% - Amsterdam
-6,14% - Zurigo -5,26% .(ANSA).
Fonte
- ANSA
|
Borsa: CONTINUANO I CROLLI IN TUTTO IL MONDO
22 Gennaio 2008 07:24
TOKYO - di
REUTERS ______________________________________________
Seconda giornata nera e
vendite massicce per le Borse asiatiche: Tokyo ha chiuso a
-5,65%, a Mumbai e Seul sospese le contrattazioni dopo pesanti
perdite. Al momento della sospensione Mumbai era a -9,75%,
Seul a -6,23%. Crollo anche a Sidney (-7,1%). Seconda
giornata nera per le Borse asiatiche: Tokyo ha chiuso a
-5,65%, Mumbai e Seul hanno sospeso le contrattazioni dopo
pesanti perdite. L'indice Nikkei della borsa di Tokyo ha
archiviato la seduta in calo del 5,65% ai minimi degli ultimi
28 mesi, registrando la maggiore flessione giornaliera dall'11
settembre 2001. Il Nikkei ha chiuso a 12.573,05 punti, con una
perdita di 752,89 punti. In due giorni ha perso oltre 1.000
punti, pari al 9%. L'euro si e' indebolito sul dollaro e sullo
yen. La moneta giapponese si e' rafforzata sul dollaro. Al
momento della sospensione Mumbai era a -9,75%, Seul al 6,23%.
Crollo in chiusura anche per Sidney (-7,1%). A pesare il
timore di una recessione negli Usa.
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Borsa: futures Usa in calo, il maggiore
dall'11/9
22 Gennaio 2008 11:59
ROMA - di
ANSA ______________________________________________
(ANSA) - ROMA, 22 GEN -
I futures sugli indici di borsa di New York sono in netto
calo: l'S&P 500 potrebbe segnare oggi il peggior scivolone
dall'11 settembre 2001. Negli scambi sui mercati europei, i
futures sullo S&P 500 cedono 62,30 punti (pari al 4,7%) a
1.263,30 punti. I derivati sul Dow Jones lasciano sul terreno
529 punti a 11.566, mentre i derivati sul Nasdaq cedono 90
punti a quota 1.759. Sul fronte dei titoli, Exxon Mobil, tra
gli altri, cede sei dollari a 79,09 dollari a Francoforte. Il
settore petrolifero guida il ribasso delle materie prime, come
l'oro, con Barrick Gold che cede in Europa 3,48 dollari a
quota 43,25. Ancora sotto forte pressioni i titoli bancari:
Bank of America, in attesa della trimestrale, perde 2,38
dollari a 33,59 dollari, Goldman Sachs cede 9,32 dollari a
177,89 e Merrill Lynch cede 3,77 dollari a 48,10. Il mercato
attende anche i risultati trimestrali di Johnson & Johnson
(prima dell'apertura di borsa) e Apple (dopo la chiusura).
(ANSA)
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TASSI: PER FED TAGLIO MAGGIORE DAL 1982
22 Gennaio 2008 15,34
ROMA - di
ANSA _________________
(ANSA) - ROMA, 22 GEN -
La decisione della Fed di ridurre il costo del denaro di 75
punti base è il taglio maggiore da oltre 25 anni: l'ultima
volta che la banca centrale statunitense ha diminuito i tassi
di 75 punti è stato nel 1982, quando venne decisa una
riduzione di 100 punti, pari all'1%. Neanche dopo gli
attentati dell'11 settembre 2001, la Fed era intervenuta in
un'unica mossa così pesante, riducendo i tassi di interesse
complessivamente dell'1,5%, ma con tagli di mezzo punto
percentuale in tre diverse sedute.(ANSA).
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FED: MERCATO
PREVEDE TASSI AL 2,75% A MARZO
22 Gennaio 2008 15,52
ROMA - di
ANSA ________________
(ANSA) - ROMA, 22 GEN -
Il mercato, nonostante il maxi-taglio da 75 punti base deciso
oggi, scommette su ulteriori riduzioni del costo del denaro da
parte della Fed nei prossimi mesi. I Fed Funds dovrebbero
scendere al 2,75%, cioé di 50 punti base, a marzo, in
occasione della riunione del FOMC del 18 di quel mese. Questo
scenario è avallato dal 65,8% dei consensi, mentre c'é un
70,0% di probabilità che i Fed Funds vengano tagliati di 25
punti base, al 3,25%, al FOMC del 30 gennaio prossimo.
(ANSA).
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USA: CRESCE IL RISCHIO DEFAULT
22 Gennaio 2008 15:58
ROMA - di
ANSA ________________
(ANSA) - ROMA, 22 GEN -
Sale il rischio-default a valere sulle societa' statunitensi,
nonostante il taglio a sorpresa deciso oggi dalla Fed, al
3,5%. L'indice legato ai 'credit-default swaps', vale a dire i
derivati che proteggono dal pericolo d'insolvenza, e' salito
di 15 punti base, a quota 125. Il rialzo e' da mettere in
relazione in particolare alla trimestrale di Ambac, tra le
maggiori societa' di assicurazione dei bond, chiusa con un
passivo di oltre 3,2 mld di dollari.
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Sabato
26 gennaio
2008 |
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Martedì
29 gennaio
2008 |
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Giovedì
31 gennaio 2008 |
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Le crisi finanziarie della storia: diversità e
lezioni dal passato
Lunedì 28 Gennaio 2008,
11:49 - di Banche e
Risparmio ________________________________________
La "crisi finanziaria" attuale ha
diverse particolarità, che abbiamo discusso in più occasioni, tali
da differenziarla da quelle passate. Proviamo a ricapitolare i
principali punti che caratterizzano alcune delle principali crisi
finanziarie che si sono succedute nel passato, per vedere se
possiamo trarre qualche conclusione che ci possa essere utile allo
scopo di capire meglio come si può sviluppare lo scenario
attuale. Bolla di
Internet (2000) Verso la fine degli anni '90,
tutti erano convinti che l'informatica ed internet erano il futuro.
Un'opinione più che condivisibile, se non che ha portato a
iper-valutare le aziende semplicemente perché avevano un sito
internet o lavoravano con internet. Stavano nascendo anche
una serie di indicatori che calcolavano il "giusto" prezzo delle
azioni in base al numero di visitatori che aveva il sito
dell'azienda. Il problema però è che magari alcune aziende avevano
siti con migliaia e migliaia di visitatori al giorno, ma non
guadagnavano nulla. Soprattutto, non avevano la più pallida idea di
come guadagnare qualcosa, di come "monetizzare" i contatti, mancando
totalmente un "modello di business" (a quel tempo era anche molto
poco diffusa la pubblicità su Internet, che oggi permette almeno
stime da questo punto di vista). Ovviamente, una situazione del
genere non era sostenibile, e alla fine, quando si è diffusa la
convinzione che la maggior parte delle aziende non avevano un
business sostenibile, i titoli sono crollati. Il NASDAQ ha perso
quasi l'80% da marzo 2000 a ottobre 2002. LEZIONE: Se quella attuale fosse
una bolla, ci sarà da farsi ancora molto male, con titoli che
andranno giù a picco a livelli inimmaginabili. Si può però pensare
che quella attuale non sia una bolla "pura", in quanto comunque
tutte le aziende che cono coinvolte quantomeno hanno un "modello di
business", al limite sopravvalutato, ma
solido. Il crack
del fondo Long-Term Capital Management (1998) Il Long-Term Capital Management
(LTCM) era un hedge fund fondato nel 1994, a cui collaboravano anche
Myron Scholes e Robert Merton, entrambi Nobel per l'economia nel
1997, Il fondo sfruttava complesse tecniche matematiche messe a
punto dai due premi Nobel, e i primi due anni portò a casa risultati
intorno al 40% annuo. Nel 1998, però, vi furono eventi non previsti
dai modelli matematici, non tali da mettere in crisi il fondo da
soli, ma sicuramente per i guadagni erano a livelli più
"normali". Questo però ha fatto perdere di interesse a molti
investitori che riscattarono le loro quote. Il problema è che
l'hedge fund non poteva disinvestire altrettanto velocemente, ed a
un certo punto si trovò ad operare con un fattore di leva di 55
(rapporto tra capitale dei clienti e quello prestato dalle banche).
Che può essere interessante se si guadagna, ma espone a rischi
enormi. Per capirci, se investo 100 con una leva di 55, e la borsa
va su del 2%, guadagno 110, ho più che raddoppiato il mio capitale.
Ma se invece la borsa va giù del 2% ho perso 110: più del mio
capitale. Ed è quanto alla fine avvenne. L'instabilità che si è
generata è stata risolta con un intervento della FED, che oltre che
portare un taglio "di emergenza" dei tassi, ha "convinto" alcune
banche che erano creditrici del fondo ad acquistarlo, in modo che
potesse essere liquidato in modo non traumatico per i
mercati. LEZIONE: Questa
è forse la crisi che somiglia più a quella attuale, o almeno è il
tipo di crisi che in molti temono: cosa succederebbe se fallissero
diversi hedge fund, e magari qualche banca? Ovviamente la situazione
diventerebbe incontrollabile. Però è uno scenario che non mi
sentirei di definire "probabile", almeno per quanto riguarda i
soggetti più significativi. Il "Lunedì nero" (19 ottobre 1987) Il termine lunedì nero, martedì
nero, ecc., lo si sente continuamente e in modo decisamente abusato.
Il "vero" lunedì nero, lunedì 19 ottobre 1987, il Dow Jones
(notizie) perse il 22,61% in una singola giornata, e le borse di
tutto il mondo registrarono performance negative simili. Alcuni
analisti del periodo diedero la colpa all'informatizzazione delle
transazioni di borsa che si stava sviluppando in quegli anni (nelle
aziende più grandi), infatti i meccanismi di "arbitraggio"
automatico che venivano utilizzati da molti iniziarono una serie di
vendite "al buio" amplificando in modo esponenziale una discesa che
sarebbe potuta essere molto più "fisiologica", conseguente
all'esplodere di una bolla speculativa unita al sospetto diffuso che
il mercato fosse dominato da insider trader e da acquisizioni fatte
con capitali "virtuali". La crisi si è risolta in breve tempo,
con le quotazioni che sono tornate a valori "normali", anche. Per
evitare il ripetersi di situazioni analoghe, sono stati poi
introdotti dei meccanismi (primo tra tutti, la sospensione per
eccesso di ribasso) per "spezzare" eventuali circoli viziosi di
questo tipo, così come sono state rafforzate le normative
sull'insider trading. LEZIONE: Non è il caso di
fasciarsi la testa se i mercati scendono del 4-5%, perché fa parte
del rischio "normale", se fa paura una cosa del genere, meglio non
investire in borsa perché non fa per noi. Inoltre, questa crisi
presenta molte similitudini (ruolo della "finanza creativa") con la
situazione attuale, dimostrando che la trasparenza è un'esigenza
assolutamente irrinunciabile. Lo scandalo S&L (1985) Sebbene abbia avuto un impatto
relativamente leggero sulle borse (e forse è poco noto rispetto alle
altre crisi di cui parliamo in questo post), è interessante la crisi
delle Saving and Loan associations che è avvenuta nel 1985. Le
Saving and Loan associations sono piccole istituzioni specializzate
nel raccogliere risparmi e concedere mutui. Per avere
un'idea, sono qualcosa che somiglia vagamente ad una Banca di
Credito Cooperativo, anche se il confronto non rende giustizia
(anzi, probabilmente è offenisivo) per le Banche di Credito
Cooperativo che conosciamo in Italia. Comunque, quello che è
avvenuto in USA è che si è assistito ad una progressiva deregulation
delle S&L (ad esempio, non erano vincolate dalle normative
sull'insolvenza che erano applicate alle banche), che si sono così
spinte in transazioni finanziarie che erano troppo grandi e
complesse per loro, nel tentativo di fare concorrenza alle grandi
banche commerciali, e spesso transazioni ad elevato rischio (anche a
causa dell'incapacità di valutare correttamente quest'ultimo). Diverse S&L andarono in
bancarotta, inguaiando sia chi aveva depositato i propri risparmi
che chi aveva ottenuto un mutuo. LEZIONE: In pratica, anche in
questo caso si parla di subprime, anche se in senso "esteso". Il
problema del 1985 è basato da ricerca di "profitto a tutti i costi",
sottovalutazione del rischio e operazioni finanziarie dagli effetti
poco controllabili. Va detto però che, se il resto del sistema è
abbastanza sano, gli effetti sull'economia sono relativamente
ridotti. La grande
depressione (1929) Probabilmente la più famosa crisi
finanziaria della storia, è iniziata col "giovedì nero" del 24
ottobre 1929, in cui si è avuto un crollo delle quotazioni di oltre
il 13%, seguito da un altro -11% alcuni giorni dopo. Il crollo fu
dovuto all'esplodere di una bolla speculativa, che coinvolgeva
principalmente sulle nuove industrie che stavano sorgendo in quegli
anni (es. automobilistiche). Il minimo venne raggiunto nel 1932, con
una perdita degli indici vicina al 90%: per tornare ai valori del
1929 ci vollero più di 25 anni. L'aspetto che caratterizza la
crisi del '29 è come questa abbia coinvolto un'ampia fetta della
popolazione: infatti gran parte del ceto medio investiva in borsa, e
si trovò così a sostenere le perdite. LEZIONE: Va detto innanzi tutto
che nel '29 mancavano molti dei sistemi di sorveglianza attuali (la
SEC e la FDIC) sono nate in seguito ad esso, e che diversi analisti
sostengono che la crisi fu gestita male dalle autorità. Per certi
versi, somiglia più alla bolla di Internet (per la sopravvalutazione
di settori emergenti) che alla situazione attuale. Più di
tutto, però, credo che evidenzi la pericolosità di investire in
borsa o comunque in strumenti a rischio "per sentito dire", che è
quello che succedeva in quegli anni, perché è un meccanismo che può
funzionare solo finché arrivano continuamente "soldi freschi". E'
famoso l'aneddoto sul patriarca Kennedy e del lustrascarpe: Joseph
Kennedy dopo una mattinata di affari in Borsa, mentre andava a casa
si fermò da un lustrascarpe. Quando stava per lasciargli la mancia,
questo gli disse: «Lasci perdere, signor Kennedy, ho appena
guadagnato 30 dollari sulle Standard Oil». Kennedy sentito questo
ritorno in Borsa e vendette tutto. Così si salvò dalla crisi di Wall
Street del 1929.
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Fonte -
Banche e Risparmio
[http://banche.blogspot.com |
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