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INDICE ARTICOLI di TESTA

 

PARTE  2

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Borse e Mercati - Sentiment & Opinioni

Mercati laterali anzi, in rosso dal top del 2000

Valute U$D - Analisi

Investire in dollari converrà ancora, ma non per molto

Borse e Crisi Creditizia

Banche e broker: i migliori ma anche i più odiati

Borse e Macro - Sentiment & Opinioni

Borse, il freno della Fed e l'ottimismo degli economisti

Borse e Mercati - Sentiment & Opinioni

Borsa: perdita di spinta sui massimi

Borse e Macro - Sentiment & Opinioni

USA: prospettive molto positive per la crescita

Rating - Opinioni

«Sui rating la libertà di scelta»

Crisi credito e proposte normative

Moody's: tassa-Obama alle big bank di WS costa più di 8 MLD$ all'anno

 
+++   ANSA   +++   Crisi, a Grecia servono 54mld euro   +++    Usa: bancarotte personali +32%   +++   Usa: Gensler (Cftc), Possibili Nuove Crisi Se Derivati Non Regolamentati   +++   Usa: Fed, Disoccupazione Restera' Alta e Limitera' Crescita   +++   Usa: Obama Vuole Recuperare 120 Miliardi Dlr Da Banche  +++   ANSA   +++ 
 
  Lunedì 04 Gennaio 2009   Martedì 05 Gennaio 2009   Mercoledì 06 Gennaio 2009  
       
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INDICE ARTICOLI - Seconda pagina e flash

   

Le Borse mondiali sono salite del 26,6%

CITIGROUP: ULTIMATUM DI ALWALEED A PANDIT

Nel 2010 puntare ancora sulle materie prime

Shopping in Borsa per i gestori

Latam, la crisi un po' si sente

PAROLA AI GUFI: MERCATO ESAUSTO, CORREZIONE IN VISTA

PETROLIO: SOPRA QUOTA $100 NEL 2010

La settimana, 3/2010

Cresce l'appetito per l'est Europa

WALL STREET: TORNA LA PAURA. VIX IN CORSA

Superbonus banche Usa, al via la stagione tra polemiche

Banche inglesi, utili record da 25 miliardi di sterline

Mercati del credito 12 Gennaio 2010 – sindrome cinese ...

CORPORATE BOND: INVESTITORI IN FUGA

Mercati del credito 14 Gennaio 2009 – Tragedia greca

L’azzardo

L’hedge volta pagina

Quanto contagiosa è la Grecia?

Paesi mediterranei dell’euro a rischio crack

S&P rivede al ribasso l’outlook sul credito del Giappone

DOW JONES: ENTRO UN ANNO A 15.000 PUNTI

La corsa dei bond divide il mercato

CREDITO AD ALTO RISCHIO SUI MASSIMI DI DUE ANNI

CINA, INDIA E BRASILE PER GUADAGNARE. PAROLA DI BILL GROSS

USA: RIPRESA A 'V', NON MOLLATE L'AZIONARIO

Giù raccolta, su i rendimenti lo strano 2009 degli hedge

   
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  Mercati laterali anzi, in rosso dal top del 2000

03 Gennaio 2010 00:06 BIELLA – di *Maurizio Milano

*Questo documento e' stato preparato da Maurizio Milano, resp. Analisi Tecnica Gruppo Banca Sella

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Indici azionari sui massimi dell’anno. Il Nasdaq Composite si è portato verso la resistenza chiave a 2320; l’ S&P500 è indirizzato verso l’obiettivo a 1200; il Dow Jones Industrial sale sopra 10500 e dovrebbe proseguire verso il target indicato a quota 11000.

Dopo un avvio d’anno all’insegna del panico, con le Borse sprofondate ad inizio marzo quasi sui livelli di tre lustri orsono, l’enorme massa di liquidità iniettata dalla Fed e dalle altre Banche Centrali insieme alle politiche fiscali fortemente espansive dei principali governi mondiali hanno consentito l’avvio di uno strepitoso rally, con percentuali che vanno, dai minimi di marzo, dal +63% del Dow Jones Industrial al +81% del Nasdaq Composite.

L’effetto base, cioè i prezzi azionari particolarmente depressi di marzo, ha consentito dei rialzi davvero importanti in termini percentuali, che permettono di chiudere il 2009 in territorio ampiamente positivo, dal +20% del Dow al +45% del Nasdaq. L’ampiezza dei rialzi non deve però trarre in inganno: gli indici, infatti, sono semplicemente risaliti sui livelli di inizio settembre 2008 precedenti al fallimento della grande Banca d’affari statunitense Lehman Brothers, evento che aveva avviato il grande crash sviluppatosi nelle due ondate successive di panic-selling di ottobre-novembre 2008 e di gennaio-febbraio 2009.

Il forte rimbalzo iniziato dopo che si è esaurita la fase acuta, emozionale della crisi finanziaria sembra da imputare, più che ad aspettative di pronta ripresa del ciclo economico, soprattutto all’effetto combinato del denaro a buon mercato e dei prezzi da saldo delle azioni. A livello tattico, per i prossimi mesi, il permanere dell’effetto liquidità dovrebbe sostenere ancora i listini, ma la prudenza sembra essere la parola chiave per il 2010.

Come abbiamo più volte ricordato, infatti, la forte salita degli ultimi 8-9 mesi appare ancora come un semplice bear market rally. Guardando i grafici degli ultimi 15 anni, sia negli Usa che in Europa ci troviamo di fronte a mercati azionari sostanzialmente laterali, ed addirittura in rosso dal picco di inizio 2000. Non si può certo dire che le tradizionali strategie buy&hold siano state vantaggiose nell’ultimo decennio. Ipotizzare di essere alla vigilia di un vero e proprio mercato Toro, destinato a durare anche negli anni a venire, pare quindi alquanto ottimistico.

Negli ultimi 10 anni i Paesi occidentali hanno avuto dinamiche del Prodotto interno lordo decisamente modeste, se depurate dalla crescita apparente ma sostanzialmente fasulla indotta dal denaro facile (in particolare gli Usa, la cui "crescita" è stata abbondantemente finanziata dal debito). Le "riprese" indotte da stimoli monetari – quasi cure "omeopatiche" – rischiano di rivelarsi effimere, oltre che diseducative perché scoraggiano il risparmio (per via di tassi di interesse praticamente nulli) e spingono ad indebitarsi.

Fino a quando non si creerà ricchezza "vera" le Borse non potranno iniziare a salire in modo sano e sostenibile. Si rischia che da luogo istituzionalmente deputato agli investimenti – dove i risparmi vengono allocati a sostegno dell’economia del Paese – diventino sempre più una sorta di casinò, in cui ci si scambia ricchezza virtuale come nelle tradizionali catene di S. Antonio: un "gioco a somma zero", insomma.

Solo un forte recupero di produttività, indotto da "salti tecnologici" e riorganizzazioni profonde dei processi aziendali, potrebbe invertire questo lento declino. Senza dimenticare che il prossimo decennio vedrà inevitabilmente un peggioramento della struttura demografica dei Paesi occidentali, in cui il progressivo pensionamento dei cosiddetti baby-boomers (la generazione degli anni 50) non sarà compensato, a causa del calo demografico, da altrettanti nuovi lavoratori (senza considerare i flussi migratori).

Ci saranno quindi più anziani, con maggiori spese per sanità e pensioni, e meno buste paga su cui "scaricare" tali costi. L’"autunno demografico" in cui è entrato il mondo occidentale è probabilmente la causa vera, strutturale, delle crisi che sempre più frequentemente e gravemente colpiscono le economie – e quindi le Borse – di Usa ed Europa. Tant’è vero che molti Paesi cosiddetti emergenti, come India e Brasile, continuano ad avere economie in forte crescita, che si riflettono in mercati azionari risaliti addirittura sui massimi storici.

Siccome i trend demografici sono caratterizzati da forte inerzia, è verosimile ipotizzare che nei prossimi anni assisteremo ad un crescente decoupling tra le economie e le Borse dei Paesi "vecchi" e quelle dei Paesi "giovani", ovviamente a tutto vantaggio di quest’ultimi. Sarà un processo lento, non lineare, ma sicuramente le due bolle del decennio – la cosiddetta bolla TMT (tecnologia-media-telecomunicazioni) del 2000-2002 e la crisi immobiliare-finanziaria in corso – lasceranno come eredità dei cambiamenti anche a livello geopolitico, con nuovi attori che acquisiranno potere crescente sulla scena internazionale a scapito di altri.

Si è molto parlato della necessità di cambiare le regole nel campo finanziario per evitare il formarsi di nuove bolle nel futuro. È un’esigenza vera, ma non dimentichiamo che le bolle sono sempre esistite ed è verosimile che se ne formeranno ancora in futuro. Ma soprattutto non illudiamoci che sia sufficiente moltiplicare i regolamenti e aggiungere arbitri e guardialinee quando in campo mancano i giocatori.

Fonte - Analisi Tecnica Gruppo Banca Sella

 

 

 

 

 

Le Borse mondiali sono salite del 26,6%

03 Gennaio 2010 MILANO - di Sara Silano
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Borse mondiali chiudono l’ultima settimana del 2009 con il segno più. L’indice Msci World ha guadagnato lo 0,68% (in euro al 30 dicembre), portando la performance da inizio anno al 26,65%. I rialzi più significativi si sono registrati nell’area dell’Asia-Pacifico (+2,49%) e sui mercati emergenti (+1,92%). In Europa, l’incremento è stato dello 0,46% (+0,59% l’Italia), mentre negli Stati Uniti, l’indice Msci locale è salito dello 0,76%. L’unico segno meno è il Giappone (-0,38%), ma il dato è influenzato dal cambio euro/yen in quanto la divisa nipponica si è indebolita nei confronti di quella comunitaria.

Nel complesso il 2009 si è concluso in positivo per tutti i panieri Msci geografici. I mercati emergenti hanno guidato il rally (+71,9%), seguiti da quelli dell’Asia-Pacifico (+66,39%). Queste aree hanno retto meglio la crisi, grazie al minor indebitamento, alla maggior solidità finanziaria e all’aumento del benessere della popolazione. Al contrario, le economie sviluppate hanno cominciato a vedere segnali di miglioramento nell’ultima parte dell’anno, ma continuano a fare i conti con un debito pubblico molto elevato e la dipendenza dalla spesa per consumi.

Le Borse occidentali hanno comunque registrato rialzi a due cifre nel 2009. L’Msci Usa è salito del 23,96%, quello europeo del 31,2% e l’italiano del 22,63%. Come ha affermato Anton Brender, capo economista di Dexia asset management, “Negli Stati Uniti, il peggio è passato, ma il presente non è ancora chiaro”. Il Paese deve affrontare importanti sfide (prime fra tutte la disoccupazione e l’elevato livello di pignoramento delle case), che potrebbero richiedere un ulteriore intervento federale. Anche nel Vecchio continente, la crisi è stata dura a causa soprattutto del collasso della domanda estera. La ripresa potrebbe passare dalle esportazioni, purché l’euro non continui ad apprezzarsi.

La situazione italiana non differisce molto da quella europea. Il Fondo monetario internazionale ha stimato una contrazione del Prodotto interno lordo superiore al 5% quest’anno e una crescita dello 0,2% nel 2010. In ogni caso, Piazza Affari si è ripresa dopo un 2008 da dimenticare. Secondo le statistiche di Borsa italiana, il Ftse Mib ha guadagnato il 19,5% e il Ftse All Share il 19,2%. Rispetto ai minimi di marzo, il rialzo è stato rispettivamente dell’85 e del 79%.

Fa storia a sé il Giappone, che non è stato capace di agganciare la ripresa. Nel 2009, l’indice Msci locale ha guadagnato il 3,74% e il Paese continua a soffrire di problemi strutturali, non riuscendo a lasciarsi alle spalle la deflazione.

Fonte - www.morningstar.it

 

 

 

Nel 2010 puntare ancora sulle materie prime

03/01/2010 - di Miaeconomia
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L’anno prossimo? Sara’ l’anno delle materie prime. Dopo il rialzo di quest’anno dei mercati azionari, che in genere anticipano di circa sei mesi l’andamento dell’economia reale, il 2010 sara’ l’anno delle materie prime. Anche perche’ se la ripresa si concretizzera’ come sperato, la domanda di beni iniziera’ a salire spingendo i prezzi.
Quest’anno sono saliti il petrolio e i metalli preziosi. Il greggio e’ salito sulla scommessa della ripresa economica e dai minimi di 35 dollari circa, e’ risalito fino verso gli 80 dollari al barile, comunque circa il 50% in meno del massimo di luglio 2008. Per l’oro, che ha raggiunto i massimi di sempre, oltre i 1.220 dollari l’oncia, il rialzo ha altre origini. Nelle fasi incerte dei mercati azionari e con il dollaro debole, per buona parte dell’anno il future sul metallo giallo ha rappresentato un ottimo rifugio per i capitali in fuga dalla Borse. Anche l’argento ha avuto il suo momento di gloria per lo stesso motivo per cui e’ salito l’oro.
Secondo molti analisti, nel 2010 a correre saranno gli altri metalli meno nobili, ma piu’ legati alla ripesa del ciclo economico, ovvero quelli industriali come rame, zinco, che comunque anche nel 2009 hanno messo a segno delle belle performance. Ma correranno anche i prodotti della terra, i cosiddetti beni coloniali e gli alimentari, che secondo gli esperti vanno meglio in una fase avanzata di un ciclo economico. E quindi occhio alle quotazioni dello zucchero, ma anche del cacao. Senza trascurare la soia, che per altro e’ condizionata anche dall’uso sempre piu’ diffuso dei biocarburanti
Ma secondo alcuni analisti l’oro potrebbe tornare a spingere nuovamente verso nuovi massimi. I mercati azionari hanno corso molto nell’arco del 2009, ma hanno subito anche alcune forti correzioni. Ribassi che potrebbero manifestarsi anche nel corso del 2010. E allora l’oro potrebbe tornare utile nuovamente come rifugio in caso di cali persistenti dei mercati azionari.

Fonte - www.miaeconomia.it

 

 

 

Latam, la crisi un po' si sente

04-01-10 - di Marco Caprotti
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dei mercati sembra aver tirato solo un buffetto all’America latina. E il mercato continua a premiarla. L’indice Msci della regione nell’ultimo mese (fino al 4 gennaio e calcolato in euro) ha guadagnato il 3,7%. Anche in questo caso, spiegano gli operatori, il merito va alla tenuta dimostrata nel corso del 2009 e alle buone prospettive per l’anno appena iniziato.
Nel suo ultimo rapporto la Commissione economica delle Nazioni Unite per l’America latina (ECLA) ha scritto che il Pil dell’area, dopo sei anni di crescita continua, nel 2009 ha subito una contrazione dell’1,8%. “Il dato è sicuramente peggiore del -0,8% registrato durante l’ultima recessione della regione nel 2002”, spiega uno studio firmato dalla società di consulenza Oxford Analytica (OA). “Tuttavia da allora le cose sono molto cambiate. La disoccupazione, per esempio, secondo l’ECLA nel 2009 dovrebbe aver raggiunto un tasso dell’8,9%. Tuttavia, il dato è migliore del 2006 e di quelli segnati nel 2002 e nel 2003”.
Buone notizie anche per quanto riguarda il tasso di povertà che, sempre secondo la Commissione dell’Onu, dovrebbe aver toccato il 34,1%. “Tuttavia lo studio ha anche precisato che si tratta di un buon risultato se confrontato con quelli delle crisi precedenti che hanno attraversato la regione”, continuano da OA. A questo va aggiunto che il recupero nella seconda metà dell’anno è stato più veloce rispetto alle attese.
Per il 2010, invece, l’ECLA si aspetta una crescita del Pil regionale superiore al 4%. “L’aria di ottimismo è percepibile anche per quanto riguarda gli individui”, spiega ancora lo studio di OA. “Nonostante la crisi, la percentuale di coloro che pensano che le cose stiano migliorando è arrivata al 36%. Nel 2008, nel pieno della tempesta mondiale, erano il 33%”.
Il nodo da risolvere per continuare a crescere, spiegano comunque gli analisti, è quello della disoccupazione. “Al suo andamento è legata la dinamica della domanda interna che sta diventando sempre più importante per la regione”, dice lo studio di OA. Le previsioni delle Nazioni Unite, in questo senso, sono preoccupanti. Le stime, infatti, parlano di un tasso di senza lavoro dell’8% secco nel 2010.
“A differenza delle crisi precedenti, tuttavia, la ragione è da ricercarsi nella minore richiesta di prodotti locali (principalmente commodity) che dovrebbe arrivare dal resto del mondo”, continuano da OA. “Questo avrà effetto sulle imprese del Sudamerica e, di conseguenza, sul loro livello di occupazione”. L’uscita da questo tunnel, tuttavia, è in vista. “I governi locali della regione negli ultimi due anni hanno dimostrato di saper mettere in campo le strategie giuste per affrontare la crisi mondiale, soprattutto con piani di stimolo economico e sgravi fiscali”, conclude lo studio di OA.
 

Fonte - www.morningstar.it

 

 

 

 

 

 

  Investire in dollari converrà ancora, ma non per molto

07 Gennaio 2010 23:55 NEW YORK – di WSI

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Sfruttare la debolezza della valuta Usa attuando operazioni di carry trade, che hanno contribuito al rally azionario da oltre +20% nel 2009, e' ancora un buon investimento, ma rischia di non esserlo sul lungo termine.
Con ogni probabilita' gli investitori continueranno anche all'inizio del 2010 ad approfittare del dollaro debole per comprare asset ad alto rischio, ma cosi' facendo rischiano alla lunga di pagare a caro prezzo i loro investimenti.
Le cosiddette operazioni di "carry trade", ovvero concedere in prestito valute ad un basso tasso di interesse per comprare con i soldi ottenuti asset ad alto rendimento come azioni e commodity, hanno contribuito al rally della Borsa Usa, che nel 2009 ha guadagnato oltre il 20%.
Salvo un cambiamento drastico nella strategia di politica monetaria della Federal Reserce, il trend e' destinato a continuare anche nella prima meta' del 2010, a prescindere da quanto potrebbe accadere una volta che i tassi di interesse aumenteranno e le operazioni si ridurranno.
Il dollaro, secondo Dan Katzive, currency strategist at Credit Suisse, "continuera' ad essere utilizzato come fonte di finanziamento nell'equazione del carry trade, operazione che regalera' ancora soddisfazioni come strategia di investimento nel mercato valutario, in quanto l'appetito verso il rischio dovrebbe rimanere ancora relativamente alto".

Molti analisti sostengono che l'azionario si manterra' ancora su livelli sostenuti nonostante il rimbalzo del 60% messo a segno dai minimi di 12 anni toccati a inizio marzo. Tuttavia desta preoccupazioni il fatto che la Federal Reserve, prima o poi nel corso di quest'anno, dovra' iniziare ad alzare i tassi di interesse con l'obiettivo di controllare la crescita e sostenere la valuta americana.
Il tasso sui fed funds si trova sui minimi storici dello 0.14%, il che significa che alle banche non costa quasi nulla dare denaro in prestito. Allo stesso tempo e' vero che ultimamente il biglietto verde si e' gradualemente rafforzato, ma rimane su minimi importanti se lo si confronta con le altre valute.
Il timore e' che gi investitori che hanno comprato durante la fase di carry trade sul dollaro inizieranno a ricoprire le loro posizioni.
"Il carry trade sul dollaro e' passato dall'essere l'operazione di scambio principale nella seconda parte dell'anno scorso a essere un investimento molto piu' rischioso negli ultimi tempi", ha dichiarato Nick Colas, chief market strategist di ConvergEx Group, secondo cui l'operazione potrebbe ancora dare buoni frutti ma si basa su una serie di presupposizioni che non coincidono piu' con il consenso unanime".

In generale a detta della maggior parte degli analisti, gli investori dovrebbero puntare sulla diversificazione, con il 70% dei portafogli che si stanno riempiendo di azioni a grande capitalizzazine ed alta qualita' come Johnson & Johnson e Wal-Mart e nessuna banca, e con il restante 30% che preferisce invece scommettere sulla volatilita'.
Siccome prevede che i mercati guadagneranno terreno prima che il numero di operazioni di carry trade diminuisca bruscamente, Colas consiglia agli investitori di puntare su fondi di investimento ETF che capitalizzano sull'andamento di settore scelti, tra cui gli industriali e i tecnologici.
Secondo l'analista di Credit Suisse un dollaro debole dovrebbe essere una buona scommessa anche se la Fed dovesse alzare i tassi in maniera significativa nel 2010.
 

Fonte - www.wallstreeitalia.com

 

 

 

  Venerdì 08 Gennaio 2009   Sabato 09 Gennaio 2009   Domenica 10 Gennaio 2009  
       
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PETROLIO: SOPRA QUOTA $100 NEL 2010

07 Gennaio 2010 23:58 NEW YORK - di WSI
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Parola di Jeff Rubin, ex chief economist di CIBC World Markets, che negli ultimi dieci anni ci ha sempre visto giusto. I prezzi raggiungeranno i $90 gia' da questo trimestre, spinti dalla crescente domanda proveniente da Asia e Medioriente.
Le quotazioni del greggio ritorneranno sopra quota $100 dollari il barile entro la fine 2010. Ad esserne sicuro e' Jeff Rubin, ex economista capo di CIBC World Markets, che negli ultimi dieci anni ha predetto il rincaro dell'oro nero negli ultimi dieci anni con una precisione chirurgica.
La crescente domanda proveniente da Asia e Medioriente, ha spiegato Rubin in un'intervista telefonica concessa a Bloomberg, costringera' i consumatori a fare affidamento sulle fonti di energia piu' costose e meno convenzionali, come oil sands,
Rubin, che ha passato gli ultimi 20 anni in seno alla banca di Toronto e che l'anno scorso ha pubblicato un libro sull'economia nel settore energetico intitolato "Why Your World is About to Get a Whole Lot Smaller", nel 2007 predisse che il petrolio avrebbe toccato quota $100 e cosi' fu.
"Mi pare realistico prevedere che avremo prezzi a tre cifre nel quarto trimestre dell'anno", ha detto mercoledi' Rubin, 55 anni. "Mi aspetto che le quotazioni del petrolio si avvicineranno presto a quei livelli e che scambieranno in un range intorno ai $90 probabilmente gia' dalla fine di marzo".
Dopo che il Dipartimento dell'Energia Usa (DOE) ha annunciato che le scorte di distillati sono diminuite, ieri i contratti con scadenza febbraio sull'oro nero Usa sono aumentati di valore, raggiungendo quota $83.52 al barile, sorpassando cosi' i massimi dell'anno scorso di $82. Nel 2008 i prezzi del greggio hanno toccato il record assoluto di $147.27. Al momento i futures scambiano a quota $82.63 il barile.
Secondo Rubin, l'incremento nel consumo di petrolio sara' guidato dalla domanda proveniente dalle economie dei Paesi in via di sviluppo, come la Cina e l'India, piuttosto che dalle nazioni industriallizzate dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti, dove la domanda ha probabilmente gia' toccato le punte piu' alte.
 

Fonte - www.wallstreetitalia.com

 

 

 

Cresce l'appetito per l'est Europa

07-01-10 - di Marco Caprotti
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Paesi emergenti non perda d’occhio l’est Europa. Il consiglio arriva dagli operatori secondo cui, fra i mercati in via di sviluppo, quelli alla periferia del Vecchio continente al momento mostrano le opportunità migliori. L’indice Msci Eastern Europe nell’ultimo mese (fino al 7 gennaio e calcolato in euro) ha guadagnato il 4,5%. Nel corso del 2009 è salito del 73,7%, grazie anche al ritrovato appetito per il rischio dimostrato dagli investitori, soprattutto a partire da marzo.
“Fra tutte le aree emergenti, quella dell’est Europa, presenta le valutazioni più interessanti”, spiega uno studio della società di consulenza Harding Loevner (HL). “Le azioni cinesi vengono trattate a 25 volte gli utili attesi per quest’anno e hanno reso il mercato asiatico uno dei più cari del mondo. India e Brasile lo seguono da vicino con multipli rispettivamente di 20 e 18 volte. In questa prospettiva la Russia, con otto volte gli utili, ha valutazioni più ragionevoli”.
Proprio la maggiore economia della regione sta dando segni importanti di recupero. Secondo gli ultimi dati elaborati da VTB Capital, a dicembre il Pil del Paese ha registrato una contrazione dell’1,3%, contro il -2,5% di novembre. Nell’ultimo trimestre dell’anno appena chiuso, il Pil dovrebbe aver subito una contrazione del 2,6% rispetto allo stesso periodo del 2008. “Si vedono tuttavia dei segni incoraggianti”, spiega una nota di VTB a corredo dei numeri. “Il calo del rublo, per esempio, sta aiutando le aziende dell’export.
L’Europa dell’est, avvertono però gli operatori, offre più della Russia. “La Polonia è un Paese decisamente interessante per chi è interessato alle azioni”, continua lo studio di Harding Loevner. “Le sue aziende sono gestite in maniera molto prudente e disciplinata”. Il Paese sta anche procedendo di corsa verso la strada della privatizzazione. L’ultima operazione è la vendita del 10% dell’estrattore di rame KGHM Polska Miedz per l’equivalente di circa 520 milioni di euro. La cessione fa parte di un progetto più ampio studiato da Varsavia per raccogliere 30 miliardi di zotly (7 miliardi di euro) e tappare in questo modo una parte del deficit statale.
Più in generale, secondo HL, il comparto più interessante dell’est Europa resta quello energetico che rappresenta il 25% della capitalizzazione di mercato della regione. Non mancano, tuttavia, i rischi. “L’area, soprattutto quella del Baltico, è instabile dal punto di vista politico”, spiega lo studio. “Senza contare che non sono molte le aziende di quei Paesi che hanno certificati quotati negli Stati Uniti. La situazione, tuttavia, sta migliorando, anche grazie alla crisi. Nei mesi scorsi, le istituzioni internazionali hanno fornito aiuti contro la crisi a patto che venissero intraprese riforme sia dal punto di vista fiscale che da quello delle pratiche di corporate governance”.
 

Fonte - www.morningstar.it

 

 

 

Superbonus banche Usa, al via la stagione tra polemiche

10 Gennaio 2010 15:35 - di Il Sole 24 Ore
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Si preannuncia ricca di polemiche la stagione dei bonus 2010, specialmente per i banchieri (si veda anche Il Sole 24 Ore del 7 gennaio). Già nello scorso anno il tema era stato dibattuto a lungo, ma adesso la questione rischia di diventare bollente, anche in seguito all'aumento sulle differenze di reddito dovute alla crisi economica che ha picchiato duro, specialmente sui più giovani e sulle famiglie monoreddito.
Infatti, nonostante gli inviti a ridurli, molte banche si preparano a staccare pesanti assegni che, per alcuni istituti, potrebbero risultare ai livelli degli anni boom. Secondo il New York Times, il comparto è assolutamente "consapevole che i numeri a sei, sette o otto cifre faranno probabilmente infuriare" l'opinione pubblica. Il quotidiano si interroga su come "avvolgere in un manto di moderazione gli assegni": questa preoccupazione ha portato molti istituti a rivedere le pratiche di distribuzione dei compensi, favorendo il pagamento in azioni rispetto ai contanti.
Ma negli ultimi mesi, dicono alcuni osservatori, il dibattito si è spostato dall'opportunità di retribuzioni con un mix cash-titoli all'ammontare complessivo. I bonus sono oggetto di crescente attenzione sia da parte di Washington sia di altre autorità, come il procuratore generale di New York, Andrew Cuomo.
"Molti banchieri – dice il New York Times - temono che gli Stati Uniti, come la Gran Bretagna, possano optare per una tassa sui bonus, in linea con quanto proposto dal democratico Dennis Kucinich".
Goldman Sachs si prepara a retribuire i propri dipendenti con circa 595mila dollari ciascuno per il 2009. I dipendenti di Jp Morgan riceveranno in media 463mila dollari. Secondo John Reed, uno dei fondatori di Citigroup, Wall Street non riguadagnerà la fiducia pubblica fino a che non ridurrà in modo serio i bonus.
"Non c'è niente che mi lascia intravedere che queste persone abbiano imparato qualcosa dalla crisi", afferma. L'attenzione è soprattutto puntata su come si muoverà Goldman Sachs, oggetto di forti critiche, le ultime provenienti dall'ex amministratore delegato di Aig, Henry Greenberg, che accusa la banca di essere responsabile del crollo della società assicurativa. Nel 2007 l'amministratore delegato Lloyd Blankfein è stato pagato 68 milioni di dollari, una cifra record a Wall Street, mentre lo scorso anno non ha ricevuto bonus: ora si guarda a quanto incasserà nel 2009, uno degli anni più redditizi della storia della banca.
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

 

 

  Banche e broker: i migliori ma anche i più odiati

12 Gennaio 2010 01:30 NEW YOR – di WSI

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I profitti, secondo le previsioni degli analisti, sono aumentati del 120% se si prendono in considerazione tutte le societa' componenti l'S&P 500, e triplicheranno entro il 2011, facendo ben quattro volte meglio del mercato. Se tali stime dovessero venire confermate, vuol dire che i titoli scambiano ad uno sconto del 15% rispetto all'indice.

Ma questo non e' sufficiente per tutti quei money manager rimasti scottati dal crollo dell'84% subito dai titoli dal febbraio 2007 a marzo dell'anno scorso, senza contare gli oltre 160 fallimenti bancari negli ultimi due anni. Secondo un sondaggio effettuato da Bank of America, gli istituti finanziari sarebbero i titoli meno preferiti dagli investitori, con il 38% dei 123 money manager interpellati che detiene meno titoli di quelli presenti negli indici di riferimento.

"I titoli valgono troppo poco", ha detto a Bloomberg Mark Giambrone, fund manager che ha comprato PNC Financial Services Group e i titoli Bank of America per USAA Investment Management, precisando che "ci sono senza dubbio ancora alcuni ostacoli da superare, ma nella maggior parte dei casi sono gia' rispecchiati nel valore dei titoli".
Sinora gli analisti hanno dimostrato di averci preso, con l'indice settoriale dei finanziari dell'S&P che ha guadagnato il 15% nel 2009. Jennifer Thompson, che emette rating per la newyorchese Portales Partners LLC, ha guadagnato il 31% negli ultimi due anni, otto volte i guadagni di tutte le aziende su cui ha una copertura. L'analista prevede che PNC e Fifth Third Bancorp siano destinate a mettere a segno un rally notevole.

Gli analisti sono maggiormente rialzisti sui bancari di quanto non lo siano su qualsiasi altro settore. Le previsioni si basano sul rapporto tra prezzo azionario e utili, secondo cui il settore si rendera' protagonista di un'accelerazione del 14%. Un rialzo di questo tipo allungherebbe il rally dei titoli del 145%, iniziato a marzo 2009 sulla scia del miglioramento dei dati macroeconomici e del salvataggio degli istituti Citigroup e AIG.

Negli ultimi 10 mesi il comparto e' quello che ha guadagnato di piu', con il benchmark settoriale che ha accumulato guadagni pari al 2.7% nella sola settimana scorsa, chiudendo l'8 gennaio a quota 1144.98 punti. Va sottolineato pero' che l'indice dei finanziari, composto da 78 societa' tra banche, broker e compagnie di assicurazione, resta in calo del 60% dalle punte massime toccate a febbraio 2007.

I ribassi risultano due volte piu' consistenti di quelli subiti dall'S&P 500, che ha perso il 27% da ottobre 2007, quando e' scoppiata quella crisi dei mutui subprime che tutti conosciamo e che ha provocato $1710 miliardi di perdite e svalutazioni per gli istituti finanziari, portando al collasso di societa' del calibro di Lehman Brothers e Bear Stearns.

Se da un lato e' indubbio che gli investitori hanno bisogno di avere ulteriori certezze prima di tornare ad acquistare a piene mani titoli del settore, eventuali nuove perdite derivate dalle attivita' sui mutui e nell'immobiliare commerciale e' gia' rispecchiato nella maggior parte dei valori dei titoli in Borsa.

A questo proposito Mark Bronzo, fund manager di Security Global Investors, ha le idee chiare: "se dovessi scegliere da quale parte stare, aumenterei l'esposizione ai titoli bancari, perche' quando un settore e' cosi' poco richiesto e i rischi sono alla luce del sole, essendone tutti consapevoli, allora ci sono notevoli margini al rialzo."
 

Fonte - www.wallstreetitalia.com

 

 

 

 

 

Mercati del credito 12 Gennaio 2010 – sindrome cinese, nuove emissioni Intesa, Mediaset, auto

12 January, 2010 at 12:45 - di John Christian Falkenberg
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Mercati del credito deboli in mattinata; dopo un inizio d’anno in tono estremamente positivo la prospettiva di numerose nuove emissioni e le manovre monetarie cinesi stanno mettendo un freno al mercato.
Il mercato del credito ha iniziato l’anno con una performance estremamente positiva, portando a segno il miglioramento che gli analisti si attendevano per l’intero mese di Gennaio o addirittura per l’intero trimestre; in un ambiente caratterizzato dall’ampia liquidità fornita dalle banche centrali, la caccia al rendimento ha causato una corsa al rialzo dei prezzi, data anche la relativa inattività a cavallo d’anno. La reazione sul lato dell’offerta comincia a divenire evidente in questi giorni: banche e aziende si stanno affrettando a portare nuove emissioni sul mercato, sfruttando la congiunzione di bassi tassi e bassi spread, per approfittare di una situazione percepita come temporanea. In caso di un miglioramento dell’attività macroeconomica, infatti i tassi d’interesse salirebbero nuovamente, mentre in caso di continuata recessione sarebbero i premi al rischio a salire; in ogni caso, le tesorerie dovrebbero emettere a tassi in assoluto più alti di quelli attuali.
Fra gli emittenti appena arrivati sul mercato o in procinto di emettere ufficialmente abbiamo Banca Intesa ed un elevato numero di altre banche, i produttori auto Daimler e BMW, la squadra di calcio Manchester United, Virgin Media e, in un prossimo futuro, le italiane Enel e Mediaset. La prospettiva di un drastico aumento delle nuove emissioni sta raffreddando gli animi.
Un altro elemento è l’atteggiamento delle autorità monetarie cinesi, definito da alcuni come schizofrenico. Da un lato, la banca centrale cinese sembra tollerare un’espansione creditizia sempre più rapida, con il rischio di creazione di nuove bolle immobiliari e finanziarie: le banche commerciali di stato sembrano ignorare le direttive centrali riguardo alla limitazione della creazione di nuovo credito. Dall’altro, la banca centrale ha ieri iniziato ad innalzare i propri tassi a breve e operato una stretta alle riserve bancarie, suggerendo l’inizio di una stretta che vada al di là della retorica. Il problema fondamentale rimane la sostenibilità di ogni stretta monetaria che non vada a toccare la politica valutaria cinese, la forma di dumping commerciale alla base di una parte rilevante delle distorsioni economiche di questi anni e fonte principale del rischio di una ulteriore bolla speculativa.
Itraxx S12 Levels Nota: Gli indici di credito sono quotati in spread (rendimento), come i tassi d’interesse. Un segno negativo equivale ad un miglioramento delle valutazioni del mercato, equivalente ad una salita degli indici di Borsa. Un cambiamento positivo è un segnale di peggioramento delle condizioni, equivalente al calo di un indice di Borsa.
 

 

 

Mercati del credito 14 Gennaio 2009 – Tragedia greca

Thursday, 14 January, 2010 at 12:41 - di John Christian Falkenberg
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Terza giornata di debolezza sul mercato del credito, dove alle preoccupazioni dei giorni scorsi si aggiungono quelle derivanti dai problemi di bilancio della Grecia.
Il CDS sul debito della nazione ellenica ha toccato il livello record di 330 basis point sul 5 anni, segnalando il forte disagio degli investitori sulla credibilità dei piani di rientro dal debito che vengono dibattuti in questi giorni ed i timori sulla tempistica e le modalità di una eventuale operazione di sostegno da parte degli altri paesi membri dell’unione monetaria. Ricordiamo infatti che i trattati all’origine dell’Euro e vietano espressamente alla banca centrare il salvataggio di uno dei paesi dell’area.
Il resto del mercato sui CDS sovrani mostra segni di tensione, con il CDS di nazioni deboli come Spagna , Portogallo e Irlanda sotto notevole pressione, insieme all’Italia anche se in misura minore; il nostro paese non pare a rischio di una crisi immediata, ma rimane la nazione più indebitata fra quelle di maggiori dimensioni. Per la prima volta, anche i contratti su nazioni considerate sicure, come la Finlandia, mostrano segnali di preoccupazione fra gli investitori.

 

  CDS Grecia  
     
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Fonte - Macromonitor

 


Il mercato corporate continua a vedere un flusso rilevante di nuove emissioni; mentre l’abbondante liquidità regalata dalla Banca Centrale mantiene viva la necessità degli investitori di trovare impieghi redditizi, il rally dei giorni scorsi ha convinto molti partecipanti a prendere profitto sulle vecchie posizioni, aspettando tempi più tranquilli per rientrare.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

L’hedge volta pagina

14-01-10 - di Sara Silano
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Il 2009 non è stato facile per gli hedge fund, che hanno ereditato dall’anno precedente due grandi scandali, quello di Bernie Madoff e Alan Stanford, e uno dei periodi peggiori in termini di rendimenti. In Italia, secondo le statistiche di Assogestioni, i riscatti hanno superato le sottoscrizioni per quasi 5,5 miliardi di euro. Gli alternativi, dunque, non sono riusciti ad agganciare la ripresa della raccolta che ha toccato i fondi comuni negli ultimi sette mesi.
A livello internazionale, la situazione è stata migliore e, come riporta MondoHedge, i flussi sono tornati ai livelli pre-crisi (+18,7 miliardi di dollari i fondi puri e +4,9 miliardi i fondi di fondi, dati TrimTabs Investment Research e BarclayHedge). Nonostante, i 54 miliardi raccolti nel corso dell’anno, resta ancora molta strada da fare per recuperare i 402 miliardi di rimborsi che si sono registrati tra settembre 2008 e luglio 2009.
Non è tempo, però, di scrivere il necrologio per l’industria degli alternativi, nonostante molti prodotti abbiano chiuso o subito forti riduzioni degli asset. Infatti, i lanci di nuovi fondi sono continuati anche quando il mercato affrontava i momenti più bui, seppur a un ritmo inferiore. Secondo le statistiche di Morningstar, tra il quarto trimestre 2008 e il primo 2009 sono nati 175 prodotti.
Dal punto di vista delle performance, l’industria si è risvegliata. L’indice Morningstar Msci composite globale ha guadagnato il 13,84% (a novembre 2009). I migliori rendimenti sono stati ottenuti dalle categorie che investono in asset più rischiosi, come i mercati emergenti, i titoli distressed (in default o sull’orlo del fallimento, ma che potrebbero essere sottoposti a un processo di ristrutturazione), e le società a piccola capitalizzazione. A settembre, alcune strategie, come quelle global macro che si basano sull’analisi del quadro macro-economico per individuare i trend che possono influenzare i mercati finanziari, sono riuscite ad appianare le perdite del 2008.

L’industria a livello internazionale sta attraversando una fase di trasformazione, alla quale contribuiscono oltre ai fattori interni, anche quelli normativi e fiscali. I fondi comuni di nuova generazione, infatti, possono adottare stili di investimento simili a quelli degli hedge fund (senza però venir meno agli obblighi di trasparenza, contenimento e frazionamento del rischio). Spesso a gestirli sono manager che provengono dall’industria degli alternativi. In Italia, inoltre, la caduta dell’obbligo di separazione tra società di gestione tradizionali e speculative ha portato a molti casi di fusioni delle seconde nelle prime. La proposta di riforma della tassazione nel Regno Unito, invece, potrebbe indurre molte case a spostarsi in Svizzera.
Nonostante le pessime performance del 2008 e gli scandali, gli hedge fund continuano ad esercitare un fascino tra gli investitori. Secondo una ricerca condotta da Morningstar e dalla rivista finanziaria Barron’s tra settembre e ottobre 2009, sia gli istituzionali sia i consulenti finanziari sono ottimisti su questa asset class. In particolare, il 60% la ritiene una delle alternative più importanti agli strumenti tradizionali e la maggioranza degli intervistati prevede che rappresenterà più del 10% del portafoglio nel giro di cinque anni. Tuttavia, gli investitori sono molto più attenti al grado di trasparenza e liquidità. Per loro, il prodotto ideale è quello che combina i benefici delle strategie alternative (bassa correlazione con i mercati, ritorni assoluti, ecc.) con le caratteristiche positive dei fondi (possibilità di uscire in qualsiasi momento, informazioni sull’andamento giornaliero della quota e sulla composizione del portafoglio, ecc.).
Gli hedge fund non sono un libro chiuso, ma nel dopo-crisi si è aperto un nuovo capitolo.
 

Fonte - www.Morningstar.it

 

 

 

Paesi mediterranei dell’euro a rischio crack

15/01/2010 - di MiaEconomia
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L’Euromediterraneo e’ a rischio crack. Infatti quasi tutti i Paesi della zona Euro che si affacciano sul mare Mediterraneo stanno attraversando una situazione economica o finanziaria estremamente delicata. A dicembre la Grecia come regalo di Natale ha subito un downgrade sul debito da A1 ad A2 da parte di Moody’s. Il Portogallo, che si affaccia sull’Atlantico ma e’ parte integrante della penisola iberica bagnata a sud dal Mediterraneo, ha ricevuto sempre da Moody’s una valutazione negativa sul debito che ha un rating Aa2. Neanche la Spagna si salva, con un rapporto deficit/Pil in libera uscita, un prodotto interno lordo in caduta libera e un livello di disoccupazione tra i piu' alti, se non il maggiore dei 16 paesi dell’euro, e che sfiora il 20%.
La Grecia ha in casa in questi giorni il Fondo Monetario Internazionale per consigliare il Governo sulla riforma fiscale e previdenziale e sulle misure di controllo del bilancio. Nessun aiuto monetario, escluso da Primo ministro e nessuna fuga dall’euro. Per risanare il debito pubblico il Governo greco inizia punta su riforme drastiche e nell’immediato pensa a fare cassa aumentando le imposte su alcolici e tabacco. Rimane il differenziale tra i titoli obbligazionari decennali greci e quelli tedeschi (il bund), che e’ sui massimi, a 258 punti.

Nella penisola iberica non stanno meglio Portogallo e Spagna. Lisbona rimane un sorvegliato speciale insieme alla Grecia. A ottobre Moody's ha portato da stabile a negativo l'outlook sul Portogallo, sulla falsariga dell'analoga decisione di Fitch il mese precedente, mentre Standard&Poor's ha posto il mese scorso il Paese sotto osservazione. Moody's potrebbe optare per una bocciatura del rating sovrano se Lisbona non mette a punto misure credibili per il controllo del deficit. Dopo il 2,8% del 2008, il disavanzo pubblico portoghese dovrebbe aver raggiunto l'anno scorso l'8% del prodotto interno lordo.
Sotto osservazione anche i conti iberici. Standard&Poor’s ha anche annunciato di aver ridotto da stabile a negativo l’outlook sul rating di Madrid, facendo presupporre futuri eventuali declassamenti, ma ha confermato il rating AA+ di lungo termine. La riduzione dell’outlook e’ dovuta, secondo gli analisti dell’agenzia americana, dalle attese di una piu’ bassa crescita del Pil e di deficit fiscali elevati nel medio termine. Non a caso dal 29 gennaio parte il piano di austerita’. L'obiettivo e’ riportare il rapporto deficit-pil entro il limite del 3%. Il rapporto deficit-Pil a novembre 2009, l'ultimo dato disponibile, ha raggiunto il 6,8%. Per quest’anno, potrebbe arrivare all'8,1%.
 

Fonte - MiaEconomia

 

 

 

 

 

  Borse, il freno della Fed e l'ottimismo degli economisti

16 Gennaio 2010 10:19 MILANO - di Walter Riolfi

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C'è qualcosa che non quadra tra il comportamento della Fed e le previsioni degli economisti. Perché mentre la prima non perde occasione per manifestare una inusitata prudenza sulla ripresa economica, i secondi danno prova di discreto ottimismo. Prendiamo il sondaggio compiuto recentemente dal Wall Street Journal su 56 economisti americani. La gran parte di loro pensa che il Pil Usa, dopo una crescita del 2,2% nel terzo trimestre 2009, rimbalzerà del 4,3% nell'ultimo quarto dell'anno e che viaggerà attorno al 3% per tutto il 2010. Non sono grandi numeri per l'economia di un paese che era solito uscire dalle recessioni con recuperi ben più ampi; ma in ogni caso, anche un +3% segnalerebbe una discreta espansione, dopo una crisi che enfaticamente è stata definita la «peggiore dagli anni Trenta». E anche gli economisti dell'Ecri (Economic Cycle Research Institute), dopo aver smussato un poco la baldanza manifestata fino a novembre, hanno dichiarato ieri che «la presente ripresa è destinata a continuare nei prossimi mesi».

La Fed, invece, è tutta attenta a verificarne la sostenibilità. E gli stessi economisti intervistati dal Wsj prevedono che la banca centrale americana non alzerà i tassi fino a settembre e che li porterà all'1% solo a fine anno. È quel che pensa il mercato fissando allo 0,31% il rendimento dei Treasury a 12 mesi. Va bene che tra i compiti di politica monetaria della Fed, a differenza della Bce, c'è anche quello della piena occupazione; e il numero dei disoccupati non sembra destinato a scendere ancora per lunghi mesi. Ma tassi praticamente a zero, come sono i Fed Funds dal 16 dicembre 2008, non s'erano mai visti negli Usa. E soprattutto non s'erano mai misti così bassi per un così lungo periodo. Se avessero ragione gli economisti nel pronosticarli immutati fino a settembre, significherebbero 21 mesi di politica monetaria ultra espansiva, degna di una paese come il Giappone. Tutte le critiche avanzate ad Alan Greenspan, reo d'aver lasciato i Fed Funds all'1% dal giugno 2003 al giugno 2004, ed avere pertanto creato le premesse della bolla speculativa, apparirebbero quasi risibili.

Forse ha ragione Ben Bernanke a essere così prudente perché, come dimostrano l'inatteso calo delle vendite al dettaglio di dicembre e l'aumento dei sussidi di disoccupazione, la ripresa si profila piuttosto incerta. Forse hanno ragione anche i critici di Bernanke, quando sostengono che tassi a zero, se non riescono a stimolare la domanda, possono invece animare la speculazione e creare una bella effervescenza su azioni, materie prime e bond societari. E forse ha ragione il populismo del presidente Obama nel pretendere 9 miliardi di dollari di maggiori tasse alle banche salvate con il denaro dei contribuenti. Di certo non hanno ragione le banche nel lamentare il sopruso. Perché dopo aver provocato la peggior crisi sul credito dal 1930, aver invocato poi gli aiuti del governo e dopo aver fatto nel 2009 inusitati utili prendendo a prestito dalla Fed il denaro allo 0,25% per investirlo in titoli di stato (o altri bond) quanto meno al 3% e senza rischi, dovrebbero avere almeno il pudore di tacere.

Il problema si creerà quando la Fed deciderà di mettere fine alla sua politica espansiva e quantitativa. È vero che ha guadagnato 46 miliardi nel 2009 con le attività più o meno tossiche acquistate dalle banche, divenendo di fatto la maggior banca d'affari al mondo e facendo impallidire i conti di Goldman Sachs, ma è anche vero che quei titoli non li potrà riversare sul mercato creando un nuovo terremoto. Per questo il 2010 non si presenta propriamente un bell'anno per Wall Street e per i mercati azionari occidentali. Ma per un po' le borse potrebbero ancora tirare, visto che la politica commerciale delle banche è tornata a puntare sul risparmio gestito: cosicchè un'abbondante e fresca liquidità dovrebbe riversarsi sulle azioni.
In settimana l'S&P ha perso lo 0,78% (-1,22% il Nasdaq) e lo Stoxx l'1% (-1,3% Milano, -2,2% Parigi, -2,7% Francoforte, -1,5% Londra).

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

  Martedì 12 Gennaio 2009   Mercoledì 13 Gennaio 2009   Giovedì 14 Gennaio 2009  
       
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GR1 RAI - 12 GEN ore 22:00

   

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GR1 RAI - 13 GEN ore 22:00

   

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GR1 RAI - 14 GEN ore 22:00

   

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  Borsa: perdita di spinta sui massimi

19 Gennaio 2010 03:59 BIELLA – di Banca Sella*

*Analisi Tecnica Gruppo Banca Sella

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Il Nasdaq Composite ha raggiunto la resistenza a 2320, che avevamo indicato come il grande obiettivo del bear market rally, toccando un nuovo massimo a ridosso di 2326 (+83,8% dai minimi del 9 marzo 2009 a 1265,52). Per mantenere un’impostazione tonica l’indice deve assestarsi sopra 2225, ma un segnale di vera e propria debolezza si avrebbe solo sotto 2110/55 (poco probabile). Al di sopra di 2320 (prematuro) la salita potrebbe continuare verso 2415 e quindi 2500, dove dovrebbero comunque prevalere le vendite.

Il Dow Jones Industrial riesce a registrare massimi marginalmente superiori alla settimana precedente, assestandosi a ridosso di 10700, portando a circa il 66% il guadagno dai minimi del 6 marzo a 6469,95. Per conservare una buona impostazione l’indice deve mantenersi sopra 10100, con obiettivo confermato nella resistenza chiave a quota 11000, dove dovrebbero comunque prevalere le vendite.

Stallo sui massimi anche per l’S&P500, che si assesta a ridosso di 1150, con un rialzo pari a circa il 72% dai minimi del 6 marzo a 666,79. L’obiettivo è 1175 e quindi la resistenza chiave a 1200, dove dovrebbero comunque prevalere le vendite. Per mantenere un’impostazione tonica le quotazioni devono assestarsi sopra 1115. Perdita di spinta sotto 1065/80, con obiettivo il forte supporto in area 1020/40, la cui rottura (poco probabile) darebbe un segnale di rinnovata debolezza.

La volatilità rimane sui minimi di periodo a conferma di un quadro ancora positivo. I dubbi riguardano però gli spazi di ulteriore salita, soprattutto se valutati in termini di risk-reward. Col ritorno degli indici sui livelli precedenti al crash di Lehman si chiude una fase di mercato, il grande bear market rally reso possibile dai corsi particolarmente depressi e dall'abbondate liquidità riversata nel sistema.

Da adesso in poi solo segnali concreti di ripresa dell'economia reale possono creare le condizioni per una prosecuzione sana e sostenibile dei rialzi di Borsa. Altrimenti si rischiano nuovi "eccessi", una "piccola bolla" destinata a scoppiare o comunque sgonfiarsi nel momento in cui la Fed inizierà a drenare liquidità dal sistema.

Una correzione del 15-20% nei prossimi mesi appare possibile, anche se al momento è impossibile prevedere dove e quando partirà. Un segnale in tal senso verrebbe comunque da una risalita della volatilità implicita, scesa sui livelli di luglio-agosto 2008, "troppo" verrebbe da dire perché sembra che manchi nuovamente un adeguato premio al rischio.
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

 

DOW JONES: ENTRO UN ANNO A 15.000 PUNTI

18 Gennaio 2010 02:30 NEW YORK - di WSI
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Grazie ad un balzo del 50% dopo una fase di correzione del 20-30%, sbalzi che non rappresenterebbero una novita'. Il livello e' semplicemnte la media tra i minimi e i massimi nel ciclo di 4 anni. L'economia e' in salute e l'inflazione sotto controllo.
Il paniere delle blue chip sta scambiando intorno a quota 10.700 punti, ma c'e' chi e' convinto che entro un anno raggiungera' e superera' la soglia dei 15.000 punti.
In un'intervista concessa alla Cnbc Jeff Hirsch, editor di Stock Traders Almanac, ha spiegato che la sua previsione si fonda per lo piu' su fattori puramente tecnici e storici e non su utili societari e dati macro.
Tuttavia senza dubbio l'azionario sara' aiutato dal fatto che l'economia si sta progressivamente riprendendo e che l'inflazioen rimanga sotto controllo.
"Basta rifarsi alla media mobile dai minimi di medio termine ai massimi del periodo precedente le elezioni per il Senato", ha dichiarato Jirsch, aggiungendo che il mercato accusera' una fase di ritracciamento del 20-30%, che creera' opportunita' di profitto notevoli, prima di un rally poderoso del 50%.
"Alcuni anni il paniere si e' attestato sotto quella cifra, altri scambiava su livelli piu' alti — e' un'estrapolazione da questo concetto: se il minimo nel 2010 e' in area 10.000 allora un rialzo del 50% vorra' dire che tocchera' 15.000".
"I calcoli si basano sull'andamento del mercato in un ciclo di quattro anni". Tra i mercati che guideranno senza dubbio i rialzi l'analista ha citato i fondi di investimento comune, con ben 400 nuovi ETF che dovrebbero essere lanciati nel 2010.
 

 

 

CREDITO AD ALTO RISCHIO SUI MASSIMI DI DUE ANNI

19 Gennaio 2010 18:00 NEW YORK - di WSI
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Grazie al miglioramento delle prospettive economiche in Europa i prezzi del debito utilizzato per finanziare le operazioni di M&A sono saliti sui livelli piu' alti dal 13 dicembre 2007.
In Europa i prezzi dei prestiti a piu' alto rischio di default hanno raggiunto i massimi di due anni, con il miglioramento dell'outlook sull'economia e le previsioni circa i potenziali fallimenti societari che consentono alle aziende di finanziare le operazioni di buyout con sempre piu' facilita' e tranquillita'.
Dal primo gennaio, sul mercato il prezzo medio per i prestiti cosiddetti "leveraged" e' aumentato di 7 punti base al 96.07% del valore nominale. Il prezzo del debito utilizzato per finanziare le operazioni di fusione e acquisizione ha toccato il livello piu' alto dal 13 dicembre 2007. Un anno fa i prezzi scambiavano al 60.4% del valore nominale.
La domanda per gli asset con un rischio piu' alto sta crescendo con una certa intensita', come mostrano le stime pubblicate da Moody’s Investors Service, secondo cui il tasso di default tra le societa' con uno speculative-grade scendera' al 3.3% quest'anno, in netto calo dal 12.5% di adesso.
Uno degli esempi piu' lampanti e' quello offerto da Apax Partners LLP. La societa' londinese di private equity ha raccolto 315 milioni di sterline ($516 milioni) per finanziare l'acquisto di Marken Ltd.

 

 

 

USA: RIPRESA A 'V', NON MOLLATE L'AZIONARIO

19 Gennaio 2010 03:16 NEW YORK - di WSI
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La ripresa stavolta non sara' alimentata dai consumi bensi' dall'esposizione dei big societari ai mercati in via di sviluppo e dall'intensificarsi dell'incremento delle scorte. Diversificare e puntare su farmaceutici e minerari.
Ci sara' un solo rallentamento, quello appena trascorso, e questo perche' il recupero dell'economia non sara' alimentato dai consumi, come avvenuto nelle recessioni precedenti, bensi' la domanda proverra' dall'intensificarsi della fase di dai Paesi in via di sviluppo per un ampliamento delle scorte e dall'espozione delle grosse aziende ai mercati dei Paesi in via di sviluppo.
Ne e' convinta Edith Thouin, vice presidente di ABN Amro Private Banking, che martedi' ha detto ai microfoni dell'emittente CNBC Usa che "siamo in una ripresa a forma di V e che per un investitore l'azionario e' il posto dove trovarsi in questo momento".
Gli operatori dovrebbero scommettere su industriali e societa' attive nei materiali di base, cosi' come quelle aziende internazionali che hanno un'esposizione verso la Cina, il Sud America e altri Paesi in via di sviluppo.
Nel settore dei materiali di base il consiglio e' quello di puntare sul colosso minerario BHP Billiton, mentre tra le produttrici di acciaio sono citate Arcelor Mittal e ABB. Anche le societa' di ingegneria come Siemens e Philips si riveleranno un buon investimento.
Piu' in generale le societa' a media e piccola capitalizzazione, che piu' hanno sofferto durante la fase di rallentamento economico, hanno ancora un ottimo potenziale, potendo beneficiare dell'intensificarsi delle attivita' di espansione delle scorte, essendo de facto i principali rifornitori delle societa' piu' grosse.
"Se fossi un investitore mi concentrerei sull'alta qualita' nel settore delle mid-cap. I titoli con un buon bilancio, quelli che si sono ben comportati durante la crisi e quelli che hanno un'elevata quota di mercato e un'alta reputazione, perche' saranno i rifornitori prescelti dalle aziende piu' grandi".
"I difensivi stanno tornando di moda", ha osservato, aggiungendo che "ci saa' un nuovo interesse per i settori difensivi, in particolare per quelli che hanno mostrato di poter registrare una crescita soddisfacente degli utili. Per esempio il settore dei farmaceutici ma anche quello delle catene di beni al consumo".
Tra i singoli titoli a Thouin piacciono la svizzera Nestle e negli Stati Uniti Mead Johnson Nutrition, mentre tra i comparti il consiglio e' quello di puntare sui beni di lusso, come Richemonte, che lunedi' ha riportato cifre solide, in considerazione "dell'enorme domanda proveniente dai consumatori asiatici, in particolare per prodotti occidentali".

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

 

  USA: prospettive molto positive per la crescita

19 Gennaio 2010 04:24 MILANO – di Legg Mason

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Bill Miller, presidente e CIO di Legg Mason Capital Management è convinto che il mercato stia sottostimando il potenziale di crescita del Pil americano per il 2010, in quanto trascura la forte accelerazione della ricostituzione delle scorte che contribuirà a trainare negli Stati Uniti una ripresa che potrebbe fare rimbalzare il mercato azionario nell’anno in corso addirittura del 20%.

Il calo della produzione industriale cui si è assistito negli USA ha superato notevolmente la contrazione della domanda e ciò perché il taglio della produzione è stato ottenuto con la riduzione delle scorte. Miller prevede dunque che la rapida ricostituzione dei magazzini da parte delle aziende americane sarà lo stimolo per una forte crescita economica che si protrarrà per diversi trimestri.

Benché per la crescita del Pil nel 2010 il consenso preveda un 2,6% e la Federal Reserve un 2,7%, secondo Miller ci sono buone possibilità che l’economia cresca oltre queste stime, arrivando addirittura a un 8%. Sulla scia di una tale ripresa, un balzo del mercato azionario di addirittura un 20% non è da escludere.

L'azionario statunitense continua a registrare utili oltre le aspettative. Un altro dato ricordato da Miller è che, partire dal 1871, i periodi decennali nei quali il rendimento del mercato azionario è stato negativo sono stati 14, incluso quello degli ultimi 10 anni.* A seguito di ciascuno dei precedenti 13 periodi decennali, i rendimenti aggiustati per l'inflazione nei 10 anni successivi hanno superato il 10%, ossia, sono andati ben oltre il 6,66% della media dei rendimenti reali a lungo termine e hanno più che raddoppiato il rendimento delle obbligazioni di Stato. In altre parole, ogni qualvolta per un intero periodo decennale l'azionario ha registrato una performance scarsa, nei successivi 10 anni, la performance dei mercati azionari è stata superiore alla media e ha in media raddoppiato quella dell'obbligazionario. Anche se gli investitori continuano a preferire i titoli obbligazionari a quelli azionari, Miller è dell’avviso che le azioni in questo momento siano molto sottovalutate rispetto alle obbligazioni.

Tra i comparti, quello tecnologico e quello finanziario saranno quelli che, secondo Miller, beneficeranno di più dalla crescita economica e il suo portafoglio è posizionato conseguentemente. Data la solidità dei bilanci aziendali e l’alto numero di società che stanno registrando guadagni record, la tecnologia è il settore di maggior peso nel portafoglio di Miller. Tra le posizioni detenute si annoverano IBM, Cisco, Microsoft e Hewlett Packard.

Il secondo settore sul quale Miller si è concentrato è quello finanziario. A suo avviso, esso non è mai stato così liquido fin dagli anni Trenta e le società che sopravvivranno al tracollo degli ultimi due anni sono ben posizionate per sfruttare quote di mercato cospicue, mentre le banche, da parte loro, appaiono sempre più sane, considerando che le perdite comunicate ammontano solo alla metà o addirittura a meno di quanto calcolato con i rispettivi stress test.

Per sfruttare la crescita dei mercati emergenti nei prossimi anni, le azioni meglio posizionate appaiono quelle delle aziende mega-capitalizzate e in particolare quelle che detengono grandi marchi. Secondo Miller, i guadagni ex-USA permetteranno loro di crescere più rapidamente delle loro controparti più piccole. Inoltre, se la crescente domanda dei consumatori cinesi, incoraggiata anche dal governo cinese, si tradurrà in una maggiore domanda di prodotti di esportazione statunitensi, essa fornirà un sostegno anche al dollaro.

"È per noi strategico, soprattutto nel momento in cui l’Italia presenta segnali di ripresa nel settore del risparmio gestito, offrire agli investitori italiani la nostra esperienza di gestore puro e indipendente" ha commentato Maurizio Ceron, director of business development di Legg Mason in Italia. "Il nostro modello di business infatti è quello delle multi-boutique che permette di contare su un certo numero di società di proprietà del gruppo, ma indipendenti l’una dall’altra, alla guida delle quali si trovano alcuni dei più importanti gestori internazionali, proprio come Bill Miller che è chairman di Legg Mason Capital Management (LMCM)."
 

Fonte - Legg Mason

 

 

 

 

 

CITIGROUP: ULTIMATUM DI ALWALEED A PANDIT

21 Gennaio 2010 17:16 NEW YORK - di ANSA
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Pressioni sulla banca d'affari da parte del suo principale azionista. Per il principe saudita il 2010 sara' un anno cruciale e si aspetta solidi ritorni sugli investimenti.
Pressioni su Citigroup da parte del suo principale azionista. Torna a parlare il principe saudita Alwaleed bin Talal e lo fa indirizzando le sue parole direttamente al numero uno della banca americana Vikram Pandit. Il 2010 sarà un anno cruciale, ha avvertito facendo capire che si aspetta un solido ritorno dagli investimenti effettuati nell'istituto.
Dai suoi avvertimenti, trapela un certo disappunto sull'andamento degli ultimi due anni, dove la recessione che ha messo in ginocchio il mondo intero ha portato a tagli nei profitti.
In un’intervista Alwaleed bin Talal ha dichiarato: "non intendo minacciare nessuno, ma ho detto a Pandit che il mercato gli ha dato due anni di campo libero, ma ora è arrivato il momento di portare risultati e questo è l'anno per lui in cui può centrare l'obiettivo o mancarlo. E lui lo deve centrare".
Il principe saudita ha continuato, aggiungendo che "è davvero importante..soprattutto per quegli investitori che hanno pazientato tutto questo tempo. La luna di miele è finita. Due anni sono più che sufficienti e penso che Pandit ce la farà"
 

Fonte - ANSA

 

 

Shopping in Borsa per i gestori

21-01-10 - di Sara Silano
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I gestori votano l’Europa, ma sono preoccupati per l’aumento della disoccupazione, la crisi del mercato immobiliare spagnolo e il debito pubblico di alcuni Paesi, Grecia in testa. Il pessimismo di un anno fa è definitivamente alle spalle e nell’ultimo sondaggio, condotto da Morningstar tra le principali case di investimento che operano in Italia, prevale la convinzione che le politiche fiscali e monetarie espansive rimarranno in vigore ancora per un po’ di mesi, favorendo i mercati azionari.

Europa al top
Il Vecchio continente è l’area preferita dai gestori a gennaio. Per l’87% degli intervistati si apprezzerà nei prossimi sei mesi (erano il 66,7% a dicembre), perché sui mercati il livello di liquidità è buono e le valutazioni azionarie interessanti. Secondo le stime di Ing Investment management gli indici potrebbero salire del 23% nel corso del 2010.

E’ più critico, però, il quadro macro-economico. Se da un lato gli indicatori anticipatori (come l’indice Pmi dei direttori degli acquisti e l’Ifo tedesco sulla fiducia degli imprenditori) mostrano che l’attività industriale è in ripresa, dall’altro la disoccupazione è in crescita (il tasso è arrivato al 10%), il crollo dell’immobiliare in Spagna si è rivelato più profondo del previsto e molti Paesi devono fare i conti con debiti pubblici sempre più pesanti.

Usa, profitti in ripresa
Sugli Stati Uniti, i gestori non hanno cambiato opinione rispetto al mese scorso, anche se il numero di ottimisti è salito passando dal 57 al 74%. Rimane la preoccupazione per la fine delle politiche espansive e per il ruolo che l’America potrà avere nella crescita mondiale, ora che il vero motore sembra risiedere nei Paesi emergenti. L’economia ha dato segnali di ripresa, ma rimane il problema della disoccupazione, dello scarso incremento dei redditi, della debolezza dei prezzi e dell’elevato costo dei carburanti. Tuttavia, dopo il crollo nel 2009, gli utili dovrebbero tornare a salire (Vontobel stima un incremento del 24%).

Giappone in sottopeso
L’economia nipponica ha archiviato un altro anno in deflazione e continua a deludere. Per questa ragione, l’area è ancora quella che raccoglie il maggior numero di pessimisti (13%) a fronte del 47,8% di ottimisti. Come si legge in una nota di Threadneedle, la rigidità strutturale del Paese impedisce alle aziende di conseguire risultati economici positivi agli attuali livelli di cambio tra lo yen e le principali divise mondiali.

L’Asia guarda alla Cina
Le politiche monetarie di Pechino pesano sull’intera regione. La Banca centrale cinese ha deciso di alzare i coefficienti di riserva degli istituti di credito e ha esortato questi ultimi a bloccare i prestiti fino a fine gennaio, chiari segnali dell’intenzione di voler terminare i piani di stimolo all’economia. Da inizio anno, l’indice Msci Asia-Pacifico (escluso il Giappone) ha reso un po’ meno dell’Msci mondiale e alcuni gestori pensano che difficilmente si ripeteranno le performance del 2009. Quasi il 61%, però, continua a pensare che le Borse dell’area saliranno nei prossimi sei mesi, mentre nessuno si aspetta un ribasso.

In attesa delle Banche centrali
I gestori sono convinti che i tassi di interesse rimarranno bassi per gran parte del 2010. I rendimenti delle obbligazioni potrebbero cominciare a salire nel momento in cui si concretizzeranno le aspettative di un nuovo ciclo di politica monetaria. Non sembra destare grosse preoccupazioni, invece, l’inflazione, considerati gli elevati livelli di capacità produttiva inutilizzata. I gestori non si attendono quindi grandi variazioni nei prezzi delle obbligazioni sia in Europa sia negli Stati Uniti e continuano a preferire i titoli societari ed emergenti alle emissioni governative.

Le chance del dollaro
Il 65% dei gestori (erano il 43% a dicembre) prevede che il biglietto verde si apprezzerà sull’euro nei prossimi sei mesi. Tuttavia, gli intervistati sono convinti che il rapporto di cambio sarà caratterizzato da estrema volatilità. Su di esso influiscono eventi contingenti (ad esempio la situazione greca) e le aspettative di rialzo dei tassi. Una ripresa sostenuta del dollaro, però, avverrà solo se gli Stati Uniti riusciranno ad attrarre investimenti domestici ed esteri, invertendo la tendenza attuale che spinge molti americani a cercare opportunità oltre i confini nazionali.
Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra il 7 e il 15 gennaio, 23 delle principali società di diritto italiano ed estero operanti sul territorio, che contano per circa il 90% degli asset gestiti in Italia. Si tratta di Aletti Gestielle, Allianz Global Investors Italia, Anima Sgr, Axa IM, Banca Ifigest, Banca Profilo, Bnp Paribas Am Sgr, Credit Suisse, Eurizon Capital, Fideuram Investimenti, Henderson Global Investors, Ing IM, Investitori Sgr, JC&Associati sim, M&G Investments, Pictet, Pioneer Im, Prima Sgr, Swiss&Global AM Sgr, Threadneedle, Total Return, VG.SA, Vontobel.
 

Fonte - www.morningstar.it

 

 

 

PAROLA AI GUFI: MERCATO ESAUSTO, CORREZIONE IN VISTA

22 Gennaio 2010 04:20 NEW YORK - di WSI
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Lo strategist che previde lo scoppio della bolla tecnologica fa suonare tre campanelli d'allarme: il dollaro forte, la stretta monetaria in Cina e il rincaro dei prezzi della benzina. Treasury e biglietto verde gli unici appigli.
Due strategist molto seguiti nelle sale operative sono preoccupati per l'estensione esagerata dei mercati, che nelle ultime due sedute hanno accusato pesanti cali. Che la possibilita' di una correzione stia crescendo?
Cosi' la pensano Richard Bernstein, che ha previsto lo scoppio della bolla hi-tech, e il trader navigato Gary Kaminksy, il quale non esclude di ritornare rialzista, ma solo quando vedra' una revisione al rialzo degli utili.
Bernstein ha segnalato tre trend che stanno emergendo nelle ultime sedute e che gli fanno credere che il rally potrebbe essere giunto al capolinea.
In primo luogo l'analista cita il progressivo rafforzamento del dollaro. Sebbene un dollaro forte va di pari passo con la ripresa dell'economia, allo stesso tempo ha un impatto negativo sulle materie prime, rendendole piu' care per gli acquirenti che hanno in portafoglio altre valute.
Come gia' segnalato dall'investitore Dennis Gartman, massicce quantita' di denaro si stanno spostando verso il biglietto verde, con il Dollar Index che e' salito sino a quota 78.5. E' dunque inevitabile che i prezzi delle commodity saranno messi sotto pressione.
Un secondo fattore che dovrebbe allarmare gli investitori sono le prospettive di un rialzo dei tassi di interesse. Almeno per il momento non negli Stati Uniti, dove la Fed ha sottolineato che intende mantenere i tassi su livelli minimi storici ancora per un periodo prolungato, bensi' in Cina. La Banca Centrale di Pechino prevede di imporre presto una stretta monetaria, che avra' l'effetto di ridurre i livelli di liquidita' in tutto il mondo.
Le quotazioni dei prezzi del gas non solo hanno un impatto sull'economia reale, ma hanno anche un effetto psicologico sul persone, rendendole piu' a loro agio o, viceversa, meno propense ad aprire il proprio portafoglio.
Secondo Bernstein si tratta "di un punto cruciale". La percentuale del reddito dalle spese nell'energia sta arretrando su livelli preoccupanti. Se i prezzi del petrolio dovessero salire piu' in fretta e con piu' intensita' rispetto alle entrate, allora la ripresa ne verrebbe seriamente danneggiata.
"Questo e' il genere di eventi in grado di provocare una correzione e gli unici posti dove nascondersi sono il dollaro e i Treasury", ha concluso Bernstein.
Ma c'e' anche un altro problema, piu' tecnico: il mercato e' esausto. Per spiegarsi meglio il trader Kaminsky ha preso come esempio il prezzo dei titoli di JP Morgan, facendo la sua sfera di cristallo del mercato.
L'azione e' l'esempio lampante di "come i titoli che sono posseduti da troppe persone possono per contro essere venduti senza troppi ripensamenti una volta che spuntano segnali di allarme".
Siccome attualmente il tono sottostante del mercato e' pregno di scetticismo, l'analista ha un atteggiamento poco fiducioso verso Apple, Amazon e il settore dei tecnologici in generale, titoli per cui vale lo stesso discorso fatto per la banca JP Morgan.
Piuttosto che esporsi verso societa' che portano con se' rischi specifici, meglio giocare short nel fondo di investimento comune sull'indice Nasdaq (QQQQ). Un investimento di questo tipo consente infatti "di avere quella visibilita' sui ribassi" necessaria in caso di contrazione.
Per quello che puo' d'essere d'aiuto, Kaminsky ha spiegato che diventerebbe rialzista senza problemi, ma solo nel caso in cui le societa' tecnologiche inizieranno a rivedere al rialzo le prospettive sugli utili. Sino ad allora il settore non avra' abbastanza benzina in serbatoio per correre ancora.
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

La settimana, 3/2010

Friday, 22 January, 2010 at 17:01 - di phastidio
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Settimana caratterizzata da andamento cedente delle quotazioni azionarie, e corrispondente ripresa dell’avversione al rischio, concretizzatasi nel rafforzamento del cambio del dollaro e in prese di profitto sulle materie prime.Tra gli elementi che hanno maggiormente inciso sul quadro di mercato figurano ancora la stretta monetaria in atto in Cina, ed i problemi fiscali della Grecia.
Il Pil cinese del quarto trimestre è aumentato del 10,8 per cento sullo stesso periodo dell’anno precedente, e dati di forte crescita si sono evidenziati anche dal versante delle vendite al dettaglio, dall’andamento degli investimenti fissi e dall’interscambio commerciale. Il tentativo di raffreddamento dell’economia da parte delle autorità cinesi sembra destinato a ridimensionare anche l’andamento delle quotazioni delle materie prime, soprattutto in considerazione del fatto che le altre grandi aree economiche del pianeta non mostrano una forte espansione. La situazione di finanza pubblica greca appare più problematica, per le implicazioni sull’euro che essa riveste, e dato il quadro istituzionale comunitario che impedisce (o limita fortemente) interventi di salvataggio di paesi in tali difficoltà.

A questo quadro si è poi aggiunto l’annuncio dell’iniziativa del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che punta a ridimensionare l’attività delle banche globali statunitensi, eliminando il trading proprietario e l’investimento in attività di hedge fund e private equity. A questi elementi si sono aggiunti poi timori di rallentamento dell’economia: dal versante immobiliare, ad esempio, l’indice di fiducia dei costruttori residenziali è tornato in gennaio a livelli molto depressi, mentre le richieste di nuovi mutui restano ai minimi di periodo. L’indice della Fed di Philadelphia ha segnato in gennaio un ridimensionamento, e l’indice ABC di fiducia dei consumatori è tornato a scendere nelle ultime due settimane, riportandosi in prossimità dei minimi dello scorso luglio. La fine dei programmi di sussidio fiscale, e la prossima conclusione di alcuni programmi di easing quantitativo hanno lasciato il mercato privo di attese favorevoli.

I dati sugli utili del quarto trimestre pubblicati in settimana si sono dimostrati mediamente positivi anche se, per le società non finanziarie, la progressione degli utili non si è accompagnata a corrispondenti recuperi di fatturato. A conferma di una potenziale diversa disposizione d’animo dei mercati, ad annunci favorevoli sugli utili hanno fatto seguito vendite piuttosto insistite sui titoli coinvolti. Inoltre, nell’ultimo periodo le fasi di ribasso tendono ad essere accompagnate da aumento dei volumi trattati, mentre quelle di rialzo avvengono con scambi piuttosto rarefatti. Anche il risultato delle elezioni in Massachusetts, che avevano in palio il seggio al Senato federale che fu del defunto Ted Kennedy, e che hanno visto una storica vittoria repubblicana, non si sono tradotte in spunti rialzisti del mercato, contrariamente alle attese iniziali.
Nella giornata di venerdì 22, il mercato statunitense ha manifestato un’accentuazione della correzione ribassista, con forte rialzo dell’indice Vix dai minimi su cui si trovava, anche a seguito della presa di posizione di due senatori Democratici contro la riconferma di Ben Bernanke alla guida della Federal Reserve. A Bernanke servirà, entro la scadenza prevista del 31 gennaio, la maggioranza qualificata di 60 voti favorevoli su 100. L’eventuale rinvio del voto accentuerebbe l’incertezza in cui i mercati attualmente si trovano.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

 

  Mercoledì 20 Gennaio 2009   Giovedì 21 Gennaio 2009   Venerdì 22 Gennaio 2009  
       
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GR1 RAI - 20 GEN ore 22:00

   

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GR1 RAI - 21 GEN ore 22:00

   

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GR1 RAI - 22 GEN ore 22:00

   

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  «Sui rating la libertà di scelta»

23 Gennaio 2010 10:54 MILANO - di Vittorio Da Rold

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«Basta rating obbligatori. Siamo convinti che qualsiasi imposizione legislativa interferisca con il libero mercato. Gli emittenti devono avere libertà di scelta sul ricorso al rating e non si devono porre vincoli agli investitori: se un fondo pensione vuole comprare titoli senza rating deve poterlo fare liberamente. Non si tratta solo di tutelare il libero mercato, ma anche di evitare che gli investitori continuino ad affidarsi ai voti sul merito di credito in modo del tutto sproporzionato. Il rating è solo uno dei tanti parametri su cui basare le scelte».

Deven Sharma, 53 anni, indiano d'origine e americano d'adozione, è il presidente di Standard & Poor's: è stato scelto nell'agosto del 2007, quando la crisi dei mutui subprime aveva appena cominciato a farsi sentire sui mercati. Un mandato che appariva tranquillo si è così trasformato in una «missione critica»: restituire al colosso dei rating la credibilità compromessa dal crollo repentino di titoli sui cui le agenzie di rating, S&P compresa, avevano posto invece il sigillo della piena affidabilità. «Abbiamo sottovalutato - ammette Sharma - la velocità con cui i prezzi immobiliari sono crollati negli Usa: è stata molto più alta di quanto avessimo previsto».
In questa intervista esclusiva rilasciata al Sole 24 ore durante il suo viaggio in Italia, il manager del colosso mondiale dei rating lancia una sfida ai regulator: «questo è il momento per correggere un sistema che ha prodotto distorsioni nell'uso dei rating».
«Noi di Standard & Poor's, ma anche Moody's è d'accordo, siamo per l'eliminazione del requisito obbligatorio dei rating emessi da agenzie riconosciute, anche se ciò significa perdere business. Il voto di affidabilità è importante, ma non è tutto: il mercato deve tenerne conto al pari di altri fattori. Se un investitore vuole affidarsi ai nostri rating, deve poterlo fare liberamente e sulla base della nostra capacità ed esperienza nell'analisi».
«Abbiamo sempre misurato il nostro successo in base al valore che portiamo agli investitori. Offriamo i nostri rating come analisi fondamentale del rischio di credito, non come una raccomandazione di investimento». «Se i nostri rating sono rilevanti, la gente li userà. In caso contrario, gli investitori non dovranno essere costretti a usarli». Insomma, niente regolamentazioni e imposizioni dall'alto: il big Government è già troppo grande.

Qualcuno potrebbe pensare che se il rating non è obbligatorio, si riduce anche il rischio di cause per risarcimento danni se un titolo ad alto rating crolla improvvisamente... «No - risponde Sharma - è esattamente il contrario. L'obbligatorietà farebbe pensare a un valore diverso da quello che viene offerto oggi, cioè un benchmark di rischio di credito».
«Noi preferiamo rimuovere l'obbligatorietà del rating come requisito regolamentare perchè incoraggia un'eccessiva dipendenza. Il rating deve competere sulla base della sua qualità. Inoltre, non siamo d'accordo con la proposta di riforma in discussione al Congresso americano relativa alla responsabilità patrimoniale delle agenzie di rating perchè ci porrebbe su un piano diverso dagli altri operatori di mercato, tra cui broker e società di revisione. Tuttavia riteniamo che la supervisione dell'attività di rating, come quella recentemente introdotta in Europa, sia positiva per ripristinare la fiducia nei mercati e nei rating».
Certo, le esperienze passate hanno cambiato le prospettive. S&P's ha imparato dagli errori e fatto revisioni significative sul l'approccio al rating. Revisioni che includono modifiche alle metodologie e ai criteri per tener meglio conto di eventuali periodi di grave stress economico. Insomma le valutazioni ora dovrebbero essere più stabili, trasparenti e comparabili rispetto al passato. «I nostri criteri per il voto di un rating tripla A (la denominazione più alta) comprenderà l'esame di ciò che potrebbe accadere se il paese deve affrontare uno scenario economico alla pari della Grande Depressione. Nel caso di una cartolarizzazione di mutui commerciali lo scenario previsto per una tripla A dovrebbe sopportare una caduta dei prezzi pari a circa il 45% prima che il titolo vada in default. Gli affinamenti creeranno rating migliori». Anche sui conflitti di interesse, Sharma ha agito radicalmente: «gli analisti dell'agenzia - spiega - sono separati dal resto del businness. C'è una Muraglia cinese: nemmeno io vengo messo a conoscenza delle azioni decise dagli analisti»..

Poi si passa ai possibili rischi per la crescita. Le minacce sono l'inflazione, il peso del debito pubblico, gli squilibri globali e il fatto che l'appetito per il rischio continui ad essere ricompensato adeguatamente.
Ci sono dei paesi come la Cina che stanno crescendo troppo in fretta con qualche rischio di surriscaldamento e a questo proposito Sharma consiglia di leggere l'ultimo libro di Kenneth Rogoff sulle crisi e le bolle finanziarie, «molto istruttivo». Quanto agli altri protagonisti segnala l'India («che oggi sta continuando a crescere ma deve afrontare delle sfide significative nella politica fiscale e deve investire di più in infrastrutture», il Brasile, («ricco di materie prime e molto dinamico»), il Perù e il Cile. «In realtà non c'è più un'area omogea di sviluppo ma paesi singoli, una selezioni di paesi più dinamici degli altri», spiega il presidente del l'agenzia che suggerisce di osservare come i tassi di investimento dei paesi emergenti è doppio di quelli ricchi.
In questo caos di norme il Global standard potrebbe essere una soluzione? «Per ora è solo un'aspirazione sostenuta dall'Fmi», taglia corto con un sorriso educato che mette la parola fine sul tema. Tutta un'altra storia invece per quanto riguarda il bilancio del Financial Stability Board, presieduto da Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia. «Mario Draghi è una delle persone più esperte che io abbia incontrato, uno dei migliori banchieri. Ha una visione eccellente, sia teorica che pratica, dei problemi finanziari globali. Il lavoro che sta svolgendo nel Financial Stability Board è veramente ottimo e gli faccio i migliori auguri», afferma d'impeto, senza però voler entrare nel merito delle imminenti scelte europee per la guida della Bce. «Dico solo che Draghi sarebbe una figura all'altezza».
Sharma non è nemmeno preoccupato da Basilea 3 che tanti malumori sta creando per gli oneri supplementari che comparta. «Sono regole che tendono a rendere più comparabili i dati di rischio e quindi li condivido pienamente», spiega tranquillo. E con questa ventata di ottimismo conclude l'intervista.

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

 

WALL STREET: TORNA LA PAURA. VIX IN CORSA

25 Gennaio 2010 00:11 NEW YORK - di ASCA
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L'indice che misura la volatilita' e' in rialzo da tre sedute consecutive. Da lunedi' ha guadagnato oltre il 30%. Rotti importanti livelli tecnici. Resta l'incertezza sul settore finanziario.
L’indicatore della paura a Wall Street continua ad accelerare. L’indice della volatilita’, meglio conosciuto come Vix, ha rotto livelli tecnici importanti con una corsa in atto da tre sedute consecutive.
Nell’ottava l’incremento supera il 30%. Giovedi' sono stati toccati i massimi di un mese, registrando (in una sola seduta ) il maggior incremento dallo scorso 30 ottobre.
Sono stati cosi’ rotti livelli tecnici importanti, sopra quota 20. Ma c’e’ chi fa notare che il Vix sta ancora trattando sotto la media delle ultime 20 settimane.
Tre i motivi principali che nella settimana borsistica spiegano questo andamento. Prima la Cina, pronta a mettere un freno allo sviluppo della propria economia. Poi le limitazioni annunciate dal presidente americano Barack Obama sull’attivita’ bancaria. Da non dimenticare i timori sul debito di alcuni paesi eruopei.
"L’incertezza mina la fiducia nel mondo finanziario e sui mercati", ha spiegato Jeffrey Rosenberg, credit strategist di Bank of America-Merrill Lynch.
 

Fonte - ASCA

 

 

 

Banche inglesi, utili record da 25 miliardi di sterline

24 Gennaio 2010 17:05 LONDRA - dal nostro corrispondente Leonardo Maisano
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Londra – Utili da 25 miliardi di sterline. L'annus horribilis della finanza mondiale non è andato poi così male se la cifra ipotizzata dagli analisti e svelata dal Sunday Telegraph sarà confermata nei prossimi giorni quando le banche britanniche annunceranno gli utili dell'anno. La parte del leone dovrebbe toccare a Barclays che secondo l'ipotesi dovrebbe viaggiare verso i 10,6 miliardi di profitti pre tasse. Numeri da record, se confermati.
Le voci britanniche si saldano al gran dibattito transatlantico sulla paga dei banchieri e il destino delle banche stesse dopo le severissime bacchettate del presidente Obama. Londra, almeno quella laburista, non intende adeguarsi alle misure annunciate dalla Casa Bianca, ma si attende una svolta nei comportamenti delle proprie banche. Certamente da parte di quelle pubbliche o semi pubbliche (da Royal Bank of Scotland a Lloyds ) ma anche da quelle rimaste private. Barclays, Hsbc, Standard Chartered sarebbero pronte ad adeguarsi riducendo in modo radicale il bonus pool che sarà svelato insieme con i risultati nelle prossime due-tre settimane. In altre parole la percentuale di profitti destinati al portafoglio dei banchieri sarebbe radicalmente ridotto. Storicamente è circa la metà dell'utile netto, ma sia Goldman Sachs sia Jp Morgan li hanno contenuti a un terzo. Le banche inglesi faranno lo stesso e forse di più: Barclays ha già fatto sapere che i suoi top executives potranno beneficiare del prossimo bonus solo fra tre anni.
Domani a Londra rappresentanti del G7 si incontreranno con il ministro per gli affari della City – uno dei sottosegretari al Tesoro – Lord Myners per dare seguito al dibattito sul destino delle banche rilanciato dal presidente Obama. Un incontro che potrebbe essere propedeutico al summit mondiale proposto da Angela Merkel per coordinare le regole finanziarie globali. L'urgenza di un'azione congiunta "per evitare che ognuno agisca per conto proprio senza ottenere nulla" è stata ribadita anche dal Cancelliere Alistair Darling in un'intervista al Sunday Times.
 

Fonte - Il Sole 24 ore

 

 

CORPORATE BOND: INVESTITORI IN FUGA

25 Gennaio 2010 16:50 NEW YORK - di ANSA
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Le vendite di obbligazioni societarie si sono dimezzate in una settimana. I dubbi sulla ripresa economica spingono gli operatori verso investimenti percepiti come piu' sicuri.
I corporate bond non sembrano andar piu’ di moda, almeno osservando quanto accaduto negli ultimi due mesi. Per la prima volta in otto settimane, le vendite di obbligazioni societarie hanno subito una brusca frenata mentre i costi dei prestiti risultano in crescita. Tutta colpa delle preoccupazioni degli investitori sulla reale tenuta della ripresa economica.
Nella scorsa ottava le vendite globali di corporate bond hanno messo a segno un -52% toccando quota $48 miliardi contro i $99.8 miliardi della settimana precedente, cosi’ come indicato da una ricerca di Bloomberg.
La media del rischio emittente in generale si è ampliata per la prima volta dallo scorso 27 novembre. Tradotto: in generale c'è molta più paura e di conseguenza il mercato si fa piu’ selettivo facendo dei distinguo tra emittente ed emittente.
"Il mercato", ha sottilineato Simon Ballard, a capo della credit strategy Europea di RBC Capital Markets di Londra, "avverte che si e’ perso un po' il polso della realta’, con l’indiscriminata esposizione ai rischi e l’indifferenza nei confronti dei fondamentali economici. Ma ora un piu’ ampio quadro della situazione macroeconomica, insieme ad alcuni recenti episodi, hanno riportato gli operatori a una maggior cautela su questo fronte finendo per riposizionarsi sull’azionario."
Il costo per proteggersi da un eventuale default degli Stati Uniti e’ cresciuto per otto sedute consecutive. Si tratta del piu’ lungo intervallo di tempo da giugno 2008. Lo spread tra le scadenze sulla curva dei rendimenti si sta ampliando (altro sintomo della percezione di un rischio maggiore) e le vendite di titoli a tasso variabile si stanno riducendo. Insomma, riporta Bloomberg, gli investitori sono alla ricerca di un rendimento sicuro, quindi a tasso fisso. Nel frattempo il dipartimento del Tesoro Americano sta raccogliendo informazioni, cercando di capire l’impatto della conclusione del programma MBS (Mortgage-Backed Securities).
 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

  Moody's: la tassa-Obama alle big bank di WS costa più di 8 miliardi $ all'anno

26 Gennaio 2010 17:42 LONDRA – di Il Sole 24 Ore

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Il presidente Usa, Barack Obama, ha lanciato il sasso nelle stagno, agitando non poco le acque. La sua proposta di stretta sul sistema bancario - no al trading proprietario e a investimenti, da parte degli istituti finanziari, in hedge fund o private equity fund oltre a nuovi limiti alla loro crescita di dimensioni - ha suscitato le reazioni di molti.

Il Financial Times, solo due giorni fa, indicava come i banchieri stanno schierando tutte le loro "truppe" per tentare di bloccare, o annacquare, la riforma. Al di là della lobby di Wall Street (ben disposta a ricevere i soldi da Main Street, per poi voler continuare a fare i suoi interessi), le possibili scelte dell'inquilino della Casa Bianca hanno comunque un impatto sui conti delle banche.

Moody's, in un report datato 27 gennaio 2010, ha tentato di analizzare, anche quantitativamente, cosa potrebbe accadere alla grandi firme di Wall Street. Rispetto all'intervento pronunciato il 21 gennaio scorso da Obama, in compagnia dell'ex presidente della Fed Paul Volcker, gli esperti della agenzia di rating dicono «che è difficile quantificarne l'impatto. I divieti potrebbero portare ad una riduzione dei rischi che gli istituti finanziari si assumono». Ma allo stesso tempo «potrebbero mettere le banche Usa in condizione di svantaggio rispetto ai gruppi» finanziari diversi dalle banche e «quelli non americani». Inoltre, la proposta di Obama non è detto non «invogli le banche Usa, nella ricerca di rimpiazzare i profitti perduti, ad espandersi in altre attività che potrebbero essere ancora più pericolose».

Le indicazioni, quindi, rimangono piuttosto generiche (seppure improntate ad una valutazione negativa), vista anche la mancanza di particolari sull'applicazione della stretta. Diverso, invece, la questione rispetto alla proposta di Obama di una "Tassa per la Financial Crisis": la "fee"di 15 basis points su tutte gli asset delle banche con più di 50 miliardi di asset. Il patrimonio che dovrebbe costituire la base imponibile della nuova "fee" sono gli asset totali, cui bisogna togliere il cosiddetto Tier1 Capital e alcuni depositi. La Casa Bianca si aspetta di incassare circa 90 miliardi nei prossimi dieci anni.

Ma in particolare quale l'impatto sulle singole banche? Per Moody's : «Bank of America dovrebbe pagare una commissione annuale di 1,715 miliardi di dollari; Citigroup, invece, dovrebbe sborsare ogni anno 2,058 miliardi; Godman Sachs 1,123 miliardi e Jp Morgan 1.905 milioni di dollari; Morgan Stanley 1.005 milioni e Wells fargo 621 milioni di dollari». In conseguenza di questi numeri, dicono gli esperti Moody's, potrà accadere che le banche possano essere, giocoforza, indotte a ridurre la liquidità. Una scelta da cui potrebbe conseguire «una riduzione nella forza creditizia dello stesso istituto».

La cifra non è da poco: è anche su studi come questi che molti operatori reagiscono nervosamente sui titoli bancari in Borsa. Tuttavia, non va dimenticato che il sistema finanziario è stato salvato, nel suo insieme, solo grazie agli enormi aiuti governativi costituiti dai soldi dei tax payer. Quei tax payer che, non è demagogia, chiedono un ritorno alla normalità di un settore il quale (viste anche le ultime polemiche sui bonus) non sembra, però, volerne proprio sapere. Le strade indicate da Obama avranno le loro contro-indicazioni: ma il laissez-faire è fuori luogo.

Nuove regole globalie Basilea
Come, peraltro, la stessa Moody's sembra sottolineare rispetto ai passi che alcuni dei più importanti regulator, The Financial Stability Borad, The Joint Forum e il gruppo dei governatori delle banche centrali, stanno realizzando. Iniziative «importanti, da una prospettiva del credito, visto che l'obiettivo di un sistema più sicuro può essere realizzato attraverso l'implementazione locale di regole generali» che impediscano il proliferare di attività quali l'arbitraggio. Inoltre, Moody's sottolinea che le norme in arrivo dal Comitato di Basilea - una migliore capitalizzazione (il Tier1 ratio al 10%, ndr) e l'uso di una minore leva - «creeranno una situazione postiva» per gli investitori. Certo, «non tutte le banche saranno "vincitrici"». Ci sono diversi distinguo. Ma, nel complesso, il messaggio è quello di una visione positiva sulla nuova impalcatura che dovrebbe sostenere il mondo delle banche.
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

  Sabato 23 Gennaio 2009   Martedì 26 Gennaio 2009   Venerdì 29 Gennaio 2009  
       
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GR1 RAI - 25 GEN ore 22:00

   

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L’azzardo

Tuesday, 26 January, 2010 at 10:05 - di phastidio
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Ieri, il Tesoro greco ha positivamente collocato, a mezzo di un consorzio di banche, un titolo di stato quinquennale. La forte domanda degli investitori (oltre 20 miliardi di euro richiesti, a fronte di 5 offerti, e 8 piazzati), allettati dal rendimento molto elevato (6,2 per cento, contro il 2,3 per cento del quinquennale tedesco) ha dato un po’ di respiro al mercato azionario greco e, soprattutto, ha ridotto la febbre sui rendimenti richiesti per comprare il debito sovrano ellenico.
Quello in fondo al post è il grafico dei rendimenti del Bot semestrale greco. In un contesto di mercato in cui i rendimenti a breve sono prossimi a zero, il Tesoro di Atene ieri mattina, prima del classamento del quinquennale, doveva offrire ben oltre il 5 per cento per trovare acquirenti. Il rischio di credito sovrano sulla Grecia è pericolosamente vicino ad esplodere, al punto che la curva dei credit default swap è invertita, segno di crescente rischio di imminente dissesto.

 

  CDS Grecia  
     
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Fonte - Macromonitor

 


Ed è destinata a esplodere anche la spesa per interessi del governo di Atene, con l’assai concreto rischio di vanificare la già problematica manovra di rientro del rapporto deficit-Pil. Se i flussi di acquisto di titoli di stato greci di nuova emissione verranno meno, il governo greco sarà indotto a “costringere” le banche nazionali a sottoscrivere i nuovi titoli di debito, e questo finirà col sottrarre risorse al credito al settore privato. Malgrado il successo del collocamento di ieri, in assenza di novità positive su finanza pubblica e riforme, il problema potrebbe tornare ad aggravarsi. Nel 2010, il governo greco dovrà coprire un programma di debito pubblico pari a 54 miliardi di euro, contro i 66 miliardi del 2009. Il test decisivo sarà in primavera, con quasi 20 miliardi di euro in scadenza tra aprile e maggio. E non è il solo governo impegnato a piazzare propria carta: i governi europei quest’anno dovranno emettere 2200 miliardi di euro, 393 dei quali italiani.
L’unione europea, monetaria e politica, è al suo primo vero banco di prova. Oggi i mercati sembrano scommettere sul salvataggio comunitario a tempo quasi scaduto, trascurando che una simile eventualità, in assenza di robuste condizionalità di risanamento della finanza pubblica (del tipo “sangue, sudore e lacrime”, quelle che il governo di Atene non è finora riuscito ad implementare), condurrebbe ad un tale livello di moral hazard da far deflagrare quasi tutto il “fianco Sud” dell’Unione. Inclusa l’Italia, ed il suo “sentiero non sostenibile” di finanza pubblica.
 

 

 

 

Quanto contagiosa è la Grecia?

Tuesday, 26 January, 2010 at 12:45 - di John Christian Falkenberg
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Poco, secondo alcuni analisti. Il successo nel collocamento di un nuovo titolo di stato, dovrebbe rafforzare l’ottimismo, almeno a sentire i giornali. Siamo sicuri?
Ieri è avvenuto il collocamento del nuovo bond quinquennale della repubblica ellenica, con una domanda di quattro volte superiore all’offerta iniziale. La stampa si è affrettata a definire l’operazione come un successo e a suggerire l’allontanamento di una incipiente crisi di bilancio. E’ invece possibile che ci troviamo soltanto alla fine dell’inizio.
Innanzitutto, vale ricordare come il rendimento offerto sia di tutto rispetto: al 6.25% , si tratta di un rendimento triplo rispetto a quello tedesco. Non solo: si tratta anche di circa mezzo punto in più di quanto rendessero i titoli di stato greco già presenti sul mercato. Ancora più interessante è il fatto che rendesse decisamente di più del CDS della stessa scadenza: un investitore avebbe potuto comprare il bond e contemporaneamente assicurarsi contro il fallimento della Grecia, guadagnando lo 0.6% annuale senza alcun rischio. Il governo greco ha insomma concesso al mercato un rendimento privo di rischio pur di fare cassa ed assicurare il successo dell’emissione. In un altro segnale di stress, la curva dei CDS non si è soltanto invertita, ma comincia a vedere quotazioni anche su scadenze molto brevi quali il contratto a sei mesi, scadenze per le quali si tende normalmente a non acquistare protezione se non in momenti di particolare tensione.
Alphaville ha pubbilcato recentemente uno studio di Deutsche Bank da quale si evincerebbe un livello modesto di contagio del malessere greco rispetto al resto d’Europa. Sfortunatamente questa è più una fotografia dell’esistente che una garanzia che questo contagio non avvenga in futuro: il mercato del debito sovrano del Portogallo sta cominciando a sperimentare tensioni analoghe a quello greco alcune settimane fa.
A seguito del successo del collocamento, seppure a caro prezzo, i CDS sulle nazioni più deboli dell’area euro sono oggi in fase di ritracciamento. Rimangono tuttavia aperti i problemi affrontati altrove:
Nel 2010, il governo greco dovrà coprire un programma di debito pubblico pari a 54 miliardi di euro, contro i 66 miliardi del 2009. Il test decisivo sarà in primavera, con quasi 20 miliardi di euro in scadenza tra aprile e maggio. E non è il solo governo impegnato a piazzare propria carta: i governi europei quest’anno dovranno emettere 2200 miliardi di euro, 393 dei quali italiani.
Al solo governo greco servirà quindi un’altra decina di successi come quello attuale per assicurarsi fondi in maniera stabile, pagando un prezzo che rischia di rivelarsi estremamente elevato sia per la repubblica ellenica che per gli altri PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) , che potrebbero vedersi costretti ad aumentare i rendimenti offerti in fase d’asta, con evidenti ricadute negative per i propri bilanci.
 

 

 

 

S&P rivede al ribasso l’outlook sul merito di credito del Giappone

Tuesday, 26 January, 2010 at 14:54 - di John Christian Falkenberg
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Ancora brutte notizie sul fronte del debito pubblico mondiale: l’agenzia di rating S&P ha rivisto a negativo l’Outlook del Giappone, anche se al momento rimane AA. La motivazione è data dalla riduzione della flessibilità fiscale del gigante asiatico, causata dai trend demografici e dal rifiuto di ristrutturare l’economia
Il Giappone è stato un esempio della futilità d’impiego di tecniche pseudo-keynesiane in presenza di una crisi finanziaria: i pacchetti di stimolo hanno generato enormi deficit ed un debito pubblico esploso ben oltre il 200% , ma non hanno portato ad una ripresa duratura. Le banche sono sempre state aiutate, ma non sono mai state costrette alla drastica ristrutturazione che avrebbe permesso loro di ripartire con bilanci ripuliti, anche se a costo di perdite per i creditori; l’economia è ancora divisa fra un settore dedicato all’export caratterizzato da una elevata efficienza ed un settore interno protetto, sussidiato e inefficiente. Si tratta di una scelta tutta politica, che ha minimizzato i costi nel breve periodo, ma ha condannato il Giappone ad un lento declino, di cui stiamo soltanto ora vedendo i risultati.
Il deterioramento rischia adeso di accelerare, a causa del venir meno dell’imponente risparmio interno, che aveva permesso di finanziare a costi bassissimi i deficit statali: per la prima volta, i fondi pensione giapponesi sono diventati venditori netti di titoli di stato, per far fronte alle necessità del numero sempre crescente di pensionati. Il tempo sta per scadere.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

La corsa dei bond divide il mercato

26-01-10 - di Marco Caprotti
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La corsa ai bond governativi divide gli analisti. Per alcuni il pericolo di una bolla sta crescendo a livelli pericolosi, col rischio di trascinarsi dietro anche le azioni. Per altri le condizioni di mercato sono ancora sicure. L’indice Citi WGBI del settore nell’ultimo mese (fino al 26 gennaio e calcolato in euro) ha guadagnato quasi il 2%.
Fra i primi a preoccuparsi ci sono stati gli analisti di Citigroup, Tobias Levkovich e Lorraine Schmitt, secondo cui questa corsa alle obbligazioni ricorda da vicino la febbre che ha portato allo scoppio della bolla Internet nel 2000. In base ai dati della società di ricerca EPFR Global, nella terza settimana di gennaio negli Usa sono stati investiti quasi 5 miliardi di dollari in titoli di debito governativi. Il momento critico, hanno spiegato, arriverà quando saliranno i tassi di interesse (molti prevedono verso la fine dell’anno), perché sarà eroso il valore dei bond più vecchi (e saliranno i rendimenti).
A rimetterci sarebbero sia le obbligazioni statali, sia le azioni. Quando gli investitori vedranno salire le cedole e scendere i prezzi, fuggiranno dai bond spingendo i rendimenti ancora più in alto. Questo a sua volta avrà un effetto negativo sul valore delle azioni americane. Negli Stati Uniti, infatti, l’andamento dei government, viene utilizzato per fare una stima su quanto rende oggi un titolo equity rispetto ai flussi di cassa futuri. Un alto rendimento delle obbligazioni, diminuisce il valore attuale dell’azione.

Non tutti, però, condividono questo pessimismo. Chi vede rosa sottolinea che la bassa inflazione aiuterà a proteggere le obbligazioni quando i tassi di interesse saliranno. Inoltre, i titoli azionari sono quelli che anticipano le riprese per cui un effetto negativo sull’equity sarebbe comunque limitato. Senza contare che, di solito, quando gli investitori abbandonano i bond, lo fanno proprio per comprare azioni. Secondo le analisi di JP Morgan, l’ultima volta che c’è stata una corsa alle obbligazioni governative è stato nel biennio 2002-2003. Da lì è poi partita una ripresa dell’azionario.
Un altro motivo per non preoccuparsi è la dimensione del settore. Il mercato dei crediti, spiegano da JP Morgan, non è poi così grande. Gli investitori, quindi, prima o poi si daranno una calmata riportando un po’ di quiete nel settore dei government.
In Europa, intanto, gli investitori guardano con interesse alla carta che sta arrivando dalla Grecia. La prima emissione da quando il merito di credito del Paese è stato rivisto al ribasso ha permesso di raccogliere 8 miliardi di euro. Le richieste hanno superato i 25 miliardi. Il titolo quinquennale, secondo il ministero ellenico delle finanze, ha un rendimento del 6,2%.
 

Fonte - www.MorningStar.it

 

 

 

CINA, INDIA E BRASILE PER GUADAGNARE. PAROLA DI BILL GROSS

27 Gennaio 2010 02:40 NEW YORK - di WSI
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Ecco le strategie di investimento del gestore del piu' grande fondo obbligazionario al mondo. Tra i peasi sviluppati, meglio stare alla larga dall'Inghilterra. Preferire Germania e Canada.
Puntare sui peasi dove le operazioni a debito sono state piu’ contenute. A sostenerlo e’ Bill Gross, il gestore del piu’ grande fondo di investimento al mondo Pimco (Pacific Investment Management co.). Dove? Cina, India e Brazile, " meno inclini a facili bolle". L’identikit delle aree da prender di mira? Bisogna andare in paesi dove "c’e’ crescita, i consumi sono ancora in una fase embrionale, il debito nazionale si trova a bassi livelli, le riserve sono ingenti e dove il surplus commerciale porta a credere nella generazione di ulteriori scorte per gli anni a venire". E’ quanto si legge nello studio mensile pubblicato sul sito internet del fondo.

L’idea chiave di Gross: scommettere sui paesi che attualmente si basano su un'economia orientata al risparmio, ma che potrebbero poi evolvere in economie basate sui consumi. I tre suddetti casi rappresentano degli ottimi esempi se si considerano le ultime stime del Fondo monetario internazionale.

Per il Sol Levante e' prevista una crescita a fine anno del 10%, un punto percentuale in piu’ rispetto al rapporto datato ottobre e piu’ in alto anche del risultato conseguito nel 2009 (+8.7%). Fara’ meglio delle precedenti previsioni anche il subcontinente indiano, con un +7.7% (contro un +6.4% di tre mesi fa). I mercati emergenti in generale, dal canto loro, dovrebbero mettere a segno un rialzo del 6%.

Non a caso il mese scorso Gross ha aumentato l’esposizione alle economie emergenti attraverso i suoi investimenti nel fondo Total Return dal 5% al 16%, il maggior livello dall’ottobre 2004. Al contrario, in novembre ha ridotto del 32% il peso verso i titoli di stato, la soglia piu’ basso da luglio.
E’ ben chiaro anche cosa evitare: "si deve stare alla larga dall’Inghilterra", si legge nel report firmato Pimco. "I titoli di stato di sua Maesta’ riposano sul un letto di nitroglicerina", ha spiegato, "l’alto debito unito alla potenzialita’ di indebolimento della sterlina rappresenta un forte rischio per chi decide di puntare sul comparto obbligazionario".

Allora dove puntare tra i paesi sviluppati? Anche in questo caso Gross ha le idee molto chiare: Canada e Germania sembrano essere le scelte vincenti. Nel primo caso "le banche si sono dimostrate conservative, mossa che ha impedito loro di subire gli effetti della crisi immobiliare. Questi istituti, piu’ di quanto fatto dai competitors, si sono focalizzati sulla tenuta dei loro bilanci". Quanto alla Germania, "essa rappresenta una delle piu’ sicure alternative, anche in termini di liquidita’. Ma la sua leadership e la posizione di tutta l’Europa nei confronti di un eventuale default di Grecia e Irlanda sono fattori da monitorare con attenzione".

Gli Stati Uniti non trovano scampo ai raggi x di Gross. In quella che ha definita "la nuova normalita’", il gestore sostiene che gli investitori dovranno fare i conti con ritorni sugli investimenti piu’ contenuti rispetto alla media (alla luce anche della regolamentazione finanziaria da parte del governo), minori consumi, lenta crescita e un peso inferiore dell’economia a stelle e strisce su scala globale.
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

Giù la raccolta, su i rendimenti lo strano 2009 degli hedge fund

28 Gennaio 2010 14:07 - di Il Sole 24 Ore
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Giù la raccolta, su i rendimenti lo strano 2009 degli hedge fund
È passato più di un anno dal tonfo della borse mondiali seguito al clamoroso fallimento di Lehman Brothers. In un anno molto è cambiato: le borse hanno ripreso quota e gli investitori sono tornati a rischiare. Ma le cicatrici della più grande crisi finanziaria dal crollo di Wall Street del 1929 sono ancora ben visibili.

Basta guardare i numeri dei fondi di investimento italiani che, nonostante la ripresa di questi ultimi mesi, hanno chiuso il 2009 in rosso sul fronte della raccolta. I più colpiti sono stati senza dubbio gli hedge fund che, da inizio anno, hanno subito un deflusso di 5 miliardi e 491 milioni di euro (secondo i dati provvisori di Assogestioni). L'ondata di riscatti in Italia, in realtà, è avvenuta soprattutto nell'ultima parte del 2008, conseguenza del panico per la caduta del colosso Lehman. Nei primi mesi del 2009 il settore ha scontato poi l'effetto Madoff (il finanziare americano autore della più grave truffa finanziaria di tutti i tempi). Lo scandalo ha impaurito molti investitori anche se l'impatto sui fondi italiani è stato limitatissimo.

Nonostante l'emorragia di capitali tuttavia, la performance dell'industria è stata comunque decisamente brillante. In Italia addirittura il settore ha messo a segno i rendimenti migliori di sempre. L'Hfr FoF Index, indice rappresentativo dei fondi di fondi hedge mondiali, ha avuto un rendimento del 11,6%. Performance più contenuta rispetto al mercato azionario mondiale che però, malgrado il +22,8% conseguito nel 2009 (dato aggiornato a dicembre), deve ancora ottenere un rendimento del 35,9% per pareggiare la perdita del 2008 (-40,1%). Ai fondi hedge invece manca solo un 14% per azzerare completamente la perdita del 2008.

Un anno in chiaroscuro quindi. Male sul fronte della raccolta, molto bene su quello della performance. «I fondi sono stato molto penalizzati dal crollo dei mercati di fine 2008. Ma anche perché, a mio parere sono stati venduti male dalla rete dei private banker che rappresenta il 60% della raccolta italiana» dice Stefano Gaspari amministratore delegato di Mondo hedge, provider italiano dedicato al settore. «La grande flessibilità operativa ha permesso tuttavia a molti fondi di cogliere meglio le opportunità offerte dei prezzi stracciati di inizio 2009 e sfruttare la ripartenza dei listini».

Ma non solo. Come spiega Alessandra Manuli, amministratore delegato di Hedge Invest «la crisi ha messo molti operatori fuori gioco riducendo molto la competizione e lasciando sul campo solo i migliori, che hanno potuto sfruttare tutte le opportunità create dalle enormi dislocazioni di valore presenti in tutte le asset class dopo la crisi. E anche la riduzione delle masse in gestione, conseguenza di riscatti che si sono concentrati negli ultimi mesi del 2008, ci ha paradossalmente avvantaggiato. Oggi siamo ancora più flessibili e possiamo ottenere ottimi risultati, con una volatilità molto contenuta e soprattutto minimizzando i rischi grazie alla quasi totale assenza di leva finanziaria». Con un +15,8% da inizio anno la sgr italiana ha già più che recuperato la perdita registrata nel 2008 (13,6%), sovraperformando il mercato.

Ma come sarà il 2010 dei fondi hedge? Sul fronte della raccolta c'è stata una netta inversione di tendenza negli ultimi mesi e dalle prime settimane del nuovo anno arrivano indicazioni positive. Effetto forse dello scudo fiscale, che ha fatto rientrare in Italia 95 miliardi di euro negli ultimi mesi del 2009. Ma soprattutto della politica di bassi tassi di interesse adottata dalle banche centrali per far fronte al credit crunch, grazie alla quale un'enorme massa di liquidità è entrata nel mercato. Una situazione atipica che molti vedono come foriera di una nuova bolla speculativa. Per quanto anche gli stessi banchieri centrali abbiano ammesso il rischio però, non ci sono indicazioni che, almeno in Europa e Stati Uniti, si intenda rialzare il costo del denaro.

Segnali positivi quindi si annunciano per il 2010 anche dopo l'inaspettato assist ricevuto da Barack Obama. Il presidente americano ha recentemente annunciato l'intenzione di costringere le banche a ridurre l'attività di trading e imporre il divieto di investire in fondi speculativi. «Per il momento aspettiamo di capire in che cosa effettivamente si tradurranno queste misure - commenta Stefano Gaspari - ma non è escluso che queste possano avere un impatto positivo per l'industria degli hedge. Le banche sono i principali competitor nel trading. Un eventuale stop ridurrebbe inevitabilmente la concorrenza».

 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 
 

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