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INDICE ARTICOLI

 

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Macro Mondo

La crescita mondiale da ancora gas

Guru & Mercati

Il guru delle borse punta ancora sul toro

Macro Cina e Rischio Shanghai

Cina, quali rischi di un contagio

Sistema Hedge

Hedge funds = rischi + scarsi guadagni

Macro USA

Bond USA: la bolla é scoppiata

Sentiment - Borse

Strategie: conviene ancora puntare sull'azionario ?

Sentiment - Borse

Lehman: mercati emergenti a rischio (tornate a casa)

 
 

+++   Dow Jones verso nuovi record    +++   Il rialzo dei tassi deprime le borse   +++   Hedge e Subprime spaventano le Borse    +++

Domenica 03 giugno 2007   Domenica 03 giugno 2007   Mercoledì 06 giugno 2007
   
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La crescita mondiale dà ancora gas
 

04 Giugno 2007 3:56 Milano - di Marco Caprotti
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Le prospettive di miglioramento dell'economia globale sono superiori alle prime proiezioni degli economisti. E i gruppi finanziari, che la stanno spingendo, continueranno ad approfittarne. Fusioni e Cina, intanto, tengono banco.
Il comparto finanziario non ha ancora il fiato corto. La corsa di banche e assicurazioni ha permesso all’indice Msci del settore di guadagnare, nell’ultimo mese fino al 4 giugno, il 3,6%. Nel trimestre, la performance ha sfiorato il +6%.

Merito dell’ondata di fusioni e acquisizioni che ha colpito (e continua a colpire) l’intero comparto a livello mondiale, ma anche delle prospettive macroeconomiche a cui i titoli finanziari sono particolarmente sensibili.

La crescita economica globale, secondo le indicazioni del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), nel 2007 potrebbe battere le attese degli economisti per il settimo anno consecutivo. Per quest’anno il Prodotto interno lordo dei 30 paesi che aderiscono al Fondo dovrebbe crescere del 2,7% contro il 2,5% atteso fino a pochi giorni fa. In base ai dati della società di consulenza Decision Economics, invece, la congiuntura globale crescerà del 5%.

“L’attuale situazione economica – spiegano dal Fmi – per molti versi è migliore di quella che abbiamo visto negli ultimi anni”. Merito, sottolineano dall’istituto parigino, proprio delle società finanziare che, appoggiando le operazioni di fusione e acquisizione, stanno dando carburante al motore dell’economia mondiale.

Il dato interessante che viene fuori dal rapporto del Fondo, è la crescente importanza in questo senso, di gruppi slegati dal tradizionale comparto delle banche. Nell’ultimo decennio gli asset in mano agli hedge fund, per esempio, sono triplicati arrivando a mancare di un soffio la cifra record di 1.600 miliardi di dollari. Le società di private equity dall’inizio dell’anno hanno partecipato ad acquisizioni per 447 miliardi di dollari contro i 228 miliardi dello stesso periodo dell’anno scorso.

L’aumento della ricchezza spinto dalle società finanziare porta anche un aumento dei guadagni degli altri settori. I profitti delle società quotate sull’S&P500, per esempio, nel primo trimestre di quest’anno sono aumentati del 10% rispetto allo stesso periodo del 2006. Quattro volte in più rispetto alle attese degli analisti. L’indice, da parte sua, nell’ultimo mese è salito del 3,5%.

Dal punto di vista operativo i temi da sfruttare secondo gli operatori, sono tre, a seconda del grado di rischio degli investitori. I più prudenti possono orientarsi sulle banche e assicurazioni più conosciute che, in uno scenario di crescita globale, porteranno a casa grandi profitti.

Chi preferisce rischiare un po’ di più può cercare di scommettere sulle prossime fusioni e acquisizioni cercando di individuare in anticipo le prede e i cacciatori.

I più coraggiosi, invece, dovrebbero guardare alla Cina dove il settore finanziario, almeno secondo gli standard occidentali e nonostante le dimensioni, presenta ancora degli aspetti di incertezza. Secondo alcuni analisti il comparto bancario del “Regno di mezzo” nei prossimi mesi è destinato a diventare sempre più popolare nei portafogli degli investitori, a dispetto anche dello stringente regime fiscale che Pechino sta introducendo per gli investimenti (mirati soprattutto ad evitare le speculazioni). E anche qui, pur se con un orizzonte temporale molto lungo, qualcuno si aspetta di vedere arrivare le prime ondate di mergers & acquisitions.

Molti osservatori, infine, notano, come il potere dei gruppi finanziari si stia spostando da New York a Londra. Colpa, secondo uno studio di Oxford Analytica, degli alti costi per adeguarsi alle normative americane sulla trasparenza, agli standard di bilancio e alla corporate governance che, se da una parte rassicurano gli investitori, dall’altra pesano sempre di più sulle casse delle società. Molte, quindi, preferiscono traslocare da Wall Street alla City.

 

Fonte - Morningstar.it

 

 

 

Fmi vede la crescita Usa in calo nel 2007 
 

22 Giugno 2007 New York - di ANSA
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Il Fmi stima per gli Usa una crescita nel 2007 'su una linea di base del 2%', in calo rispetto al +2,2% precedentemente stimato. L'ultimo dato e' contenuto nel World Economic Outlook di aprile (+2,3% le previsioni della Casa Bianca), scontando la correzione del mercato immobiliare. E' quanto si legge nel comunicato finale del Fondo che riassume la discussione fatta dal Board a corredo dell'Article IV sugli Usa. L'allentamento delle pressioni sui prezzi porta il livello di 'inflazione 'core' sotto il 2%', mentre, quanto al 2008, il Pil e' atteso a +2,75% contro il +2,8% precedente. Il tetto del 2%, si legge, e' storicamente associato a una possibile recessione, ma non ci sono segni ''evidenti'' di altri fattori d'accompagnamento, come disoccupazione al rialzo e alti tassi d'interesse reali.

 

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

 

La BCE alza i tassi dello 0,25%. Il costo del denaro sale al 4%
 

06 Giugno 2007 3:56 Milano - di ANSA
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Al termine della riunione odierna, la Banca Centrale europea ha deciso di intervenire sui tassi di interesse, esprimendosi all'unanimità per un incremento di un quarto di punto. Analoga decisione era stata presa nell'incontro di marzo scorso, quando il costo del denaro era salito al 3,75% per arrivare oggi al 4%.
L'annuncio odierno non ha riservato comunque nessuna sorpresa al mercato che si era già preparato ad una simile mossa da parte dell'esecutivo. L'attenzione si sposta ora sulla consueta conferenza stampa che avrà inizio alle 14.30 e durante la quale il presidente Trichet spiegherà i motivi della decisione odierna, rispondendo inoltre alle domande dei giornalisti.

 

Fonte - ANSA

 

 

CINA: TASSI PIU' ELEVATI PER SGONFIARE LA BORSA
 

08 Giugno 2007 Napoli -
di Denaro.it
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La Cina potrebbe alzare i tassi su depositi e prestiti almeno un'altra volta quest'anno, per raffreddare gli investimenti e sgonfiare le bolle nei diversi mercati. Lo indica un sondaggio condotto da Bloomberg News.
Il tasso di riferimento sui prestiti a un anno aumenterà rispetto al 6,57 per cento attuale e i tassi sui depositi saliranno dal 3,06 per cento corrente, secondo 21 dei 25 economisti interpellati. La Banca centrale cinese potrebbe inoltre alzare la riserva obbligatoria delle banche, attualmente pari all'11,5 percento, almeno altre due volte quest'anno, secondo sedici economisti del campione.
La Banca centrale cinese ha già alzato il mese scorso di 27 punti base il tasso sui prestiti a un anno, portandolo appena sopra il tasso d'inflazione del 3,0 percento registrato ad aprile. "Alzare i tassi di 27 punti base per tamponare l'afflusso di liquidità in borsa è come tentare di arginare il fiume Yangtze con uno stecchino", ha detto Glenn Maguire, capo-economista per l'Asia presso Societe Generale a Hong Kong. "E se le borse si raffreddano, si rischia un rimbalzo del settore immobiliare".
I tempi di un eventuale rialzo dei tassi dipendono dall'andamento della borsa cinese, ha affermato Wang Qing, economista di Morgan Stanley a Hong Kong, in una nota diramata ieri. L'indice Csi 300 ha perso il 7,7 per cento nei giorni scorsi, dopo che il Governo ha triplicato l'imposta da bollo sugli scambi azionari. "Se la borsa digerisce in fretta il rialzo del bollo, rimbalza e si dirige verso nuovi massimi, la probabilità di un aumento imminente dei tassi crescerà significativamente", ha detto Wang.
Intanto le imprese cinesi rastrelleranno somme senza precedenti quest'anno attraverso offerte pubbliche iniziali (collocamenti in Borsa), superando i cali registrati dai principali indici di borsa da febbraio. Lo indica Ernst & Young. Il listino delle azioni A, denominate in yuan, della borsa di Shanghai sarebbe destinato a raddoppiare in valore a 280 miliardi di yuan quest'anno.
 

Fonte - Denaro.it

 

 

FED: IL TAGLIO TASSI E' SEMPRE PIU' LONTANO
 

08 Giugno 2007 -
di ANSA
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Momento "no" per l'euro, progressivamente scivolato contro il dollaro fino a quota 1,3426 (da 1,3504) di fronte al balzo dei rendimenti del treasury decennale statunitense, che ha superato quota 5% per la prima volta dallo scorso agosto. Il dollaro ha segnato il miglior rialzo delle ultime tre settimane sulla divisa unica, perché il differenziale fra i rendimenti dei titoli di stato decennali statunitensi e quelli di Eurolandia sono ai massimi di quasi due mesi e rendono conveniente puntare sul biglietto verde, in una fase in cui molti cominciano a disinvestire dalla borsa per puntare sui bond.
E a rafforzare ulteriormente il biglietto verde ci ha pensato la convinzione crescente che la Fed, ormai, abbia messo in un angolo l'ipotesi di un taglio ai tassi d'interesse per aiutare la ripresa economica, e preferisca al contrario aspettare e mantenere il costo del denaro fermo al 5,25% attuale.
 

Il biglietto verde ha così anche messo fine ai tre giorni di perdite consecutive archiviati contro lo yen, recuperando quota 121,35.
Sul fronte macroeconomico, gli ultimi dati hanno dato ragione a chi ha scommesso sulla divisa statunitense: le richieste di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti sono diminuite la scorsa settimana di 1.000 unità a quota 309.000, smentendo gli economisti che avevano previsto un incremento di 2.000 unità a quota 312.000. E le scorte all'ingrosso hanno segnato ad aprile un aumento dello 0,3%, rallentando dopo il +0,4% di marzo, portandosi in linea con con le previsioni degli analisti.

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

I tassi frenano le Borse
 

08 Giugno 2007 3:56 Milano - di ANSA
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La decisione della Bce di alzare il costo del denaro e le attese per le mosse della Fed hanno fatto rallentare i listini. Per gli operatori il rallentamento fa bene. I Paesi emergenti, intanto, sperano nelle M&A
Una decisione così “telefonata” non poteva esserci. Per giorni gli operatori hanno parlato dell’imminente arrivo di una nuova stretta dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea. Eppure quando la manovra mercoledì è stata annunciata (un quarto di punto in più che ha portato il costo del denaro al 4% e al massimo degli ultimi sei anni) gli investitori sono sembrati cadere giù dal pero. La conseguenza è stata una discesa dei listini della maggior parte del Vecchio continente e di quelli dei Paesi più dipendenti da Eurolandia.

Europa L’indice Msci della regione ha chiuso l’ottava in calo del 2,5%. L’aumento dei tassi di interesse ha risvegliato le preoccupazioni di quanti si aspettano un calo dei profitti nella regione che un maggior costo del denaro non farebbe altro che accentuare. A farne le spese sono stati soprattutto i titoli delle compagnie assicurative e degli istituti di credito, da sempre i più sensibili alle decisioni di politica monetaria. Sono scivolate anche le small e mid cap che vedono aumentare ulteriormente i costi di un ricorso al prestito bancario.

Le notizie arrivate da Wall Street, poi non hanno aiutato a mantenere la calma: il rendimento del TBond ha superato il 5%. Un elemento che fa pensare a un rallentamento dell’economia Usa e, più in generale, di quella mondiale.

Alcuni analisti comunque, preferiscono gettare acqua sul fuoco e parlano di una correzione benefica dopo la corsa registrata dai listini europei negli ultimi due mesi. La frenata, secondo alcune proiezioni, dovrebbe continuare finche le Borse non avranno perso almeno un altro 5-10%. A Milano l’indice Mibtel ha ceduto lo 0,58%, mentre l’S&P/Mib è calato dello 0,51%.

Stati Uniti L’indice Msci del Nord America (in euro), nonostante il lieve recupero di Wall Street di venerdì, nell’ultima settimana ha perso circa il 2,5%. Le antenne degli operatori, anche in questa ottava, sono state orientate verso i dati macroeconomici che, oltre a dare lo stato di salute della prima economia mondiale, hanno fornito indicazioni sulle prossime decisioni della Federal Reserve.

Secondo i dati forniti da Washington il deficit di bilancio è sceso al 6,2%. Si tratta del dato migliore degli ultimi sei mesi. A portare un po’ di serenità anche la discesa del prezzo del petrolio dopo i picchi toccati nei giorni precedenti (i massimi degli ultimi nove mesi) a causa dell’allarme per l’uragano che ha lambito le coste dell’Oman.

Secondo gli economisti, inoltre, l’economia a stelle e strisce nel trimestre in corso crescerà del 2,6% per arrivare a un tasso del 2,9% negli ultimi tre mesi dell’anno. A questo punto, commentano gli esperti, la Banca centrale americana lascerà i tassi di interesse fermi al 5,25% almeno fino al secondo trimestre del 2008.

Asia e America latina Settimana positiva per i listini asiatici, anche se l’ottava si è chiusa in territorio negativo. L’indice Msci Asia Pacific (attualizzato in euro) ha chiuso in progresso dell’1,8%. Nell’ultima seduta della settimana, tuttavia, sulle Borse della regione hanno pesato le preoccupazioni di un aumento dei tassi di interesse da parte delle maggiori banche centrale europee che potrebbero spingere gli investitori a dirottare i soldi verso altre destinazioni.

Le stesse motivazioni, unite alla voglia di prendere profitto hanno rallentato la corsa delle piazze sudamericane. L’indice Msci di riferimento (anche questo in euro) nell’ultima ottava ha perso l’1,8%. Discorso diverso per i Paesi emergenti delle due aree dove si sono sparse le voci di imminenti operazioni di Merger & Acquisition. Secondo alcune stime i maggiori fondi di private equity mondiali avrebbero a disposizione 33 miliardi di dollari da spendere in una serie di acquisizioni, soprattutto nei settori più innovativi come pharma e alta tecnologia. A interessare sono le basse valutazioni delle società di questi comparti, unite ai buoni flussi di cassa e al basso livello di indebitamento.


 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

  Giovedì 07 giugno 2007   Giovedì 07 giugno 2007   Venerdì 08 giugno 2007  
       
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GR1 RAI - 05 GIU ore 23:00

   

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GR1 RAI - 06 GIU ore 23:00

   

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GR1 RAI - 07 GIU ore 22:00

   

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   Il guru delle borse punta ancora sul toro

05 Giugno 2007 New York - di M. Teresa Cometto
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Il Toro a Wall Street corre ininterrottamente da quasi cinque anni, e i due principali indici azionari, il Dow Jones e l’S&P500, sono ai massimi storici, addirittura sopra i livelli toccati all’epoca dell’euforia irrazionale per la new economy. Ma la fine della fase di rialzo non è vicina e, soprattutto, non sarà caratterizzata da un crac stile primavera 2000 oppure ottobre 1987. Lo dice Vernon Smith, premio Nobel per l'Economia 1992, uno che di bolle speculative se ne intende, visto che le ha «create» e studiate in laboratorio con gli esperimenti che gli hanno valso il riconoscimento dell'accademia reale svedese delle scienze.
Secondo Smith oggi le azioni americane sono ragionevolmente valutate in Borsa, persino quelle tecnologiche e infatti — come ha recentemente rivelato al Wall Street Journal — ha investito in titoli di società medio-piccole biotech una parte dei suoi risparmi, quella che può permettersi di perdere con scommesse speculative (il resto è diversificato in fondi comuni). Fra i titoli nel suo portafoglio: Palomar medical technologies, Ariad Pharmaceuticals, Isis Pharmaceuticals e Sepracor, tutti quotati al Nasdaq.

Effetto globalizzazione Nel 1999, all'apice quasi della Bolla di Internet, Smith aveva avvertito che il mercato era in condizioni pre-crollo. Ma oggi crede che la globalizzazione e le nuove tecnologie insieme possano sostenere una crescita delle economie e delle Borse più durevole delle precedenti fasi di boom. «C'è motivo di pensare che questa rivoluzione della tecnologia e delle comunicazioni abbia cominciato veramente ad avere un impatto sulle aziende, in modo molto ampio — ha spiegato l'economista —. Attività che una volta erano fatte dentro un'impresa, ora vengono svolte altrove nel mondo a prezzi più bassi grazie alla convenienza delle comunicazioni».
Wall Street non starebbe per crollare anche perché fenomeni come la Bolla di fine Anni Novanta e il suo scoppio avvengono solo una volta nella vita di una generazione, spiega Smith: «Quando la gente fa un'esperienza simile, è molto difficile che partecipi al riaccendersi della speculazione. Per rigonfiare una bolla bisogna coinvolgere nuove persone». È l'insegnamento che viene dagli studi che iniziò 50 anni fa, quando parlare di esperimenti di economia in laboratorio era un'eresia. Ma Smith non ha problemi ad essere considerato un iconoclasta. Anche il suo look è originale: a 80 anni compiuti si veste ancora in stile western, indossando stivali da cowboy e anelli indiani, fedele alle praterie del Kansas dove è nato e cresciuto.

Gli esperimenti Smith, che oggi insegna alla George Mason University, Virginia, è stato il primo ad applicare tecniche della psicologia sperimentale per studiare come gli individui interagiscono nello scambiarsi dei beni e come funzionano quindi i mercati. Nei suoi primi esperimenti, iniziati nel 1956 all'università di Purdue, Indiana, usò come «cavie» i suoi studenti, dividendo la classe fra compratori e venditori. Nei test dove i beni scambiati sono azioni, e i partecipanti al mercato ricevono l'informazione di quanto un’azione dovrebbe valere, si vede che gli scambi iniziano a prezzi inferiori rispetto al «prezzo equo» e mano a mano salgono, fino ad arrivare al livello di «bolla» e poi a crollare, tanto più sensibilmente quanti più soldi i giocatori hanno a disposizione.
Quando gli stessi individui ripetono l'esperimento, di nuovo si forma una «bolla», ma più rapidamente e anche il suo scoppio avviene più in fretta. Di solito la terza volta che l'esperimento viene ripetuto con gli stessi soggetti, il volume di scambi è inferiore e viene finalmente raggiunto un equilibrio attorno al «prezzo giusto». Il motivo — ha spiegato Smith — è che anche quando sul mercato sono diffuse le informazioni sul valore fondamentale delle azioni, ogni investitore non sa però come gli altri utilizzeranno quelle notizie e quale sarà il loro comportamento. Solo al terzo tentativo i partecipanti all'esperimento arrivano a un prezzo razionale. «Ma non ci arrivano applicando la ragione e le informazioni comuni — ha osservato il Nobel —. Ci arrivano per esperienza. Così la convergenza verso aspettative razionali è un fenomeno frutto dell'esperienza».

Il ricordo I risparmiatori scottati dal crac del 2000 insomma dovrebbero aver imparato la lezione e diversi sintomi confortano questa teoria: l'indice azionario più rappresentativo dell'Internet-mania, quello del Nasdaq, vale ancora la metà di sette anni fa; il prezzo delle 500 azioni dell'indice più rappresentativo del mercato americano, lo Standard & Poor's, è 18 volte gli utili degli ultimi 12 mesi, un livello appena sopra la media degli ultimi 60 anni (p/u pari a 16) e molto inferiore a quello 1999 (p/u oltre 30).
Inoltre molti piccoli investitori sono rimasti alla finestra, non hanno creduto al rialzo iniziato nell'ottobre 2002, preferendo investire in reddito fisso o sulle Borse internazionali. Detto questo, e precisato che la sua capacità di previsione dell'andamento della Borsa a breve termine non è migliore di qualsiasi altra persona, Smith ammette che le attuali quotazioni possono arretrare a causa del rallentamento della produttività dell'economia americana, ma resta ottimista sulle prospettive di lungo termine del Toro.

 

Fonte - Corriere della Sera


 

 

 

   Cina, quali rischi di un contagio

5 Giugno 2007 Roma - di Eugenio Occorsio
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«Non devono stupirci queste oscillazioni così vistose della Borsa di Shanghai, che sono tipiche di un mercato, diciamo così, ancora immaturo. E soprattutto non devono neanche per un momento farci venire il timore dello spilling over, cioè che si traducano in una crisi generalizzata dell´economia cinese. Borsa e settore manifatturiero vivono per ora come in due universi paralleli. Certo, il mondo intero spinge perché questi due ambiti si ricongiungano, ma è un discorso di lungo termine».
E quanto ci vorrà? «E´ difficile dirlo, cinque, dieci, quindici anni...Di sicuro non è cosa di domani». Brian Hilliard, 54 anni, attualmente capo della ricerca economica della Société Générale Corporate & Investment Banking, parla al telefono dal suo ufficio di Londra esattamente con la stessa pacatezza che tanta ammirazione ha suscitato per Mario Draghi giovedì in Banca d´Italia. Anglosassone, appunto: Hilliard è stato ricercatore presso il Monetary Policy Group della Bank of England, e docente all´Università di Manchester. E´ uno degli economisti europei più preparati sugli equilibri internazionali.
Insomma non c´è pericolo che la sindrome cinese investa il mondo intero? «Direi di no, proprio per il motivo che le dicevo. La Cina è un grandissimo paese, con una fortissima economia. Ma ha ancora un mercato azionario estremamente piccolo, dove opera un ristrettissimo numero di operatori finanziari. E´ comprensibile che un attimo di smarrimento, con i risparmiatori che non sanno dove andare ad allocare le proprie risorse, si traduca in una caduta clamorosa. Ripeto, è inutile andare a cerca il linkage, il legame, con l´economia reale. La quale marcia speditissima per suo conto e non dà nessun segnale di cedimento. Anche questo, se ci pensa, è un elemento di pericolo: sull´onda della febbrile attività industriale, c´è qualcuno che si butta sulla Borsa pensando di conseguire subito favolosi guadagni, ma ovviamente resta deluso e accumula invece perdite sconcertanti».
Per la verità, un elemento di crisi manifatturiera esiste, ed è la minaccia americana di introdurre misure protezionistiche... «Guardi, io non ci crederei molto. Bisogna distinguere fra l´atteggiamento dell´Amministrazione e quello del Congresso, dove è più facile che si annidi la volontà isolazionistica di piccole comunità».

Cioè, se un pericolo di dazi c´è, viene dal Congresso? «Sì, ma non è vincente. L´Amministrazione è più pragmatica e più realistica nelle sue visioni, e nella sua capacità negoziale. Secondo me si andrà avanti così, fra minacce e piccole misure più o meno di superficie di apertura dell´economia e di spinta verso la valorizzazione dei consumi interni. L´America aspetta, impaziente ma aspetta».
Se, per ipotesi, misure tariffarie venissero intraprese in America, non ci sarebbero conseguenze anche per l´inflazione in occidente? «Bè, certo. Ormai per molti dei beni importati in America, la Cina è il principale produttore. Se venissero introdotti dazi, i prezzi di questi beni salirebbero inevitabilmente. E per quanto riguarda le aziende americane che producono in Cina, che sono ormai tantissime, non sarebbe certo facile riorientare rapidamente le produzioni in altri paesi a basso costo del lavoro come il Vietnam. La verità è che non è colpa dello yuan se i cinesi esportano in America e se quindi gli Usa hanno accumulato un deficit commerciale verso la Cina di 250 miliardi di dollari, tre volte quello che era nel 2001. E´ come il Giappone negli anni 80: sono i cambiamenti globali dell´economia che intervengono. Da essi ci si deve difendere con misure interne di correzione».
Tornando alla cronaca, lei diceva che anche crisi passeggere della Borsa di Shanghai non hanno influenza sul resto del mondo. Però un precedente c´è, la crisi delle tigri asiatiche del 1997. Allora gli effetti negativi sull´occidente ci furono, eccome... «E´ vero, ma erano situazioni completamente diverse. In quel caso erano coinvolti ingenti prestiti da parte delle banche internazionali, ai quali non si sapeva come far fronte. In Cina invece il finanziamento ai mercati non viene dal credito bensì dai profitti, diciamo che una eventuale crisi avviene tutta all´interno del sistema. Peraltro, vorrei far notare che le economie asiatiche hanno fatto ampiamente ammenda dopo quella crisi, perché hanno cominciato tutte ad accumulare ingenti riserve valutarie, proprio sull´esempio cinese. Hanno anche esagerato, se vogliamo. Accumulano troppe riserve in dollari e non rimettono in circolo i capitali per far muovere l´economia».
 

Fonte - La Repubblica



 


 

   Hedge funds = rischi + scarsi guadagni

03 Giugno 2007 Milano - di Francesca Monti
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Quarantasette hedge fund alla prova del tempo. E dell’efficienza. Il bilancio finale dal marzo 2003 ad oggi? Buono, senza fuochi d’artificio. Il rendimento medio dei portafogli esaminati arriva al 26,42%, meno della metà di quello che le Borse in preda al Toro hanno realizzato nello stesso periodo, ma quattro volte superiore a quello ottenuto dalle gestioni obbligazionarie. C’è chi obietterà: ma gli hedge fund non si devono paragonare con le azioni perché promettono stabilità e controllo del rischio in qualsiasi situazione di mercato. Tutto vero. Ma il parametro che misura l’efficienza (l’indice di Sharpe) dice che non sempre il rapporto tra rischio e rendimento è stato così equilibrato.
In media i 47 campioni hanno infatti raggiunto un indice di Sharpe pari a 0,91, contro l’1,14 totalizzato dalle Borse mondiali. Più alto è l’indice più alta è l’efficienza: i numeri dicono quindi che le azioni in proporzione sono state un po’ più efficienti. CorrierEconomia ha fatto i conti in tasca agli alternativi d’Italia con almeno quattro anni di vita. Una classifica che mette insieme, è vero, diversi profili di rischio e che quindi va letta con i necessari distinguo. Ma che può dare un’idea sulle soddisfazioni date finora agli investitori dalle feluche che promettono una navigazione «protetta» dalle intemperie dei mercati.

Il più redditizio è stato Hedge Invest sector specialist, della scuderia Hedge Invest, che si è guadagnato sul campo anche una buona fama di efficienza. In 48 mesi (aprile 2003-marzo 2007) ha infatti reso il 43,36% — il 7,25% se si considerano solo i 12 mesi tra aprile 2006 e marzo 2007 — contro il 70% esibito dai fondi azionari e il 65,80% totalizzato dalle Borse mondiali. Ma il suo indice di Sharpe, cioè il parametro che serve a mettere in relazione il rendimento e il rischio corso per ottenerlo, è pari a 1,53. Che cosa vuol dire? E’ uno dei più elevati del drappello. E’ ben più alto di quello dell’indice Msci World (1,14) ed è molto più alto di quello dell’indice obbligazionario globale. Negli ultimi anni il paniere dei bond internazionali ha dato ben poche soddisfazioni e quindi il suo indice di Sharpe è addirittura negativo, a testimonianza che un investimento in questo asset di questi tempi sarebbe stato sommamente inefficiente.
L’ultimo della classifica, Akros Market neutral, ha offerto nei quattro anni il 12,61%, con un indice di Sharpe pari a poco più di zero. In mezzo una scala di risultati molto variabili, che contemplano performance superiori al 30% (sempre nei 48 mesi) solo nelle prime 13 posizioni. Ed è sempre nella parte alta della classifica che si concentrano anche i migliori risultati in termini di efficienza: l’indice di Sharpe è sempre superiore a 1 e tocca addirittura l’1,77 nel caso di Bipitalia Low volatility fund , l’hedge a basso rischio che ha offerto il 31,24% in quattro anni e il 7,47% negli ultimi 12 mesi.
In sostanza, andando a fare un paragone con i fondi comuni, i portafogli alternativi hanno fatto in media quattro volte meglio degli obbligazionari fermi al 7,18%, hanno in pratica uguagliato i bilanciati (26,9%) mentre solo i migliori tredici hanno acchiappato i flessibili (+31%) e nessuno, come già detto, ha preso il Toro delle Borse per le corna (+70% la media degli azionari).
E ora? Gli hedge italiani sono fondi di fondi, cioè portafogli ripieni di single hedge, cioè di fondi votati a varie strategie che vengono selezionati in giro per il mondo e assemblati (in ogni portafoglio ce ne sono da 15 a un massimo di 30) a seconda della vocazione dichiarata. In teoria questo genere di prodotto dovrebbe dare il meglio di sé proprio quando cambia la stagione e non è più così buono il tempo sui mercati, in particolare quelli azionari.
Se è vero che questo cambio, dopo quattro anni di rialzo, è ben più vicino di qualche tempo fa non resta che aspettarli al varco. Riusciranno a stupirci con effetti speciali?
 

 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

Giovedì 07 giugno 2007   Venerdì 08 giugno 2007   Venerdì 15 giugno 2007
   
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Gli Usa prendono fiato
 

13 Giugno 2007 3:56 Milano - di Marco Caprotti
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Il mercato americano dà i primi segni di frenata. Lo scenario macro è ancora confuso e non è chiaro come si muoverà la Fed. Gli investitori asiatici, intanto, puntano sui Tbond. Gli altri guardano alle M&A e aspettano i dividendi.
A furia di correre Wall Street si è ritrovata con il fiato corto. L’indice Msci del Nord America nell’ultimo mese (fino al 13 giugno) ha guadagnato l’1%, contro il +4% fatto segnare nei 30 giorni precedenti. Nel trimestre appena passato la performance è stata del +6%.

La piazza finanziaria americana, insomma, sembra essersi allineata all’incerto scenario macroeconomico e ai dubbi che ruotano intorno alle prossime mosse della Federal Reserve sul fronte dei tassi di interesse. La situazione è resa bene dall’andamento dei Treasury: il rendimento del decennale è arrivato a toccare il 5,31% a causa dei dubbi sulla crescita dell’economia Usa che stanno assalendo soprattutto gli investitori asiatici. In una situazione come questa, dicono, meglio buttarsi sui bond.

Nel frattempo, i dati che arrivano dagli Stati Uniti non aiutano a fare chiarezza. Secondo le rilevazioni del Dipartimento del commercio le vendite al dettaglio a maggio sono cresciute dell’1,4% contro il calo dello 0,1% (aggiornato) del mese precedente. Si tratta del risultato migliore da più di un anno. Gli acquisti, escluse le automobili, sono aumentate dell’1,3%. Nonostante l’incremento del prezzo del petrolio, dicono gli economisti, la capacità di spesa degli americani è ancora intatta. Ma proprio il barile ha fatto lievitare il costo delle merci importate dando nuovi argomenti a chi prevede un aumento dell’inflazione.

Dal punto di vista operativo gli investitori continuano a puntare sulle operazioni di fusione e acquisizione che sembrano essere immuni, almeno per il momento, dalle dinamiche congiunturali. I bilanci delle corporate americane, del resto, se si guardano i flussi di cassa e i rapporti prezzo/utile godono di buona salute. Non mancano quindi i fondi per portare avanti delle strategie di crescita soprattutto in un momento in cui le M&A, in termin i assoluti, non dissanguano le casse.

Ma, dicono gli esperti, gli investimenti potrebbero servire anche per fare programmi di riacquisto di azioni proprie che, riducendo il numero di titoli presenti sul mercato, aumenteranno il valore di quelli che restano. Gli analisti, intanto, iniziano a ragionare anche in termini di dividendo. Le cedole che saranno staccate l’anno prossimo, dicono, nella maggior parte dei casi saranno interessanti. Anche se il pay out (il rapporto fra gli utili incassati e i soldi distribuiti agli azionisti) potrebbe ridursi.

Nel complesso, dunque, gli Stati Uniti hanno una bella cera, anche se non ottima. Almeno a sentire gli operatori che lavorano su quel mercato. “L’economia americana”, dice Stanley Nabi, vice presidente di Callender Fund, “nel secondo trimestre dovrebbe crescere del 2,5-3%. I consumi faranno la loro parte, grazie all’aumento dell’occupazione e dei salari”. Diverso il quadro per quanto riguarda le aziende. “La crescita degli utili”, continua Nabi “dopo 13 trimestri di incrementi a due cifre è entrata in una fase anemica. I margini di profitto hanno raggiunto l’apice nel terzo trimestre del 2006”. E la Fed? “Dovrebbe stare ferma per tutto il 2007”.


 

Fonte - Morningstar.it

 

 

 

 

   Bond USA: la bolla é scoppiata

14 Giugno 2007 New York - di Glauco Maggi
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Quando sembrava ormai scomparsa dai radar degli economisti, la bolla dei bond è scoppiata questa settimana. Mercoledì 13 giugno i mercati internazionali hanno registrato un picco del 5,33% di rendimento per il bond decennale USA, poi rientrato al 5,25% che è comunque il tasso più elevato dal 2002. E’ cioè in atto la fuga dalle obbligazioni del pubblico degli investitori che, così facendo, ne hanno abbassato i prezzi e alzato i rendimenti (nei bond, prezzi e rendimenti si muovono in direzione opposta).

Gli economisti che, Alan Greenspan in testa, avevano definito un enigma la salita dei tassi del dollaro dall’1% al 5% ad opera della FED senza che ciò portasse ad un parallelo rialzo dei rendimenti delle obbligazioni sul mercato oltre il livello-simbolo del 5%, sono stati ora colti di sorpresa dal “riaggiustamento”, o “raddrizzamento” della curva dei tassi. Poiché di questo, in realtà, si tratta: mentre ancora qualche mese fa il bond decennale dava il 4,5-4,7%, quindi al di sotto del rendimento del titolo Usa biennale che era attorno al 5%, ora l’ordine normale è stato ristabilito.

Gli investitori che impegnano i loro capitali per un tempo più lungo, quindi con un maggiore rischio, sono tornati ad ottenere una remunerazione più elevata. La causa della risalita dei rendimenti a lungo termine è da ricercare nel timore diffuso che l’inflazione stia tornando ad essere minacciosa dopo anni di letargo.
I segnali sono globali perchè vengono dalle banche centrali dell’est e dell’ovest: dalla BCE di Francoforte e dalla banca della Nuova Zelanda, che li hanno già ritoccati all’insù e hanno fatto sapere che ci saranno altri aumenti in futuro, alle banche d’Inghilterra, del Canada e del Giappone che hanno in programma interventi di stretta creditizia tra l’estate e fine anno.
Gli aumenti dei tassi, cioè del costo sul mercato della liquidità utile a chi intende chiedere un prestito per la casa come per le società di private equity che vogliono acquistare un’azienda, sono lo strumento principe delle autorità monetarie per raffreddare un’economia in espansione, cioè che crescendo troppo può generare inflazione. Il paradosso attuale è che, se è vero che nell’Europa dell’Ovest e dell’Est come in Cina e in tante altre aree emergenti del mondo è in essere una ripresa sostenuta, l’economia sta tirando il fiato proprio negli Stati Uniti.
Eppure, anziché beneficiarne come di solito capita nei momenti di rallentamento economico che presuppongono un intervento della FED rivitalizzante, ossia con un taglio dei tassi d’interesse che aumenta il valore delle obbligazioni già in mano ai risparmiatori, il mercato dei bond è entrato in depressione. E la spiegazione è che, in realtà, alla “crisi” americana credono in pochi, anche se, dopo essere stata la locomotiva dell’espansione per 6 anni dall’ultima mite recessione del 2001, l’America ha segnato una crescita del PIL nel primo trimestre del 2007 di solo lo 0,6%.
E’ vero infatti che c’è stata la crisi del mattone a gravare sul PIL, e che non se prevede la fine prima del 2008. Ma intanto i consumi tengono alle grande dimostrando che l’impatto del calo del valore delle case (in alcuni Stati) non ha demoralizzato il pubblico. Lo ha evidenziato il dato di mercoledì diffuso dal ministero del Commercio: +1,4% di crescita delle vendite retail in maggio, contro lo 0,6% atteso dagli economisti. “L’economia sta ritornando forte come nessuno s’aspettava”, ha commentato Mark Vitner economista della Wachovia Securities, “ e il mercato dei bond non può proprio riprendere fiato”.
Come dire che la preoccupazione più seria è che Ben Bernanke, il capo della Fed, possa essere indotto nel 2007 a riprendere la politica degli aumenti del tasso Usa, ora al 5,25%, piuttosto che incamminarsi sulla strada della discesa, una aspettativa che aveva fatto portato ai record del Dow Jones e dello S&P nei mesi scorsi. In questo contesto internazionale che spinge per flussi di liquidità sempre più strozzati, insomma, è improbabile che gli Usa vadano in direzione opposta e abbassino il costo del dollaro. Che, non a caso, ha avuto in settimana le quotazioni più alte da marzo, con il cambio di 1,32 dollari per un euro contro l’1,35 di poche settimane fa.
 

 

Fonte - La Satmpa

 

 

 

 

   Strategie: conviene ancora puntare sull'azionario ?

15 Giugno 2007 Milano - di *Antonio Cesarano

*Antonio Cesarano e' Head of Research and Strategy MPS Finance BM S.p.A.  
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In sintesi il commento degli ultimi dati macro Usa:
- prezzi al consumo maggio: continua il ridimensionamento della dinamica core ora a 2,2% con possibilità nel giro di un paio di mesi di arrivare al 2%. Buona parte del buon andamento è dovuto agli affitti che, visto il loro peso notevole (circa 40%) hanno più che bilanciato invece l'andamento meno favorevole della componente trasporti, sulla quale ha pesato molto l'incremento delle tariffe aeree in seguito al rincaro del greggio;
- produzione industriale: peggiore delle attese ma in buona misura penalizzata dal calo utilities per minore produzione energia elettrica grazie a più favorevoli condizioni meteo
- fiducia consumatori preliminare Michigan: in calo a cusa rialzo greggio e calo prezzo case. In rialzo aspettative di inflazione ad 1 anno.
- Tic report: ad aprile gli investitori privati hanno acquistato in modo massiccio equity, corporate bond ed agenzie Usa risultando invece venditori netti di Treasury. Al contrario le banche centrali hanno ripristinato l'acquisto di treasury, pur rimanendo le agenzie l'asset preferito. Da notare che la Cina ad aprile è stata venditrice netta di circa 6Mld di Treasury, il valore record mai registrato. Era dall'ottobre del 2005 che la Cina non risultava venditrice netta di treasury.

In sintesi: è confermato il trend di graduale rallentamento dei prezzi al consumo che dovrebbe continuare almento fino al mese di agosto quando la parola passerà agli uragani, nel caso ve ne saranno. Il quadro macro sulla crescita rimane com'è lessivamente positivo anche se qualche effetto del rallentamento immobiliare comincia a farsi sentire. La crescita del secondo trimestre dovrebbe oscillare nel range 2,5/3%. Ipotizzare livelli superiori al momento appare eccessivo.
Il tema inflazione sembra essere diventato soprattutto un tema di discussione ma nei fatti gli operatori appaiono molto meno preoccupati, a giudicare dall'andamento moderato/stabile delle breakeven dei linkers sia area Euro sia Usa. Proviamo a fare due semplici calcoli: immaginiamo che negli Usa le aspettative di crescita (degli operatori) da qui ad un anno si spostino al 3% con un'inflazione core intorno 2-2,5% (includendo nella parte alta del range l'eventuale shock deteminato da uragani), arriveremmo ad un livello di circa 5,25-5,5%.
Facciamo lo stesso ragionamento in area Euro: crescita attesa Bce 2007 pari a 2,6%, inflazione attesa intorno al 2-2,2%. In altri termini i tassi decennali di equilibrio potrebbero essere nel range 4,6-4,8%. Teniamo in considerazione il risultato del fund manager survey (fonte Merrill Lynch) del 13 giugno che fotografa l'atteggiamento dei gestori volto a mantenere sì ma anche a ridurre lievemente il sottopeso di bond. Ne consegue la possibilità di un recupero dei corsi obbligazionari nelle prossime due settimane. Ciò implicherebbe un calo dei tassi che sarebbe una notizia ancora positiva per le borse, soprattutto ora che si avvicina la fine del semestre quando generalmente i gestori tendono a ridurre le pressioni in vendita (casomai ve ne fosssero) in vista della semestrale.

In sintesi: le ragioni per mantenere un tendenziale sovrappeso di equity ancora sussistono. Potrebbe esservi una fase di recupero dei bond per un paio di settimane. Per il prossimo trimestre vale ancora la regola: tenere cash pronto per approfittare degli storni delle borse che si preannunciano comunque possibili, se non altro perchè la Cina potrebbe implementare ancora diverse misure restrittive.
Ed ora, come promesso una sintesi del Global Fund Managers Survey di MLynch pubblicato il 13 giugno, interessante perché si colloca proprio dopo le forti tensioni sui bond. Di seguito la sintesi dei punti principali:
Status quo
-Aumenta il timore di inflazione -Fund managers continuano ad essere sovrappesati di equity ma si riduce la percezione di sottovalutazione assoluta -area geografiche preferite sull'equity in ordine: 1)zona Euro 2)emg mkts 3)Jap - areee geografiche meno gradite: 1) Usa 2) Uk -settore preferito: energia -settori meno graditi: consumer discretionary, utility e banche
In prospettiva
-disposti a ridurre sia il sovrappeso di equity (pur mantendolo in assoluto) sia il sottopeso di bond. -su distribuzione geografica equity si dichiarano disposti a ridurre sia sovrappeso di equity eurozone sia sottopeso di equity Usa.
Complessivamente il rialzo dei tassi ha riportato maggiormente in equilibrio la valutazione relativa equity/bond. L'indice di sopravvalutazione dell'equity costrutito sui dati del sondaggio di MLynch è arrivato ai massimi dal 2004. I gestori però mantengono il sovrappeso di azionario pur dichiarandosi disposti a ridurlo. Contemporaneamente il forte rialzo dei bond viene percepito come occasione di lieve riduzione del sottopeso dei bond. Il processo di riduzione del sottopeso bond dovrebbe comunque essere graduale ed interessare soprattutto la parte a breve della curva, dal momento che sul lungo termine, la percentuale netta di coloro che si attendono un incremento ulteriore dei tassi è passata da 37% di marzo a 59% di giugno. Complessivamente prevale il miglioramento dello scenario macro ed i gestori rimangono ampiamente sovrappesati di azioni, soprattutto in area Euro.

 

Fonte - MPS Finance

 

 

 

  Sabato 16 giugno 2007   Martedì 19 giugno 2007   Giovedì 21 giugno 2007  
       
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HEDGE FUNDS: IN VISTA UN ALTRO MAXI CRACK

21 Giugno 2007 New York - di WSI
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Non sembra aver prodotto i risultati sperati l'annunciato maxi-prestito operato dalla banca d’affari Bear Stearns mirato al salvataggio di un suo fondo hedge in forte perdita dall’inizio dell’anno.
La minaccia di Merrill Lynch (tra i creditori dell’hedge fund in questione) sulla vendita di ben $800 milioni in debito legato ai mutui immobiliari Usa (subprime) sta tenendo in allerta gran parte degli investitori a Wall Street e non solo. L’operazione rappresenterebbe per banche, brokers ed operatori un evento che si preferirebbe evitare volentieri.
Il rischio relativo all’investimento sul debito societario e’ passato in prima linea proprio in seguito alle preoccupazioni che il collasso di due fondi gestiti da Bear Stearns potrebbero innescare una reazione a catena che produrrebbe ingenti perdite da parte di altri fondi ed istituzioni finanziarie.
I timori che i cosiddetti CDO (Collateralized Debt Obligation) siano percepiti come sopravvalutati dagli investitori potrebbe seriamente mettere a rischio l’intero comparto, coinvolgendo pesanti perdite su piu’ fronti, dagli stessi hedge funds ai fondi pensionistici, fino alle banche straniere.
Piu’ che un problema circoscritto a Bear Stearn si tratta di un evento negativo per l’intero settore finanziario, fa sapere Brad Hintz, analista di Sanford C. Bernstein & Co. a New York. E non sono da escludere situazioni simili che potrebbero portare ad un collasso generale, ha detto l’esperto all'agenzia Bloomberg.
 

 

 

WALL STREET: INDUSTRIA DEL CREDITO SOTTO PRESSIONE

22 Giugno 2007 New York - di WSI
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Giornata di pesanti vendite a Wall Street. Le prospettive di un aumento dei tassi d'interesse a livello globale e i rischi legati agli investimenti nei fondi esposti ai mutui immobiliari continuano a tenere in allerta gli investitori. Il Dow Jones e' arretrato dell'1.37% a 13360, l'S&P500 dell'1.28% a 1502, il Nasdaq ha ceduto l'1.07% a 2588. Il rimbalzo del greggio ha inoltre contribuito al clima di nervosismo.
Le forti difficolta’ mostrate da due hedge fund ormai sull’orlo del collasso gestiti da Bear Stearns, il piu' grande broker per hedge funds degli Stati Uniti, hanno sollevato non poche preoccupazioni riguardo ad una reazione a catena che potrebbe mettere in serie difficolta’ l’intera industria finanziaria.
Negli ultimi 5 anni il basso livello dei tassi ha originato una sorprendente liquidita’, fondamentale nelle numerose operazioni di M&A e negli investimenti al alto rendimento. Normale dunque che il recupero dei rendimenti sui bond rappresenti una minaccia per i gruppi di private equity ed hedge fund, specie se esposti sul rischioso comparto dei mutui immobiliari subprime. In giornata lo yield sul Treasury a 10 anni e’ salito ad un massimo intraday del 5.208%, per poi ritracciare solo nel finale a quota 5.149%.
In tale contesto gli operatori hanno preferito assumere un atteggiamento difensivo, soprattutto in vista della decisione della Fed sui tassi d’interesse in calendario per la prossima settimana. Le stime degli analisti indicano che la Banca Centrale potrebbe mantenere il costo del denaro stabile al 5.25% ancora a lungo alla luce delle robuste condizioni economiche e dell’ancora elevato livello dell’inflazione.

 

 

 

MACRO & MERCATI: SUI BOND USA L'ALLARME SUBPRIME

26 Giugno 2007 - di ANSA
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Tassi di Interesse: in area Euro i tassi di mercato sono rimasti pressoché invariati in una giornata scarna di dati macro. Per la giornata odierna non sono attesi grossi spunti dal lato macro a parte la pubblicazione dell’indice Ifo che, se peggiore delle attese, potrebbe generare un calo dei tassi di interesse. Tuttavia considerata l’assenza di dati macro in Usa, la giornata potrebbe essere caratterizzata da una scarsa volatilità.
Negli Usa andamento dicotomico dei tassi di mercato con rialzo concentrato sul decennale, a fronte invece dell’invarianza sul biennale. I timori legati alle rinnovate tensioni sul settore delle obbligazioni garantite da mutui ad elevato grado di rischio (i c.d. subprime mortgage) hanno generato un allargamento degli spread sul comparto corporate spingendo gli operatori a “rifugiarsi” sui più sicuri titoli governativi a breve termine Usa, attratti anche dai livelli dei tassi raggiunti dopo i recenti rialzi. Nel frattempo le notizie sul fronte macro sono risultate positive, indicando la possibilità di continuazione del recupero nel settore manifatturiero.
I mercati azionari hanno continuato il rally al rialzo, con questa volta un sensibile recupero soprattutto del settore semiconduttori con l’indice Sox in rialzo di circa il 3%. Oggi la giornata si è aperta con un forte calo dei listini azionari cinesi per i timori di eventuali rialzi dei tassi già nel corso del fine settimana. Complessivamente, in assenza di dati macro, l’attenzione sarà concentrata soprattutto sui mercati azionari. Sul comparto decennale la resistenza principale si colloca a 5,25%, ma sarà importante verificare se la chiusura sarà o meno superiore all’importante livello settimanale di 5,17%.
Valute: Dollaro sostanzialmente stabile verso Euro, continuando ad oscillare in un range ristretto. Oggi l’attenzione è sull’indice Ifo tedesco: laddove dovesse confermare i segnali meno positivi già arrivati dall’indice Zew, il cross potrebbe spingersi fino al supporto collocato fra 1,3350/1,3375. Prima resistenza ad 1,3440. Prosegue il deprezzamento delle Yen che verso Dollaro ha toccato i minimi degli ultimi 4 anni e mezzo, mentre verso Euro ha toccato il nuovo minimo record. Il movimento è probabilmente dovuto all’espansione delle operazioni di carry trading, favorite dalle attese di tassi bassi in Giappone ancora per diverso tempo. Verso Dollaro la resistenza si colloca a 124, ma non è escluso che possa raggiungere 125 la prossima settimana. Verso Euro i probabili livelli teorici di resistenza potrebbero collocarsi intorno a 166,50 e 167.
Materie Prime: negativi i principali indici settoriali del GSCI Excess Return. Lieve calo per gli energetici nonostante il rialzo del greggio Wti, favorito dall’espansione della partecipazione allo sciopero in Nigeria che potrebbe minacciare la produzione. Negativi gli industriali guidati dal ribasso dello zinco (-2,4%). Debole anche il rame (-0,8%) dopo che a Londra le scorte hanno evidenziato la maggiore variazione giornaliera positiva degli ultimi 8 mesi. Negativi i preziosi penalizzati dal rialzo dei tassi di mercato. Contrastati gli agricoli.

 

Fonte - MPS Finance

 

 

 

USA: BEAR STEARNS E' SOLO LA PUNTA DELL'ICEBERG ?

26 Giugno 2007 - di ANSA
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Wall Street trema sulla scia del quasi collasso di due fondi di Bear Stearns (NYSE: BSC - notizie) specializzati in investimenti nel settore dei mutui subprime (rivolti a soggetti caratterizzati da un basso merito creditizio). Come si legge sul Wall Street Journal, la situazione dei due fondi fa, infatti, temere che si tratti solo della punta dell'iceberg, che nasconde una più profonda crisi di tutti i veicoli di investimento legati ad asset non liquidi.
"Diversamente da azioni e bond quotati, tali asset non possono essere venduti o acquistati nell'immediato e ciò rende difficile stabilirne un prezzo", spiegano gli analisti dell'ufficio studi di Banca Imi. I due fondi di Bear Stearns: l'High-Grade Structured Credit Strategies Fund e l'High-Grade Structured Credit Strategies Enhanced Leverage Fund, sono entrati in crisi a causa della debolezza del settore immobiliare.
Una debolezza che ha colpito i fondi in titoli legati al settore subprime, che sono poco liquidi, rendendo difficile la vendita immediata senza incorrere in gravi perdite. "Per incrementare il rendimento, tali fondi utilizzano, inoltre denaro preso a prestito, elemento che aumenta le perdite in caso di andamento negativo", affermano alla banca d'affari.
Intanto il ritmo di vendita delle case esistenti negli Stati Uniti è calato di 0,3% in maggio al tasso annuo di 5,99 milioni di unità. Si tratta del valore più basso dal tasso di 5,94 milioni di unità registrato nel giugno 2003, ma si attesta comunque sopra la stima degli analisti che indicava 5,98 milioni.
Il totale delle case invendute sul mercato è salito del 5% a 4,43 milioni di unità che, all'attuale ritmo di vendita, si traduce in un'offerta in grado di coprire i prossimi 8,9 mesi, massimo dal giugno 1992 (la cifra del '92 includeva peraltro solo le abitazioni unifamiliari mentre quella attuale comprende anche i condomini).
In aprile le vendite di case sono calate di 2,3% al tasso annuo di 6,01 milioni. Il Nar aveva originariamente indicato una flessione di 2,6% a 5,99 milioni. Maggio ha visto infine il decimo rallentamento mensile consecutiva dei prezzi con la mediana a livello nazionale in discesa del 2,1% a 223.700 dollari.

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

   Una tranquilla ottava di paura

22 Giugno 2007 Milano - di Sara Silano
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L'indice tedesco sulla fiducia delle imprese cala e gli investitori si spaventano. Gli Usa, alle prese ancora con i subprime, sudano freddo. L'Asia, intanto, teme che la Banca centrale cinese possa diventare un esempio per le altre.
La paura è arrivata sulle principali Borse mondiali. E mentre alcuni listini si sono fatti prendere subito dal panico, altri hanno iniziato a tremare a ridosso del week end.

I temi che hanno tenuto banco sui mercati internazionali nell’ottava sono stati grosso modo gli stessi della settimana precedente: la situazione macroeconomica dei Paesi più grandi, le attese per le scelte di politica monetaria e l’andamento delle obbligazioni (soprattutto quelle a stelle e strisce). Tutto questo, spiegano gli analisti, non è un bel segnale: significa che la maggior parte degli operatori non ha idee di investimento o preferisce non correre rischi. C’è da aggiungere, sottolineano però gli esperti, che questo storicamente è un periodo in cui gli investitori fanno cassa in preparazione di nuove strategie.

Europa L’indice Msci del Vecchio continente ha chiuso la settimana in sostanziale pareggio a causa dei segni negativi registrati sul finire dell’ottava. A pesare sull’andamento delle Borse europee è stato l’ultimo dato dell’Indice Ifo tedesco che misura la fiducia delle imprese. L’indicatore tedesco a maggio è passato a 107 contro il 108,6 segnato ad aprile e il 108,4 atteso dagli economisti.

Il risultato ha spaventato gli investitori che studiano sempre con molta attenzione quello che succede nella prima economia di Eurolandia. Il dato in discesa, spiegano dalle sale operative, è una delusione soprattutto per tutti coloro – e sono molti – secondo cui il Vecchio continente è destinato a soppiantare gli Stati Uniti come locomotiva dell’economia mondiale.

A soffrire sono stati soprattutto i titoli delle società finanziarie, sempre molto sensibili ai segnali di andamento dell’economia, già provate dalla nuova crisi dei subprime che sta emergendo negli Stati Uniti.

Usa Non hanno avuto tempo di annoiarsi questa settimana gli operatori che lavorano sui listini americani. Chi stava tirando un sospiro di sollievo pensando di aver superato indenne la crisi dei mutui per le persone meno abbienti (i cosiddetti subprime) che due mesi fa stava mandando a gambe all’aria il sistema finanziario americano ha ricominciato a sudare freddo.

A farli tremare questa volta è stata la banca Bear Stearns che ha dovuto chiudere due fondi eccessivamente esposti proprio nel comparto dei subprime. Se un istituto così forte nei mutui ha dovuto ricorrere a misure drastiche, spiegano gli operatori, è probabile che altri siano nelle stesse condizioni. La paura è che il comparto bancario e quello assicurativo debbano procedere a svalutazioni che avrebbero impatti imprevedibili sui bilanci.

Gli effetti di questa situazione si sono fatti sentire sul mercato dei Treasury. La differenza di rendimento fra i bond a 10 anni e quelli a due anni si è allargata di 23 punti base a vantaggio delle obbligazioni a lungo termine. Un livello che non si vedeva da ottobre del 2005. Gli investitori che sono scappati da Bearn Stearn e, in generale, dal comparto finanziario, hanno comprato a piene mani bond a breve per cercare di avere in mano asset liquidi. I prezzi del due anni ha avuto di conseguenza un rialzo settimanale che non vedeva da aprile.

Ma non è detto, spiegano gli analisti, che sia la strategia migliore. Se le banche inizieranno a mettere sul mercato le obbligazioni che hanno in portafoglio cercando di fare cassa nel tentativo di reagire alla crisi, per il settore obbligazionario potrebbero avvicinarsi tempi duri.

Asia Dopo quattro giorni di rialzi i mercati asiatici sono scivolati. L’indice Msci della regione, tuttavia, a fine ottava ha registrato una crescita vicina al 2% (in euro). Sui listini asiatici sembra arrivata all’improvviso la paura di una stretta da parte delle banche centrali sulla scia di quella che potrebbe attuare la Cina nei prossimi giorni per tirare il morso a una crescita economica galoppante e, di conseguenza, tenere a bada l’inflazione. L’effetto, come al solito in questi casi, si è fatto sentire sui titoli finanziari e immobiliari.

Dagli uffici studi delle banche internazionali, intanto, analisti ed economisti cercano di rassicurare gli investitori. L’economia della regione, spiegano, è solida e ha tutti i numeri per continuare a crescere. Anche dal punto di vista finanziario la situazione è sostenibile. Tanto che, anche in caso di rallentamento dell’economia mondiale (e in particolar modo americana da cui dipende la maggior parte dell’export della regione), l’Asia avrebbe le spalle la forza per resistere al colpo.

 

Fonte - Morningstar.it




 

 

 

WALL STREET AVANZA E SI PREPARA PER LA FED
 

27 Giugno 2007 New York - di WSI
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Dopo il debole avvio, originato da un deludente dato macroeconomico, i listini azionari statunitensi hanno ripreso quota chiudendo la seduta in buon rialzo. Il Dow Jones ha guadagnato lo 0.68% a 13428, l'S&P500 lo 0.91% a 1506, il Nasdaq e’ avanzato dell'1.21% a 2605.
Il trading sulla borsa americana continua comunque a mostrare un’elevata volatilita’ e un forte nervosismo. La Federal Reserve ha gia’ iniziato la riunione sui tassi d’interesse la cui decisione verra’ resa nota nella giornata di giovedi’. Sebbene sia ampiamente attesa una conferma dell’attuale livello del costo del denaro (5.25%), sara’ interessante valutare l’atteggiamento dei membri del Fomc dopo gli ultimi dati sulla congiuntura Usa che hanno confermato la preoccupante situazione del comparto delle case, e lo scoppio della crisi dell’industria del credito. Intanto i futures sui fed funds segnalano un taglio dei tassi entro la fine dell’anno.
Ad innescate le forti vendite in avvio di seduta era stato il brutto dato macro che ha evidenziato un calo superiore alle attese (il primo da gennaio) degli ordini di beni durevoli. L’indicatore ha registrato una flessione del 2.8% attestandosi al di sotto del consensus del mercato pari a -1%. Esclusa la componente dei trasporti il calo e’ stato dell’1%, in controtendenza con le attese che erano per un progresso dello 0.2%.
A sollevare alcune preoccupazioni in avvio era stato anche il recupero dello yen. La moneta giapponese si e’ apprezzata sia nei confronti dell’euro che del dollaro, causando la chiusura di diverse posizione di carry trade (operazione consistente nel prestito di yen nel caso specifico seguito dall’investimento in assett a maggior rendimento). Il fatto potrebbe incidere che potrebbe limitazione della liquidita’ che ha permesso ai listini di salire ai recenti massimi nell’ultimo periodo. Il brusco sell-off dello scorso febbraio ebbe inizio proprio da questo tipo di preoccupazioni.
 
 

 

 

TASSI USA: LA FEDERAL RESERVE LI LASCIA INVARIATI
 

28 Giugno 2007 New York - di WSI
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Come ampiamente atteso dal mercato, il Federal Open Market Committee, il braccio operativo della Federal Reserve, ha lasciato invariato il costo del denaro degli Stati Uniti.
Il target sui fed funds e' dunque fermo al 5.25%.
Nella riunione dell’8 agosto dello scorso anno la decisione di non ritoccare i tassi aveva chiuso la serie di rialzi durata per ben due anni. E' l'ottava volta consecutiva che la Fed decide di lasciare invariato il tasso interbancario.

Il Federal Open Market Committee ha deciso di lasciare invariato il tasso sui fed funds al 5.25%. La crescita economica sembra essere stata piuttosto moderata nella prima meta' dell'anno, nonostante la stabilizzazione in corso del settore immobiliare. L'economia resta posizionata per espandersi ad un tasso equilibrato nei prossimi trimestri.
Le letture dell'inflazione "core" sono leggermente migliorate negli ultimi mesi. Tuttavia, non si e' ancora assistito ad una convincente, sostenuta moderazione delle pressioni inflazionistiche. Inoltre, l'elevato livello di utilizzazione delle risorse ha il potenziale di sostenere tali pressioni.

In tali circostanze, la preoccupazione predominante della politica condotta dal Comitato resta incentrata sul fatto che l’inflazione possa non affievolirsi come previsto. Le future mosse di politica monetaria dipenderanno dall’evoluzione dell’outlook inflazionistico e delle crescita economica, cosi’ come sara’ implicato dalle informazioni rilasciate quotidianamente.

A votare a favore dell’azione di politica monetaria del FOMC sono stati (all'unanimita'): Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Thomas M. Hoenig; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Cathy E. Minehan; Frederic S. Mishkin; Michael H. Moskow; William Poole; e Kevin M. Warsh.
 

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Giovedì 28 giugno 2007   Sabato 30 giugno 2007   Sabato 30 giugno 2007
   
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   Lehman: mercati emergenti a rischio (tornate a casa)

29 Giugno 2007 New York - di ALEXIS XYDIAS
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L’azionario dei mercati emergenti non vale il rischio, in quanto le azioni sono diventate costose e i rendimenti legati ai titoli più volatili si attenuano. Lo dicono gli analisti di Lehman Brothers, secondo cui «la crescita economica e il costo del denaro convergono verso i livelli dei mercati sviluppati, erodendo le prospettive di guadagno che hanno le azioni di aree come l’Asia, l’Europa dell’est e l’America Latina».
In parole povere, questi mercati si sono fatti cari rispetto, per esempio, a Stati Uniti ed Europa:
il cosiddetto premio di rischio dei mercati emergenti, spiegano da Lehman, vale a dire il potenziale rendimento richiesto dagli investitori per acquistare un titolo si è ridotto, rispetto a quello per i paesi sviluppati, a circa un decimo rispetto al gennaio 2001. Tra i mercati più penalizzati ci sarebbero Cina, India, Sud Africa e Taiwan, mentre Brasile, Russia, Ungheria e Polonia sono tra quelli che hanno le migliori prospettive di vedere rendimenti in ascesa.
La situazione, per i mercati più a rischio, è realmente critica, tanto che la quarta casa di brokeraggio statunitense consiglia ai gestori di fondi azionari globali di mantenersi «sottopesati» sui titoli dei paesi emergenti, tenendo in portafoglio una quota minore di azioni rispetto a quella rappresentata dai relativi indici.
«Anche se la crescita economica, le minori vulnerabilità esterne e il rafforzamento dei mercati capitali locali giocano a favore dell’investimento nei mercati emergenti - scrive in una nota dalla sede di Londra Ian Scotto, amministratore delegato per la strategia azionaria globale di Lehman Brothers - riteniamo che i valori offerti non compensino gli investitori a sufficienza per i rischi inerenti ». Una raccomandazione che, a ben vedere, Lehman esprime dal 2006.

 

Fonte - Bloomberg - Finanza&Mercati

 

 

 

 

 

IN BORSA SIAMO EGUALI. aZIONISTI CINESI UNITEVI 
 

29 Giugno 2007 New York -
di LI XIAOWEI E ZHANG SHIDONG
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In un ufficio ai piani alti della Borsa di Shangai, Xu Yongyi sorseggia una tazza di caffé, interrompendosi solo per spiegare il peso che dà al denaro. «No, non è per diventare ricco - dice - il fatto è che voglio salire al di sopra del livello delle masse. E di essere un gradino avanti».
Xu, che ha 43 anni, è un ex dirigente di fabbrica che, partendo da un capitale di 16.000 yuan (circa 1.600 euro), ha accumulato 5 milioni di yuan facendo trading in Borsa. È un esempio, Xu, per milioni di piccoli speculatori. Ma è anche un incubo per il governo di Pechino che ha deciso di intervenire con la massima decisione per frenare la «bolla» finanziaria, prima che provochi conseguenze economiche e politiche incontrollabili. Di qui il lancio di un mega-bond, 200 miliardi di dollari, emesso per drenare liquidità e soddisfare, offrendo parte dei dollari accumulati in questi anni, la voglia di investire delle famiglie. Il bond, infatti, viene emesso dal ministero delle Finanze per acquistare una parte del surplus (1.200 miliardi di dollari) accumulato dal Drago.
E gli effetti si sono fatti sentire. Ieri la Borsa ha perduto il 4,5%. Ma la buona notizia per le autorità è un’altra: ieri sono stati aperti «solo» 159.032 dossier titoli per operare nelle Borse cinesi (esclusa Hong Kong), contro una media di 271.000 al giorno nel mese di giugno. Erano addirittura 440.000 mila a maggio. Trenta piani sotto l’ufficio di Xu, a Shangai, si affollano i neofiti di Borsa, attenti a seguire nella sala di trading aperta al publico i grafici e l’andamento delle quotazioni e a cercare di carpire i segreti delle tecniche di Xu. C’è anche la sua vecchia insegnante di liceo, Wu Ruiling, che ricorda quando il suo pupillo, soprannominato Dahu («grande contabile»), spiegava ai compagni di scuola nell’intervallo i segreti dei movimenti di Borsa. «Da allora lo seguiamo con attenzione - dice la signora Wu - Lui sa analizzare il mercato. Ecco perchè è così ricco».

Ambizione e invidia sociale sono i motori del boom della Borsa cinese: il rischio di una bolla passa in secondo piano, di fronte al miraggio di arricchirsi e di guadagnare il rispetto di amici e vicini. E la rapida ripresa del mercato dai due tonfi di primavera hanno diffuso la sensazione che la Borsa sia invulnerabile. Traders come Xu sono i modelli: in un anno in cui il listino è raddoppiato di prezzo, il portafoglio di Xu, che contiene anche una significativa quota di Langsha Group (il maggior gruppo calzaturiero cinese), è cresciuto di tre volte. E ciò gli ha permesso di salire dal piano terra al trentesimo, il piano dei Vip, dove operano coloro che muovono almeno 5 milioni di yuan.
«Il mercato azionario non vuol sapere chi sei o da dove vieni» dice Xu. E aggiunge: «Se imbrocchi la strategia giusta, vinci». La vittoria ha cambiato la vita di Xu: negli anni Ottanta lui guadagnava 45 yuan al mese, montando schermi tv in un’officina posseduta assieme a un altro socio. Ora in casa sua c’è una tv a schermo piatto di 29 pollici. Per anni lui ha vissuto in un vecchio appartamento di 50 metri quadri; il mese scorso ha pagato 1,3 milioni di yuan per un appartamento di 129 metri quadri in uno dei grattacieli che dominano la nuova Shangai.
È stata una vera e propria lunga marcia la sua, a partire dall’infanzia in una città, la Shangai di allora, percorsa dai cortei delle guardie rosse in divisa grigia. «Eravamo tutti eguali- dice - parlavamo la stessa lingua e prendevamo la stessa paga. E i lavoratori tiravano gli anni in attesa della pensione». Ma nel 1990 Shangai, prima fra tutti gli angoli dell’immensa Cina, rispose con entusiasmo all’appello di Deng Xiao Ping per un’economia più efficiente: nacquero centri commerciali, ci furono incentivi per le nuove imprese e lo sviluppo di un primo embrione di centro finanziario per rincorrere Hong Kong e il Sud in grande fermento, a partire da Shenzhen. Xu si tuffò nell’economia privata: cominciò come autista di bus ma, in contemporanea, prese a studiare le Borse. Oggi, invece, guida una Nissan da 100.000 yuan e ha intenzione di mandare la figlia di 13 anni, Runru, a studiare negli Stati Uniti dopo le superiori.
«Per tanto tempo ogni cinese ha mangiato la stessa scodella di riso, senza alcun riferimento all’impegno sul lavoro - commenta Shi Junqi, psicologo all’università di Pechino - La Borsa ha per noi un grande valore, perchè permette di recuperare il senso della nostra individualità e di ridare fiducia ai meriti della persona». Già, nella mentalità cinese, l’imprenditore è oggi un signore che si fa strada sulla base di accordi poco puliti con l’autorità politica e militare, a suon di corruzione; la Borsa, al contrario, premia chi merita senza guardare in faccia a nessuno. E questo può spiegare il perchè di una crescita che, da aprile a oggi, registra 300.000 nuovi azionisti al giorno.
Sono loro, secondo le autorità del mercato, a rappresentare il 60% del volume di scambi quotidiano, una percentuale che non ha paragone in Occidente (negli Usa, ad esempio, gli investitori privati contano per il 5% nei volumi di Wall Street). E nessuno si preoccupa dell’allarme in arrivo da Alan Greenspan o da Li Ka Shing, il miliardario di Hong Kong che mette in guardia contro la Borsa». «Non ho paura» dice Guan, 30 anni, che sogna di guadagnare i soldi per aprire un ristorante. «L’economia - spiega - va a mille. Perchè la Borsa non deve salire? Questi stranieri si lamentano perchè vorrebbero entrare sul mercato ma a questi prezzi non possono».
 

 

Fonte - Bloomberg - Finanza&Mercati