PARTE  1

INDICE ARTICOLI

 

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Macroeconomia & mercati - mondo

Alert rosso: parla il gufo capo

Macroeconomia & mercati - mondo

L'economia mondiale sta vivendo un boom

Macroeconomia & mercati - USA

Economia USA: tutto quel che dovete sapere

Immobiliare e Mutui - USA

Subprime, ferita aperta

Sentiment - Borse & Mercati

Orsi e tori come investire nel prossimo semestre

Sentiment - Borse & Mercati

Borse volatili ma sempre su

Sentiment - Borse & Mercati

Borse: é l'ora dei tre fantasmi ?

Sentiment - Borse & Mercati

Il castello di carta dei mutui americani

   

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Domenica 01 luglio 2007   Lunedì 15 luglio 2007   Martedì 17 luglio 2007
   
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   Alert rosso: parla il gufo capo

03 Luglio 2007 Milano - di Francesco Arcucci
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Immaginiamo che in base ad una certa teoria si sostenga che il movimento dei prezzi nei mercati azionari (si prenda inizialmente quello di New York come paradigma) partendo da un valore minimo si esprima in 5 macroonde, la prima al rialzo (nella direzione dell’impulso), la seconda correttiva, cioè di consolidamento, la terza molto potente di nuovo al rialzo, la quarta correttiva e la quinta di nuovo al rialzo e che, dopo questa quinta macroonda, vi sia una severa correzione di tutto quanto il grande macromovimento ascendente.
E immaginiamo che le cinque macroonde siano iniziate nel decennio che ha caratterizzato la rivoluzione americana e quella francese, due Paesi che si sono affiancati alla Gran Bretagna nella grande rivoluzione industriale, e cioè fra il 1780 e il 1790 (si prenda come riferimento il 1789).

1) In questo caso la datazione della prima onda potrebbe essere 1789/1848 (macroonda ascendente).

2) Poi, un periodo di crisi e di rivolgimenti fra il 1848 e la guerra francoprussiana del 1870/71 (terminato con la comune di Parigi) ha generato un’ampia flessione del mercato azionario di New York e di Londra.

3) Successivamente si è verificato un nuovo periodo di slancio e di sviluppo, quello che ha coinciso con la belle époque e l’intensificazione dei traffici e del commercio internazionale e in un certo senso con la prima globalizzazione, interrotta, ma non spenta, dalla prima guerra mondiale cui sono succeduti i ruggenti anni Venti. Ecco quindi la terza macroonda ascendente 1870/1929 terminata con una bolla speculativa e poi con il grande crollo della borsa di New York.

4) A quel punto si è avuta una nuova onda di consolidamento e di correzione (quarta macroonda) che ha abbracciato eventi tragici, quali la grande Depressione, il nazismo e il tentativo di spallata, con la guerra, da parte di Germania, Giappone e della piccola Italia contro il mondo occidentale democratico a guida anglosassone.
La versione militarista dell’Occidente ha rischiato di prevalere fino al 1942 e la borsa di New York ha registrato in quegli anni, appunto, la quarta severissima macroonda correttiva.

5) Con il successo degli alleati ad El Alamein e a Stalingrado si è iniziata la quinta e ultima macroonda che al suo interno ha presentato cinque onde di grado minore. La prima ascendente 1942/1946. La seconda correttiva 1946/1949 con l’inizio della guerra fredda, la terza fortemente ascendente fino al 1968, la quarta che si è espressa durante i terribili anni 1970 fino agli inizi degli anni Ottanta.

5) La quinta onda della quinta macroonda iniziatasi il 12 agosto 1982 continua ancora adesso.

Se esistesse una teoria del genere sarebbe tutto chiaro ciò che sta avvenendo in questi ultimi anni. Un movimento ascendente della durata di 200 anni non poteva finire che con i fuochi artificiali sui prezzi. Un rialzo finale di questa portata, inoltre, non poteva che abbracciare il mondo intero e così sta avvenendo. Da Vienna all’Australia, da Madrid a San Paolo, da New York a Milano, da Toronto a Varsavia, da Città del Messico a Shanghai, etc. si festeggia il primo e insieme più grande rialzo globale dei mercati azionari di tutti i tempi. Non si era mai visto qualcosa di simile.
Questo rialzo globale va attribuito al dividendo della fine della guerra fredda, all’entrata nel mercato del lavoro globale di quasi tre miliardi di nuovi individui, alla crescita esponenziale dei profitti, al capitalismo trionfante in ogni luogo, al grande sviluppo del Pil mondiale (50 mila miliardi di dollari che crescono al ritmo del 5% all’anno), all’inflazione moderata che consente l’espansione della massa monetaria, alla caduta dei tassi di interesse verso livelli virtuosi anche nei paesi emergenti, all’occupazione che aumenta dovunque insieme con la produttività, ai cambi nel complesso stabili nonostante gli squilibri nelle bilance dei pagamenti correnti di alcuni paesi e in primis degli Stati Uniti.

Se esistesse una teoria di questo genere spiegherebbe perché l’ottimismo sui mercati ha raggiunto in questi mesi il parossismo e perché ne sono coinvolte e contagiate piazze tradizionali di grandi Paesi e nuove piazze finanziarie dei Paesi emergenti. Spiegherebbe la straordinaria esplosione dei corsi di borsa su scala planetaria, molto più grande di quella della seconda metà degli anni 1920 che era un fenomeno tipicamente occidentale e riguardante soprattutto gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
Un grande analista, il dr. Hussman, ha scritto recentemente: «Attualmente la valutazione del mercato sulla base del rapporto prezzi/ricavi aziendali, prezzi/valore di libro e prezzi/dividendi è più alta di quella che è stata in occasione di qualsiasi precedente picco del mercato, salvo quello del 2000. Sulla base di profitti "normalizzati" anche il rapporto prezzi/utili è molto alto e pari a 25 volte».
Con una strumento conoscitivo di questo genere si sarebbe stati in grado di prevedere che agli anni bui del dodicennio 1930/1942 non poteva che succedere la luce di un lungo periodo favorevole dopo la seconda guerra mondiale. E con in mente una teoria di questo tipo alla fine degli anni 1970 – inizio anni 1980 si sarebbe stati molto ottimisti perché mancava ancora un grande movimento di rialzo dopo la quarta onda negativa 1968/1982. E si sarebbe giunti alla conclusione che il quinto movimento della quinta macroonda sarebbe stato straordinario perché completava il primo glorioso periodo bicentenario seguito all’uscita del mondo dall’era dell’agricoltura e dell’economia della sussistenza.
Ma con una teoria simile, purtroppo, si riesce anche a cogliere il fatto che il movimento pirotecnico sulle borse che stiamo vivendo è l’ultimo, prima di una macroonda che correggerà tutto il movimento precedente di oltre 200 anni e che questa macroonda correttiva costituirà una degna correzione al ribasso dello straordinario rialzo 1789 2007/8 (?) sia per la sua durata (almeno 50/60 anni), sia per la sua ampiezza. Le conseguenze sociali ed economiche negative saranno a dir poco straordinarie.

Per capirci meglio. Il ribasso 1929/1942 è stato rispetto al rialzo 1870/1929 come il ribasso 2007(?)/2060 (?) sarà rispetto al rialzo 1789/2007 (?). Se, cioè, la flessione dei corsi 1929/1942 è stata severa perché correggeva il terzo macromovimento, e soprattutto la sua parte finale più speculativa, quella degli anni 1920, il ribasso 2007 circa 2060 circa sarà molto più severo perché dovrà correggere tutto il supermacromovimento 1789/2007 (?) Se valesse questa teoria, quello che è avvenuto nel passato e sta avvenendo nel presente sarebbe chiaro. Nessuno potrebbe meravigliarsi dell’ampiezza del rialzo dei prezzi in borsa in questi ultimi quattro anni. Erano inevitabili perché una supermacroonda di questa grandezza non poteva finire nel 2004, 2005 o 2006 con un piccolo petardo: poteva finire solo con le follie globali di questi ultimi mesi.
Comprendendo questo non potremmo che brindare con il migliore champagne a quanto sta avvenendo. Ma la stessa teoria ci spiegherebbe che il futuro prossimo è già da adesso altrettanto chiaramente prevedibile e non è favorevole. Saremmo consapevoli del fatto che per quanto non in grado di determinare esattamente quando arriva la mezzanotte, di mano in mano che i botti si fanno più intensi e rumorosi occorre evitare di diventare sempre più ottimisti ed euforici, come fanno i più, e prepararsi invece alla quaresima che sta per iniziare.

Il mio errore in questi ultimi anni è stato quello di avere capito il modello logico in cui i mercati vivevano, ma non avere compreso che tale modello presupponeva un movimento finale potentissimo e non debole come un colpetto a salve.
Il mio errore cioè è stato quello di sottolineare troppo la fase finale del movimento dopo il quale ci sarebbe stato il baratro, invece di sottolineare che questo movimento finale non poteva che essere lungo, potentissimo e terminare solo quando, come sta avvenendo in queste ultime settimane, si verificava una vera esplosione dei prezzi delle azioni a livello globale. Forse un po’ più cauto, ma sempre fortissimo laddove l’economia e la finanza sono mature, come negli Stati Uniti e in Europa occidentale, supereffervescente nei Paesi emergenti, come India, Cina ed Est europeo, dove convergevano insieme forze lungamente represse.

Il problema ora è quello di prevedere se il movimento finisce quest’anno, nel 2007, o tracimerà nel 2008. Fra il 9 dicembre 1974, primo minimo, e il 12 agosto 1982, secondo minimo della quarta onda correttiva, sono passati sette anni e otto mesi. Se il massimo del Dow Jones del gennaio 2000 fosse seguito da un secondo massimo dopo sette anni e otto mesi, il punto finale del movimento ascendente e l’inizio del crollo potrebbe collocarsi fra l’agosto e il settembre 2007, con una tolleranza di 2 mesi in più o in meno.
Nessuno può individuare con certezza la data del medesimo, ma il modello ci dice che, ora sì, ora siamo vicinissimi come tempi anche per l’assordante squillare delle trombe dell’entusiasmo sul mercato.
A questo punto, per chi ha capito tutto questo, e sono pochi, è una questione di scelta. Si può preferire il ritiro sotto la tenda lasciando agli altri l’ultimo urràh. E si può cercare di godere sino in fondo l’ultimo movimento nella speranza del motus in fine velocior rischiando di "uscire" troppo tardi. Dipende dalla propensione al rischio di ciascuno.

L’importante è capire dove siamo (e cioè a qualche giorno, qualche settimana, o al massimo qualche mese dal picco dei mercati azionari) e che cosa succederà dopo: un crollo al di là di ogni immaginazione. Nel periodo 1974/1982, mentre il mondo era pessimista io ero molto ottimista perché mancava nella struttura di duecento anni l’ultimo movimento. Oggi essere ottimisti è ancora più sbagliato che essere pessimisti allora.

 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

SIAMO NELL' ESPANSIONE PIU' FORTE DELLA STORIA
 

3 Luglio 2007 3:14 MILANO -
di *Alessandro Fugnoli
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Suggeriamo a chi sta considerando di alleggerire in misura consistente il suo portafoglio azionario di meditare sulle dichiarazioni di Simon Johnson, capo economista del Fondo Monetario Internazionale. Il Fondo rivedrà ulteriormente al rialzo le stime di crescita globale per il 2007. Le stime precedenti, che risalgono ad aprile, davano la crescita al livello già altissimo del 4.9 per cento.

Suggeriamo a chi sta considerando di approfittare della correzione per aumentare massicciamente la sua esposizione azionaria, magari a leva, di consultare il rapporto annuale appena pubblicato dalla Banca dei Regolamenti Internazionali. Basta leggere l’introduzione e le conclusioni, una ventina di pagine dense e tese (a tratti quasi autocoscienziali), per rendersi conto di quanto questa espansione travolgente, probabilmente la maggiore della storia, cominci a suscitare sgomento e perfino paura nei banchieri centrali.

Nel concetto di travolgente c’è qualcosa di entusiasmante (se si travolge) e qualcosa di inquietante (se si viene travolti). I banchieri centrali da una parte e gli investitori dall’altra si trovano già da ora nella condizione di dovere scegliere quanto lasciarsi andare e quanto invece ricomporsi e riconquistare il controllo della situazione, quanto continuare a correre a folle velocità in una crescita (apparentemente) senza inflazione (e in un bull market senza fine) e quanto porsi dei limiti prima che sia troppo tardi.

Il dilemma è particolarmente acuto in Cina, dove la crescita è in continua accelerazione e sfiora ormai il 13 per cento. Il primo ministro Wen Jiabao la definisce “instabile, sbilanciata, scoordinata e insostenibile”. Le banche centrali, in cuor loro, hanno già deciso come schierarsi. Anche in assenza di inflazione conclamata è giunto il momento di accelerare la ripresa in mano della situazione. Prevenire è meglio che curare, dice la Bri, che raccomanda a tutti i paesi di alzare i tassi non appena possibile.

Il rialzo dei tassi viene accompagnato da misure di contenimento degli eccessi dei mercati. Le bolle vengono fermate una a una, cercando in tutti i modi di evitare danni inutili e contagi, ma agendo comunque con fermezza. Il caso dei subprime è indicativo. La Fed sta incoraggiando lo smontaggio delle posizioni. Non minimizza il problema con dichiarazioni rassicuranti. Tace. Al tempo stesso evita di soffiare sul fuoco per portare a casa una correzione azionaria esemplare. Lascia che i bond recuperino un poco di terreno, ma mantiene ferma la presa. Qualcuno si farà male, ma il danno immediato sarà circoscritto a due hedge fund e a una banca d’investimento. Il danno più largo, quello prodotto sugli spread di credito in generale, sarà graduale, voluto e controllato.

Nel marzo scorso i mercati pensarono per qualche giorno che la crisi dei subprime avrebbe fatto cadere il castello di carte degli asset backed, provocato una rapida caduta dei prezzi delle case e una contrazione dei consumi. Poi i mercati si ripresero e dimenticarono completamente il problema. In realtà la questione si trascinerà per almeno un paio d’anni e produrrà periodicamente ondate di paura, ma è ragionevole pensare che non comprometterà la crescita americana e globale.

Il fatto che le banche centrali intendano comportarsi responsabilmente e mettere qualche freno alla crescita è strategicamente positivo per l’espansione, che può così durare più a lungo, e per i mercati azionari. La crescita delle borse avrà da essere molto più lenta e più irregolare, ma sarà in compenso più solida. La sorveglianza sui mercati sarà serrata e i motivi per periodiche correzioni non mancheranno (petrolio, immobiliare, tassi, utili, moral suasion). La volatilità, in via di rapida normalizzazione dopo anni in cui è stata particolarmente bassa, contribuirà a combattere la voglia di mantenere esposizioni al rischio troppo elevate.

Per i mercati azionari la direzione di fondo rimane sicuramente al rialzo. La crescita estremamente sostenuta dell’economia globale è destinata ad assorbire il moderato rialzo dei tassi che si prospetta nei prossimi mesi e può anche compensare un’eventuale erosione dei margini, purché limitata. Il contesto generale, d’altra parte, si farà nei prossimi trimestri via via più instabile e questo porta a suggerire un uso progressivamente decrescente della leva e un ridimensionamento ordinato, lento e progressivo dell’esposizione al rischio.
Un esito positivo delle politiche restrittive non è assolutamente da escludere. Se ben dosate, possono produrre un rallentamento dell’espansione modesto e sufficiente comunque a fare recedere rapidamente le pressioni inflazionistiche che stanno salendo. In un contesto globale per molti aspetti nuovo e inesplorato tutto può succedere. Il passaggio dal paradiso degli anni Sessanta (pieno impiego, assenza d’inflazione, bull market azionario) all’inferno degli anni Settanta (inflazione, stagnazione, collasso degli asset finanziari) fu velocissimo e non fu percepito in tempo reale, bensì quando era ormai troppo tardi. Quello fu però uno degli esiti possibili, non l’unico possibile.

L’analogia con gli anni Sessanta è che quando si viaggia alla massima velocità e in pieno impiego basta un piccolo sassolino per andare fuori strada. La differenza è che questa volta l’incidente potrebbe essere semplicemente una sbandata che produce molta paura ma non conseguenze gravi e durature. Nel 1970 non c’erano centinaia di milioni di sottoccupati in Asia. Oggi ci sono. Questo significa che potrebbe essere sufficiente un rallentamento di un paio di trimestri tra 2008 e 2009 (accompagnato da un bear market azionario molto dolce) per decongestionare l’inflazione salariale cinese già manifesta e quella che è probabilmente in preparazione in America e in Europa.

 

 

BOLLINE, BOLLE, BOLLONE
 

28 Luglio 2007 19:49 MILANO -
di *Alessandro Fugnoli
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La prima bolla di cui parliamo è quella dei crediti. E’ una bolla che ha raggiunto nel suo punto massimo proporzioni consistenti e che sta sgonfiandosi sotto i nostri occhi a grande velocità. Il mondo dei crediti è composto da tante cose. Ci sono i corporate bond tradizionali, i bond emergenti, gli asset backed (tra i quali i famigerati subprime).
Poi ci sono, cresciuti come funghi negli ultimi tempi, i finanziamenti (più o meno cartolarizzati) legati a operazioni di fusione e acquisizione di aziende (o a project financing), tra cui quelle promosse, in genere a leva elevata, da fondi di private equity, fondi hedge eccetera.
Tutto questo mondo ha goduto in questi anni di condizioni sempre più favorevoli, con spread sempre più piccoli e tendenti a zero rispetto ai tassi dei titoli governativi e disponibilità molto abbondante di liquidità. Di queste condizioni si è usato e abusato. Molto si moraleggia in questi giorni sull’avidità dei prenditori, ma se si vuole metterla sul piano delle colpe ci sembra che ne abbiano di più i finanziatori. Tra questi non ci sono infatti vedove incaute e orfani ingenui bensì istituzioni finanziarie real money di ogni tipo, sicuramente maggiorenni e dotate di uffici studi a volte sontuosi.
Tra i finanziatori il mercato sta punendo in questa fase soprattutto le banche d’investimento, perché sono l’obiettivo più facile. In realtà, come dicevamo, è il real money finale che alla fine risulterà colpito. Le banche d’investimento sono soprattutto originatori che collocano sul mercato. Certamente avranno qualcosa in magazzino e certamente subiranno un certo rallentamento di alcune loro attività nei prossimi mesi, ma non per questo le loro prospettive sono diventate improvvisamente fosche.

Lo scoppio della bolla dei crediti sta avvenendo comunque con una certa razionalità. Gli emergenti, che godono di fondamentali eccellenti, sono meno colpiti e chi gode di un flusso di notizie particolarmente positivo, come in questi giorni Islanda e Turchia, ne beneficia come in tempi normali. Anche nel mondo corporate c’è una certa selettività, anche se si nota qua e là un certo accanimento, per esempio sui finanziari. L’emotività prevale invece tra i collateralizzati e, in queste ore, nel mondo dei buyout a leva, dove l’avversione al rischio è completa e i finanziatori, fino a tempi recenti ansiosi di comprare a qualsiasi spread, sono spariti nella foresta.

Il senso di quello che avviene ci sembra questo. Non siamo al capolinea dei crediti. Non siamo alla vigilia di un bear market drammatico come quello seguito allo scoppio della bolla del 2000. Non siamo però nemmeno a un banale incidente di percorso, a un’ondata di paura momentanea destinata a rientrare completamente. Siamo a un repricing una tantum, più che dovuto, destinato a restare ma non ad aggravarsi oltre. Nelle aree più colpite, a partire dai famigerati subprime, c’è probabilmente da rovistare per comprare, non per vendere.
Quanto al mondo delle fusioni e acquisizioni, il blocco attuale è assolutamente temporaneo. Certo, le condizioni ideali di liquidità abbondante e a buon mercato non si daranno più fino al prossimo ciclo, ma quella che si apre è una fase più normale in cui viene reintrodotta una sana selettività nelle operazioni che verranno impostate.

Qualcuno si sta certamente facendo male, ma nel grande schema delle cose quello che sta avvenendo, come ha detto Trichet, è salutare. Le bolle del credito provocano un’allocazione altamente inefficiente delle risorse. Capitali che potrebbero essere impiegati in investimenti produttivi o restituiti agli azionisti vengono gettati in operazioni di profittabilità sempre più dubbia. Una stretta data adesso, per dolorosa che sia, è infinitamente meglio di quello che sarebbe accaduto più avanti se la mancanza di selettività si fosse protratta.

La seconda bolla di cui vogliamo parlare è quella dei bond governativi. Questa bolla è più grande nelle dimensioni, perché insiste su un mercato più ampio di quello dei crediti, ma è di intensità meno pronunciata. Rispetto al grado di maturità dell’espansione i bond governativi, in particolare la parte lunga della curva, rendono ancora poco. Dato che l’inflazione è ancora sotto controllo e dal momento che i rendimenti reali quest’anno sono saliti la sopravvalutazione non è drammatica, ma c’è.
La pesante correzione dei crediti ha spinto liquidità sui governativi. Nel breve ha senso, ma non appena la situazione dei crediti si sarà normalizzata la pressione riprenderà. Non parliamo di un bear market lungo e doloroso, ma di correzioni one-off, come quella di maggio/giugno, di entità sopportabile e distanziate nel tempo tra loro. In mancanza di un term premium significativo i bond governativi lunghi dovrebbero continuare a essere sottopesati. Cash e equity rimangono preferibili.

La terza bolla da considerare è quella azionaria. E’ piccola e qualcuno ne contesterà subito l’esistenza. In realtà si tratta di una bolla iniziale, con pochi mesi di vita e non pericolosa. Quello che vogliamo sottolineare e che, per quanto graziosa e minuscola, sempre bolla è. Gli utili che stanno uscendo in America, pur essendo al di sopra delle stime, sono del 7.0% superiori a quelli di un anno fa a quest’epoca, quando l’S&P 500 era del 19% più basso. L’espansione dei multipli è evidente.
Non bisogna spaventarsi per questa situazione. E’ assolutamente fisiologica e può benissimo essere cavalcata ancora per qualche trimestre a condizione di essere consapevoli della possibilità crescente di correzioni fastidiose ma temporanee.

Detto questo, in questa fase estiva e nel primo autunno difficilmente vedremo rialzi significativi. Saranno semmai più probabili momenti di paura, sbandamenti e consolidamenti. Lavorare con gli stop loss in un mercato così significa perdere soldi più che guadagnarne. In caso di correzioni pronunciate bisognerà però avere il coraggio di comprare, anche se si è già investiti.
Il mondo, infatti, sta continuando a vivere una condizione di crescita impetuosa, a tratti esaltante. La produzione industriale cinese nel secondo trimestre è cresciuta a una velocità annualizzata del 29% (parliamo della seconda potenza manifatturiera del mondo). Il Fondo Monetario ha alzato oggi le stime della crescita globale per il 2007 e per il 2008, portando entrambe al 5.2%. Quanto all’inflazione, il Fondo prevede una crescita impercettibile nei paesi avanzati (il 2.1 nel 2008 contro il 2.0 di quest’anno e il 2.3 dell’anno scorso) e una discesa nel resto del mondo.
Nei giorni bui, quando azioni e crediti scendono spaventati, bisogna riguardarsi queste cifre. Con un’espansione di queste dimensioni c’è quasi da meravigliarsi che le borse quotino 15 volte gli utili 2008 e non 18 o 20. Meglio così, naturalmente. Più è occhiuta la sorveglianza dei policy maker su crediti e borse e maggiore è l’autocontrollo dei mercati più a lungo ci terremo lontani da crash e default di tutti i tipi.

 

 

 

 

 

 

(ANSA) - WASHINGTON, 19 LUG - L'economia mondiale è in una situazione di "boom" e l'Europa "sta andando molto bene perché ci sono stati cambiamenti importanti a livello strutturale". In particolare va bene la Germania. Così il capoeconomista del Fmi Simon Johnson descrive lo stato attuale dell'economia mondiale. Alla sua forza contribuiscono anche "i paesi emergenti che crescono velocemente" mentre gli Usa "mostrano segni debolezza ma si riprenderanno".
(ANSA).

 

 

L'ECONOMIA MONDIALE STA VIVENDO UN BOOM
 

Venerdì 20 Luglio 2007, 17:22 -
di Alberto Susic
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Nelle ultime settimane si è affrontato spesso il problema relativo alla crescita economica globale, che è stato riportato in primo piano soprattutto dalla fase di debolezza vissuta dalla congiuntura americana, appesantita e non poco anche dalla crisi del settore immobiliare e dei mutui subprime. Nonostante le rassicurazioni arrivate di recente anche dal presidente della Fed, Ben Bernanke, che ha parlato di tasso di espansione ancora moderato per l'anno in corso con una leggera ripresa nel 2008, i listini azionari hanno spesso manifestato qualche incertezza. Ad impensierire gli investitori è la preoccupazione che un rallentamento maggiore del previsto possa impattare negativamente sugli utili aziendali, portando quindi di conseguenza ad una drastica revisione delle quotazioni attuali dei vari titoli. Pubblicita

Notizie molto incoraggianti però sullo stato di salute dell'economia a livello mondiale sono arrivate dalle dichiarazioni rilasciate dal capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale in un intervento a Washington, in occasione di un incontro con la stampa. Parole che giungono a pochi giorni di distanza dalla presentazione del primo dei due nuovi rapporti che l'FMI andrà ad aggiungere alla tradizionale pubblicazione del World Economic Outlook presentato tradizionalmente ad aprile e ad ottobre di ogni anno.
Il capo economista Simon Johnson ha anticipato che nella presentazione di mercoledì prossimo, saranno contenuti dati ancora in elaborazione ma molto vicini a quelli che saranno confermati nel rapporto di ottobre. Intanto l'esperto ha dichiarato che l'economia mondiale, contrariamente a quanto si possa pensare, si trova ora in una situazione di boom. Una nota particolarmente positiva è stata spesa per l'Europa che sta andando molto bene, grazie ad una serie di importanti cambiamenti a livello strutturale. Un ruolo da traino è giocato dalla Germania, ma alla forza del Vecchio Continente contribuiscono anche i Paesi emergenti che crescono a ritmi decisamente sostenuti.
Johnson ha intessuto un vero e proprio elogio alla Banca Centrale europea, cui ha riconosciuto il merito di aver realizzato un ottimo lavoro nel contenere le aspettative inflazionistiche nel Vecchio Continente. E la stessa fiducia viene ora riposta nella Federal Reserve, da cui ci si attende sostanzialmente lo stesso risultato sull'opposta sponda dell'Atlantico, ricordando che l'America mostra ancora qualche segnale di debolezza, ma si scommette su una ripresa futura anche in quest'area geografica.
Il capo economista dell'FMI non ha mancato di dedicare un passaggio del suo intervento all'andamento del rapporto Euro/Dollaro, che proprio nel pomeriggio di oggi è arrivato a segnare un nuovo record della moneta unica a 1,3838 contro il biglietto verde.
Nessuna preoccupazione è emersa in questa direzione, tanto che Jonhson ha dichiarato che il valore dell'euro appare in linea con i fondamentali di medio termine, segnalando che se si guarda al tasso nominale di cambio effettivo, da inizio anno non si è avuto un apprezzamento così minaccioso, con una crescita del 2%. In sostanza sembra che l'FMI non abbia nulla da temere in questo momento, dichiarando apertamente di essere a suo agio con l'attuale livello della divisa comune.
L'esperto del Fondo Monetario Internazionale ha così consegnato indicazioni molto incoraggianti che suonano come una buona notizia anche per i listini azionari. Questi ultimi infatti dovrebbero continuare a beneficiare della favorevole situazione economica che si registra a livello globale, e una spinta ancora maggiore potrebbe arrivare proprio dalla prossima mossa dell'FMI. L'organismo con sede a Washington infatti, proprio mercoledì 25 luglio potrebbe rivedere al rialzo le sue previsioni di crescita per la congiuntura globale, regalando così un'ulteriore iniezione di fiducia all'azionario.

 

Fonte - Corriere della Sera


 

 

 

 

 

   Economia USA: tutto quel che dovete sapere

24 Luglio 2007 New York - di *Richard B. Hoey
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*Richard B. Hoey e' Chief Economist di The Bank of New York Mellon Corporation.

Che cosa sta succedendo e perché? A nostro giudizio, i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine si stanno normalizzando verso un nuovo margine di contrattazione in qualche modo più alto, per due ragioni principali. Primo, le aspettative sul futuro orientamento di politica monetaria della Fed sono mutate dato che è sempre più evidente che il rallentamento delle scorte industriali è giunto al termine e che i mercati del lavoro restano su livelli relativamente ristretti persino dopo quattro trimestri di crescita economica sotto la pari. In secondo luogo, si è in parte dissolto l’enigma dei bassi rendimenti delle obbligazioni high-grade.
Sono ancora in atto speciali forze sul fronte dell’offerta e della domanda che in qualche modo limitano le pressioni cicliche al rialzo sui rendimenti obbligazionari a lungo termine in tutto il mondo, inclusi significativi incrementi nei fondi investibili a livello mondiale, la riduzione dei deficit di bilancio in molti paesi, una domanda debole di finanziamenti ipotecari, un'abbondante liquidità delle imprese e la domanda potenziale dei fondi pensione.

Tuttavia, l’equilibrio di queste forze non è così solido come prima. I mercati iniziano a scontare una tendenza verso la diversificazione da parte dei governi che investono riserve valutarie in eccesso in attività diverse dai titoli di stato. Anche se la proporzione dei saldi positivi delle partite correnti reinvestiti in titoli di stato si riduce, comunque, le dimensioni dei fondi investibili rispetto alla nuova offerta di obbligazioni high-grade continuano ad essere piuttosto consistenti.
Riteniamo che il recente incremento dei tassi di interesse sia attribuibile più a ridotte aspettative di un serio indebolimento dell’economia negli Stati Uniti che ai timori di un aumento dell'inflazione. Ciò che è avvenuto è un incremento dei rendimenti obbligazionari reali, più che dell’inflazione o delle aspettative inflazionistiche. A nostro parere, questo incremento nei rendimenti reali dovrebbe rivelarsi meno rischioso per l’economia e i mercati rispetto a un aumento dell’inflazione e delle aspettative inflazionistiche, in quanto è meno probabile che generi una politica monetaria ostile alla crescita economica. Inoltre, è più in linea con un dollaro relativamente stabile piuttosto che con un aumento dei tassi di interesse causato dall’inflazione.

Gli ultimi dati vanno sempre più a sostegno della tesi secondo cui il recente rallentamento economico porterà probabilmente ad una nuova crescita, più che ad una recessione. Ora che il settore dell’edilizia residenziale è calato notevolmente, il suo tasso di flessione sarà meno consistente. I consumi reali sensibili ai prezzi della benzina dovrebbero crescere per un po’ di tempo a un ritmo inferiore, ma è meno probabile che scatenino una debolezza economica più generalizzata, ora che il rallentamento delle scorte industriali si sta attenuando. Anche gli ordini di beni strumentali si sono rafforzati dopo la debolezza registrata nei primi mesi dell'anno.
Gli effetti negativi dell’edilizia abitativa sulla ricchezza non hanno più di tanto influito sulla spesa per consumi negli ultimi due trimestri, quando gran parte della crescita del reddito era concentrata nelle fasce più alte, e il mercato azionario era a livelli considerevolmente alti. In mancanza di ripercussioni negative di rilievo sui consumi, la debolezza dell’edilizia abitativa (un settore interno) non ha creato ostacoli significativi oltremare, dove molte economie erano ancora stimolate dal precedente allentamento monetario.
La recessione dell’edilizia abitativa non ha generato finora una grande debolezza dell’occupazione. La situazione effettiva del mercato del lavoro è in qualche modo incerta data la scarsità di dati statistici sui cambiamenti occupazionali per i lavoratori privi di documenti, la revisione al ribasso della crescita dell'occupazione nel terzo trimestre 2006 e una crescita ridotta dell’occupazione nei dati sui redditi delle famiglie (“household survey”) rispetto a quelli delle rilevazioni ufficiali dei dati salariali ("payroll survey"). E’ probabile che negli Stati Uniti si registri una crescita economica sopra la media nel secondo trimestre 2007, dato che il tasso di flessione dell'edilizia residenziale dovrebbe rallentare, l’accumulo delle scorte e le esportazioni nette dovrebbero rimbalzare, e l’edilizia non residenziale dovrebbe espandersi.

Le prospettive per la domanda finale negli Stati Uniti nel secondo semestre sono invece più ambigue. Abbiamo previsto un rallentamento di metà ciclo della durata di circa un anno e mezzo e non siamo del tutto convinti che il rallentamento sia finito dopo solo un anno. Anzi, prevediamo uno schema più complesso con una crescita del PIL reale sopra la media nel secondo trimestre, seguita molto probabilmente da una crescita della domanda finale inferiore alla media nella seconda metà del 2007.
Sostenuta da un rimbalzo delle scorte, la crescita complessiva del PIL reale sarà prevedibilmente solo leggermente inferiore alla media nel secondo semestre del 2007. Mentre prevediamo uno schema ad L per l’edilizia abitativa, questo settore potrebbe registrare un periodo di flessione più prolungato a un ritmo più moderato, in un contesto di incremento dei tassi ipotecari che dovrebbe aumentare la difficoltà ad assorbire rapidamente l’eccesso di abitazioni e condomini disponibili.
In base alle previsioni di consensus, la politica monetaria della Fed per il resto del 2007 sarà neutrale. Riteniamo che questa visione sia ragionevole. Le argomentazioni contro un allentamento sono legate al fatto che il mercato del lavoro non ha registrato una grande flessione, le tensioni sui mutui subprime non hanno portato ripercussioni consistenti, il ciclo delle scorte sta per invertire la tendenza e l'inflazione, compresi generi alimentari ed energia, è ancora su livelli elevati. Contro una stretta monetaria l’argomentazione è che l’inflazione inerziale sta diminuendo lentamente e che è prematuro concludere che la recessione dell’edilizia abitativa sia giunta al termine.
Il nostro timore è che il rischio di una ben peggiore recessione dell’edilizia abitativa potrebbe aumentare se la Fed dovesse inasprire la politica monetaria prima di una stabilizzazione di questo settore. Ci aspettiamo che un’ulteriore stretta si verificherà all'estero piuttosto che negli Stati Uniti, dato che la politica monetaria globale è stata più incentivante rispetto a quella statunitense.
A nostro giudizio c’è stata una leggera inversione al rialzo nel margine di contrattazione a breve termine per i rendimenti obbligazionari nell'ambito di una più prolungata tendenza neutrale nel lungo termine. E con “prolungata” intendiamo che la tendenza a lungo termine durerà dieci anni o più. Nel mercato obbligazionario, si sono alternati nel corso di decenni periodi prolungati di fasi al ribasso e fasi al rialzo. A nostro parere, le variazioni nella politica monetaria delle banche centrali sono la chiave di queste tendenze.

La “prolungata fase rialzista” del mercato obbligazionario, cominciata nel 1981 con i rendimenti dei titoli di stato statunitensi a 10 anni al 16%, è iniziata dopo che la Fed, con la presidenza di Paul Volcker, prese una decisione chiara per fermare l'ascesa dell’inflazione. Si è conclusa, con un ribasso di quasi 1.300 punti base in 22 anni, a un rendimento del 3,1% per i titoli di stato a 10 anni nel giugno 2003, dopo che la Fed prese una decisione chiara al fine di prevenire la deflazione.
A nostro giudizio, la prolungata fase rialzista del mercato obbligazionario e la prolungata tendenza al ribasso dell’inflazione e dei rendimenti si è conclusa quattro anni fa. La ragione per cui per il futuro prevediamo una prolungata tendenza neutrale, anziché un prolungato incremento dell’inflazione e dei rendimenti obbligazionari, risiede nel fatto che, a nostro parere, le banche centrali non ripeteranno gli errori di politica monetaria degli anni ’70, che hanno generato un persistente rialzo dell'inflazione fino all'inizio degli anni '80. I banchieri centrali ricordano i propri errori degli anni '70, per cui è improbabile che li ripeteranno oggi.
Ci attendiamo una “prolungata tendenza neutrale” per il mercato obbligazionario, con rendimenti dei titoli di stato statunitensi a 10 anni che ruotano intorno a un centro di gravità all’incirca tra il 4,5% e il 5,5% per i prossimi dieci o vent'anni, sulla base della nostra previsione di una tendenza inflazionistica neutrale di lunga durata, in media tra il 2% e il 2,5%. Il centro di gravità per il mercato obbligazionario neutrale che ci aspettiamo nei prossimi anni si dimostrerà in linea con il rendimento medio dei titoli di stato statunitensi a 10 anni dell’ultimo decennio, con una media leggermente inferiore al 5%. In seguito al rimbalzo iniziale rispetto ai livelli minimi raggiunti dai rendimenti obbligazionari quattro anni fa, non prevediamo che i rendimenti a lungo termine registreranno aumenti o diminuzioni di rilievo nel tempo.

 

Fonte - Mellon Financial


 

 

 

Venerdì 13 luglio 2007   Giovedì 19 luglio 2007   Venerdì 20 luglio 2007
   
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   Subprime, ferita aperta

05 Luglio 2007 Milano - di Sara Silano
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Il mercato dei mutui di bassa qualità dà nuovi segnali di crisi. Dopo gli Stati Uniti, l’Inghilterra lancia l’allarme. Ma i fondi sono rimasti alla larga dal settore e non dovrebbero correre pericoli.
Sembrava un pericolo scampato, invece, la crisi dei mutui subprime (quelli di minor qualità) è tornata a far tremare i mercati. A lanciare un nuovo allarme negli Stati Uniti sono stati due hedge fund di Bear Stearns, arrivati a un passo dal fallimento a causa dell’esposizione verso il settore. Il faro sull’industria è stato acceso anche dalla Financial services authority, l’autorità di vigilanza inglese, che ha messo ufficialmente sotto inchiesta cinque società per lacune nelle procedure per la concessione di crediti ai clienti di fascia bassa. E gli operatori vedono altri possibili casi all’orizzonte.

Il tema è stato al centro del convegno di apertura della Morningstar investment conference, che si è tenuta nei giorni scorsi a Chicago. Secondo Jeffrey Gundlach, responsabile degli investimenti dell’americano TCW Group (Société Générale asset management) e gestore dell’anno nella categoria reddito fisso degli Award statunitensi, la crisi è solo agli inizi e la situazione non potrà che peggiorare.
Nelle sue parole non c’è panico, ma una pacata visione del settore. Fino ad ora, il tasso di pignoramento degli immobili a garanzia di mutui subprime è stato in linea con quello degli ultimi tre anni (13%), ma è in rapida crescita e potrebbe raggiungere il 20% prima che la situazione cominci a migliorare. Pesanti i riflessi sui titoli esposti al segmento: per quelli emessi nel 2006, Gundlach stima perdite oltre l’8%.

Il gestore è, però, convinto che l’impatto sul mercato dei mutui di qualità sarà contenuto, in quanto presentano storicamente un basso tasso di fallimento. Analogamente non dovrebbe risentirne il comparto dei mortgage backed securities che sono obbligazioni garantite da agenzie governative e quindi con elevato Rating.
Negli ultimi tempi, come è emerso nel corso del seminario estivo di Julius Baer, che si è tenuto nei giorni scorsi a Milano, le banche stanno aumentando la stretta sul settore immobiliare, elevando gli standard minimi richiesti per la concessione di mutui soprattutto per la casa. Ma la facilità con cui sono stati prestati i soldi negli anni scorsi e la ricerca di rendimenti maggiori rispetto ai titoli di Stato da parte degli investitori suscitano qualche motivo di preoccupazione. Anche perché, come sempre, i più esposti sono i piccoli risparmiatori con minor esperienza finanziaria e coloro che hanno cavalcato la moda di questi prodotti l’anno scorso. E’ bene precisare, però, che il problema riguarda prevalentemente gli Stati Uniti, dal momento che questi strumenti non sono diffusi in Italia.

E i fondi? In base alle statistiche di portafoglio disponibili nella banca dati di Morningstar, i (per altro) pochi comparti distribuiti in Italia e specializzati in titoli mortgage backed (obbligazioni su mutui ipotecari) investono in strumenti di qualità garantiti da agenzie governative americane. Un’indagine analoga, realizzata dai colleghi americani, sui fondi domiciliati negli Stati Uniti, ha messo in luce che anche i gestori a stelle e strisce hanno preferito stare alla larga da questi strumenti. Insomma la crisi non va ignorata, ma il panico è ingiustificato.

 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

Il mattone STA CADENDO
 

05 Luglio 2007 Milano
- di Marco Caprotti
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Prosegue la discesa dell'indice immobiliare. L'aumento dei tassi di interesse controlla l'inflazione ma allontana gli investitori dall'acquisto di case. E rischia di rimettere in discussione la crescita economica.
Ma c’è ancora il boom immobiliare di cui tanti parlano, o la bolla sta scoppiando? A guardare i grafici la situazione è, quantomeno, traballante. L’indice Msci che segue l’andamento del settore a livello mondiale nell’ultimo mese (fino al 3 luglio e calcolato in euro) ha perso quasi l’8%. Nel trimestre lo scivolone è stato del 6,6%.

Le cose cambiano poco, se si analizzano i numeri a partire dagli Stati Uniti che, come in ogni altro settore, indicano la via al resto del mercato. E’ vero che il prezzo degli appartamenti nella zona di Manhattan nei tre mesi chiusi a giugno di quest’anno è cresciuto dell’1,7% rispetto allo stesso mese del 2006. Ma si tratta comunque del secondo trimestre in cui si registra un aumento inferiore al 2%. L’andamento della zona più “in” di New York, inoltre, non riflette quello del resto degli Stati Uniti dove gli acquisti non sono condizionati dai ricchi bonus guadagnati dagli operatori di Wall Street.

Secondo la National Association of Realtor (Nar, l’associazione che raggruppa i costruttori americani) le vendite delle case già costruite quest’anno scenderà del 4,6%. I prezzi dovrebbero invece calare dell’1,3%. Se le previsioni fossero corrette si tratterebbe del risultato peggiore mai registrato dalla Grande depressione degli anni ’30.
Mentre i palazzinari yankee trattengono il fiato in attesa dei risultati di fine anno, gli analisti del mattone iniziano a spostare l’attenzione verso il Giappone. Il più lungo periodo di crescita economica registrato dalla fine della seconda guerra mondiale sta riaccendendo le speranze di quegli operatori che aspettavano una ripresa del mercato immobiliare che dal 1991 ha perso circa la metà del proprio valore.

Secondo i dati del Ministero nipponico del territorio i prezzi dei terreni commerciali a Tokyo, Osaka e Nagoya sono aumentati quasi dell’8% nel 2006. Nello stesso periodo il prezzo delle aree a uso residenziale è cresciuto del 3%. Questa situazione ha spinto gli operatori a cercare nuove opportunità in altre zone.
Più complessa la situazione in Australia dove le case, nella prima parte di quest’anno hanno raggiunto prezzi che non si vedevano da almeno 20 anni diventando anche più difficili da comprare dopo i tre rialzi dei tassi effettuati dalla Banca centrale nel 2006.

Il risultato è stato che le richieste di costruire nuovi appartamenti ad aprile di quest’anno sono scese del 5,6% mentre gli analisti si attendevano una discesa dell’1,4%. Se la tendenza dovesse continuare ci sarebbero guai in vista per un Paese in cui una persona su dieci lavora nel comparto immobiliare e dove la crescita economica dura ininterrottamente da 16 anni.
L’Europa intanto guarda con preoccupazione quello che succede in Inghilterra. Il mercato immobiliare d’Oltremanica, infatti, viene considerato un indicatore per quello che succederà circa un anno e mezzo dopo nel resto del Vecchio continente.

Nel Regno Unito a giugno il prezzo delle case è cresciuto dello 0,3%, il tasso mensile più basso registrato da dicembre 2006. Annualizzato, si tratta di una crescita del 6,4% contro il 6,7% del mese precedente. E secondo alcuni osservatori alla fine dell’anno si potrebbe arrivare al 4%.
Anche in questo caso è la Banca centrale a remare contro il comparto con i suoi cinque aumenti dei tassi da agosto dell’anno scorso (che hanno portato il costo del denaro al 5,75%) e un altro che, secondo quanto lasciato intendere dal Cancelliere dello Scacchiere, potrebbe arrivare entro quest’anno.
 

 

LO SGAMBETTO, DEI MUTUI USA
 

24 Luglio 2007 08:49 MILANO -
di Marco Caprotti
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Tutti lo sanno, ma nessuno lo ammette. Anche a costo di negare l'evidenza. La crisi dei mutui cosiddetti subprime (per le persone a basso reddito e quindi a più alto rischio di insolvenza) sta picchiando duro sui titoli del comparto finanziario.
L'indice Msci di settore nell'ultimo mese (fino al 23 luglio) ha perso quasi il 5% portando a -3,9% la performance trimestrale. Il tutto alla faccia di un'economia mondiale che sta crescendo (la congiuntura globale, secondo le indicazioni del Fondo monetario internazionale nel 2007 potrebbe battere le attese degli economisti per il settimo anno consecutivo migliorando del 2,7%). Ma anche in barba a uno scenario di tassi in aumento (almeno in Europa e Asia) e delle fusioni e acquisizioni che continuano verificarsi nel settore. E pure a dispetto degli amministratori delegati delle maggiori società finanziarie mondiale che, nei giorni scorsi, hanno perso la voce a furia di spiegare che non c'è nessuna crisi. Ma i fatti raccontano una storia diversa.
Il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke nelle sue ultime audizioni ha avvertito che le perdite legate al mercato dei subprime potrebbero costare al settore del credito almeno 100 miliardi di dollari.
Il pericolo, inoltre, è che la crisi esca dai confini americani per invadere il resto del pianeta. E allora il conto sarebbe molto più salato. Gli indici che misurano i rischi di default dei prestiti concessi, intanto, sono ai minimi storici. Almeno 20 fra le maggiori corporate americane hanno dovuto cancellare emissioni obbligazionarie per 20 miliardi di dollari perché nessuno le vuole.
Nemmeno le istituzioni finanziarie che sono il vero motore di questo mercato le hanno acquistate. Nel 2006, invece, le grandi società di investimento di tutto il mondo dalla compravendita di bond, soprattutto legati ai mutui, hanno intascato circa 27,4 miliardi di dollari.
Ma in un momento così difficile per il comparto, spiegano gli analisti, tutti gli investitori, anche i più preparati e con le spalle larghe preferiscono puntare su strumenti più sicuri. E, magari, tenersi in cassa un po' di liquidità.
Del resto non è il momento giusto per correre eccessivi rischi. Il mattone che per banche e assicurazioni è sempre stato un posto sicuro dove mettere i soldi, sta facendo sentire sinistri scricchiolii. L'indice Msci immobiliare negli ultimi 30 giorni è sceso del 4,8%, in linea – guarda caso - con l'andamento del suo “fratello” finanziario”.
Nonostante il momento difficile, sottolineano tuttavia gli analisti, le opportunità di investimento non mancano. Anche se vanno affrontate con estrema cautela. Il comparto assicurativo europeo, per esempio, mostra interessanti segnali di attività, soprattutto dopo che le due compagnie inglesi Friends Provident (Londra: FP.L - notizie) e Resolution hanno annunciato di avere avviato i colloqui per arrivare a una fusione che potrebbe creare il quinto gruppo del Regno Unito.
Se l'operazione andasse in porto, dicono gli operatori, ci potrebbe essere una nuova ondata di aggregazioni nell'intero comparto del Vecchio continente che, peraltro, darebbe supporto all'intero settore azionario.
Le banche, intanto, almeno da questa parte dell'Oceano continuano a seguire con interesse la partita che si sta giocando fra Barclays (Londra: BARC.L - notizie) e la cordata guidata da Royal bank of Scotland (Londra: RBS.L - notizie) per il controllo di Abn Amro (Amsterdam: AABA.AS - notizie) . Lo scontro è diventato più interessante da quando sono entrate in campo, dalla parte degli inglesi, la Cinese Development Bank e la Temasek Holding di Singapore.
Se Barclays dovesse vincere l'intero settore creditizio europeo dovrebbe iniziare a fare i conti anche con una forte presenza asiatica in casa. E le strategie, a quel punto, andrebbero completamente rifatte.

 

 

 

 

 

   Lo tsunami Subprime e l'economia virtuale

25 Luglio 2007 Milano - di Andrea Mazzalai
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Il mercato dei mutui di bassa qualità dà nuovi segnali di crisi. Dopo gli Stati Uniti, l’Inghilterra lancia l’allarme. Ma i fondi sono rimasti alla larga dal settore e non dovrebbero correre pericoli.

Subprime e ancora subprime, una parola, un significato sino a poco tempo fà sconosciuti, un eco lontano, subprime, subprime, subprime che diventa all'improvviso realta!
Sigmund Freud sosteneva sempre che, con un semplice atto di volontà si poteva reprimere la memoria di ricordi sgradevoli, di situazioni comunque non desiderate.
Sembrerebbe che uno dei fondamenti della psicoanalisi sia la rimozione dei ricordi, delle situazioni ovvero un processo che aiuta a dimenticare, a sottovalutare tutto ciò che non desideriamo, che ci fà paura allontanandolo dalla coscienza e depositandolo negli abissi dell'inconscio.
"SUBPRIME" una fenomeno da dimenticare, sottovalutare, una sensazione di malessere da allontanare come un incubo da relegare nel profondo dell'inconscio.

Questo è il tempo del "Capitalismo senza Capitale" dove chiunque possieda lo zero virgola, può ambire a regnare sul trono di società che sino a pochi anni fà erano considerate come dei castelli inviolabili.
Oggi non è più il tempo dell'economia, l'economia si è ritirata, in letargo in attesa di una nuova chiamata, lasciando il posto alla politica monetaria e alla finanza.
Oggi è il tempo dell'ingegneria finanziaria, scopriamo che gli alchimisti dei nostri giorni hanno progettato strumenti atti alla comprensione suprema del "rischio", strumenti ingegnosi al limite della follia che talvolta aiutano e talvolta distruggono la finanza stessa e con essa l'economia di una società e forse di un'intera nazione.
Formule finanziarie chiamate CDO, CMO e CLO dove ad ognuno basta aggiungere una piccola esse, CDOs, CLOs e subito si trasformano in porzioni magiche, sintetiche con la potenza della leva esponenziale.
Una leva talmente potente da amplificare a dismisura ogni guadagno, ma allo stesso tempo capace di distruggere in un solo istante ogni patrimonio, ogni portafoglio.
Oggi il mercato dei CLO, ovvero le obbligazioni garantite dai prestiti aziendali risente di un cambiamento nella percezione del rischio, nessuno accetta più il rischio, il rischio di strumenti che le agenzie di rating, fiduciarie della finanza, non hanno saputo prezzare adeguatamente, riconoscere e comprendere sino in fondo ai loro doveri istituzionali distratte dai guadagni stellari di un'era finanziaria indimenticabile.
L'universo dei Private Equity (PEHN.SW - notizie) abbisogna di 300 miliardi di dollari per finanziare le acquisizioni annunciate e secondo JPMorgan il maggiore operatore nel campo, contano per il 60 % dei loro prestiti sul mercato dei CLO indispensabili per produrre i fuochi artificiali delle ultime M&A e dare impulso al leveraged by out.

Un' " terrible idea" questi innumerevoli " equity bridges" secondo Dimon, chief executive di JPMorgan Chase.
Passeggiando su internet e precisamente dalle parti di Wikipedia, cercando notizie relative alla nascita dei CDO e CLO ho scoperto che, verso la fine degli anni 80 la fiducia degli investitori nei leveraged buyouts stava svanendo e la critica verso i "junk bonds" stava aumentando.
Alcuni sostengono che gli strumenti del debito e talvolta quelli del "turbo debito" erano la pietra angolare degli anni '80 ovvero "la decade di Greed" il periodo più lungo di crescita economica che l'America abbia mai conosciuto, ma contavano solo per il 25 % delle operazioni e non come oggi per il 60 %. Poi come la_storia_insegna , un impiegato "dinamico" di nome Michael Milken portò al fallimento la Drexel Burnham Lambert, molto attiva in questi strumenti, dovuto alla partecipazione di attività illegali nel mercato dei "junk bond".
Un problema isolato, circoscritto, limitato a una sessantina di istituti finanziari secondari, qualche azienda dell'indotto, un paio di hedge fund e qualche spicciolo che va da un minimo di 50 miliardi di dollari ad un massimo che nessuno può conoscere, compresa la Federal Reserve che nel suo dovere istituzionale per tranquillizzare i mercati professa una lontananza accademica rispetto al contagio in atto.
Dalla Federal Reserve alla Mortgage Bankers Associations, dalla National Associations of Realtors alle istituzioni federali FannieMae e FreddieMac, tutti uniti in un unico pensiero: nessun contagio!

Subprime, il mercato dove acquisti il " Sogno Americano " talvolta al prezzo di tre punti in più del tasso di mercato, non importa se e dove lavori, la tua storia finanziaria, non importa se per alcuni anni non restituisci il capitale e talvolta neanche gli interessi, tanto i prezzi delle abitazioni non possono che salire, in un crescendo sublime con formule esotiche che ti portano a sognare che in fondo il debito è solo la porta del Paradiso che porta all'Inferno.
E poi un giorno, la sera, la notte ti accorgi che in fondo tutto è come prima, che il debito prima o poi và saldato perchè come dice uno dei padri fondatori dell'America, Benjamin Franklin i creditori hanno miglior memoria dei debitori.
Uno tsunami imprevedibile, che nello spazio di un battito d'ala sconvolge progressivamente e lentamente l'economia reale, la finanza, i mercati globali. E si perchè tutto è sparso intorno, persino nella lontana Australia, dove a differenza dei nostri paesi gli hedge fund sono aperti a tutti, agli investitori istituzionali come ai comuni investitori, la gente di ogni giorno.
Tutto intorno attraverso l'indotto del mercato immobiliare, costruzioni, materiali edili, arredamento, articoli da giardinaggio e su attraverso il MEW ovvero l'estrazione di ricchezza che ha sostenuto i consumi in questi anni, dimenticando che esiste anche un mercato del credito al consumo "subprime".
Ma l'economia virtuale presuppone il funzionamento a pieni giri della borsa, si preoccupa, come nella ultime minute della Fed, del tasso di risparmio delle famiglie americane che pur negativo stà cambiando, mettendo a rischio i consumi pilastro riconosciuto dell'economia reale, ma non si preoccupa più di tanto dei deficit gemelli, del risparmio personale negativo delle famiglie.
Tutto e il contrario di tutto!
Crollano i consumi e contemporaneamente aumenta la fiducia del consumatore con l'inflazione reale che sale, sale, sale ripulendo le tasche dei cittadini e lasciando quel sapore un pò "core".
Il mercato immobiliare è in piena recessione e il mercato del lavoro edilizio, non scende, anzi aumenta le assunzioni.
Le aziende tornano ad investire timidamente e contemporaneamente la fiducia dei Ceo e delle loro aziende scende ai minimi dal 2000.
Il mercato del lavoro si dimostra in ottima forma, ma poi le revisioni preludono a notevoli riduzioni nel 2006 come constatato dalla Fed nelle ultime minute.
Le foreclosure aumentano, si moltiplicano, la deflazione immobiliare avanza e le richieste di ipoteca aumentano senza constatare che in fondo nessuno è in grado di dire presso quante banche una famiglia "subprime" o "ALt-a" deve fare richiesta prima di veder accettata la sua domanda.
Un'economia virtuale, un'economia delle revisioni, revisioni e ancora revisioni! Un'economia che vive di dati anticipati forse troppo talvolta rivisti dal giorno alla notte e viceversa.

Oggi e domani usciranno i nuovi dati relativi alle vendite di case nuove e esistenti ai quali il mercato guarderà con trepidazione. Voglio solo ricordare che come spesso accadde il margine di errore dei dati comunicati è spesso sensibile per non dire incredibile.
Siamo nel mezzo di una possibile "deflazione" immobiliare, diminuiscono i volumi delle transazioni , declinano le vendite e aumentano le abitazioni invendute. La domanda non incontra l'offerta in quanto l'effetto psicologico è rilevante. Inoltre per chi non lo ricorda da questo mese in poi scadranno una marea di mutui che si trasformeranno in tassi variabili superiori di circa 2/3 punti al tasso di partenza.
Ovviamente la nuova ondata di pignoramenti e fallimenti aumenterà l'inventario delle case esistenti.
Non si vende per non prendere di meno di quello che si considera giusto e non si compra in attesa di tempi migliori, la speculazione ormai ha lasciato definitivamente il campo e i cosidetti "compratori principianti" coloro che si affacciano al mercato per la prima volta sono intimoriti dalle notizie e trovano difficoltà ad accedere al credito, in quanto ormai il mercato "subprime" fà parte del passato.
Concludo ricordando infine il fattore annullamenti. Abbiamo visto insieme come gli elenchi delle abitazioni invendute siano vitali per la fiducia dei costruttori e allo stesso modo abbiamo visto come stanno aumentando sensibilmente gli annullamenti dei preliminari di acquisto.
Gli annullamenti non vengono incorporati nei dati rilasciati e quindi spesso le vendite risultano migliori e gli inventari sottovalutati.
Un mercato immobiliare, immobile nelle sue quotazioni, sente intorno a se la mancanza di fiducia, forse il preludio ad un'accelerazione che si rifletterà negli anni a venire.

 

Fonte - MiaEconomia.it

 

 


 

Domenica 22 luglio 2007   Venerdì 27 luglio 2007   Venerdì 27 luglio 2007
   
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GRANDE ONDATA DI EUFORIA A WALL STREET

12 Luglio 2007 22:04 NEW YORK (WSI)
 

Due record per l'indice industriale e per lo S&P500. Il Dow Jones ha guadagnato il 2.10%. Nasdaq +1.88%, sopra quota 2700 per la prima volta da anni.

La sessione a New York ha chiuso in clima di grande euforia, con gli indici sui massimi, e anzi con due nuovi record assoluti nel caso del listino industriale e per lo Standard & Poor's 500. Il Dow Jones ha chiuso a 13,863.60, un rialzo record di 285.73 punti (+2.10%), il Nasdaq finisce per la prima volta da anni sopra quota 2700 per l'esattezza a 2,701.73, in crescita di 49.94 punti (+1.88%) e infine lo S&P 500 sale a 1,547.70, con un guadagno di 28.94 punti (+1.91%). Motivo di tanto ottimismo a Wall Street: una girandola di fusioni e acquisizioni, nonche' i buoni dati sulle vendite al dettaglio nelle catene di grandi magazzini a giugno, che hanno confermato la crescita dell'economia.
Sugli altri mercati il greggio e' stabile, ma sempre molto alto, col barile a 72,49 dollari. Sul valutario l'euro continua la corsa, e stabilisce i nuovi record assoluti nei confronti di un dollaro sempre piu' a buon mercato: la quotazione delle due monete e' ormai a un soffio da quota 1 e 38.
Non sono emerse grandi sorprese dal fronte macro. Come previsto dagli analisti il deficit commerciale degli Usa si e’ allargato a $60 miliardi nel mese di maggio, mentre le nuove richieste di sussidio da parte dei disoccupati si sono attestate a quota 308 mila, a livelli migliori di quelli stimati dagli economisti, evidenziando una solida situazione del mercato del lavoro.

 

 

 

WALL STREET RITRACCIA, DELUDONO LE TRIMESTRALI

20 Luglio 2007 15:35 NEW YORK (WSI)

 

Apertura in rosso per gli indic americani. Il Dow Jones perde lo 0.33% a 13953, l’S&P500 lo 0.18% a 1550, il Nasdaq arretra dello 0.38% a 2709. Le deludenti trimestrali societarie hanno dato la stura alle vendite.

Non sono attesi dati macroeconomici di rilievo nella giornata odierna. Il recente progresso dei listini, che ha permesso al Dow Jones di chiudere oltre la soglia dei 14000 punti per la prima volta nella storia, potrebbe dare origine ad alcune prese di beneficio.Contrastate le trimestrali diffuse in mattinata. Positive quelle delle societa’ finanziarie Citigroup (C) e Wachovia (WB) i cui titoli trattano rispettivamente in rialzo dell’1.35% e dell’1.72%; pessima quella del colosso dei macchinari per le costruzioni Caterpillar (CAT) che ha riportato un utile per azione di 24 centesimi inferiore al consensus: il titolo arretra di quasi il 7%.
Notizie importanti sono giunte dalla Cina che ha alzato per la terza volta quest’anno il costo del denaro (quinta negli ultimi 15 mesi), all’indomani dell’ultimo aggiornamento sulla crescita economica interna pari a +11.9%, maggior tasso di oltre 11 anni. Sugli altri mercati, nel comparto energetico il petrolio e’ in leggero ribasso ma vicino ai massimi. I futures con consegna agosto (all’ultimo giorno di scambi) segnano un calo di 15 centesimi a $75.77 al barile. Sul valutario, l’euro e’ in leggero progresso rispetto al dollaro: il cambio tra le due valute e’ a quota 1.3808. In lieve progresso l’oro. I futures con consegna agosto vengono scambiati a $680.00 all’oncia (+$1.90). Salgono, infine, i Titoli di Stato. Il rendimento sul Treasury a 10 anni e’ sceso al 5.00%
 

 

WALL STREET: SUBPRIME E UTILI SPINGONO LE VENDITE

24 Luglio 2007 18:15 NEW YORK (WSI) 
 

Deludenti trimestrali, prese di profitto e il risveglio dei timori circa l'industria del credito innescano i Sell. Greggio giu'.

Gli indici non accennano ad arginare le perdite e a meta' seduta si muovono vicino i minimi livelli giornalieri. Il Dow Jones cede lo 0.76% a 13836, l'S&P500 lo 0.79% a 1529, il Nasdaq lo 0.71% a 2671. Alcune deludenti trimestrali, le prese di profitto e il risveglio dei timori circa l'industria del credito stanno facendo da volano alle vendite. Sorprendentemente migliori del previsto i numeri del comparto finanziario, per cui era atteso un crollo sulla scia della crisi innescata dalle insolvenze dei mutui subprime. I timori sono pero’ stati risvegliati dalla pessima trimestrale di Countrywide Financial (CFC) (leader nell’offerta di mutui immobiliari) il cui titolo cede oltre il 7%.
Con i listini ai recenti massimi gli operatori sono in attesa di un significativo catalizzatore che possa spingere ulteriormente al rialzo gli indici. Non sono da escludere alcune prese di beneficio in tale contesto seguite dalla ripresa degli acquisti solo a livelli maggiormente attraenti.
Proseguono intanto le operazioni di M&A. L’ultima interessa il comparto energetico e vede in prima linea le due societa’ di trivellazione Transocean (RIG) e GlobalSantaFe (GSF): i due gruppi hanno raggiunto un accordo per cui la seconda sara’ acquisita dall’altra per $18 miliardi. Sugli altri mercati, nel comparto energetico il petrolio sta continuando a cedere terreno. I futures con consegna settembre cedono $1.70 a $73.19 al barile.
Sul valutario, l’euro continua a muoversi vicino ai massimi nei confronti del dollaro a quota 1.3816. In rialzo l’oro.

 

 

WALL STREET: PROVE TECNICHE DI CORREZIONE
 

27 Luglio 2007 22:04 NEW YORK (WSI)
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Ancora una giornata pesante per Wall Street dove gli indici, dopo l'altalena iniziale, cedono nell'ultimo quarto d'ora e chiudono in territorio negativo per le turbolenze del mercato del credito, snobbando tra l'altro il dato sul Pil del secondo trimestre migliore delle attese.
Il Dow Jones termina in calo dell'1,54% (a 13.265,47 punti, il Nasdaq perde l'1,43% (a quota 2.562,24), mentre lo Standard & Poor's 500 si attesta a 1.458,95 punti (-1,60%). E' stata la peggiore settimana di oltre 4 anni, cioe' dalla settimana che fini' il 28 marzo 2003: il Dow Jones ha perso negli ultimi 5 giorni -4.2%. Il Nasdaq Composite incassa un -4.6%. Peggio di tutti il benchmark S&P500 con -5.0%.
A fine seduta il volume di scambio e' stato di 2.2 miliardi di pezzi passati di mano al New York Stock Exchange e di 2.7 miliardi al Nasdaq. I titoli in ribasso hanno battuto quelli in rialzo per 2 a 1 al Nyse e per 11 a 5 al Nasdaq. Da giovedi', dopo la forte pioggia di vendite che ha visto il Dow Jones chiudere con una perdita di 311.5 punti, i listini stanno continuando a cedere terreno pressati da un mix di elementi negativi che vanno dalla crisi dell’industria del credito alle deludenti trimestrali comunicate dalle societa’ costruttrici, dai cattivi dati macro sul comparto immobiliare, al rialzo del greggio oltre i $77 al barile.
I timori di una gelata dell'intero settore hanno scosso le borse mondiali sulle attese di una frenata delle operazioni di acquisizioni e di cessioni a causa del rischio di un 'credit crunch', cioé carenza di liquidità sui mercati. Infatti il fondo neo-quotato di private-equity Blackstone Group LP (BX) e' arretrato venerdi' in una sola seduta -5.45%, ed e' giu' di circa -20% dall'Ipo avvenuto poche settimane fa.
Ad accentuare il pessimismo, Cadbury Schweppes (CSG) rinvia la scadenza per la vendita di 7Up e Dr Pepper, e delle restanti attività statunitensi nel settore delle bevande, a causa della 'estrema volatilita' del mercato del credito.
Oltre a Cadbury, altri segnali giungono ad esempio dal private equity Kohlberg Kravis Roberts, che oltre a congelare il piano di quotazione, non riesce a trovare finanziatori disposti a sottoscrivere bond per 10 miliardi di dollari per l'acquisizione di Alliance Boots. I fondi proprietari della catena inglese di negozi di abbigliamento New Look Group, poi, rinviano un progetto di rifinanziamento del debito della società.
L'intera seduta e' stata contrassegnata da nuovi Rumors sulla possibile crisi di parecchi hedge funds, il che ha amplificato l'effetto "fuga verso la qualita'" da parte degli investitori, verso i Treasuries e fuori dall'azionario, come e' accaduto per tutta la settimana. "Sarebbe soprendente se non ci fossero hedge funds in crisi, visto il recento aumento della volatitilita'", dice un broker del New York Stock Exchange. Uno dei nomi che si fanno con maggior insistenza e' quello dell'hedge fund australiano Basis Capital.
A soffrire di più, proprio per questo motivo, sono stati i titoli finanziari e assicurativi come Citigroup (C) (-1,76%), American Express (AXP) con -2.8%, American International Group (-1,89%) e soprattutto Fannie Mae (-2.0% a 59,39) che guida i ribassi per il secondo giorno di fila accusando le più forti perdite dal 2005. In un primo tempo, gli indici hanno oscillazioni tra modesti ribassi e cauti guadagni, alla luce dell'accelerazione del Pil Usa.
Nel secondo trimestre si è registrato un tasso di crescita del 3,4%, il ritmo più veloce da oltre un anno (dal +0,6% del primo trimestre), mentre appaiono in rallentamento i prezzi al consumo. L'indice, calcolato all'interno della statistica sul Pil, è salito del 2,7%, rallentando rispetto al +4,2% dei tre mesi precedenti, contro la stima degli analisti di un +3,4%. L'indice 'core' - calcolato al netto dei prodotti alimentari ed energetici e monitorato con particolare attenzione dalla Federal Reserve - ha segnato un rialzo dell'1,4%, il più basso dal 2003.
Tra i singoli titoli, vanno male soprattutto quelli di società al centro dei Rumors su possibili scalate ostili che ora, invece, potrebbero sfumare. Così vanno giù Marsh & McLennan (-4,22%), Wyndham Worldwide (-3,4% a 33,76 dollari). In controtendenza Ford Motor (F) (+1,73%) premiata dall'upgrade a 'neutral' da 'sell' espresso da Merrill Lynch dopo che la casa automobilistica ha chiuso per la prima volta un trimestre in utile dopo sette trimestri di conti in rosso.
Sugli altri mercati, i futures del greggio si sono impennati fino a $77.02 al barile, il livello piu' alto dalla meta' di agosto del 2006. Il contratto e' salito 2.8% nella sola seduta di venerdi'.

 

 

 

 

 

   Orsi e tori come investire nel prossimo semestre

03 Luglio 2007 Milano - di WSI
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Su una sola previsione i guru di Wall Street sono d'accordo: la seconda metà dell'anno continuerà ad essere molto volatile, con forti oscillazioni su e giù degli indici azionari americani. Del resto i motivi per scatenare un'altalena di emozioni abbondano: il mercato delle compravendite di case continua a calare, in termini sia di volumi sia di prezzi, ma non c'è stato il crollo che molti temevano.
Sono saltati due hedge fund di Bear Stearns che speculavano sui mutui immobiliari sub-prime (concessi ai creditori poco affidabili), ma sono stati salvati da Merrill Lynch e non si è verificato un effetto domino. Il fondo di private equity Blackstone si è quotato in Borsa senza entusiasmare, segnando secondo i critici la fine del boom delle fusioni ed acquisizioni, ma la liquidità globale di capitali a caccia di affari continua ad essere molto elevata.
La fiducia dei consumatori è scesa ai minimi degli ultimi dieci mesi, ma i posti di lavoro e gli stipendi continuano a crescere e a sostenere i consumi. È schizzato all’insù il prezzo del latte e della benzina, ma l'inflazione core , quella considerata importante dalla Federal Reserve (banca centrale Usa) resta mite. I tassi di interesse sono un po' risaliti, ma rimangono a un livello storicamente basso. L'economia americana è rallentata, ma i profitti delle società quotate continuano ad aumentare, battendo le stime degli analisti.
Ma la volatilità non è solo negativa, ha spiegato Bob Doll, responsabile globale degli investimenti azionari della società di gestione BlackRock, facendo il punto di metà anno delle sue previsioni 2007. Doll crede che nei prossimi mesi non arriverà l'Orso, ma la Borsa crescerà meno del primo semestre. «Sarà una fase ragionevolmente costruttiva, dove le azioni americane saranno sempre più attraenti delle obbligazioni — ha continuato il supergestore di BlackRock —, però per sfruttarla bisogna scegliere i titoli giusti: quelli di grandi aziende, con solidi bilanci e molto legate all'economia globale, che sta crescendo a un ritmo doppio di quello Usa». Proprio la domanda degli altri Paesi sta alimentando un boom delle esportazioni dagli States, con un impatto positivo sui conti americani superiore al peso negativo della crisi immobiliare, secondo Doll. Gli piacciono quindi le multinazionali, le cui quotazioni sono ancora basse rispetto al loro valore.
Più cauto ancora è Sam Stovall, capo delle strategie d'investimento dei servizi di ricerca di Standard&Poor's, secondo cui il rally primaverile di Wall Street è dipeso in larga parte dalla corsa degli investitori per «non perdere il treno» e non da motivi fondamentali.
Questi ultimi invece peseranno sulla seconda metà dell'anno: il rincaro dei prezzi petroliferi, il non taglio dei tassi della Fed, le difficoltà del mercato immobiliare e la netta decelerazione dei profitti aziendali, che secondo le stime S&P nel secondo trimestre 2007 cresceranno solo del 5,9% rispetto allo stesso periodo 2006, tutto questo insieme farà sì che l'indice S&P500 chiuderà l'anno poco sopra quota 1.500. «Per riuscire ad ottenere performance positive nei prossimi mesi, è meglio sovrappesare i titoli dei settori con un flusso di profitti più stabile e prevedibile, come quelli del business della salute e dei beni di largo consumo», raccomanda Stovall.
Di tutt'altro parere è Tobias Levkovich, responsabile delle strategie azionarie Usa di Citi, pronto a scommettere che un'altra volta le società americane stupiranno gli analisti, pubblicizzando profitti più alti delle previsioni per il secondo trimestre 2007.

«Dopo lo scivolone di fine febbraio causato dalla paura della bolla cinese, uno dei fattori trainanti del rialzo di aprile-maggio era stata la forza dei profitti del primo trimestre, cresciuti del 9,5% rispetto allo stesso periodo del 2006, molto più del consenso degli analisti su un magro +3,2% — ricorda Levkovich —. Gli analisti avevano abbassato le stime, anticipando un impatto negativo della crisi della casa e dei mutui sub-prime , che non si è verificato. Credo che continuino a sbagliare anche sul secondo trimestre, sottovalutando i benefici sui conti aziendali di un dollaro debole e della forte domanda estera». Così secondo Levkovich Wall Street continuerà a salire chiudendo l'anno con l'indice S&P500 a 1.600 punti, e andranno particolarmente bene i settori su cui oggi prevale il pessimismo, le banche e i beni non di largo consumo, in particolare i media e le catene di negozi di abbigliamento o altri generi discrezionali».
Su quest'ultimo comparto invece è decisamente scettico Brian Belski, strategist di Merrill Lynch sui settori della Borsa Usa, che gli ha dedicato il suo ultimo report e che raccomanda di dargli un peso neutrale all'interno di un portafoglio azionario. Fra i dieci sottosettori dell'indice S&P500, da inizio anno quello dei beni non di largo consumo ha realizzato la seconda peggior performance, +2,4% (meno bene hanno fatto solo i titoli finanziari con una perdita dell'1,2%). L'inflazione non core che comprende i prezzi alimentari ed energetici e che non è considerata dalla Fed per le sue politiche, pesa però nelle tasche degli americani e spiega il calo dei loro consumi non di base, secondo Belski. L'analista di Merrill Lynch suggerisce quindi di preferire i titoli di settori con un business più stabile, come la salute e i beni di largo consumo, oppure favoriti dalla domanda che viene dagli altri Paesi in boom economico, come i titoli industriali.

 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

   Borse volatili ma sempre su

04 Luglio 2007 Milano - di Edoardo Montalbano  
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L’occasione è di quelle da non perdere. L’incontro con la comunità finanziaria italiana di Helmut Kaiser, global chief investment strategist di Deutsche Bank Pwm, la divisione dedicata ai clienti privati. Un colosso che a livello mondiale gestisce asset per oltre 170 miliardi di euro. Il messaggio di Kaiser è chiaro: «Il rialzo dei mercati azionari non è finito, c’è solo da gestire la volatilità. Rispetto ai massimi 2000, la situazione è diversa, perché globalizzazione e liquidità guidano le Borse. In particolare, gli utili sono in crescita, l’inflazione è contenuta e i multipli borsistici sono inferiori alla media storica».

Insomma quasi una cuccagna. L’unica differenza, rispetto ai mesi precedenti, è la necessità di un’attenta gestione del rischio. «Le quotazioni azionarie - sottolinea Giorgio Mascherone, direttore investimenti per i clienti privati di Deutsche Bank in Italia - pur mantenendo un equilibrio in rapporto agli utili e alle medie storiche, stanno crescendo da oltre quattro anni. Il p/e dei titoli quotati sul Dax è 13,2, contro 30,8 del marzo 2000 e una media a lungo termine di 15,6. In più le politiche monetarie in Europa, Stati Uniti, Cina ed Europa stanno mettendo i listini sotto pressione, aumentando la loro volatilità».
In particolare, per le prossime settimane è attesa un’ulteriore correzione delle Borse, che dovrebbero riprendere la corsa in autunno. La stima è di una performance dell’8-12% nei prossimi 12-18 mesi. Dopo l’estate, ci dovrebbe essere un rafforzamento delle operazioni di private equity e degli M&A. Questa spinta ai listini dovrebbe arrivare in un contesto in cui non sono cambiate le condizioni che hanno trainato l’azionario in questi anni.
A livello mondiale gli utili dovrebbero crescere a tassi sostenuti: +9,4% nel 2007 e +10,1% l’anno successivo, grazie a una domanda elevata, supportata dalla crescita globale, a ulteriori guadagni in termini di produttività e a un uso più intensivo dell’indebitamento, nonostante l’aumento del costo del denaro. «Il listino di Francoforte - ricorda Kaiser - ha ancora grandi potenzialità, nonostante sia cresciuto del 20% da inizio anno.
A differenza degli altri maggiori Paesi europei, la Germania può contare su un basso costo del lavoro. Inoltre, i gruppi quotati sul Dax hanno dimostrato di sfruttare meglio di altri il boom di Asia ed Est Europa, come dimostrano i dati sull’export. Tra i settori su cui puntare healthcare, infrastrutture e costruzioni». Giudizio negativo sull’obbligazionario, anche se ora i bond statunitensi rendono più del 5% e i governativi tedeschi oltre il 4,5 per cento. «I rendimenti - sottolinea Kaiser - continueranno a crescere fin quando non terminerà la stretta sui tassi da parte delle Banche centrali. Nel frattempo le quotazioni dei bond si manterranno vulnerabili».
La preferenza degli analisti va poi verso i titoli di Stato, dato che per i corporate il premio al rischio è troppo contenuto. Al fine di stabilizzare il livello di volatilità Kaiser suggerisce di aumentare la componente degli investimenti alternativi e delle commodity. Tra le materie prime, la preferenza va, in primo luogo, verso i prodotti agricoli come il grano e il mais così come i metalli industriali hanno ottime prospettive di crescita, grazie alla domanda elevata e a un’offerta limitata e poco flessibile.

 

Fonte - Borsa & Finanza


 

 

 

 

La prudenza degli ottimisti
 

12 Luglio 2007 Milano
- di Marco Caprotti
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Le Borse mondiali rallentano in attesa di settembre. La situazione macro, dicono gli operatori, è positiva ma è bene essere cauti. La crisi dei subprime, infatti, sta minando il sistema creditizio Usa. Cina e India, intanto, viaggiano a due velocità.

I listini mondiali tirano il fiato. Dopo aver guadagnato, secondo l’indice Msci globale, quasi il 50% in tre anni, nell’ultimo mese (fino al 12 luglio e calcolato in euro) hanno perso l’1%. Niente di cui allarmarsi, dicono gli analisti. Si tratta, aggiungono, di una correzione attesa. E’ il risultato delle grandi pulizie che vengono effettuate nei portafogli per prepararsi a settembre quando l’operatività riprenderà a pieno regime. La situazione macroeconomica, come dimostrano anche le strette di alcune fra le maggiori banche centrali, del resto è buona, anche se gli esperti consigliano di agire con prudenza. Non mancano, infatti, elementi preoccupanti che, se dovessero sfuggire di mano, cambierebbero completamente il quadro.

Stati Uniti E’ il mercato che, al momento, desta le maggiori preoccupazioni. La crisi dei mutui cosiddetti subprime (quelli dedicati alle persone meno abbienti) sta scuotendo le fino ad oggi solide fondamenta del sistema creditizio della prima economia mondiale. Il tasso di insoluti (quello che in America definiscono delinquencies) ha raggiunto il livello massimo degli ultimi 10 anni. Un colosso come Bearn Stearns il mese scorso ha dovuto pompare 1,6 miliardi di dollari in un suo fondo che vendeva prodotti legati ai subprime. A questo si unisce il rallentamento del comparto immobiliare che, dicono gli economisti, inevitabilmente diminuirà la capacità di spesa degli americani.

In una situazione del genere, la Federal Reserve in controtendenza rispetto alle Banca centrale europea e a quella inglese, potrebbe decidere di tagliare il costo del denaro per consentire alle aziende di ricorrere più facilmente ai prestiti e tornare a investire. Magari attraverso una nuova ondata di fusioni e acquisizioni che, fino ad ora, sono state finanziate principalmente dai fondi di private equity. Nel frattempo il dollaro ha raggiunto i minimi contro l’euro e, secondo alcune previsioni, entro fine anno potrebbe perdere il 5% contro lo yen arrivando a 116.

Europa Fusioni e acquisizioni continuano ad essere i motori delle Borse del Vecchio continente. Il momento è caldo soprattutto nel comparto minerario che, grazie anche alla corsa delle materie prime, sta assistendo a un vero e proprio boom. Gli ultimi rumor – che peraltro si rincorrono da tempo – riguardano il matrimonio fra Bhp Billiton e Xstrata. Le nozze, spiegano gli operatori, sono inevitabili se le due società vogliono competere con il colosso che nascerà dalla fusione fra Rio Tinto e la canadese Alcan (un’operazione da oltre 38 miliardi di dollari).

Più in generale alcuni analisti sottolineano che il mercato azionario europeo è a sconto rispetto alla piazza finanziaria americana e continua ad essere un porto sicuro per la grande liquidità a disposizione degli investitori mondiali. Fra i titoli più interessanti gli esperti segnalano quelli energetici. I primi sono quelli petroliferi trainati dal un barile che settimanalmente macina nuovi record e sembra intenzionato a tenersi al di sopra dei 76 dollari.

Ma il momento è buono anche per le utility e per le società che per queste lavorano. La francese Alstom, terzo produttore mondiale di impianti di potenza, nel primo trimestre fiscale ha registrato un fatturato in crescita del 27% rispetto allo stesso periodo dell’esercizio precedente. Merito ha spiegato il management, dei grandi investimenti che, soprattutto in Europa, vengono fatti nel comparto elettrico.

Cina e India Il boom cinese non dà segni di cedimento. Non a caso gli investimenti stranieri nel “Regno di mezzo” nel primo semestre di quest’anno, secondo i dati del Ministero del commercio sono aumentati del 12,2%. Le aziende straniere che hanno impianti sul suolo cinese ormai contribuiscono per metà dell’export (che in tutto vale quasi 970 miliardi di dollari) e ai quasi 27 miliardi di dollari di surplus.

L’economia nel primo trimestre dell’anno è cresciuta dell’11,1% facendo aumentare gli stipendi del 19,5% nelle città e del 15,2% nelle zone rurali. I comparti più interessanti su cui investire, spiegano gli analisti sono quelli dell’abbigliamento, della telefonia cellulare e dei computer. Ma più in generale interessa la grande distribuzione. Il colosso giapponese del settore Aeon, per esempio, ha annunciato che nei prossimi cinque anni, investirà l’equivalente di due miliardi di dollari per aprire supermercati che facciano concorrenza a Wal-Mart e Carrefour.

Battuta d’arresto, invece, per l’India l’altro grande Paese emergente di questi anni. I numeri, comunque, farebbero la felicità di qualsiasi governo. La produzione industriale, a maggio, è cresciuta dell’11,1% contro il +12,4% segnato ad aprile e atteso dagli economisti. Colpa dei tassi di interesse che sono arrivati al livello più alto degli ultimi cinque anni e che stanno riducendo la domanda per prodotti made in India. Le esportazioni, tuttavia, sono cresciute di un rispettabilissimo 18%. Il mese precedente, il progresso era stato del 23%. Tutto questo avrà un impatto sulla congiuntura. Per quest’anno (che si chiuderà il 31 marzo 2008) la banca centrale indiana si attende un’espansione economica dell’8,5%, contro il 47% segnato nel 2006.

 

 

ALLE BORSE NON BASTANO I RECORD
 

13 Luglio 2007 08:49 MILANO -
di Marco Caprotti
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Settimana difficile per le piazze finanziarie mondiali. Gli indici Msci regionali restano tutti intorno a quota zero. I livelli storici fatti segnare da Wall Street, dal Giappone e dall'euro non bastano a cancellare le preoccupazioni legate agli Usa.

Ce l’hanno messa tutta le Borse per regalare agli investitori una settimana memorabile: ribassi improvvisi, rialzi da record, euro ai massimi storici e petrolio a prezzi stellari. Ma, alla fine, il bilancio dell’ottava è stato pressoché deludente: l’indice Msci mondiale dopo cinque sedute da cardiopalma, ha segnato un misero +0,1%.

Le quotazioni da Guinnes fatte segnare da alcuni dei maggiori listini, infatti, sono riuscite a ridurre ma non a compensare le perdite delle giornate precedenti. Gli alti e bassi a cui stiamo assistendo in questi giorni, spiegano gli operatori, sono il segnale di un mercato nervoso che reagisce con eccessi di entusiasmo o di disperazione alle notizie finanziarie e macroeconomiche.

Stati Uniti L’indice Msci del Paese nell’ultima settimana ha guadagnato lo 0,3% a dispetto anche della seduta di giovedì in cui il Dow Jones è arrivato al record: 13.861,73 punti con un balzo che non si vedeva da cinque anni. E’ stata spazzata quindi in un colpo solo la paura dei subprime (i mutui per le persone meno abbienti) che ha fatto tremare il sistema finanziario americano? No, anzi. Il colpo di reni, come ampiamente riportato dai giornali, è dovuto all’esplosione dell’uso dei derivati.

Con questi strumenti gli investitori si assicurano contro il crollo dei titoli tradizionali come azioni e obbligazioni. Una scelta forzata, quindi, per salvare i portafogli dall’effetto subprime. A questo si sono aggiunte le nuove operazioni di fusione e acquisizione che continuano a essere l’argomento principe delle piazze finanziarie.

Dal punto di vista macroeconomico, invece, il quadro assomiglia a un puzzle incompleto. I risultati di settimana scorsa sulla disoccupazione (ai minimi) e quelli positivi di Wal-Mart a giugno (vendite in aumento del 2,5%. Il colosso della grande distribuzione viene considerato un termometro dello stato di salute dell’economia Usa) dimostravano una situazione congiunturale buona.

Poi sono arrivati i dati del Dipartimento del commercio sulle vendite al dettaglio: -0,9% a giugno contro il +1,5% del mese precedente. In pratica, il dato peggiore degli ultimi due anni. Il prezzo del petrolio, spiegano gli economisti, ormai sopra 76 dollari al barile, sta svuotando le tasche degli americani più di quanto ci si aspettasse. Le prossime mosse delle Federal Reserve, quindi, tornano ad essere un’incognita.

Europa L’indice Msci dell’area nell’ultima ottava ha guadagnato lo 0,6%. Qui le prospettive di crescita sono meno oscure rispetto agli Usa. Eurolandia cresce (+0,7% a giugno, meglio delle previsioni) e, dicono gli economisti, non dovrebbe avere difficoltà a raggiungere il +2,5% atteso dalla Banca centrale europea (Bce) per fine anno.

La moneta unica ai massimi storici contro dollaro (1,38) non avrà impatti significativi sulle esportazioni. I cinesi, con i loro stipendi sempre più alti, ci tengono troppo ad avere prodotti made in Europe per preoccuparsi di pochi centesimi di differenza fra le due maggiori valute mondiali.

Resta, incombente, il pericolo inflazione. La Bce tuttavia continua a vigilare e ha già promesso una stretta fra settembre e ottobre se la situazione dovesse surriscaldarsi. Magari per colpa del prezzo del petrolio che, tuttavia, fa bene ai titoli delle società energetiche. La domanda, inoltre, l’anno prossimo dovrebbe essere in crescita.

L’altro tema forte delle Borse europee sono state le altre commodity. La richiesta di materie da parte dei Paesi emergenti, infatti, non accenna a rallentare. Le fusioni e acquisizioni che si celebrano in giro per il mondo, infine, hanno portato una ventata di ottimismo anche nel Vecchio continente.

AsiaL’indice Msci della regione nell’ultima settimana ha perso lo 0,8%. Eppure anche lì sono stati registrati dei record. Nella seduta di venerdì il listino ha guadagnato l’1,4%: il salto più alto registrato dal 7 maggio. Il Giappone, invece, è volato ad altezze che non raggiungeva da sette anni.

Anche in questi casi sono servite le operazioni di merger & acquisition annunciate e, forse ancora di più, quelle che il mercato si attende. La situazione, però, in generale resta quella che è emersa nelle ultime settimane. L’Asia, a dispetto dei miglioramenti a livello di corporate governance e risultati societari, viene ancora considerata una piazza pericolosa per investire. Soprattutto quando non si capisce cosa sta succedendo negli Stati Uniti che rappresentano il principale mercato di sbocco per le merci prodotte nella regione.

La liquidità che arriva fino alla regione è principalmente composta dai dollari dei Paesi produttori di petrolio, fra i pochi investitori che, in questo momento, se la sentono di fare scommesse nella zona.

 

 

 

 

 

 

  Sabato 28 luglio 2007   Sabato 28 luglio 2007   Domenica 29 luglio 2007  
       
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Fed: Bernanke, Da Crisi Mutui Perdite, Fra 50 e 100 Mld Dlr
 

19 Luglio 2007 Roma -
di ANSA
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Secondo il presidente della Fed, l'impatto del calo dei prezzi immobiliari sulla spesa per consumi non sarà molto grande. E, sempre sul fronte della crisi dei mutui, la Fed sta valutando alcune misure per aumentare la trasparenza a favore dei consumatori. La banca centrale - ha spiegato - ha messo sotto osservazione le penalità che le banche infliggono a chi chiede di estinguere un mutuo in anticipo, che non sembrano essere nell'interesse dei consumatori. Stesso discorso per le politiche delle banche un po' troppo lassiste nel concedere mutui troppo facili.
Bernanke è anche tornato a commentare l'andamento dei prezzi: c'é la possibilità - ha detto che l'inflazione torni a salire, e l'andamento attuale continua ad essere superiore a quello c he la Fed vorrebbe, con alcune variazioni mensili dei prezzi piuttosto "fastidiose".

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

   Borse: é l'ora dei tre fantasmi ?

23 Luglio 2007 Milano - di Giuseppe Turani
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Sono tre i fantasmi che in questo momento inquietano il sonno dei broker, ma che domani potrebbero inquietare quelli di tutti noi: il Pil americano, l´inflazione, e un eventuale crollo delle Borse.

Il primo fantasma, il Pil degli Stati Uniti, potrebbe già manifestarsi con tanto di lenzuolo bianco e corse nei corridoi dei castelli finanziari, già venerdì prossimo, il 27. In quella data, infatti, sarà reso noto l´andamento del Pil americano nel secondo trimestre e gli esperti non sono per niente ottimisti.
Temono che si tratti di un dato brutto, molto brutto, che documenti l´attuale fase di rallentamento (per non dire di peggio) dell´economia di Oltre Atlantico, al di là di qualche buon numero uscito qui e là. Se il dato di venerdì sarà davvero brutto, allora il dollaro non potrà rimanere sui livelli attuali. Il mercato sospetterà (con qualche ragione) che alla fine la Federal Reserve non riuscirà a resistere alle pressioni e taglierà i tassi per impedire il collasso dell´economia su cui governa. Vedere la banca centrale americana che taglia il costo del denaro in presenza di un´inflazione non ancora domata non è cosa di tutti i giorni, ma ci stiamo avvicinando a agosto e tutto può succedere. Ma tagliare i tassi in America significa spalancare la strada perché l´euro voli a quota 1,40 contro il dollaro. E questo potrebbe avere una doppia conseguenza: fuga da New York in massa e difficoltà nel sistema produttivo europeo. Sul primo punto c´è poco da dire. Di fronte a tassi che calano e di fronte a un dollaro in caduta libera tutti i capitali caldi del mondo sceglieranno di scappare e di andare a rifugiarsi su monete ritenute in quel momento in crescita (tipicamente l´euro).
Ma un euro troppo forte (e di solito quota 1,40 è considerata una specie di barriera, in proposito) finirà per creare difficoltà crescenti all´economia europea, ancora molto legata alle esportazioni. Insomma, il fantasma che venerdì potrebbe alzarsi in volo e svolazzare sui mercati e un fantasma che rischia di regalarci tanto una tempesta monetaria quanto una doppia semi-recessione (o comunque una forte frenata) su entrambe le sponde dell´Atlantico. Potrebbe avere l´effetto, cioè, di spegnere due delle più grosse economiche del mondo. A quel punto a tirare resterebbe solo (forse) l´Asia. Come si vede, il primo fantasma, che fino a venerdì prossimo se ne starà chiuso nel suo armadio in America, è di quelli capaci di creare molti, moltissimi danni.

Il secondo è rappresentato dall´inflazione. Per ora si tratta di un soggetto che non ha ancora creato danni evidenti, ma se ne sta nell´ombra, pronto a alzarsi in volo al minimo "rumore" (guerre, incidenti). Basti pensare a quello che potrebbe accadere se, come qualcuno dice, il petrolio dovesse volare sul serio a 100 dollari al barile. E si sa che le banche centrali di tutto il mondo non hanno nessuna voglia di scherzare con l´inflazione. La Banca centrale europea è già da tempo su un sentiero (percorso con molta decisione) di rialzo dei tassi di interesse. Se l´inflazione dovesse accelerare, questo percorso verrebbe fatto di gran lena. I governi europei potrebbero protestare, ma per ora la Bce ha tutti i poteri necessari per bloccare l´inflazione, e quindi aumenterebbe ancora di più il costo del denaro.
E anche la Federal Reserve negli Stati Uniti non starebbe a fare molte storie: di fronte all´inflazione le banche centrali hanno dei riflessi ormai condizionati, automatici. Aumentano il costo del denaro e sia quello che sia.
Insomma, il ripresentarsi dell´inflazione (che per ora è solo un fantasma) provocherebbe il quasi automatico rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti e in Europa, con conseguente botta in testa alle due economie, che finirebbero se non in recessione, certamente fuori strada. L´America già non se la passa benissimo, e l´Europa se la cava appena. Un aumento nel costo del denaro taglierebbe le gambe a tutte e due. In America si avrebbe, in quel caso, una vera e propria recessione, in Europa una grande frenata.

Rimane l´ultimo fantasma, quello di un eventuale crollo delle Borse. Anni fa sarebbe stato un vento abbastanza limitato ai mercati finanziari e ai broker, ma ormai l´economia mondiale si è molto legata alla finanza, e un crollo dei mercati (determinato da quel che si è detto fin qui) finirebbe per avere conseguenze anche sul sistema produttivo e sulle industrie. D´altra parte, finora le Borse hanno corso come invasate perché immerse in un´economia mondiale che sta attraversando un periodo "miracoloso" che ormai dura da cinque anni e che, fantasmi a parte, potrebbe durare almeno altri cinque. Con utili in aumento e nuovi mercati che si aprono ogni giorno.
Se tutto questo dovesse finire perché i tre fantasmi decidono di alzarsi in volo tutti insieme (o anche separatamente) per i mercati e l´economia si tratterebbe della più grande doccia fredda mai vista. Non assisteremmo più alla fuga da New York di cui si diceva all´inizio,ma assisteremmo più semplicemente alla fuga da tutto. Al disordine globale.

 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

   Il castello di carta dei mutui americani

29 Luglio 2007 Milano - di Giuseppe Turani
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In questo momento le Borse hanno più di un motivo per essere inquiete. Tanto per cominciare non è ancora ben chiaro che cosa sta accadendo all´economia americana. Gli ultimi dati resi noti dicono che va bene, ma si tratta di numeri relativi alla situazione di qualche mese fa. E i dubbi rimangono per quanto riguarda il futuro. Ma le Borse, si sa, guardano appunto avanti, non indietro.
Inoltre, i mercati corrono ormai da qualche anno, praticamente senza interruzioni. E un po´ tutti sono convinti che avrebbero dovuto fermarsi già da tempo. Ma vanno avanti perché nel mondo c´è una montagna di liquidità che non sa bene dove andare a sbattere la testa. Tutti, però, sanno che stanno camminando un po´ sul filo del rasoio.
Da qualche tempo c´è, comunque, un elemento in più di inquietudine: si tratta dei prestiti sub-prime. In termini meno tecnici si può dire che sono prestiti immobiliari fatti alla clientela meno sicura, cioè quella un po´ più a rischio. Una volta una questione del genere sarebbe rimasta confinata dentro alle banche erogatrici del prestito. Ogni istituto fa le sue scelte e può capitargli di dare del denaro anche a clienti non molto affidabili. Di solito si garantisce con ipoteche, fideiussioni e altro.
Insomma, sono faccende che riguardano la banca e il suo modo di gestire gli affari. Può anche succedere che qualche somma non ritorni indietro perché il cliente, alla fine, risulta insolvente. In questo caso la banca ha le sue ipoteche e, nella peggiore delle ipotesi, ha i suoi fondi di garanzia, le sue riserve. E´ attrezzata, per dirla con poche parole, per affrontare anche le perdite su prestiti. Ma da qualche tempo le cose non sono così semplici. Sono cambiate e sono cambiate in un modo che, oggi, spaventa i mercati.

Il meccanismo del credito immobiliare (ma anche quello commerciale o per i private equity) funziona in un modo diverso. La banca eroga il credito a clienti di varia natura, poi «impacchetta» questi stessi crediti in obbligazioni e vende il tutto.
Chi compra questi obbligazioni, riceve in cambio una cedola (dei dividendi, grosso modo), che vengono finanziati con il pagamento dei debiti dei clienti. In termini ancora più chiari. La banca dà un milione di euro al signor Rossi per comprarsi una casa. Poi trasforma il milione dato al signor Rossi (e altri cento prestiti analoghi a altrettanti signori Rossi) in obbligazioni che vengono vendute a qualche Fondo di investimento. Mano a mano che i signori Rossi restituiscono i soldi, il Fondo ha i soldi per dare un dividendo a quelli che hanno comprato le quote di quello stesso Fondo.

Il meccanismo è ingegnoso. In questo modo, infatti, le banche liberano i loro conti dal peso dei prestiti fatti. Questi stessi prestiti, attraverso il meccanismo appena descritto, sono stati «venduti» a altri, cioè al mercato. In genere, a dei Fondi, i quali hanno poi venduto loro quote alla clientela minuta. Le banche, quindi, hanno i loro bilanci liberi e possono ricominciare il gioco.
L´aspetto interessante di questo meccanismo (di uso crescente e ormai quasi universale) è che quello che una volta era il «rischio bancario» (prestare soldi alla gente, che può restituirli oppure no) viene trasferito al mercato, cioè a noi. Se i vari signori Rossi non pagano le rate del mutuo, questo non è più un problema della banca (che ha «venduto» l´operazione), ma del Fondo che l´ha comprata e dei clienti che hanno comprato le quote di quel Fondo.

Il secondo aspetto interessante (e inquietante) del meccanismo è che noi, cittadini-sottoscrittori del Fondo, non siamo delle banche, non abbiamo fondi di garanzia, non abbiamo riserve, non abbiamo un patrimonio accumulato negli anni e messo lì apposta per far fronte alle eventuali insolvenze. Se qualcosa va storto, se ci accorgiamo che il mercato dei prestiti immobiliari comincia a fare acqua, ci spaventiamo (giustamente) e il nostro unico desiderio è quello di esserci coinvolti il meno possibile. E quindi cominciamo a vendere. Non abbiamo altra possibilità. E le Borse scendono (anche i gestori dei Fondi vendono).

Ecco, oggi ci troviamo esattamente a questo punto. Il mercato dei prestiti immobiliari sub-prime, in America, mostra segni di debolezza (per non dire di peggio), e la platea dei piccoli risparmiatori (che vi è coinvolta, suo malgrado) mostra segni crescenti di nervosismo. Come dice qualche esperto, può trattarsi solo di un temporale estivo. In qualche modo, magari, la falla dei prestiti sub-prime verrà arginata e il meccanismo andrà avanti. Ma potrebbe anche non essere un temporale estivo, e potrebbe trasformarsi in qualcosa di assai più pericoloso. Per ora nessuno è in grado di dirlo. Intanto, le Borse hanno preso le loro prime legnate, e non è affatto detto che siamo le ultime. Si vedrà nei prossimi giorni.

Tutto quello che sappiamo, al momento, è che, attraverso il meccanismo che abbiamo descritto sopra, tutti noi (se abbiamo comperato quote di Fondi) siamo coinvolti in qualche forma di prestito (immobiliare, commerciale o a Fondi di private equity, o altro), pur non essendo delle banche. E già questo dovrebbe farci un po´ di paura.

 

Fonte - La Repubblica

 

 
 

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