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INDICE ARTICOLI

PARTE  2

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Sistema finanziario - Mondo

Il 2008 sarà l'anno della recessione? La risposta ...

Sistema finanziario - Mondo

Bernanke manda a fondo i listini.

Sentiment - Borse

Gestori più pessimisti sulle Borse

Sentiment - Borse

L'OCSE lancia l'allarme: il peggio per le Borse ...

Altri mercati - Giappone

Il Sol levante non riesce a risorgere

Altri mercati - America Latina

Il Sudamerica batte ancora tutti

Altri mercati - Cina, India

L'Asia è bella ma pericolosa

Italia - Normative

Arriva anche in Italia la class action

   

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+++   BORSA: i finanziari affondano i mercati, S&P/Mib -2,11%   +++   Mutui: Fed; 41 Mld Di Nuova Liquidita', Maxi Manovra Da 11/9   +++   WALL STREET IN FORTE CALO, SCATTA IL BLOCCO AUTOMATICO   +++   Greggio Usa sale oltre 95 dlr su timori per debolezza valuta Usa   +++

Giovedì 01 novembre 2007   Venerdì 02 novembre 2007   Venerdì 02 novembre 2007
   
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Il 2008 sarà l'anno della recessione? La risposta degli analisti

Venerdì 2 Novembre 2007, 20:53 - di Alberto Susic
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La crisi dei mutui subprime torna a spaventare ancora una volta i mercati finanziari, facendo così svanire l'effetto beneficio dell'ultimo taglio dei tassi deciso mercoledì scorso dalla Federal Reserve. I listini vengono nuovamente messi sotto pressione, trainati al ribasso dalla debolezza dei finanziari, sui quali si abbatte una violenta ondata di vendite, alimentate dalle cattive notizie che arrivano soprattutto dai grandi big dell'economia americana.
Una nota positiva intanto è arrivata quest'oggi dai dati sul mercato del lavoro che hanno mostrato una buona tenuta e, nonostante la revisione al ribasso della lettura di settembre, hanno evidenziato una crescita doppia rispetto a quella attesa in termini di nuovi posti di lavoro nel settore non agricolo.
Le buone notizie dal mondo del lavoro però si affiancano ad una serie di dati contrastati che sono arrivati nelle ultime giornate e che di fatto restituiscono un immagine in chiaroscuro per la congiuntura americana. Non più tardi di due giorni fa la Federal Reserve ha dichiarato che al momento i rischi sull'inflazione e quelli sulla crescita economica sono più o meno bilanciati. Ciò non toglie tuttavia che l'aumento dei prezzi del petrolio e più in generale delle materie prime costituisca una minaccia per la dinamica dei prezzi al consumo. Al contempo la frenata del comparto immobiliare rischia di pesare anche sull'espansione a stelle e strisce più in generale.

Le preoccupazioni relative ad un eccessivo rallentamento dell'economia americana riportano così in primo piano la discussione su una possibile recessione che, se da una parte sembra scampata ormai per quest'anno, potrebbe concretizzarsi durante il 2008.
Fortunatamente sono in pochi a credere in questa possibilità, ma un allarme in questa direzione è stato lanciato proprio quest'oggi da Stephen Roach, Chairman di Morgan Stanley Asia. La sua idea è che l'economia globale dovrà affrontare sfide molto pesanti nei prossimi due anni, tanto che la crisi dei mutui subprime sarebbe solo il primo segnale della recessione che arriverà nel 2008.
Una previsione che però non dovrebbe preoccupare solo gli Stati Uniti, visto che la fase recessiva si potrà estendere con facilità dall'America all'Asia, visto che se gli Usa starnutiscono, i Paesi asiatici avranno la febbre. I mercati emergenti stanno erroneamente scommettendo su un impatto minimo della crisi subprime americana, ma secondo Roach si verificheranno significative correzioni anche per le Borse di queste aree.
Fortunatamente però le voci di quanti profetizzano una fase recessiva per l'economia a stelle e strisce, sono piuttosto isolate, visto che anche lo stesso Greenspan ha rivisto la sua tesi di qualche mese fa. L'ex Chairman ritiene infatti che la congiuntura Usa è in rallentamento, ma le probabilità di una recessione sono inferiori per ora al 50%, considerando peraltro che i mercati finanziari stanno tornando lentamente alla normalità.
Certo i rischi non si possono considerare del tutto superati, e per quanto la prospettiva della recessione sia più credibile secondo gli analisti di Pimco, la stessa si potrà evitare grazie ad un deciso intervento della Federal Reserve. Quest'ultima dovrà infatti proseguire nell'allentamento della politica monetaria partito a settembre, fino a portare i tassi di interesse al 3,5%, al fine di fronteggiare la potenziale contrazione del credito che non ha precedenti da più di un trentennio a questa parte.
Ad escludere la minaccia di una recessione negli Stati Uniti è anche il numero uno dell'FMI, il quale ha ribadito oggi che il caro greggio non dovrebbe comportare tali rischi. Nessuna sorpresa inoltre dal calo del dollaro che dopo essere stato a lungo sopravvalutato continuerà a perdere terreno contro le principali valute mondiali.

Diversi sono inoltre gli analisti che escludono uno scenario recessivo per il prossimo anno, a partire da quelli di Jp Morgan, secondo cui l'economia Usa non andrà in recessione.
La crisi dei mutui subprime continuerà a far sentire i suoi effetti anche sulle Borse, con nuove turbolenze simili a quelle che si sono riproposte proprio nelle ultime due sedute. Nonostante ci sarà ancora grande volatilità nelle prossime settimane, l'atteso rally di fine anno non dovrebbe mancare, visto che la banca d'affari americana si schiera in favore di una tendenza ancora positiva per i listini azionari. Per quanti sono fuori dal mercato però il consiglio è di non affrettarsi a rientrare, sfruttando piuttosto i momenti di debolezza delle Borse per aprire nuove posizioni al rialzo.
Non molto diversa la posizione dei colleghi di American Express (NYSE: AXP - notizie) , persuasi del fatto che la riduzione dei tassi di interesse, unitamente alla crescita delle esportazioni e ad un ulteriore possibile allentamento del mercato del credito, dovrebbero offrire un valido paracadute all'economia americana, evitando che la stessa cada in una spirale recessiva.
In prospettiva di un simile scenario, gli esperti ritengono che la corsa al rialzo dell'azionario proseguirà e la strategia suggerita è quella di puntare su dei titoli difensivi, specie nel caso in cui si dovesse concretizzare una situazione peggiore di quella attesa.
Un'indicazione piuttosto incoraggiante arriva anche da Abby Joseph Cohen, strategist di Goldman Sachs (NYSE: GS - notizie) , che attribuisce scarse probabilità ad una recessione negli Stati Uniti, grazie soprattutto all'aiuto che continuerà ad essere offerto dalla Federal Reserve. Questo permetterà ai mercati azionari di continuare a muoversi lungo la via dei guadagni, con un occhio particolare rivolto a quello americano. Per l'esperta infatti è arrivato il momento di iniziare a rimpinguare i portafogli con asset denominati in dollari, considerato che il biglietto verde ha già perso abbondantemente terreno nei confronti delle altre valute mondiali.

 

Fonte - Corriere.it

 

 

 

Bernanke manda a fondo i listini. La crescita rallenterà nei prossimi mesi ma non ci sarà recessione

Giovedì 8 Novembre 2007, 19:55 - di Corriere.it
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La pesante flessione registrata ieri dalla piazza azionaria americana non è bastata ai ribassisti che anche oggi sono tornati a prendere il controllo della situazione, con una nuova ondata di vendite che mette sotto pressione i principali listini d'oltreoceano. Nonostante qualche incertezza, nelle prime ore di contrattazioni gli indici hanno cercato di mantenersi a galla, mostrando comunque non poco nervosismo.

Ancor prima del giro di boa però si è registrata un'accelerazione ribassista che sta penalizzando in particolare il Nasdaq Composite (NASDAQ: notizie) , con perdite anche nell'ordine di tre punti percentuali.
A rendere più pesante il clima e ad alimentare le preoccupazioni degli operatori sono state le dichiarazioni rilasciate quest'oggi dal presidente della Federal Reserve. In occasione dell'audizione davanti al Joint Economic Committee, Ben Bernanke non ha fatto mistero dei rischi che gravano sulla crescita economica, già in parte annunciati in occasione degli ultimi suoi interventi.
Il numero uno della Banca Centrale americana ha fatto sapere che la congiuntura a stelle e strisce registrerà un forte rallentamento durante il trimestre in corso, nonostante i dati diffusi fino alla fine del mese scorso hanno mostrato una sostanziale tenuta della stessa.
La crescita registrata nel corso del terzo trimestre non è probabilmente sostenibile, ma per ora viene escluso uno scenario da recessione. L'economia è destinata a rimanere debole anche durante i primi mesi del prossimo anno, e solo a partire dalla primavera si dovrebbe assistere ad un rafforzamento della stessa. La ripresa dovrebbe essere favorita da una parte da un allentamento della correzione del mercato immobiliare e dall'altra da quello delle restrittive condizioni del mondo del credito.

Nel corso della sua testimonianza davanti alla Commissione economica congiunta del Congresso, Bernanke ha inoltre dichiarato che la crisi del settore immobiliare si intensificherà e rischia di accelerare durante il prossimo anno, portando ad un rallentamento della crescita dei consumi interni. A ciò si accompagnerà un aumento delle insolvenze nel settore dei subprime nel corso dei prossimi trimestri. Le previsioni del presidente della Fed parlano di perdite massime per 150 miliardi di dollari in riferimento ai mutui ad alto rischio di insolvenza, una cifra più alta dunque di quei 100 miliardi indicata all'inizio dello scoppio della crisi.
Tali aspettative lasciano chiaramente trasparire i rischi al ribasso per lo scenario economico attuale, tanto le condizioni del mercato finanziario potrebbero non migliorare o addirittura peggiorare, provocando un ulteriore restringimento nel settore del credito. Un altro rischio è rappresentato dalla possibile discesa dei prezzi delle case in misura maggiore del previsto, con una conseguente riduzione dei consumi delle famiglie e un aumento dei timori degli investitori.
Nonostante ciò, per Bernanke l'economia continua a inviare buoni segnali e questo fa sperare in una ripresa a partire dalla prossima primavera. Per quanto ci sia ora un delicato equilibrio tra i rischi sulla crescita e quelli sull'inflazione, la congiuntura è migliore di quella degli anni settanta, di conseguenza per ora non si intravede il pericolo di cadere in recessione o di tornare come allora alla stagflazione.
Insieme al rallentamento dell'economia però si avranno anche dei rischi sul fronte dell'inflazione che per ora, nella componente “core”, si presenta in linea con la stabilità dei prezzi nel corso del 2008. Non sono comunque da sottovalutare le minacce che arrivano non solo dal rialzo del prezzo del petrolio ma anche dalla debolezza del dollaro. In riferimento a quest'ultima Bernanke non si è mostrato affatto preoccupato, tanto da dichiarare che il biglietto verde rimarrà una delle principali valute internazionali, motivo per cui non vede per ora significativi cambiamenti nei portafogli internazionali.
Il presidente della Fed ha comunque ribadito nel suo discorso che dopo l'ultimo taglio dei tassi di interesse, deciso a fine ottobre, l'attuale livello della politica bilancia i rischi al rialzo per l'inflazione e quelli al ribasso per la crescita. La posizione dunque non cambia rispetto a quanto già comunicato lo scorso 31 ottobre e in merito alle decisioni future Bernanke ha assicurato che la Banca Centrale americana continuerà a monitorare con molta attenzione l'evoluzione dei mercati finanziari e i prossimi dati macro, pronta ad agire come necessario per assicurare la stabilità dei prezzi e una crescita sostenibile.
Quel che è certo per ora è che le dichiarazioni del Chairman non solo non hanno fornito alcun aiuto ai mercati, ma hanno appesantito l'umore degli investitori, favorendo un incremento delle vendite. A questo punto bisognerà attendere per vedere dove si fermerà il ribasso innescato da alcune giornate, in attesa di un ritorno della fiducia che possa favorire una ripresa dei listini, salvando così il tanto atteso rally di fine anno.

 

Fonte - Corriere.it

 

 

 

Gestori più pessimisti sulle Borse

19 Novembre 2007 - di Sara Silano
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La discesa dei mercati azionari non è finita. L’Europa deve fare i conti con la forza dell’euro e le tensioni inflazionistiche, mentre gli Stati Uniti non riescono a voltare pagina dopo la crisi dei mutui subprime. L’economia non sostiene il listino giapponese. Ancora volatilità nei rapporti valutari.
A novembre scendono bruscamente i gestori ottimisti sui mercati azionari internazionali. Secondo l’ultimo sondaggio condotto da Morningstar tra le principali case di investimento italiane ed estere, la fase di turbolenza non è finita, perché resta da quantificare l’impatto della crisi dei mutui americani e l’entità del rallentamento economico in occidente.

L’Europa fa i conti con il super-euro e l’inflazione

Nell’ultimo mese, gli ottimisti sulle Borse europee sono scesi dal 78% di ottobre al 43%, mentre i pessimisti sono cresciuti dal 4 al 24%. I gestori considerano buono il quadro economico, ma ammettono che l’espansione della crisi dei mutui subprime (quelli di bassa qualità) americani ha lasciato il segno. In particolare, le esportazioni verso i principali mercati sono destinate a rallentare, con l’eccezione dell’area asiatica. Pesa la forza della divisa comunitaria che continua a macinare record nei confronti del dollaro.

Innervosisce i mercati anche il rischio di un aumento dell’inflazione come conseguenza del rincaro del prezzo del petrolio, delle materie prime e di alcuni beni alimentari. Per quanto riguarda le valutazioni azionarie, i gestori sono divisi tra chi le considera ragionevoli e chi pensa non siano molto distanti dai massimi.

Il giudizio su Piazza Affari non si discosta in modo significativo da quello generale. Un fund manager su due è convinto che salirà nei prossimi sei mesi, mentre il 27,8% stima una discesa. In generale, è opinione comune che il listino italiano non riuscirà a fare meglio di quelli europei.

Ottimismo ai minimi su Wall Street

Dal sondaggio di novembre emerge una divisione pressoché paritaria tra i gestori che prevedono un aumento della Borsa statunitense (un terzo del totale), coloro che si attendono un calo (un altro terzo) e coloro, infine, che pensano possa stabilizzarsi attorno agli attuali livelli (33%). La percentuale di ottimisti è scesa di 26 punti percentuali rispetto ad ottobre.

E’ opinione condivisa che le crisi del mercato immobiliare e del credito siano destinate a pesare a lungo sull’economia, provocando un rallentamento maggiore di quanto inizialmente previsto. I gestori sono, comunque, cauti nel pronunciare il termine “recessione”, perché la debolezza del dollaro sostiene gli utili delle multinazionali e le esportazioni, mantenendo buoni livelli di occupazione. Come l’Europa, gli Stati Uniti devono fare i conti con una crescente inflazione, legata ai prezzi dell’energia e delle commodity.

Il Giappone è ancora malato

Rispetto a ottobre si è nuovamente spento l’ottimismo sulla Borsa di Tokyo. I gestori che prevedono un apprezzamento nei prossimi mesi sono scesi dal 68,2 al 47,6%. L’economia continua a dare segnali di debolezza ed è vulnerabile alla contrazione dei consumi americani, dal momento che gli Stati Uniti sono il principale mercato commerciale per il Giappone. Inoltre, il possibile rafforzamento dello yen potrebbe influire negativamente sugli utili aziendali. In questa situazione, la Banca centrale ha deciso di lasciare i tassi invariati a livelli molto bassi, ma la fase di normalizzazione, dicono i gestori, è solo rimandata e il prossimo anno potrebbero esserci nuove strette, sulla scia di un orientamento di politica fiscale più accomodante.

Sul fronte delle valutazioni azionarie, i fund manager sono divisi tra coloro che considerano i titoli nipponici poco attraenti e coloro che li stimano sottovalutati. E’ un fatto però che, come spiega Kevin Grice, economista di American Express “gli investitori domestici rimangono cauti sulle azioni, mentre gli esteri stanno perdendo la pazienza dopo le scarne performance del listino dall’inizio del 2006”.

Banche centrali, occhi puntati sull’inflazione

Nella riunione dell’8 novembre la Banca centrale europea ha lasciato i tassi invariati al 4% e ha ribadito che l’obiettivo di medio periodo è quello di tenere sotto controllo l’inflazione, che si prevede rimanga sopra il target del 2% nei prossimi mesi. I gestori pensano che l’istituto di Francoforte starà ancora fermo per un po’ di tempo, considerata l’alta volatilità dei mercati e le tensioni nel settore creditizio. Conclusa tale fase di incertezza, secondo alcuni fund manager i tassi torneranno a salire; mentre secondo altri scenderanno. Per quanto riguarda i prezzi delle obbligazioni, il 45% degli intervistati stima un calo nei prossimi sei mesi, contro il 25% che prevede un incremento. La curva dei rendimenti è diventata leggermente più inclinata ad ottobre, tuttavia il differenziale tra breve e lungo termine è ancora ridotto. Per questa ragione prevale la preferenza per la parte corta della curva.

Il discorso è diverso negli Stati Uniti. Per il 38% dei gestori, i prezzi delle obbligazioni saliranno nei prossimi sei mesi, contro il 28,6% che prevede una discesa. La maggior parte dei fund manager stima un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve per evitare la recessione, cui potrebbe seguire un rialzo nel medio periodo finalizzato a contenere l’inflazione. Anche nell’area dollaro, il suggerimento è quello di preferire la parte breve della curva, meno sensibile a un aumento del costo della vita.

Dollaro vicino a una svolta?

A novembre, sono aumentati i gestori che prevedono un indebolimento dell’euro sul dollaro, passando dal 19% di ottobre al 30%. La maggior parte degli intervistati, comunque, è convinta che ci sarà una stabilizzazione del rapporto di cambio attorno agli attuali livelli. Per Nicola Trivelli, direttore investimenti di Sella Gestioni Sgr, “è probabile che nel breve termine l'euro continui ad apprezzarsi, mantenendosi in un range compreso fra 1,45-1,50. Tuttavia, nel medio-lungo periodo il cambio dovrà assestarsi sotto 1,50 per scongiurare una crisi del sistema finanziario internazionale”. Il biglietto verde, però, potrebbe deprezzarsi ulteriormente nei confronti delle valute asiatiche e, secondo alcuni gestori, anche l’euro potrebbe scendere perché gli investitori lo venderanno per comprare le divise giapponese e cinese.

Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra il 6 e il 13 novembre, 21 delle principali società di diritto italiano ed estero operanti sul territorio, che contano per circa il 75% degli asset gestiti in Italia. Si tratta di Aberdeen AM, Aletti Gestielle, Alpi Sgr, American Express, Anima Sgr, Azimut, Banca Fideuram, Banca Profilo, Bnl Gestioni, Bsi, Dws Investments, Henderson, Ing Im, Invesco, Investitori, Julius Baer Sgr, Mps Am, Pioneer Im, Sella Gestioni, Sgam, Total Return Sgr.

 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

  Mercoledì 14 novembre 2007   Venerdì 16 novembre 2007   Martedì 20 novembre 2007  
       
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GR1 RAI - 14 NOV. ore 23:00

   

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GR1 RAI - 15 NOV. ore 23:00

   

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GR1 RAI - 19 NOV. ore 23:00

   

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FOMC Minutes: tagliate le stime sulla crescita. Poco spazio per nuovo taglio tassi

Martedì 20 Novembre 2007, 22:05 - di A.b.C.
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In linea con quanto già indicato in occasione delle recenti comunicazioni e riprendendo quanto espresso nelle scorse giornate dal presidente della Fed, Bernanke, per la crescita economica a stelle e strisce ci sono notevoli rischi al ribasso. Preoccupazioni che hanno portato ad individuare maggiori incertezze per la congiuntura che per i rischi inflazionistici.

E' questo in estrema sintesi il messaggio che emerge dalla lettura dei verbali riferiti all'ultima riunione della Federal Reserve svoltasi il 30 e il 31 ottobre scorsi. In quell'occasione, lo ricordiamo, la Banca Centrale americana aveva deciso di tagliare nuovamente i tassi di interesse di un quarto di punto, portandoli al 4,75%, dopo la sforbiciata decisa a settembre.
Secondo quanto si legge nelle minutes diffuse questa sera, la Fed definisce ancora fragile la situazione dei mercati, spiegando che la maggior parte dei membri del Board prevede notevoli rischi al ribasso per la crescita. Le incertezza di cui si parla nei verbali sembrano riguardare più la congiuntura che i rischi sul fronte inflazionistico, anche se la dinamica dei prezzi al consumo potrebbe far registrare degli incrementi che renderebbero “costoso” fermare un'eventuale fiammata nel lungo termine. La Fed ha inoltre parlato di insolite pressioni sui mercati creditizi a breve termine, aggiungendo che si può stimare un probabile moderato andamento della spesa per investimenti.
La vera novità di questa sera però è rappresentata dal rapporto trimestrale voluto dal presidente Bernanke, presentato per la prima volta e contenente le previsioni sulle prospettive della crescita e dell'inflazione. In questa direzione però non sono arrivate notizie particolarmente incoraggianti, visto che la crisi dei mutui subprime ha costretto i membri del Board a rivedere le loro attese sull'economia a stelle e strisce.

La Banca Centrale americana ha infatti ridotto le stime sull'incremento del PIL atteso per il prossimo anno, e i numeri parlano ora di una forchetta compresa tra l'1,8% e il 2,5%. Un'indicazione che si colloca al di sotto delle precedenti stime diffuse a luglio quando il range era compreso tra il 2,5% e il 2,75%. Questa rivisitazione, secondo quanto precisato dalla stessa Fed, è il risultato di una serie di fattori, tra cui la crisi dei mutui, la debolezza del settore immobiliare e il rialzo del prezzo del petrolio.
La crescita del Prodotto Interno Lordo dovrebbe riprendersi invece a partire dal 2009 quando si prevede un incremento del 2,7%, da cui si scenderà al 2,6% l'anno successivo, quando si dovrebbe ritornare sui livelli di espansione del 2007.
La Fed ha rivisto anche le indicazioni sull'inflazione “core” che dovrebbe attestarsi il prossimo anno tra l'1,7% e l'1,9% rispetto al range indicato a luglio compreso tra l'1,75% e il 2%. Si tratta dunque di livelli che si inseriscono all'interno dell'intervallo compreso tra l'1% e il 2%, individuato come soglia di tolleranza, dopo che il dato si è mantenuto al di sotto del 2% negli ultimi quattro mesi.
Dalla lettura dei verbali si apprende inoltre che peggiorano le previsioni sul fronte della disoccupazione, visto che le attese parlano ora di un tasso compreso tra il 4,8% e il 4,9% in confronto al 4,75% individuato in precedenza, ricordando che ora la nuova lettura è peggiore anche di quella su cui scommette in media la comunità finanziaria.
Nel complesso si tratta di indicazioni che lasciano intendere come la Federal Reserve non intenda spingersi oltre con la sforbiciata dei tassi, dopo i due tagli consecutivi adottati nelle riunioni di settembre e di ottobre. Non a caso nei verbali di questa sera si parla di una decisione difficile in riferimento alle mosse di politica monetaria, secondo quanto emerso nell'ultimo meeting. Alla fine del mese scorso infatti si era deciso di abbassare il costo del denaro per offrire rassicurazioni contro un ulteriore indebolimento dell'economia a stelle e strisce. Tuttavia nell'ultima riunione è stata presa in considerazione anche la possibilità di lasciare i tassi fermi, proprio per le crescenti tensioni inflazionistiche generate dall'impennata dei prezzi del petrolio e dei beni alimentari.
Questo contribuisce così ad affievolire le speranze di un nuovo allentamento della politica monetaria a dicembre, anche se dopo la diffusione dei verbali, i Fed Funds sono arrivati a scontare ad oltre il 90% l'ipotesi di un taglio, segnando un forte rialzo rispetto al 73% dei giorni scorsi.
Decisamente nervosa la reazione dei listini Usa che dopo essere scivolati in territorio negativo ancor prima di conoscere le minute del FOMC, hanno accelerato al ribasso tanto da arrivare a segnare in alcuni casi perdite superiori ad un punto percentuale. Nell'ultima ora di contrattazione però si è assistito ad un repentino recupero che ha riportato gli indici al di sopra della parità, anche se a notevole distanza dai massimi segnati nella prima parte della seduta.

 

Fonte - Corriere.it

 

 

 

L'OCSE lancia l'allarme: il peggio per le Borse deve ancora arrivare

Giovedì 22 Novembre 2007, 20:34 - di Corriere.it
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A distanza di poco più di quattro settimane dalla fine dell'anno, i mercati azionari internazionali si presentano in una situazione che non è certo delle migliori. Nelle ultime giornate infatti si è avuta una pesante correzione che in molti casi ha portato i listini ad azzerare interamente il guadagno realizzato da inizio 2007, e per alcuni ci si è spinti anche oltre, basti pensare al Nikkei o all’indice domestico S&P/Mib.

Mentre si continua a sperare nel tradizionale rally di fine anno, le Borse non sembrano inviare alcun segnale di ripresa. Spesso infatti i timidi tentativi di rimbalzo vengono violentemente cancellate il giorno successivo da discese ancora più corpose, che spingono i listini sempre più in basso.
All'origine di questa fase di negatività troviamo senza dubbio la crisi dei mutui subprime che continua a seminare il panico tra gli investitori. E gli effetti sul mercato sono ancor più vistosi di quelli già sperimentati ad agosto quando i listini, dopo uno scivolone di alcune giornate, erano riusciti a ritrovare subito la via dei guadagni, grazie al tempestivo intervento delle diverse Banche Centrali.
La crisi è tornata così a colpire ora con maggiore veemenza e al momento non si riesce ad intravvedere alcuno spiraglio. Le prospettive infatti sono tutt'altro che incoraggianti, almeno stando a quanto emerge dalla lettura del “Financial Market Trends” realizzato dall'Ocse. Quest'ultima ha fotografato una situazione di grande incertezza anche per l'economia mondiale, spiegando che le perdite complessive derivanti dalla crisi del mercato dei mutui potrebbero raggiungere una cifra compresa tra i 200 e i 300 miliardi di dollari. Nel rapporto si legge infatti che il tasso di insolvenza a livello subprime sta progressivamente salendo negli Stati Uniti, senza aver raggiunto ancora un picco.
L'Ocse è convinta che sia necessario ancora del tempo per garantire un regolare funzionamento del mercato e in questa direzione un aiuto potrebbe arrivare dal mega-fondo promosso dalle più importanti banche a stelle e strisce per rilevare gli Abs detenuti dai SIV, ossia dai veicoli di investimento strutturati ora in difficoltà.
Secondo quanto riportato nel rapporto, il peggio per la crisi dei mutui deve ancora arrivare, visto che non abbiamo ancora toccato il punto peggiore dei riaggiustamenti, delle inadempienze e delle perdite finali sui mutui. L'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico fa sapere che la portata degli effetti della crisi sulla macroeconomia è ancora poco chiaro. Inizialmente infatti si era pensato che il fenomeno on avrebbe avuto effetti sostanziali sulla congiuntura americana e su quella globale, mentre ora si guarda alla possibilità di un aggiustamento economico più protratto nel tempo. Non a caso una recessione in America è vista come più probabile ora, ricordando che molti analisti hanno rivisto al ribasso le stime sulla crescita e un intervento simile è stato realizzato non più tardi di due giorni fa dalla Federal Reserve.
Il futuro dunque appare ancora nebuloso e sarà accompagnato da nuovi rischi di fallimento per le azioni più esposte al subprime. Ci sono pericoli in vista per i mutui a tasso variabile e si avrà un incremento anche del numero dei pignoramenti che potrebbe raggiungere vette storiche dopo i livelli record già segnati.
Ovviamente tutto questo rappresenta una seria minaccia anche per i mercati azionari, per i quali la recente correzione è solo il precursore di una fase di ribasso più protratta nel tempo. L'unica nota positiva è data dal fatto che la crisi si è materializzata in un periodo in cui l'economia globale gode di buona salute.
Questo però non deve far illudere, così come non bisogna lasciarsi ingannare dalla ripresa dei listini avuta a settembre e ottobre dopo le turbolenze di agosto. L'organizzazione di Parigi fa notare che fino a questo momento sembra che gli investitori abbiano ignorato il clima negativo che si è respirato durante l'estate, ma potrebbe essere troppo presto per trarre delle conclusioni certe. C'è grande incertezza per il futuro e sicuramente saranno necessari più dati per poter stabilire in maniera più precisa l'impatto della crisi.
Per questo motivo l'Ocse ritiene che la recente correzione possa essere sono l'inizio di una fase negativa più lunga, perché spesso gli aggiustamenti si verificano ad ondate e quindi sono necessari mesi perché si possano quantificare le ricadute sulle imprese e sui consumatori.
Da non dimenticare inoltre che siamo in presenza di un elevato livello di liquidità che rappresenta un rischio per i mercati finanziari, in quanto si potrebbe assistere alla creazione di bolle. Potrebbe essere il caso dei mercati emergenti che al momento stanno catalizzato l'interesse dei fondi alla ricerca di nuove opportunità di investimento. Se però in America si dovesse assistere ad una correzione più marcata delle attese, allora saranno inevitabili le ripercussioni anche sui listini dei Paesi emergenti.
Infine, l'organizzazione parigina mette in evidenza che la risalita delle Borse a settembre e a ottobre è stata accompagnata da un'euforia circoscritta solo al mercato azionario. Se si guarda in altra direzione infatti si nota facilmente che il dollaro ha continuato a perdere terreno e questa debolezza ha irrigidito le condizioni monetarie nel resto del mondo, rendendo più difficile un coordinamento internazionale. Da non trascurare in ultimo il forte apprezzamento del petrolio e più in generale delle materie prime che rende ancora più delicato e fragile l'intero scenario macro.

 

Fonte - Corriere.it


 

 

 

  Mercoledì 21 novembre 2007   Mercoledì 21 novembre 2007   Giovedì 22 novembre 2007  
       
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Il Sol levante non riesce a risorgere

07 Novembre 2007 Milano - di Sara Silano
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L'indice Msci del Paese nell'ultimo mese ha perso il 6%. La BoJ ha abbassato le stime per il Pil del prossimo anno. Stagna la domanda interna e c'è preoccupazione per quella internazionale. Soffrono le aziende dell'export.
Chi ha puntato sul Giappone ha tutte le ragioni per essere di malumore. L’indice Msci del Paese nell’ultimo mese (fino al 7 novembre e calcolato in euro) ha perso il 6% secco, piazzandosi al secondo posto fra i peggiori panieri geografici e settoriali dietro al finanziario (-10%). E la situazione, dicono gli economisti compresi quelli della Bank of Japan, potrebbe peggiorare nelle prossime settimane.

Sullo sfondo di questa previsione c’è una situazione macroeconomica complicata. Nel terzo trimestre dell’anno chiuso il 30 settembre, il Pil ha registrato una crescita dell’1,9% rispetto alla discesa dell’1,2% dei tre mesi precedenti, grazie a una ripresa delle esportazioni e degli investimenti da parte delle aziende. Ma il dato non è servito a rassicurare gli operatori, preoccupati dalle prospettive future indicate dalle autorità politiche e monetarie. Il Governo ha comunicato che il cosiddetto Leading Index (un indicatore chiave della direzione dell’economia) è caduto ai livelli più bassi dell’ultimo decennio. La BoJ, da parte sua, ha abbassato le previsioni sulla crescita del Giappone nell’anno 2008 (che si chiuderà a marzo), portandole dall’2,1% all’1,8% e potrebbe decidere di non toccare i tassi di interesse.

Un quadro completo della situazione si avrà soltanto il 13 novembre, quando l’esecutivo rilascerà i dati ufficiali relativi al terzo trimestre. Ma nel frattempo la fotografia sta assumendo contorni più definiti. E non è una bella immagine. Il comparto immobiliare a settembre ha registrato la peggiore crescita degli ultimi 40 anni, anche per colpa delle nuove leggi più restrittive in materia di concessioni edilizie.

La domanda interna, intanto, stagna e gli stipendi sono scesi per l’ottavo periodo consecutivo negli ultimi nove mesi. Anche i bonus estivi, che di solito corrispondono a una buona fetta del salario sono diminuiti per la prima volta in tre anni. La situazione è talmente grave che Pioneer, il terzo produttore di tv al plasma del Paese ha cancellato il progetto di costruire una nuova fabbrica.

Dal punto di vista operativo gli investitori fanno i conti anche con quello che sta succedendo nel resto del mondo e che, dicono, avrà riflessi importanti sulla Borsa di Tokyo. La situazione difficile degli Stati Uniti avrà un impatto pesante sui titoli dell’export, soprattutto su quelli dei costruttori di auto e di tecnologia.

C’è interesse, invece, per i titoli finanziari: soprattutto quelli legati al credito al consumo. Da una parte il crollo registrato dal comparto nell’ultimo anno (-31%) ha reso le azioni interessanti dal punto di vista dei prezzi. Dall’altra, la minore disponibilità di soldi potrebbe spingere i giapponesi a indebitarsi e, seguendo il modello americano, utilizzare sempre di più i pagamenti a rate. Sugli scudi, grazie alla domanda che arriva dai Paesi in via di sviluppo, restano le aziende siderurgiche.

 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

Il Sudamerica batte ancora tutti

08 Novembre 2007 Milano - di Marco Caprotti
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L'indice Msci dell'area nell'ultimo mese ha perso lo 0,6%. Ma la zona continua ad andare meglio del resto mondo. La richiesta di materie prime attrae gli investitori. Ma, avvertono gli analisti, meglio scordarsi i guadagni del passato.
Petrolio vicino ai 100 dollari, richiesta delle commodity, debolezza del dollaro, prospettive di crescita intatte. I motivi per investire in America Latina, dicono gli analisti, ci sono ancora tutti, soprattutto se si ha un buon appetito per il rischio.

E’ vero aggiungono, che l’indice Msci dell’area nell’ultima settimana (fino all’8 ottobre e calcolato in euro) ha perso poco più del 5%. Ed è anche vero che in un mese ha lasciato per strada lo 0,6%. Ma nel primo caso è riuscito comunque a fare meglio degli Stati Uniti, mentre nel secondo ha stracciato tutti gli altri listini geografici e settoriali.

La ragione del rallentamento, dicono gli operatori, è da ricercare in una generale presa di profitti registrata dalle piazze finanziarie di tutto il mondo e che ha penalizzato maggiormente un’area che da inizio anno, dal punto di vista borsistico ha guadagnato più del 36% facendo segnare, anche in questo caso la miglior performance.

In ogni caso, proprio alla luce di queste corse, è meglio non aspettarsi i ritorni fenomenali visti fino ad ora. Nell’ultimo quinquennio, in generale, le Borse latinoamericane sono cresciute a una media del 60%. Adesso è più ragionevoli attendersi guadagni del 20%, facendo sempre attenzione ai Paesi su cui si scommette.

A sostenere la crescita saranno ancora le materie prime, petrolio in testa. Con un barile vicino ai 100 dollari e una minore quantità di fisico, l’America Latina, insieme all’Africa, diventerà una delle mete principali per cercare nuovi giacimenti con un’inevitabile ricaduta positiva sul fronte degli investimenti. La debolezza del biglietto verde, che è arrivato a toccare 1,47 contro euro, inoltre consente di fare buoni affari negoziando commodity, da sempre un asset che si paga in dollari.

Dal punto di vista macroeconomico, le prospettive sono interessanti. Illuminante, in questo senso è l’esempio del Brasile. La crescita economica, quest’anno, dovrebbe essere vicina al 5% in uno scenario (come dicono gli economisti) di inflazione in diminuzione. Aumenta inoltre la richiesta di materie prime. L’estrazione di nickel (essenziale per la produzione di acciaio), per esempio, dovrebbe crescere di circa l’11% (annualizzato) nel corso dei prossimi quattro anni. Questa situazione porterà un incremento della ricchezza pro capite e farà bene al comparto dei consumi e, nello specifico, della grande distribuzione. Contemporaneamente si sta assistendo allo sviluppo del sistema finanziario. Ci sono istituti di credito, come Banco Itaù, che sono in grado di dare rendimenti vicini al 30%.

In ottica operativa, la parola d’ordine che circola fra gli operatori è prudenza. Un consiglio che trova conferma guardando cosa è successo durante la recente crisi dei subprime (i mutui americani di scarsa qualità). Fra luglio e agosto ci sono fondi di investimento specializzati nell’area che hanno perso più del 20%. L’indice Msci Latin America, nello stesso periodo, è sceso del 14,6%.

Insomma la correzione globale non ha risparmiato nemmeno il Sudamerica. I più accorti, però, hanno approfittato della tempesta per mettere in portafoglio titoli che venivano svenduti. Viste le caratteristiche di quei mercati, tuttavia, è un’operazione sconsigliata a chi soffre di attacchi di panico.

 

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

L'Asia è bella ma pericolosa

27 Novembre 2007 Milano - di Maria Grazia Briganti
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L'indice Msci della regione in un mese ha perso più dell'11%. Gli investitori sono ancora condizionati da subprime e prezzo del petrolio. L'economia di Cina e India continua a crescere. Ma per gli analisti è meglio essere cauti.
Volatilità. Sarà ancora questo, secondo gli analisti, il tema dominante soprattutto sui mercati asiatici nelle prossime settimane. L’indice Msci Asia Pacific ex Japan nell’ultimo mese (fino al 27 novembre e calcolato in euro), ha perso l’11,4% piazzandosi all’ultimo posto fra gli indici geografici e settoriali.

Chi guarda alla regione deve fare i conti con gli effetti della crisi dei mutui americani subprime (quelli di scarsa qualità), con le alte valutazioni di alcuni titoli e con il prezzo del petrolio sempre pericolosamente vicino ai 100 dollari al barile. Un mix di elementi poco rassicuranti, soprattutto, per una zona considerata molto rischiosa in un momento un cui l’appetito degli investitori langue. A far ben sperare ci sono comunque Cina e India. Le due economie continuano a correre nonostante i tentativi dei rispettivi governi di raffreddare la situazione per evitare il galoppo dell’inflazione. In base alle previsioni dell’Economist Intelligence Unit il Paese del drago quest’anno registrerà una crescita del Pil superiore all’11%, che si dovrebbe assestare sopra all’8% nel prossimo quinquennio. Per quanto riguarda l’India si stima un +8% per il 2007 che, fino al 2012 dovrebbe diventare +7,5%.

Questi dati, in ogni caso, non giustificano un approccio troppo disinvolto agli investimenti nell’area. Soprattutto per quanto riguarda la Cina. “Una crescita economica superiore alla media non sempre si traduce in una buona performance di Borsa”, scrive in un report William Rocco, analista di Mornigstar. “Chi investe in Cina si espone a una vasta gamma di rischi. Prima di tutto si tratta di un paese comunista in cui il governo è legato a filo doppio alla maggior parte delle aziende. Si tratta poi di un’economia molto dipendente dalle esportazioni. Un rallentamento dei mercati di sbocco o misure protezionistiche da parte degli Stati Uniti o dell’Europa potrebbero minarne la salute”.

Il discorso, fatte le debite proporzioni soprattutto per quanto riguarda i rischi politici, vale per tutta la regione asiatica. L’India, per esempio, è una democrazia piena. Le prossime elezioni sono previste per il 2009, ma secondo gli osservatori potrebbero tenersi prima. Molta della stabilità dipenderà anche dai rapporti con il Pakistan, la cui situazione, però rischia di infiammarsi da un momento all’altro.

Dal punto di vista operativo le prospettive dei titoli asiatici sono legate a quelle degli Stati Uniti. Fino ad ora le aziende hanno avuto buoni risultati trimestrali. Ma il rallentamento degli Usa, o un’eventuale recessione di cui si sente parlare sempre più spesso, avrebbe impatti significativi sui bilanci. Il comparto finanziario inoltre, che da sempre contribuisce alla crescita della regione sta facendo sentire sinistri scricchiolii dovuti alla crisi dei subprime sul quale era particolarmente esposto. Hsbc una delle banche più attive nella regione, potrebbe essere costretta ad aumentare l’importo delle svalutazioni legate ai mutui americani.

I numeri della crisi, in effetti, fanno impressione. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico le maggiori istituzioni finanziarie mondiali hanno già mandato in fumo 50 miliardi di dollari con le svalutazioni. Le perdite, alla fine del 2007, potrebbero ammontare a 300 miliardi.

 

Fonte - MorningStar.it

 


 

Sabato 24 novembre 2007   Giovedì 29 novembre 2007   Venerdì 30 novembre 2007
   
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GR1 RAI - 26 NOV. ore 23:00

   

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GR1 RAI - 28 NOV. ore 23:00

   

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GR1 RAI - 29 NOV. ore 23:00

   

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MIFID, teoricamente investitori più tutelati

02 Novembre 2007 Milano - di Kw Economia
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Gli interessi del cliente al centro dell'attività di intermediazione con l'impegno a garantire sempre l' “esecuzione dell'ordine alle migliori condizioni” (best execution) senza più obbligo di concentrare gli ordini sui mercati regolamenti. Questi i cardini della direttiva MiFID che disciplina gli intermediari e i mercati finanziari a livello comunitario in vigore dal 1° novembre. In concreto la direttiva per quanto riguarda gli intermediari introduce e regolamenta come nuovo servizio quello della consulenza. Sul fronte degli investitori, invece, ridisegna la tutela dell'investitore, attraverso regole di condotta e l'obbligo specifico di servire al meglio l'interesse del cliente.

Nuove regole e nuove strategie - Per garantire una miglior tutela la MiFID individua tre tipologie di clienti: controparti qualificate, clienti professionali, e clienti al dettaglio. Per questi ultimi,che corrispondono di fatto agli investitori privati, scatta l'obbligo da parte degli intermediari di tutelare gli interessi del cliente tenendo conto delle sue caratteristiche di investitore sulla base della sua conoscenza diretta, garantendo il raggiungimento del miglior risultato possibile qualunque sia il tipo di strumento finanziario trattato. Per questo sono state abolite le regole sulla concentrazione degli scambi azionari e data la possibilità di creare una propria piattaforma di negoziazione, con l'obiettivo di creare concorrenza fra le diverse piattaforme e far scendere i prezzi per gli investitori.

Al via la revisione dei contratti - Le nuove regole di condotta degli intermediari in materia di: informazioni da fornire agli investitori, conoscenza del cliente, valutazioni di adeguatezza o appropriatezza degli investimenti, best execution, gestione degli ordini e incentivi al collocamento sono contenuti in un regolamento varato da Consob e Banca d'Italia che ridisegna sul modello Mifid anche le regole di condotta da seguire nella gestione collettiva del risparmio e nella distribuzione di prodotti finanziari emessi da banche o da imprese di assicurazione. Il regolamento indica anche le modalità di ordinato passaggio dalla vecchia alla nuova normativa entro il termine ultimo del 30 giugno 2008: entro questa data dovranno essere rivisti e aggiornati tutti i contratti di intermediazione.

 

Fonte - Kw Economia

 
 

 

 

 

VORAGINE FONDI: PERSI 40 MILIARDI DA INIZIO ANNO

07 Novembre 2007 13:32 MILANO - di G.P. - Finanza&Mercati
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L’ultimo appello per salvare l’industria italiana del risparmio gestito arriva direttamente con i dati di raccolta di ottobre. Secondo le anticipazioni diffuse da Assogestioni, il sistema fondi ha bruciato 7,2miliardi di euro. E per il secondo mese consecutivo l’ondata dei disinvestimenti ha colpito indistintamente tutte le categorie di prodotti: dagli obbligazionari agli azionari, fino ad arrivare agli hedge (-88 milioni a ottobre), che si sono sempre cotraddistinti nel tempo per la loro costanza di risultati positivi.
Così, con la batosta di ottobre, il deflusso da inizio anno ha raggiunto la soglia dei 40 miliardi: più del doppio di quanto perso in tutto il 2006 (-17,86 miliardi). Una voragine generata esclusivamente dai fondi di diritto italiano, che nei primi dieci mesi del 2007 hanno visto i riscatti superare le nuove sottoscrizioni per oltre 45 miliardi (il bilancio dei fondi di diritto estero è positivo per 4,7 miliardi).
Insomma, il governo è chiamato a un intervento immediato per salvare l’industria italiana del gestito. Come ha più volte sottolineato il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, supportato dal Comitato Piazza Finanziaria (l’organismo presieduto dal viceministro dell’economiaRoberto Pinza), bisogna eliminare gli svantaggi fiscali che penalizzano l’italiano rispetto all’estero. Ma è fondamentale farlo subito, con un emendamento alla Finanziaria.

 

 

Economia: In Italia Quasi 10 Mln Famiglie Hanno Fondi Comuni

Sabato 10 Novembre 2007, 19:09 - di ANSA
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(ANSA) - MILANO, 10 NOV - In Italia sono circa nove o dieci milioni le famiglie che hanno fondi comuni di investimento di vari tipi, in particolare obbligazionari. E' questo uno degli elementi di cui si è discusso a Milano in un incontro tra Assogestioni e le principali banche, mentre nel Paese, secondo dati BanKitalia, cittadini e famiglie peraltro detengono obbligazioni in misura superiore rispetto alle altre famiglie
europee.
I motivi possono essere diversi - è stato fatto presente nell' ambito dell' incontro - . Dapprima va ricordato che l' Italia è un Paese con forte propensione al risparmio. Poi viene il resto: di fronte a chi vuole investire, da un lato possono essere le stesse banche a spingere i clienti verso obbligazioni magari proprie, prospettando rendimenti sicuri di fronte a periodi di Borsa tumultuosa come quelli attuali. Dall' altro possono essere i cittadini a chiedere questi tipi di prodotti in alternativa a fondi comuni e titoli di Stato.
Tuttavia, è stato rilevato che le obbligazioni detenute dagli italiani, oltre che in misura superiore rispetto a quelle detenute dalle famiglie europee, sono prevalentemente bancarie, anche se in base alle indagini su questa materia risulta che le banche italiane non emettono più obbligazioni rispetto alle consorelle europee.
Ma se questo è un dato dietro cui non si celano grandi misteri, nel senso che gli istituti del Belpaese possono essere semplicemente più attivi su quel fronte rispetto ad altri, il problema è quando le obbligazioni sono del tipo 'strutturate': quando cioé la 'struttura' è composta la maggior parte delle volte dal mercato azionario, se non sono addirittura legate all' andamento di un bene (ad esempio la resa di immobili).
Oltretutto, all' interno, questo tipo di obbligazioni strutturate possono contenere anche derivati e quindi il titolo ne segue l' andamento. "Questi prodotti, dice un operatore di una sim, sono poco chiari, ma fanno immaginare rendimenti elevati".
Non c' è peraltro una misura esatta del fenomeno delle strutturate - è stato evidenziato nel corso dell' incontro - anche perché ogni obbligazione ha una sua 'struttura'.
E se Assogestioni ha chiesto alle banche una maggiore chiarezza nel rapporto con i clienti, queste nell' incontro hanno anche voluto però far riflettere sulle difficoltà che esse stesse stanno incontrando per applicare la direttiva europea Mifid sulla trasparenza finanziaria. I rappresentanti di alcuni istituti hanno sottolineato la farraginosità di vincoli, i costi che a volte per esse comportano l' applicazione della normativa, chiedendo integrazioni già presentate a Consob e BanKitalia.
Altre banche hanno lamentato come la questione subprime tiri giù i listini in Italia senza motivo, perché le banche del nostro Paese non sono così esposte su quel versante; altre hanno rilevato come i clienti lamentino commissioni eccessive ma il governo non si decide ancora a definire una tassazione univoca dei titoli per il futuro, mentre la politica continua a parlare della famosa 'cedolare secca' del 20%.
Sta di fatto, è stata la conclusione dell' incontro, che le famiglie italiane mantengono ancora una buona propensione al risparmio, e questo è un bene, ma abituate ai recenti guadagni finanziari degli ultimi due anni cercano sempre più prodotti alternativi ai fondi comuni di investimento che invece restano ancora i più trasparenti e di sicura gestione rispetto ad altri.
(ANSA).
 

 

 

Una terapia per le sgr

15 Novembre 2007  - di Sara Silano - MorningStar
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L’industria italiana dei fondi si dibatte tra una raccolta sempre più in rosso e una competizione più accesa per l’ingresso di nuovi operatori. L’appartenenza a un gruppo bancario per la maggior parte delle società è un ostacolo al cambiamento. Il futuro è nell’indipendenza.
La prossima settimana Assogestioni diffonderà i dati sull’industria dei fondi nel terzo trimestre. Il rapporto offre un quadro più completo rispetto a quello mensile, perché comprende un maggior numero di società estere. Sarà quindi l’occasione per fare il punto sulle tendenze del settore. Un fatto, però, è certo: negli ultimi mesi la raccolta dei prodotti domestici si è tinta ancor di più di rosso, portando il bilancio da gennaio a -45,2 miliardi di euro.

C’è chi ha già sentenziato la fine dello strumento “fondo”, ma c’è anche chi prova a delinearne linee di evoluzione futura. Una ricerca di McKinsey, presentata da Omar Collavizza nel corso di un convegno promosso nei giorni scorsi da MondoHedge e Morningstar, individua sei direzioni di cambiamento dell’industria. La prima è la sempre maggiore apertura dei canali distributivi ai prodotti di terzi, in particolare dei grandi gruppi internazionali. La seconda è di carattere demografico, legata al progressivo invecchiamento della popolazione che fa sorgere l’esigenza di studiare strumenti dedicati agli ultra-sessantenni. La terza è l’innovazione normativa (Ucits III, Mifid, ecc.), che apre il mercato a una dimensione pan-europea. La quarta è la polarizzazione della domanda tra Alpha e Beta, ossia tra prodotti attivi e indicizzati. La quinta è la diffusione di strutturati (obbligazioni, certificati, ecc.), che registrano tassi di crescita della raccolta tra il 15 e il 20% in tutta Europa. L’ultima direzione, che è conseguenza delle precedenti, è la caduta delle barriere tra società di gestione tradizionali, banche d’investimento, compagnie assicurative, private equity ed hedge fund.

Secondo questa indagine, le sfide sono due: raggiungere una maggior efficienza e aiutare il cliente ad orientarsi in un mondo più complesso. Lo scenario delineato mostra una crescita delle masse dei prodotti indicizzati, che però hanno margini di ricavi contenuti per le società, e lo sviluppo di una nuova arena in cui competono tutti gli “attori dell’Alpha” (sgr, banche, assicurazioni, ecc.), con prodotti strutturati e strategie flessibili, che garantiscono opportunità di profitto più elevate.

In questo quadro evolutivo, secondo Collavizza, le società di gestione tradizionali non hanno futuro se non accettano la sfida del cambiamento, perché il loro attuale modello di business offre margini risicati e una crescita contenuta delle masse gestite. Per sopravvivere, quindi, devono spostarsi nell’arena degli “attori dell’Alpha”.

Sulla necessità di una svolta nell’industria siamo tutti d’accordo; sulla direzione si può discutere. Probabilmente quella dei fondi strutturati, del maggior impiego di derivati e di strategie simili a quelle degli hedge fund non è l’unica e soprattutto non è per definizione quella che meglio soddisfa le esigenze dei risparmiatori e li aiuta ad orientarsi in un mondo più complesso. Inoltre, non assicura alle società di gestione, soprattutto quelle italiane che appartengono in gran parte a gruppi bancari, la sopravvivenza.

Il problema non è solo di avere le armi per competere, ma anche di essere messe nella condizione per poterlo fare. Finché le banche continueranno a vendere altri prodotti, per loro più remunerativi (e secondo quanto è trapelato dall’ultima riunione tra istituti di credito ed sgr in Assogestioni sembra proprio che non abbiano intenzione di smettere), difficilmente le società di gestione riusciranno a riscattarsi. Probabilmente, solo con la separazione tra produzione e distribuzione la situazione potrà cambiare, ma questo passo, sollecitato anche dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, le banche pare proprio non lo vogliano fare. In questo modo ostacolano due volte le società di gestione: non promuovendo i fondi, ma altri prodotti, e non mettendole nelle condizioni di poter camminare sulle loro gambe. La domanda, dunque, è: quale futuro in questo contesto?

 

 

 

 

Arriva anche in Italia la class action

16 Novembre 2007 Milano - di MiaEconomia
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Arriva anche in Italia la class action, vale a dire l’azione che consente a un giudice di disporre il risarcimento per i danni subiti, non solo per le lesione individuali, ma anche per quelle rivendicate da una pluralità di consumatori, nel caso in cui i fatti abbiano un’origine comune.
L’aula del Senato ha infatti approvato (158 voti a favore, contrari 49 e 116 astenuti) l’emendamento di Roberto Manzione e Willer Bordon (Ud) all’articolo 53 della Finanziaria che introduce in Italia “l’azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori”. Decisivo un voto favorevole dato per errore del senatore di Forza Italia, Roberto Antonione, che salva la maggioranza.
La nuova disciplina entra in vigore 180 giorni dopo l’approvazione della Finanziaria e limita il pagamento delle spese legali da parte di chi perde la causa al 10% del valore della controversia.
La possibilità di azioni risarcitorie collettive non è prevista nel nostro ordinamento, mentre lo strumento è molto diffuso negli Stati Uniti.

La class action è uno strumento processuale che consente a una pluralità di soggetti che intendano far valere un diritto - siano essi consumatori o utenti di un certo servizio - di adire l’autorità giudiziaria con un’unica causa i cui esiti si riflettano su tutta la categoria.
La norma approvata dal Senato prevede l’ampliamento della platea dei soggetti che possono avviare l’azione, rispetto alle 16 associazioni del Consiglio nazionale consumatori e utenti che ne avevano facoltà secondo il ddl Bersani, attualmente all’esame della commissione Giustizia della Camera.
L’obiettivo è quello di non privare della possibilità di agire per azioni risarcitorie agli altri soggetti portatori di interessi collettivi. Le ulteriori associazioni legittimate ad agire saranno individuate con decreto del ministro della Giustizia, di concerto con il ministro dello Sviluppo economico, sentite le competenti commissioni parlamentari.
La platea potrà essere allargata anche alle associazioni degli investitori. Le associazioni possono chiedere la condanna al risarcimento e la restituzione delle somme direttamente ai singoli consumatori interessati, in conseguenza di atti illeciti commessi “nell’ambito di contratti per adesione” e che l’utente non può discutere e modificare, di pratiche commerciali illecite o di “comportamenti anticoncorrenziali”. Nel caso in cui in cui sia riconosciuto il torto, anche parziale, del soggetto chiamato a rispondere, questi è condannato al pagamento delle spese legali.

 

 

Fonte - MiaEconomia