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INDICE ARTICOLI

PARTE  2

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Borse & Mercati - Previsioni

Cina, banche e speculazione. A settembre cadono le Borse?

Borse & Mercati - Previsioni

Report riservato ai gestori: come posizionarsi in autunno

Borse & Mercati - Previsioni

Il mercato azionario è troppo ottimista?

Banche e Crisi creditizia - Opinioni

Banche: continuano a imbottirci di dati falsi, ma nessuno gli crede più

Borse & Mercati - Previsioni

Come investono Paperino e Gastone in tempi di crisi

Borse & Mercati - Previsioni

Si riparte: chi ha soldi può fare buoni affari, gli altri no

Micro USA - Situazione e Previsioni

Corporate America: tanto cash, occhio a fusioni ed acquisizioni

Borse & Mercati - Previsioni

Gestori, la svolta … è qui

Borse & Mercati - Previsioni

Wall Street: attenzione che siamo quasi al finale

Borse & Mercati - Previsioni

Che farà il mercato prima di salire ancora?

Crisi creditizia e variabili macro/micro

«Moneta-merce e liquidità» I complici della crisi finanziaria

G20 e normative post crisi creditizia su Banche

G20: finito braccio di ferro politica vs banche

G20 e normative post crisi creditizia su Banche - Opinioni

G20: se lo conosci lo eviti. I mercati ignorano le chiacchiere

   
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+++  ANSA +++  Ven. 04 Set. 2009 - Ws: VEDE IL BICCHIERE MEZZO PIENO ED AVANZA +++   Lun. 14 Set. 2009 - Ws: POSITIVA, OBAMA RISOLLEVA GLI INDICI   +++   Mer. 16 Set. 2009 - Ws: SENZA FRENI, ESTENDE IL RALLY   +++   Lun. 28 Set. 2009 - Ws: SENZA SOSTA IL GRAN RALLY TARGATO OBAMA   +++  ANSA  +++
 
  Mercoledì 02 Settembre 2009   Domenica 06 Settembre 2009   Martedì 08 Settembre 2009  
       
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  Cina, banche e speculazione. A settembre cadono le Borse?

01 Settembre 2009 07:57 MILANO - di Vittorio Carlini

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Settembre è arrivato. Il mese in cui, di solito, cadono le Borse è iniziato. E, in molti si domandano: anche quest'anno la regola sarà confermata? Oppure, vivremo un'altra eccezione? Al di là delle dichiarazioni e dei commenti di molti esperti, i motivi per procedere con molta cautela sono numerosi. Il Sole24Ore.com ne ha analizzati, senza pretesa di completezza, alcuni.

 

  Grafico - BUND Tedesco   Grafico - TREASURY USA  
         
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Non fate ciò che dico, fate ciò che faccio. Potrebbe riassumersi così l'analisi del comportamento di molte banche e investitori istituzionali. Per rendersene conto basta ritornare con la mente al 26 agosto scorso. In quella data si è svolta un'asta di titoli di Stato, con la domanda che ha superato l'offerta. I BoT semestrali sono stati collocati con un rendimento medio ponderato dello 0,550%. Secondo Assiom, vuole dire un yield semplice al netto di tassazione e commissioni dello 0,08 per cento. Ebbene - si chiederà - cosa mostra questo fatto? La risposta è semplice: visto che gli acquirenti sono stati in maggior parte banche e istituzionali, ciò vuole dire che questi soggetti, spesso impegnati a distribuire ottimismo (pur con le debite riserve) sui rally dei mercati, preferiscono parcheggiare la loro liquidità a breve in investimenti con rendimenti vicino allo zero.

«In effetti - dice Alberto Drusiani, esperto obbligazionario di Albertini Syz - il messaggio di ottimismo sui mercati è arrivato con chiarezza. Però, tutta questa sicurezza sull'equity evidentemente non c'è. Gli istituzionali, che ovviamente sono già esposti sull'azionario, preferiscono diversificare». Si potrebbe obiettare che l'attuale forte inclinazione della curva dei tassi, sia negli Usa sia in Europa, segnala i timori della ripresa dell'inflazione e quindi, indirettamente, presuppone la ripresa dell'economia. Insomma, le condizioni per proseguire nella salita dei mercati ci sarebbero. Anche in questo caso, però, bisogna fare attenzione. Le obbligazioni a lunga durata scontano sì il surriscaldamento dei prezzi che, tuttavia, sembra essere più conseguenza dell'enorme liquidità immessa dalla banche centrali, piuttosto che di una vera ripresa dell'economia reale. Come dire, insomma, che passato l'effetto "ondata di liquidità" sul mercato, se l'economia non riparte i corsi azionari potrebbero risentirne.

Il rally di banche e istituzioni finanziarie
Un altro aspetto interessante da valutare, peraltro già indicato da questo questo foglio elettronico, è il balzo di molti istituti finanziari dai minimi di marzo. Basta ricordare il caso Aig che è cresciuta più del 614% negli ultimi 6 mesi, raggiungendo quota 50 dollari (dai 7 dollari toccati in marzo). È ben vero che si tratta di una quotazione sempre molto al di sotto di quelle prima del crollo: l'8 settembre 2008 Aig viaggiava sui 455 dollari. Tuttavia il carburante che ha spinto il titolo di recente non è stato poco. Proprio nello scorso agosto c'è stata un'accelerazione dell'innamoramento degli investitori per Aig: il 3 dello scorso mese il titolo è salito del 3,5% sulla notizia della nomina del nuovo ceo Robert Benmosche, al posto di Ed Liddy. Poi, è balzato del 63% sui rumors che il colosso assicurativo sarebbe tornato all'utile (5 agosto); una notizia confermata (per la felicità dei soliti insider) il 7 agosto, quando Aig ha pubblicato i conti del secondo trimestre: profitti netti a 1,8 miliardi e titolo che guadagna un altro 20,5%. Cui si aggiunge un altro salto in alto: il 20 agosto, dopo le parole di Benmoshe sulle buone possibilità di restituire gli 80 miliardi di dollari ricevuti dal governo, le azioni crescono del 21 per cento. Si tratta di un rally "sensato"? Indubbiamente, la trimestrale è l'indizio di una ripresa del business; cui deve aggiungersi il fatto che, con lo stato come azionista, il futuro di Aig è meno a rischio. Tuttavia, molti a Wall Street sottolineano che l'azienda ha ancora problemi. Solo due giorni fa Benmosche, tramite il Wall Street Journal, ha inviato un ramoscello di ulivo al grande vecchio della compagnia: Hank Greenberg. Quello stesso Greenberg con cui il gruppo assicurativo ha in piedi due cause per avere ricevuto compensi troppo elevati. E che si è sempre detto contrario alla cessione di asset del gruppo per fare cassa. Una strategia, quest'ultima, che invece Benmosche dice di voler perseguire con forza. Il tentativo di "riconciliazione" con Greenberg è un segnale che, i maligni, hanno interpretato come debolezza, soprattutto rispetto al piano di dismissioni.

Rotazione settoriale o fuga dalla Borsa?
L'idea che ha preso piede, e non solo nei confronti di Aig, è che i titoli finanziari siano stati colpiti da un'ondata speculativa. Un massa ingente di liquidità che cercava un qualche ritorno. Ora che l'ha trovato, è naturale che il fiume di soldi si indirizzi verso altri lidi. Dove? «Il comparto farmaceutico, l'energia e i consumi di base - risponde Mike O'Rourke, di Btig - hanno sottoperformato». Questi settori entreranno nel mirino degli investitori «dando vita non a una correzione - dice O'Rourke - bensì a un movimento laterale». L'idea, tuttavia, non convince tutti. «Se gli operatori vanno long sui comparti difensivi - sottolinea John Kosar, di Asbury Research - significa che non sono così sicuri della tanto decantata ripresa economica. Molti money manager hanno investito per cogliere il momento e non perché credono nella Borsa. Il rischio è che, ad un certo punto, gran parte di loro scelga di uscire, contemporaneamente».
Corsi e ricorsi storici
Le statitische, si sa, sono fatte per essere smentite. La recessione che stiamo vivendo ne è la prova lampante: i sistemi stocastici, basati su serie storiche, non hanno previsto alcunché. Tuttavia, vale la pena di ricordare che solo nel 1982 il buon andamento dei listini in agosto è proseguito in settembre. E soltanto in un altro anno, «nel 1972 - dice Nick Kalivas, di Mf Global Research-, dopo un rimbalzo del 4%, l'S&P500 è salito anche nel mese successivo». Un dato, insomma, che invita alla riflessione. Ed Yardeni la pensa diversamente. Secondo l'esperto, infatti, al di là dei dati storici ci sono alcuni elementi che danno forza al rally iniziato a marzo. Quali? In primis la Federal reserve che, mantenendo i tassi sullo zero, sostiene di fatto la liquidità; poi, l'iniezione di liquidità della Fed e delle altre banche centrali che hanno "monetizzato" più di metà del deficit federale Usa solo in questo anno; infine la Cina che, preoccupata di sostenere la domanda interna a fronte del calo di quella proveniente dall'America, proseguirà nella sua politica monetaria e fiscale espansiva.

La Cina vera locomotiva?
Già, la Cina. Non tutti gli esperti sono daccordo con la tesi di Yardeni rispetto al paese del Dragone. Lo scoppio della bolla di Shangai, infatti, ha convinto il governo di Pechino a preparare delle misure restrittive sull'emissione del credito facile, in particolare rispetto ai bond subordinati e a quelli ibridi. Il motivo? Nonostante, nel primo semestre dell'anno, la liquidità immessa nel sistema sia aumentata (e di molto) il loan deposit ratio (rapporto tra prestiti e depositi) è rimasto pressoché stabile al 66%. Un chiaro segno che il "denaro frusciante" è stato usato, più che per finanziare le imprese, per realizzare rischiosi investimenti a leva nel mercato azionario e nella speculazione immobiliare. Così Pechino ha voluto correre ai ripari. La stretta , però, rischia di rallentare la crescita economica del Paese. Se così fosse, anche solo in parte, la tanto decantata spinta del Far East all'economia mondiale potrebbe rivelarsi una chimera.

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

  Report riservato ai gestori: come posizionarsi in autunno

01 Settembre 2009 22:11 SIENA - di *Antonio Cesarano

*Questo documento e' stato preparato da Antonio Cesarano, Head of Market Strategy di MPS Capital Services

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Proviamo a sintetizzare le principali "anomalie" che vengono riscontrate:

- perché mai i tassi governativi (soprattutto in area Euro) scendono ed i corporate spread si assestano e non continuano a restringersi pur in un contesto di borse che nel frattempo sono salite;

- perché mai le principali materie prime (in modo particolare il petrolio) continuano a rimanere elevate anche se nel frattempo l’indice dei noli ha registrato un marcato calo (-30% circa nel solo mese di agosto).

L’interrogativo è diventato sempre più frequente fino a che lo stesso FT ha pubblicato un articolo dal titolo "Questions over strength of recovery" in cui è contenuta una rapida carrellata delle principali argomentazioni addotte:

- il mercato azionario sconta una ripresa a V mentre invece quello obbligazionario teme che il miglioramento segnalato da diversi indicatori sia temporaneo, essendo troppo legato ad incentivi statali;

- il mercato azionario è risalito in buona misura su ricoperture di posizioni speculative corte: non a caso tra i titoli con performance migliori nel listino Usa furano quelli (ad es. AIG, Fannie Mae, Freddie Mac, Citigroup) sui quali erano aumentate in modo rilevanti le posizioni corte;

- il mercato obbligazionario starebbe anticipando la stagionalità settembre-ottobre, storicamente sfavorevole al mercato azionario;

- il mercato dei corporate bond avrebbe già corso molto e pertanto gli investitori starebbero preferendo spostarsi nuovamente sui bond governativi;
l’elevata liquidità in circolazione in cerca di investimenti profittevoli sta portando paradossalmente in rialzo i prezzi sia dei bond sia del mercato azionario.

Questa rapida sintesi contenuta in modo più esteso nell’articolo citato recante diverse citazioni di trader e gestori, aiuta ad avere un quadro più articolato e completo di come gli operatori cercano di interpretare gli andamenti che essi stessi in aggregato producono.

Proviamo allora a fornire una ricostruzione del quadro attuale. Procediamo in questo modo:

1) innanzitutto una breve analisi delle informazioni dai fondamentali,
2) una rapida carrellata di come sono posizionati i gestori mondiali;
3) infine il tentativo di proiezione in avanti.

Indichiamo i singoli punti in modo che, chi non fosse interessato può andare direttamente al punto di maggior interesse. La parte macro e quella inerente il posizionamento degli operatori è descritta in corsivo.

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1) Quadro macro

Il quadro macro è indubbiamente migliorato, complici soprattutto gli effetti dei piani governativi implementati un pò in tutte le aree del mondo.
Cronologicamente è partita per prima la Cina con un piano da circa 600Mld$ approvato a novembre 2008 ed implementato già nel primo semestre con l’appoggio rilevante anche del fortissimo incremento dei prestiti delle banche domestiche. Le autorità cinesi però, nel corso dell’estate hanno progressivamente irrigidito i toni delle dichiarazioni e dei provvedimenti per evitare un surriscaldamento eccessivo degli investimenti, richiamando le banche al rispetto di requisiti patrimoniali più stringenti fino a porre in essere manovre per ridurre l’eccesso di capacità produttiva in alcuni settori chiave come quello dell’acciaio e del cemento.

La sintesi è stata l’emblematico linvito del premier Wen Jabao a non essere ciecamente ottimisti. L’effetto sulle borse locali (quelle cioè cui possono avere accesso solo gli investitori cinesi) è stato immediato: nel mese di agosto i listini sono scesi di circa il 25%. Inoltre dalla fine del 2008 e per tutto il primo semestre 2009 le autorità cinesi hanno deciso di porre in essere una corposa politica di incremento delle scorte di importanti materie prime, tra cui il petrolio ed il rame, approfittando dei prezzi da saldo che la crisi aveva prodotto. In questo senso spingono a pensare i dati relativi alle scorte sul solo mercato di Shangai che recentemente hanno evidenziato una ripresa della politica di riaccumulo, con le scorte di alluminio sul mercato di Shangai addirittura ai massimi storici.

Può sembrare paradossale che le stesse autorità governative promotrici del piano di stimolo, siano poi le stesse a gettare acqua sul fuoco per frenare gli effetti delle loro stesse manovre. In realtà i timori cinesi sono meglio comprensibili se si pensa che:

1) una parte della liquidità immessa nel sistema è verosimilmente stata investita in asset immobiliari e finanziari gonfiandoli in modo eccessivo rispetto alla reale domanda. Uno dei principali esponenti dell’agenzia di ricerca del paese (Development and Research Center) ha stimato che nei primi 5 mesi del 2009 circa 170Mld$ sono finiti sul mercato azionario. Le autorità cinesi pertanto stanno cercando probabilmente di contenere i rischi di una bolla;

2) il prossimo 1 ottobre saranno tenuti i festeggiamenti per il 60° anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese e probabilmente le autorità del paese cercano di contenere il rischio di brusche correzioni dei mercati. In altri termini, meglio prevenire che essere costretti ad intervenire proprio quando si accendono i riflettori mondiali in occasione della citata ricorrenza.

Gli Usa hanno approvato a febbraio il piano di supporto all’economia da 787Mld$. Il piano originariamente prevedeva pagamenti una tantum ai consumatori. In altri termini si lasciava ai consumatori libertà di scelta su come spendere i fondi ricevuti. Il risultato è stato un marcato aumento del tasso di risparmio. I consumatori Usa infatti, hanno preferito risparmiare quasi tutti i fondi ricevuti verosimilmente per far fronte all’enorme mole di debiti. Nel secondo semestre l’amministrazione Obama ha provato allora a cambiare strategia, decidendo di incentivare singole voci di spesa. 3 Mld$ del piano sono stati così dirottati verso il piano di rottamazione auto ed il successo è stato formidabile: in poche settimane i fondi sono andati esauriti.

E’ probabile che al rientro dalle vacanze il Congresso decida di rimodulare ulteriormente il piano: meno fondi concessi con discrezionalità sulla spesa e più incentivi specifici. Così ad esempio potrebbe accadere per il settore immobiliare. Al momento vi sono incentivi per l’acquisto della prima casa pari a 8000$ sotto forma di credito di imposta. L’importo potrebbe essere portato a 15.000$ estendendo i potenziali beneficiari anche agli acquirenti di seconda casa.

L’area Euro in parte si è agganciata al piano cinese. L’economia tedesca è quella che ne ha tratto maggior beneficio attraverso le esportazioni soprattutto di beni durevoli. L’elevato contenuto tecnologico di impianti e macchinari tedeschi rappresenta infatti un elemento di elevato vantaggio competitivo sui mercati asiatici. Nel secondo semestre potrebbero essere più evidenti gli effetti del piano tedesco da 80Mld€ approvato in due tranche tra la fine del 2008 e gli inizi del 2009.

In prospettiva emergono due opposti atteggiamenti da parte dei diversi paesi europei: chi (si veda il caso di Spagna e Francia) non è in periodo elettorale sta cominciando a far emergere l’intenzione di rialzo delle tasse. E’ quanto si sta discutendo in questi giorni in Spagna, in vista della definizione della manovra finanziaria d’autunno: le ipotesi contemplano un aumento dell’Irpef sui redditi più elevati oltre che un incremento dell’Iva.

Chi invece è prossime alle scadenze elettorali come nel caso tedesco (elezioni il prossimo 27 settembre) potrebbe invece indirizzarsi in senso opposto. In Germania ad esempio i 5Mld€ di dotazione del fondo per la rottamazione auto potrebbe esaurirsi nel giro di 15 giorni, con possibilità di proroga almeno parziale. Inoltre c’è chi ipotizza un taglio dell’Iva, annullando in parte o in toto l’incremento entrato in vigore ad inizio 2007.

Con riferimento al Giappone, la recente schiacciante vittoria dei democratici nelle elezioni per i rappresentanti della Camera Bassa, porterebbe a pensare (stando almeno alle intenzioni dichiarate in campagna elettorale) a manovre finalizzate al rilancio della domanda interna tra cui: circa 2500€ annui per ogni figlio, scuole superiori gratis, azzeramento pedaggi autostradali, meno tasse sulla benzina e per le piccole imprese, divieto di lavoro temporaneo nel settore manifatturiero.

In sintesi: i piani dei governi rimangono ancora indispensabili per supportare l’economia globale. Entro fine anno alcuni piani potrebbero essere rimodulati (caso Usa) per accelerarne l’efficacia, qualche altro potrebbe essere frenato nei suoi effetti eccessivi (caso Cina). Altri paesi infine (vedi Giappone e Germania) potrebbero implementarne altri nuovi.



2) Posizionamento gestori mondiali

Osservando i dati forniti dai sondaggi di alcune banche Usa (nel nostro caso abbiamo preso in esame quello di BofA-Merrill Lynch) su un campione ampio di gestori mondiali, si può osservare come i gestori non credessero nel recupero di marzo che li ha colti in contropiede. In quel momento infatti erano fortemente sottopesati di azionario. Il movimento al rialzo li ha pertanto costretti ad una ricorsa violenta nel secondo trimestre con effetti notevoli sulle performance dei mercati azionari. Nel secondo semestre e fino ad oggi le posizioni sono state completamente ribaltate al punto che ad agosto i gestori dichiaravano posizioni in sovrappeso di azionario ai massimi dall’ottobre del 2007.

Nel primo semestre è stato fatto molto "uso" dei corporate bond in portafoglio, verosimilmente perché lo scetticismo di fondo sull’effettiva efficacia dei piani governativi spingeva verso asset sì più rischiosi (come i corporate appunto) ma non ancora verso quelli a massimo grado di rischio (le azioni). Nel mese di agosto la continuazione del rally azionario ha poco alla volta convinto a spingersi più decisamente verso le azioni. Il ragionamento alla base potrebbe essere così sintetizzato: i corporate bond sono stati utili nel momento in cui la fiducia sul recupero del’encomia era ancora tiepida.

I dati consuntivi hanno certificato però una fase di stabilizzazione che agli occhi degli operatori è apparsa come un’imminente ripresa a V, ed allora meglio rivolgersi direttamente al più performante mercato azionario. Di conseguenza si è assistito ad una fase di arresto del forte restringimento degli spread corporate dei mesi scorsi.

Un breve flash sul fronte della politica monetaria: al momento la discussione riguarda solo il se, come e quando verranno poste in essere manovre di fuoriuscita dalle forti immissioni di liquidità ma sul fronte tassi di riferimento la percezione è che almeno nei prossimi 6/9 mesi le acque dovrebbero rimanere tranquille. Ed anche se vi fossero manovre di rialzo tassi si tratterebbe di qualche timida schermaglia, dal momento che il sistema finanziario ed economico necessita ancora del forte supporto delle banche centrali e dei governi. Piuttosto potrebbero emergere manovre innovative ulteriori per stimolare l’immissione della liquidità nel circuito del credito.

La banca centrale svedese (Riksbank) a luglio ha aperto le danze su questo fronte, chiedendo alle banche del paese una remunerazione per i depositi che le banche detengono presso la Riksbank (tasso negativo pari a -0,25%) per disincentivare la pratica di mantenimento di fondi presso l’istituto centrale. Si tratta di una pratica ancora molto diffusa invece in area Euro e negli Usa. I depositi overnight presso la Bce (attualmente remunerati allo 0,25%) che erano scesi verso i 15Mld€ a metà luglio, sono ritornati in media pari a circa 180Mld€ dopo la storica immissione di liquidità ad un anno (la prima nella storia della Bce) da oltre 400Mld€ a fine giugno. Con riferimento alla Fed, la riserva in eccesso rispetto a quella obbligatoria detenuta dalle banche presso la Fed a fine agosto era pari a circa 800Mld$, un valore molto elevato se si pensa che tale variabile era pari a circa 2Mld$ prima del fallimento di Lehman.


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3) e quindi…?

Facendo un po’ una sintesi delle indicazioni fornite in precedenza su quadro macro e posizionamento degli operatori si arriva alle seguenti conclusioni:

- i programmi governativi e delle banche centrali hanno prodotto un effetto stabilizzatore dando l’impressione di un’imminente ripresa veloce dell’economia;

- gli operatori inizialmente scettici hanno seguito i segnali di miglioramento prima rivolgendosi al mercato dei corporate bond e poi spostandosi sulle più rischiose azioni, fino a presentare ad agosto un sovrappeso di azionario ai massimi da circa 2 anni;

- nel frattempo la liquidità parcheggiata presso le banche centrali, in particolare Fed e Bce, rimane su livelli molto elevati;

Una volta ricostruito lo status quo proviamo a spingerci ad immaginare il futuro prossimo venturo.

Uno sguardo rapido alla storia:

il bimestre settembre-ottobre presenta una stagionalità storicamente sfavorevole al mercato azionario mentre invece il terzo trimestre è tipicamente più favorevole ai bond. Le ragioni di questo andamento piuttosto frequente risiedono nel fatto che i gestori tendono ad essere più propensi al rischio nella prima parte dell’anno quando un eventuale errore di posizionamento di portafoglio può essere ancora corretto in tempo. Inoltre diverse banche Usa hanno un bilancio fiscale terminante a novembre. Pertanto eventuali operazioni di presa di profitto sugli asset più rischiosi vengono effettuati proprio nei due mesi prima della chiusura.

A favore dei bond governativi nel terzo trimestre giocano da un lato la citata minore propensione al rischio ed anche la consueta minore pressione dal lato dell’offerta. Quest’anno i tassi governativi stanno seguendo un percorso in linea con gli ultimi anni: fase di rialzo nel primo semestre (soprattutto secondo trimestre) con picco a giugno e successiva fase di discesa nella seconda parte dell’anno. Il tutto si è verificato malgrado un miglioramento notevole della percezione del quadro macro e soprattutto nonostante il contestuale recupero del mercato azionario. Il mondo corporate invece ad agosto, come già segnalato, ha segnato una battuta di arresto in termini di spread. Ad inizio commento abbiamo segnalato le principali spiegazioni addotte a questo fenomeno.

L’impressione è che gli operatori cerchino da un lato di approfittare del forte rally azionario e dal’altro di bilanciare il rischio con i più sicuri bond governativi. Tutto ciò che sta nel mezzo (i corporate bond appunto) veine temporaneamente trascurato, senza arrivare per ora a vere e proprie vendite nette dal momento che la percezione sullo stato di salute dell’economia sta comunque migliorando.

I mesi di settembre ed ottobre si presentano al momento come quelli in cui maggiormente si colloca la possibilità di eventuali prese di profitto sul mercato azionario, anche in considerazione della forte pressione esercitata dalle autorità cinesi per scongiurare a tutti i costi un rischio bolla, cercando di pilotare il calo dei listini azionari interni ed indirettamente influenzando in parte anche quelli internazionali.

Sullo sfondo per fine anno occorre tenere in considerazione la possibilità di ulteriori piani di supporto alla crescita o la rimodulazione di quelli attuali, contribuendo pertanto a mantenere un clima in cui la percezione di miglioramento del quadro potrebbe prevalere. I rischi maggiori al momento sembrano collocarsi piuttosto verso la metà del prossimo anno quando verrà il momento cruciale per banche centrali e governi, ossia decidere se e come rientrare dai piani implementati cercando di evitare mosse affrettate pena una ricaduta, ed allo stesso tempo evitare spinte inflattive generate dall’enorme mole di liquidità.

In ogni caso sul fronte tassi governativi nel corso del primo semestre del prossimo anno e forse già a partire da fine 2009, potrebbero cominciare ad aumentare le spinte al rialzo soprattutto sulla parte a lungo termine. Se infatti le manovre continueranno ad avere effetto, allora aumenteranno le aspettative di inflazione. Se viceversa il clima dovesse diventare meno ottimista aumenterebbe l’aspettativa di ulteriori corposi piani governativi alimentati da ulteriori corpose emissioni, tenendo anche in questo caso sotto pressione il comparto (alias nuovamente tassi al rialzo).

Inoltre non va trascurato il rischio che le aspettative di inflazione (e quindi l’andamento dei tassi a lungo termine governativi) vengano ancora guidate non tanto da considerazione inerenti la domanda, quanto piuttosto dalla variabile energetica, dove rimane ancora elevata l’influenza della componente finanziaria, che potrebbe temporaneamente essere limitata laddove la commissione Usa sui mercati delle commodity dovesse adottare provvedimenti volti a contenere le posizioni speculative.

Il tema dell’andamento dei tassi di mercato sarà ancora molto importante per i governi dei principali paesi che verosimilmente dovranno ancora sostenere per diversi mesi l’economia a fronte di un sensibile incremento della spesa pubblica e quindi delle emissioni.

Le prime indicazioni in questa direzione le avremo dopo l’esito delle elezioni tedesche del 27 settembre, quando il nuovo governo sarà probabilmente chiamato ad implementare un secondo round di manovre con eventuali ripercussioni in termini di politiche di emissioni in ottica 2010.

Infine un breve riferimento al tema andamento dicotomico tra indice dei noli ed andamento delle materie prime. Il calo dei noli testimonia il fatto che globalmente il commercio mondiale si sta contraendo. Il rialzo delle materie prime a ben vedere si concentra su quelle più rappresentative per ogni comparto. Questo è il caso del petrolio per gli energetici, il rame per gli industriali, lo zucchero per le c.d. soft e l'oro per i preziosi.

Si tratta probabilmente del riflesso di una crescente presenza della componente finanziaria sui mercati delle commodity, in particolare dei c.d. index funds (soprattutto fondi pensione, fondi sovrani ed Etf, questi ultimi acquistati da tutti i principli gestori mondiali) il cui obiettivo è quello di replicare indici di commodity per beneficiare dell'eventuale rialzo in chiave di performance di portafoglio, difesa dal rischio inflazione (soprattutto fondi pensione) e dal rischio deprezzamento dollaro (soprattutto fondi sovrani).

I "replicanti" tendono pertanto ad acquistare solo le commodity principali. La conseguenza è evidente in alcuni casi come quello del gas naturale in forte calo malgrado il rialzo del gregggio, o ancora se si osserva la netta sottoperformance dell'alluminio rispetto al rame.

In estrema sintesi la dicotomia tra le indicazioni del Baltic Dry Index (prezzo noli navi) e andamento materie prime potrebbe avere come spiegazione il maggior peso della componente finanziaria come fulcro dell'andamento dei prezzi nel mercato delle materie prime rispetto alla percezione dello stato della domanda.

Fonte - Market Strategy MPS Capital Services


 

 

 

 

 

Utili aziendali: le attese col trucco

Tuesday, 1 September, 2009 at 17:50 - by John Christian Falkenberg
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Anche l’ultima “earning season” americana ha riportato un trionfo di risultati nettamente superiori alle attese. La situazione sembra meno rosea quando si considera quali fossero i livelli delle attese.
I grafici seguenti tracciano l’andamento delle stime sugli utili nel tempo. Si osservi che il livelli di utili operativi sull’indice S&P è risultato inferiore del 30% persino alle attese di Marzo, quindi dopo le pubblicazioni dei risultati aziendali del primo trimestre.

 

 

  Istogramma trimestrali USA - S&P500  
     
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Il “successo” avviene soltanto grazie al drastico abbassamento dell’asticella. Lo stesso processo si può ammirare nel grafico più a destra: le attese per il terzo trimestre continuano ad essere riviste al ribasso.
clipped from pragcap.com
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

Warren Buffet torna a comprare! Due nuove società a sconto

Martedì 1 Settembre 2009, 11:25 - di Paolo Crociato
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Gli ultimi mesi sono stati particolarmente positivi per i mercati azionari e per i nostri portafogli, che hanno tutti evidenziato sensibili rialzi in un'ottica di un ritrovato ottimismo degli investitori sul futuro dell'economia globale. Sono riprese anche le grandi acquisizioni: proprio ieri Walt Disney, quotata al Nyse con simbolo DIS, ha annunciato l'acquisto per 4 miliardi di dollari della casa cinematografica Marvel Entertainment (MVL), che detiene oltre 5000 film a catalogo. Pubblicità
Dopo l'annuncio, Marvel ha fatto segnare un rialzo record, pari a +25,15% in una sola seduta. Walt Disney, secondo gli analisti mantiene un rating BUY, con un target medio pari a +27%. Sempre nella seduta di ieri, il colosso petrolifero Baker Huges (BHI (A083650.KQ - notizie) ) ha comunicato l'intenzione di acquistare la rivale BJ Service (BJS) per 5,5 miliardi di dollari. Anche in questo caso, la società acquisita ha reagito con un rialzo di +4,08%, mentre Baker Huges ha fatto segnare un ribasso di –9,56%. Baker Huges rimane un BUY, con un target medio a +65%. Entrambi i titoli non fanno parte dei nostri portafogli. Ora, dopo i forti progressi delle borse in tempi abbastanza ristretti, le occasioni di acquisto a sconto cominciano lentamente a diminuire e si rende necessario un maggiore sforzo di selezione ed analisi. Morningstar (NASDAQ: MORN - notizie) ad esempio, la società di analisi che assegna i rating alle azioni di molte delle maggiori aziende mondiali, ha drasticamente diminuito la percentuale di titoli a cinque stelle, il rating massimo assegnato alle società. Nel corso degli ultimi giorni di agosto la percentuale di titoli con il massimo giudizio ammontava a poche decine, su quasi 2000 titoli monitorati. Anche tra le società che compongono il portafoglio di Warren Buffet, siamo passati da 31 titoli a cinque stelle di qualche mese fa agli attuali 9 titoli. Come sostiene proprio il Guru di Omaha, le occasioni comunque in borsa non mancano mai, con qualsiasi tipo di mercato. Possiamo sicuramente condividere le affermazioni di Buffet: nel report di oggi abbiamo identificato due nuove società scambiate ancora a forte sconto che inseriremo subito nei nostri modelli. Raccomandiamo pertanto ai nostri lettori di seguire con attenzione anche i prossimi report per rimanere informati sulle nuove selezioni degli analisti in questo mercato effervescente.

36 anni consecutivi di aumento del dividendo – Target +70.95%

Su questa prima società, saremo soci in buona compagnia. Lo stesso Warren Buffet, ha inserito nel suo portafoglio il titolo nel corso degli ultimi mesi, con un investimento iniziale di 1.200.000 titoli per un controvalore di circa 80 milioni di dollari, mentre altri tre analisti tra quelli da noi monitorati mantengono un rating STRONG BUY su questa azienda. Si tratta sicuramente di una scelta ragionata: la società vanta un primato da record: ogni anno, per 36 anni consecutivi ha aumentato il suo dividendo agli azionisti, entrando nella ristretta lista delle società più generose del mercato americano. L'azienda opera nel settore farmaceutico, da sempre considerato particolarmente difensivo e meno soggetto ai cicli economici. E' una azienda leader di prodotti medicali che sviluppa, produce e commercializza dispositivi, strumenti e reagenti. L'azienda è dedicata al miglioramento della salute delle persone nel mondo, ed è orientata al miglioramento della distribuzione di farmaci elevandone la qualità e accelerando la diagnosi di malattie infettive e del cancro, al progresso della ricerca ed alla scoperta di nuovi farmaci e vaccini. Le capacità aziendali sono concentrate a combattere le più pressanti malattie nel mondo. Fondata nel 1897 e con il suo quartier generale nel New Jersey, ha circa 28,000 impiegati in oltre 50 nazioni nel mondo. L'azienda fornisce servizi a istituzioni della salute, ricercatori scientifici, laboratori clinici, industrie farmaceutiche e al settore pubblico. Da tempo la società è presente anche in Italia, con una sua filiale in provincia di Milano.

I ricavi del 2008 sono stati pari a 7,1 miliardi di dollari. Per il 2009 i fatturati dovrebbero rimanere sugli stessi valori, per poi balzare ancora in avanti nel 2010 a 7,4 miliardi. Il consenso degli analisti prevede una crescita degli utili pari a +12% per ciascuno dei prossimi 3-5 anni. Come accennato in precedenza, i target assegnati dagli esperti sono sensibilmente più elevati rispetto alle attuali quotazioni. Tre dei 25 analisti da noi monitorati seguono il titolo e assegnano obiettivi potenziali da un minimo di 93 dollari, intermedio a 101 dollari e massimo a 165 dollari, contro i 70 dollari della chiusura di ieri, e target medio a +70,95%. Non abbiamo dubbi che con Buffet nella compagine azionaria, la società raggiungerà con determinazione i traguardi assegnati. Il titolo mantiene un rating di STRONG BUY e va acquistato oggi in apertura di mercato Usa. Dedichiamo a questo nuovo investimento un importo pari all'1% del totale del portafoglio, utilizzando parte del 10,80% di cash ancora disponibile. Comprare quindi in data di oggi il titolo.

A caccia di grandi occasioni in Cina – Target +161%

La borsa cinese ha evidenziato ieri una flessione più sensibile, con un ribasso giornaliero del 6,7%, che si aggiunge al ribasso del 3% di venerdì scorso, confermando l'elevata volatilità di questo mercato. Il ribasso, ci permette di guardare nuovamente con interesse alla Cina che, nonostante la fase di debolezza di questo ultimo periodo, resta uno dei mercati più performanti del 2009, con un rialzo di oltre il 70% dall'inizio anno. Ciò che rende particolarmente appetibile questo mercato sono i suoi multipli, che in alcuni casi presentano sconti significativi in valore assoluto, specialmente se confrontati con tutti i principali mercati internazionali. Nonostante i rialzi, in alcuni casi i price earning di alcune aziende quotate, mostrano livelli di soli 3-4 volte gli utili attesi per l'anno in corso che, abbinati a stime di crescita superiori a qualsiasi altro grande mercato internazionale, rendono l'investimento in queste società particolarmente attraente. Acquistare una azienda avviata, pagandola quattro volte gli utili dopo le imposte, significa ottenere un rendimento netto del 25% annuo. Qualora gli utili dovessero incrementarsi ulteriormente nei 3-5 anni successivi, la rendita dell'investimento potrebbe raggiungere livelli difficilmente replicabili. Pur con la sua volatilità, il mercato cinese spesso ci regala queste occasioni e secondo gli analisti rimane uno dei mercati più importanti su cui investire in una prospettiva di medio termine e si conferma come una delle aree geografiche su cui diversificare un portafoglio di crescita. Il nostro modello denominato Top Analisti, che raggruppa in un unico portafoglio le raccomandazioni di un pannello di oltre 25 analisti e guru internazionali, investe attualmente in Asia circa il 12% del totale, concentrando prevalentemente gli investimenti su Cina e India, i due mercati leader dell'area. Nel report di oggi concentriamo la nostra attenzione su una nuova società cinese, di media grandezza, ben posizionata per sfruttare appieno le potenzialità di questo mercato. Si tratta di una realtà ancora poco trattata dagli analisti, e per questo particolarmente sottovalutata. Quando i grandi broker si avvicineranno a questo titolo, è possibile immaginare crescite consistenti in tempi rapidi. In particolare, oggi ci concentriamo su uno dei settori considerato tra i più sicuri e prevedibili per quanto riguarda le potenziali crescite future. Stiamo parlando del settore dei sistemi di sicurezza e sorveglianza. La rapida crescita del prodotto interno lordo cinese degli ultimi anni, ha portato in breve tempo il paese a standard di vita di tipo occidentale. Al migliorato tenore di vita della popolazione, corrisponde in parallelo un maggiore bisogno di sicurezza, ad ogni livello. Questo specifico business crescerà sicuramente in Cina a ritmi molto sostenuti, coprendo una vasta gamma di prodotti, che vanno dalla protezione della propria casa e dei propri beni con un sistema d'allarme, alla protezione delle aziende, al controllo e monitoraggio di luoghi pubblici e ai sistemi di sicurezza antiterrorismo. Secondo The China Public Security Guide, pubblicata dall'Associazione Cinese Per La Sicurezza e La Protezione, il mercato della sicurezza e sorveglianza aumenterà di oltre il 20% all'anno per parecchi anni consecutivi raggiungendo già 43,1 miliardi entro il 2010.

Il leader della sicurezza in Cina

La società di cui stiamo parlando è attualmente il leader assoluto del settore. Con sede principale a Shenzen, la società fabbrica, distribuisce e installa servizi e prodotti di sicurezza e sorveglianza, sviluppando contemporaneamente in proprio i relativi software per l'utilizzo. I suoi principali clienti sono attualmente piccole e grandi imprese commerciali in Cina, entità governative e organizzazioni no profit. La società ha sviluppato una clientela molto diversificata attraverso una potente struttura di vendita, con un network che include oltre 150 filiali e punti distributivi in tutta la Cina.

Il mercato cinese dei sistemi di sicurezza è uno dei più frammentati, con oltre 15.000 tra fabbricanti e distributori, che complessivamente fatturano attualmente in media meno di 4 milioni di dollari annui ciascuno. La società di cui stiamo parlando è attualmente leader assoluta del settore con fatturati annuali attesi per oltre 600 milioni di dollari nel solo 2009. Per pilotare la crescita, la società ha saputo sfruttare i vantaggi di un costo del lavoro ridotto, stabilendo canali distributivi in tutta la Cina, con un team di agenti di più di 950 unità, diventando estremamente competitiva anche con i rivali internazionali.

La società è perfettamente integrata, e fornisce ai suoi clienti le soluzioni per la sicurezza complete, con oltre il 60% delle apparecchiature usate nei progetti, prodotte direttamente in azienda.

L'azienda vanta un'offerta molto diversificata di prodotti, incluso hardware, software, design, implementazione e supporto tecnico, con un target mirato verso il governo, società private ed enti governativi. La maggior parte dei fatturati della società sono generati attualmente da aziende, mentre la parte rimanente dei ricavi è generata da progetti governativi o finanziati dal governo. Con il rapido sviluppo dell'industria della sicurezza in Cina, e la sua forte struttura commerciale e distributiva, la società è perfettamente posizionata per catturare la crescente domanda con la sua gamma completa e diversificata di prodotti e servizi, guadagnando crescenti quote di mercato.
A rafforzamento di queste tesi, vale la pena di evidenziare che il governo cinese ha appena approvato nuove importanti norme che richiedono l'installazione di numerosi nuovi prodotti di sicurezza e sorveglianza in tutto il paese. In particolare si rendono necessarie:

- migliaia di telecamere da montare in 660 città cinesi per il controllo di strade e autostrade
- nuovi sistemi di sicurezza avanzati per tutti i centri pubblici di divertimento e intrattenimento
- nuovi sistemi di sicurezza per tutti i dipartimenti di giustizia e tribunali

In aggiunta a questi progetti il governo stima di spendere tra 6 e 12 miliardi di dollari per l' Expo internazionale di Shanghai del 2010, per il quale si prevedono milioni di visitatori. Inoltre, il boom del settore immobiliare in Cina fornirà a sua volta grandi opportunità per la crescita dell'industria della sorveglianza domestica, con migliaia di nuove installazioni di sistemi di allarme e antifurti, per le quali la società ha già creato due specifiche divisioni che coprono l'intero territorio cinese.

Complessivamente, dal 2002 al 2008 le vendite sono aumentate a tassi esponenziali, con crescite che nell'ultimo anno sono salite a 427 milioni, con un aumento di +78% rispetto all'anno precedente. Se consideriamo che solamente quattro anni fa la società fatturava appena 32,7 milioni, ci si rende conto delle potenzialità di questo business. Gli analisti ritengono che nel 2009, nonostante il rallentamento globale, la società dovrebbe generare ricavi per 638 milioni e per il 2010 i fatturati potrebbero raggiungere 734 milioni, con un ulteriore incremento di +71,8% in due anni.

Per una realtà sicuramente di tipo growth come questa, ci si aspetterebbe di trovare sul mercato quotazioni a multipli rilevanti. Sorprende invece notare che il titolo quota a sole 3,75 volte gli utili stimati per il 2009 e a 3,3 volte gli utili attesi per il 2010, uno dei valori più bassi riscontrati non solo su valori cinesi, ma anche su qualsiasi altro importante mercato emergente o principale. Con una stima di crescita degli utili pari a +26,73% per ciascuno dei prossimi 3-5 anni, si ottiene un PEG pari a 0,15 volte. Ricordiamo che quando questo indicatore segna livelli inferiori ad 1, si evidenzia una sottovalutazione. A livello di comparazione, il PEG calcolato sull'indice S&P500 americano è attualmente pari a 1,42 volte, ben 9,5 volte più elevato.
Tre analisti sui quattro che seguono il titolo assegnano un rating di STRONG BUY, mentre uno solo attribuisce un giudizio più conservativo, pari a HOLD. Il target a medio lungo termine è fissato a 17,5 dollari, con un potenziale pari a +161% dai livelli attuali, obiettivo considerato molto conservativo, dal momento che il titolo segnava già questi livelli di prezzo appena un anno fa. La debolezza del mercato cinese di questi ultimi giorni ci permette di sfruttare questa nuova ed interessante opportunità a prezzi fortemente scontati. Dedichiamo a questo nuovo investimento un importo pari all'1% del totale del portafoglio, utilizzando parte del 10,80% di cash ancora disponibile. Comprare quindi in data di oggi il titolo.
 

Fonte - http://www.strategyinvestor.com

 

 

 

 

 

  Il mercato azionario è troppo ottimista?

September 1st, 2009 - di WP Greet Box

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Pare ormai acquisito che la Grande Recessione stia volgendo al termine, almeno sul piano delle variazioni del Pil, mentre l’andamento dell’occupazione sembra destinato a restare depresso almeno fino alla seconda metà del 2010. Circostanza che solleva perplessità riguardo la sostenibilità della ripresa nella perdurante assenza del consumatore americano, che deve prioritariamente preoccuparsi di ridurre il proprio indebitamento e non perdere il lavoro, o trovarne uno nuovo, in caso sia disoccupato. Tra gli analisti restano tuttavia significative divergenze riguardo il vigore della ripresa in atto e la sua auto-sostenibilità, al netto dell’impulso fiscale.

Si discute della conformazione della ripresa: a forma di L, cioè stabilizzata su livelli di attività depressi? Oppure di W, cioè un tentativo di ripresa a cui fa seguito una vera e propria ricaduta, ad esempio per effetto dell’attuazione troppo anticipata di “strategie di uscita” dal sostegno fiscale e monetario all’economia? Sembra ormai definitivamente accantonata l’ipotesi di una ripresa a forma di V, cioè di un rimbalzo violento dell’attività, fino a recuperare più o meno rapidamente le condizioni precedenti l’inizio della crisi.

Negl Stati Uniti, epicentro della crisi e punto di riferimento per l’evoluzione della congiuntura, l’adozione di misure di stimolo ai consumi, come il programma di rottamazione dei veicoli più vecchi ed inquinanti, con erogazione di un importo a fondo perduto a favore degli acquirenti, appare destinato soprattutto a drenare domanda dal futuro, anticipando decisioni di spesa, come sembra evidenziarsi anche dai primi deboli dati di acquisti di autoveicoli in questo mese, dopo la scadenza del programma pubblico. Peraltro questo stimolo ha beneficiato in misura determinante i costruttori non statunitensi.

Per l’autunno già si prospettano programmi analoghi per gli elettrodomestici, mentre il Congresso potrebbe prorogare ed estendere il contributo a fondo perduto di 8000 dollari a favore degli acquirenti di prima casa, destinato a scadere il prossimo 30 novembre, e che sta determinando robusti flussi di domanda, che contribuiranno a determinare un rimbalzo del Pil nel terzo trimestre e forse nel quarto.

La domanda che tutti si pongono è relativa alla capacità dell’economia statunitense di sostenersi autonomamente quando la spesa pubblica e le agevolazioni fiscali verranno meno. La seconda stima del Pil del secondo trimestre, negativo per l’1 per cento annualizzato, mostra un contributo determinante dei consumi governativi, a fronte di marcata contrazione dell’investimento e di consumi privati ancora in flessione, sia pur attenuata rispetto al primo trimestre.

A differenza di quanto accade nell’economia reale, in quella finanziaria è per contro in atto da ormai un semestre un movimento di ripresa a V, testimoniato da un recupero degli indici dell’ordine del 50 per cento dai minimi. E’ quindi interessante confrontare l’andamento storico dell’economia reale nel momento di un recupero degli indici azionari di questa entità. Lo ha fatto, riguardo gli Stati Uniti, l’economista David Rosenberg, ex Merrill Lynch ed oggi strategist dell’asset manager canadese Gluskin Sheff, ed il risultato è sorprendente.

Ad esempio, storicamente un recupero delle borse del 50 per cento si è verificato in presenza di un’espansione media del Pil del 4,5 per cento, con una occupazione in crescita di 850.000 unità, un indice ISM manifatturiero in confortante espansione al livello di 56,2, profitti aziendali in ripresa del 12 per cento, credito bancario in ascesa del 5 per cento. Oggi, a fronte di un aumento degli indici azionari del 50 per cento, abbiamo Pil, occupazione, e profitti aziendali che stanno tentando di trovare un minimo di ciclo; un indice ISM a malapena tornato al livello di 50, che indica stazionarietà dei livelli di attività; ed il credito bancario ancora in condizioni restrittive.

A livello di mercato azionario, inoltre, occorre segnalare che il rally di Wall Street è avvenuto con un andamento decrescente dei volumi scambiati, che cinque società in condizioni precarie e presenza pubblica determinante nel capitale (AIG, Freddie Mac, Fannie Mae, Citigroup e Bank of America) rappresentano circa un terzo del volume di scambi giornalieri e che, secondo alcune stime, il 70 per cento degli scambi azionari implica un ordine di acquisto o vendita generato da società attive negli ordini elettronici ad alta frequenza, da tempo sotto i riflettori dei regolatori per ipotizzate violazioni delle condizioni di parità di trattamento tra investitori nell’accesso alle negoziazioni.

I forti recuperi dei corsi azionari si sono inoltre verificati non in presenza di una ritrovata redditività, bensì di risultati “meno peggiori” delle attese, e multipli quali il rapporto prezzo/utili appaiono costosi secondo qualsiasi standard, oltre che significativamente superiori ai livelli tipici delle fasi di ripresa. Caratteristica degli annunci sui conti trimestrali aziendali è il forte taglio dei costi di struttura (spese amministrative, commerciali, per il personale) come determinante della tenuta o del miglioramento degli utili, a fronte di andamenti ancora negativi del fatturato.

Come si nota, vi sono sufficienti elementi di cautela rispetto all’investimento azionario, anche se il pervasivo supporto pubblico, l’abbondante liquidità e l’apparente miglioramento dei livelli di attività potrebbero permettere al mercato di proseguire nel breve termine il movimento di recupero o di non subire correzioni violente. L’incognita maggiore è quella relativa al mercato azionario cinese, che si trova in condizioni di sopravvalutazione molto marcata, e che ha iniziato un ribasso piuttosto accentuato sui timori di strette monetarie ed amministrative al credito ed ai flussi finanziari speculativi, elementi che potrebbero far venire meno la trazione sulla crescita globale finora esercitata dalla Cina.
 

Fonte - Epistemes.org

 

 

 

 

  Banche: continuano a imbottirci di dati falsi, ma nessuno gli crede più

03 Settembre 2009 02:32 LUGANO - di Alfonso Tuor

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Sta entrando nel vivo la discussione sulle nuove regole del sistema finanziario che devono essere disegnate in vista del vertice del G20 in programma questo mese negli Stati Uniti. In vista della riunione preparatoria dei ministri delle Finanze che si e' tenuta a Londra i leader di Germania, Francia e Gran Bretagna hanno reso pubblica una dichiarazione congiunta in cui si chiede l’adozione di regole coattive sui bonus pagati nel settore bancario. Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e Gordon Brown chiedono l’adozione di misure valide a livello internazionale, affinché «le banche non possano approfittare della diversità delle norme per giocare un Paese contro un altro».
La chiara presa di posizione dei tre leader europei si propone di dare una risposta ad un’opinione pubblica irritata per il comportamento di un settore bancario che ha immediatamente riadottato le pratiche precedenti la crisi, nonostante abbia potuto evitare il collasso solo grazie agli aiuti miliardari devoluti dagli Stati. Questa dichiarazione congiunta si propone anche di presentare un fronte comune europeo in grado di esercitare una forte pressione sugli Stati Uniti che sono riluttanti a definire regole precise sul sistema di retribuzione delle banche.

Le proposte europee rischiano comunque di essere in realtà un «diversivo populista», come ha dichiarato Lord Adair Turner, responsabile britannico dell’autorità di sorveglianza sui mercati finanziari. I motivi sono presto spiegati. Innanzitutto le proposte sono solo apparentemente innovative e non sono sufficientemente incisive. Infatti la soluzione di versare una parte dei bonus solo dopo un certo lasso di tempo in base ai risultati conseguiti dalla banca nell’arco di più anni è già stata adottata da numerosi istituti. Quindi, si tratterebbe di codificare una prassi non ancora universale, ma sempre più diffusa.

Ma, ed è il punto più importante, la proposta non centra il cuore del problema, che è rappresentato da un settore bancario diventato sempre più sovradimensionato e sempre più propenso ad assumere maggiori rischi. Questo fenomeno è riconducibile principalmente a due cause: in primo luogo requisiti di capitale insufficienti per le attività tradizionali (è il famoso rapporto tra mezzi propri e somma di bilancio - il «leverage ratio» - che in Svizzera ammontava al 2%) e quelli praticamente inesistenti sulla enorme leva con cui vengono condotte le operazioni con i mezzi propri, per cui le grandi banche internazionali sono in realtà dei grandi Hedge Fund.

La seconda causa è l’implicita garanzia statale di cui godono le grandi banche, poiché non possono essere lasciate fallire perché questo metterebbe a rischio l’intera economia. Tale garanzia, che è diventata esplicita in questa crisi, permette alle banche di finanziarsi a costi inferiori rispetto a quelli di altre aziende. L’eccessivo livello di rischio che gli istituti di credito si assumono anche grazie a questo salvagente statale è all’origine della redditività straordinaria del settore (negli Stati Uniti gli utili delle banche prima dello scoppio della crisi ammontavano al 36% dell’intera corporate America).

Occorre dunque rimettere mano alle regole per ovviare a ciò che il segretario al Tesoro americano Timothy Geithner ha sintetizzato con queste parole: «Le maggiori istituzioni finanziarie hanno mezzi propri troppo bassi, dipendono troppo da finanziamenti a breve termine per loro natura instabili e il loro sistema di retribuzione premia eccessivamente l’assunzione di maggiori rischi. Dunque occorre disegnare delle regole che richiedano requisiti di capitale maggiori, che garantiscano non solo la stabilità della singola istituzione ma dell’intero sistema».

È chiaro che l’aumento dei requisiti di capitale ha l’immediato effetto di ridurre la redditività del settore. Ed è anche per questo motivo che le due grandi banche svizzere si oppongono alla proposta della nostra Banca nazionale di aumentare al 5% (quindi, in modo sostanziale) il rapporto tra mezzi propri e somma di bilancio.

L’esperienza dimostra però che anche le migliori regole vengono spesso aggirate. Per questo motivo occorre incidere sull’implicita garanzia statale di cui godono le banche. La nostra Banca nazionale ha proposto che le banche siano organizzate in modo che sia possibile salvare le attività redditizie e necessarie all’economia e liquidare quelle fallimentari. Questa proposta è stata ripresa tra gli altri anche da Lord Adair Turner. Questo punto è fondamentale: gli azionisti, i detentori delle obbligazioni e le controparti di una banca vengono in questo modo incitati a controllare attentamente il livello di rischio che assume un istituto, poiché potrebbero vedere azzerati i loro investimenti.

Occorre metter mano anche ai prodotti creati dalla nuova ingegneria finanziaria, valutandone i costi e i benefici non per il solo settore finanziario, ma per l’intera economia. Dovrebbero essere vietati alcuni strumenti, come i Credit Default Swap, definiti giustamente dal finanziere americano George Soros «armi di distruzione economica». Altri (come i derivati) dovrebbero sottostare a specifici controlli ed essere scambiati in mercati regolamentati e non come avviene oggi tra le banche, con la conseguenza, da una parte, che spesso non hanno un prezzo o un prezzo certo, e dall’altra, che garantiscono alle grandi banche di investimento una redditività eccezionale a danno degli investitori.

Il dibattito su questi temi è in pieno corso. Vi è motivo però di dubitare che le decisioni dei Grandi saranno all’altezza delle sfide che la crisi finanziaria ha impietosamente messo sotto gli occhi di tutti. Il potere di influenza politica delle banche, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, è ancora tale da rendere improbabile una vera e profonda riforma delle regole del sistema finanziario.
 

Fonte - Corriere del Ticino

 

 

 

 

 

BORSA E TASSI: GUARDATE CHE SUCCEDE IN ISRAELE

03 Settembre 2009 01:29 MILANO - di Claudia Segre
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Innovare, innovare e ancora innovare. Sembra proprio questa la parola d’ordine che fa di Israele, in guerra da decenni, una delle economie più avanzate del mondo. Del resto, quando si vuole prendere a modello l’impegno di un governo nell’attività di R&S o di ricerca applicata, il pensiero non può che andare da quelle parti. Non a caso, proprio Israele guida la classifica mondiale dell’impegno pubblico nell’innovazione, destinando a questa il 4,5% del Pil. Soldi messi a disposizione di chi è capace di avere buone idee e realizzarle. Come dimostra anche il secondo posto nella classifica mondiale nella registrazione di nuovi brevetti e nella produzione di Cd-rom dopo gli Stati Uniti.
Il Paese, tra l’altro, è interamente cablato sin dalla metà degli anni Settanta, grazie alla presenza storica di Intel e allo sviluppo di una «Silicon valley» sullo stretto territorio desertico tra Tel Aviv e Haifa, a qualche decina di chilometri dalla capitale Gerusalemme.

Proprio il primato sulla tecnologia e sulle energie rinnovabili, giocoforza per un’economia senza risorse energetiche da esportare (ma dove l’export di beni e servizi conta per il 40% del Pil), ha permesso a molte società israeliane di quotarsi sulla Borsa americana del Nasdaq, superate per numero solo da quelle canadesi.

Ora l’economia della stella di David si sta risollevando, dopo l’ondata recessiva che ha colpito a livello globale, con un Pil che già in primavera è tornato a crescere dell’1%. Ed è questo il motivo principale per cui la Banca centrale ha deciso un rialzo dei tassi che riflette le preoccupazioni per un inflazione più elevata di altri Paese emergenti, che per ora resistono alla tentazione, nonostante una crescita economica ben più alta dei Paesi del G7.

In effetti il problema dell’inflazione in Israele esiste, soprattutto dopo che al netto di beni energetici e alimentari, è balzata in luglio al 5,5%. E il contesto politico non aiuta, sebbene il leader del Likud, Binyamin Netanyahu, abbia recentemente presentato alla Knesset, il Parlamento, il suo piano economico anti-crisi. Tuttavia la politica monetaria resta solidamente nelle mani di un governatore di eccezionale fama internazionale. Stanley Fischer infatti, il padre dell’inflation targeting, è stato anche il «padre putativo» di Ben Bernanke nonché di Mario Draghi. E Fischer è uno strenuo sostenitore dell’indipendenza delle Banche centrali, opinione globalmente condivisa in tutti i Paesi G20.

Il rialzo preventivo dei tassi di 25 punti base, allo 0,75%, rappresenta così un caso di scuola, perfettamente ritagliato sulla «personalità» di un’economia molto aperta ma al tempo stesso vulnerabile per la sua dipendenza rispetto alla domanda estera e le sorti economiche del suo principale partner commerciale, gli Usa. Una dipendenza che ha pesato, insieme alla rincorsa dell’inflazione, anche sul settore bancario in termini di esposizione creditizia delle corporates e di profittabilità delle stesse banche. Nonostante un quadro in bianco e nero, la Borsa israeliana ha però seguito l’andamento delle altre Borse emergenti, con una performance del 40% mentre la sua divisa , lo shekel, ha chiuso in modo leggermente negativo il suo bilancio estivo, con una pausa temporanea della fase di apprezzamento.

Anche i consumi sono tornati in positivo, così come vanno bene i beni durevoli e il mercato immobiliare continua a tirare. Ma molto c’è ancora da fare per Netanyahu, ad esempio, per cogliere i frutti dei tagli fiscali a favore delle società e dei redditi privati che sono al centro del piano di stimolo, insieme alla lotta alla disoccupazione che ha superato a fine giugno il 7%.

Sul fronte del conflitto israelo-palestinese dopo 20 anni un piccolo spiraglio di luce arriva dai risultati dell’ultimo Congresso palestinese di Fatah che ha visto la netta vittoria della linea di Abu Abbas che a Ramallah ha raccolto il consenso intorno alla sua leadership e al suo programma consolidando il potere politico.

Le nuove forze di sicurezza addestrate dagli Usa, paiono essergli più fedeli di quanto non siano quelle istruite in Iraq e Afghanistan. E con la ripresa dei contatti con Israele le aree più «rivoluzionarie» sembrano ora più isolate. Così come appare isolata Hamas che a Gaza lotta, ironia della sorte, con gli ultraestremisti di Al Qaeda. Così, ora, la maggiore preoccupazione non sembra essere il conflitto locale. E anche se Abbas non recede dalla dichiarazione di guerra a Israele, forse potrebbe accettare un piano di pace legato al congelamento degli insediamenti. Perché il vero nemico temuto ora è l’Iran, con le sue milizie rivoluzionarie. Un pericolo condiviso da Abbas, da Israele e dalla maggior parte dei leader arabi.

 

Fonte - Borsa&Finanza

 

 

Royal Bank of Scotland o Royal Bank of Sòla?

Friday, 4 September, 2009 at 16:46 - by John Christian Falkenberg
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Il colosso bancario Royal Bank of Scotland (RBS) è stato nazionalizzato, ma le conseguenze non sono state positive per molti dei suoi creditori. Oggi l’ultima tegola: l’autorità di vigilanza inglese, la Financial Services Authority, di concerto con la UE, ha bloccato il rimborso anticipato di due obbligazioni subordinate, strumenti di debito che tuttavia vengono conteggiate come capitale ai fini di vigilanza. Le obbligazioni in questione hanno rapidamente perso il 20% del proprio valore facciale e l’intero settore è sotto estrema pressione, per timore che si tratti del primo caso di una politica che potrebbe divenire generale in Europa e nel Regno Unito. Cosa è accaduto?
Sgombriamo immediatamente il campo dai dubbi: non si tratta di un default. Gli strumenti da rimborsare sono bond cosiddetti “callable”, dove l’emittente (RBS, in questo caso) aveva diritto, ma non l’obbligo, di rimborsare l’obbligazione. La struttura delle obbligazioni è tuttavia tale che l’emittente avrebbe tutto l’incentivo a farlo; stessa RBS ha confermato che la scelta era proprio quella di procedere al rimborso. Anche Santander ( banca totalmente privata) non ha rimborsato ieri un bond subordinato, ma ha sostenuto che si fosse trattato di un disguido formale: la Banca di Spagna non avrebbe negato la propria autorizzazione per motivi sostanziali, ma a causa di un ritardo nell’iter burocratico tale autorizzazione sarebbe arrivata in ritardo. Questo potere di blocco è sempre esistito, ma negli anni passati, quando le cose andavano bene, l’autorizzazione al riacquisto è sempre stata concessa in maniera virtualmente automatica.
Così è, se a loro pare - Lo stop imposto dalla FSA viene giustificato come una conseguenza del salvataggio governativo. I bond che avrebbero dovuto essere rimborsati sono di una categoria che rientra, in una certa misura, nella misura di capitale impiegata dalle autorità di vigilanza. Avendo il governo inglese ricapitalizzato la banca, si sostiene che il rimborso di tali obbligazioni costituirebbe di fatto un trasferimento di risorse governative a favore degli obbligazionisti privati. La decisione è stata completamente discrezionale: altre banche, sia nell’Eurozone che nel Regno Unito, hanno intascato aiuti e richiamato i propri bond senza problemi. L’argomento è quindi discutibile dal punto di vista teorico, oltre a porre un problema di coerenza con gli obbiettivi ufficiali di ricostruire la fiducia nel mercato finanziario e di privatizzare le banche il più rapidamente possibile. Il cosiddetto rischio di estensione è sempre presente in una obbligazione subordinata callable: l’opzione è pur sempre un’opzione e non un obbligo. Tale rischio, tuttavia, non dovrebbe includere le decisioni arbitrarie di un’entità governativa, ma soltanto le ragioni di convenienza economica, che possono essere calcolate razionalmente. L’ingresso di un rischio politico tanto rilevante impone un ulteriore sconto sui prezzi per compensare il rischio – e quindi maggiori costi di finanziamento per le banche e minori probabilità di emettere capitale ibrido in futuro. Questo renderà ancora più difficile la ricapitalizzazione delle banche tramite normali operazioni di mercato, invece che tramite l’intervento governativo, andando contro il fine ufficiale di privatizzare le banche quanto prima possibile. Si sta insomma riscoprendo in Europa il rischio di dover fare i conti da vicino con le ubbie e le incertezze della politica e della burocrazia: il governo non è soltanto il Babbo Natale che salva le Banche (coi soldi dei contribuenti), ma anche una entità ben poco razionale. I danneggiati dalla confusione attuale e dall’incertezza non sono certo i banchieri, che anzi rischiano oggi ancor meno di ieri, essendo di fatto impiegati statali estremamente ben pagati. A pagare il conto, anche questa volta, sono stati i risparmiatori che detengono le obbligazioni subordinate, direttamente o tramite fondi pensione e fondi comuni.
Crossposted to Giornalettismo

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

 

  Come investono Paperino e Gastone in tempi di crisi

07 Settembre 2009 04:22 MILANO - di *Alessandro Fugnoli

Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank

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Dal 9 marzo a oggi (da 666 di indice a 999) Gastone ha guadagnato 30 punti base al giorno (in media, naturalmente). In tutto ne ha guadagnati 5000 (ovvero il 50 per cento). Paperino, dal canto suo, ha guadagnato in tutto 6 punti base e mezzo (lo 0.065 per cento) e non osiamo immaginare quale sia il rendimento effettivo dopo avere pagato commissioni e spese per i due rinnovi dei trimestrali.
Ai tassi attuali Paperino raggiungerà la performance di Gastone nel 2393. I trimestrali rendono infatti 13 punti base all’anno e occorrono quindi 384 anni per produrre 5000 punti base (non abbiamo conteggiato gli interessi composti, che saranno comunque meno delle spese e commissioni per i 1536 rinnovi, quattro all’anno).

E’ comunque difficile prevedere con precisione dove sarà l’S&P 500 nel 2393. Del resto, 384 anni sono tanti, sono il tempo passato dal 1625 ad oggi. Significativamente, fu esattamente nel 1625 che nella punta sud di Manhattan fu fondata Nieuw Amsterdam. Per difenderla da Irochesi e Lenope 28 anni più tardi fu edificata una palizzata nell’attuale Wall Street. Paperino sa fare di conto. E’ imbarazzato, preoccupato, un po’ invidioso e teme il giudizio dei nipoti. Ragazzi, dice loro, non può andare avanti così.

Fare il 50 per cento quando ci sono ancora 300mila nuovi disoccupati al mese, quando centinaia di banche devono ancora fallire (stime del Fdic) e con consumi e investimenti stagnanti (vanno bene solo scorte ed esportazioni) è quasi immorale.

Paperino legge molto, ritaglia articoli e interviste e riporta ai nipoti che il programma che incentiva gli acquisti di case scade il primo dicembre e che in generale l’effetto di stimolo del pacchetto fiscale di febbraio sta toccando il punto più alto e che, insomma, da qui in avanti stimolerà sempre di meno fino ad avere addirittura un effetto negativo dalla fine dell’anno prossimo.

Non bisogna poi parlare a Paperino del Cash for Clunkers. E’ finito, è finito, basta, influenzerà le statistiche ancora per un mese o due, ma la domanda è già tornata ai livelli che hanno preceduto questa follia. Paperino è particolarmente infuriato con il Cash for Clunkers perché il suo catorcio non è stato ammesso al programma perché risale agli anni Trenta ed è quindi considerata auto storica. Il Cash for Clunkers si è fermato infatti alle auto prodotte nel 1984. Anche in Germania, del resto, gli incentivi alla rottamazione, che vanno avanti da molti mesi e hanno fatto miracoli, stanno per finire.

Questa mattina Paperino ha trovato grande conforto nella nota giornaliera di Goldman Sachs. L’ha stampata subito, l’ha ingrandita e l’ha appesa alla bacheca all’ingresso. C’è un paragone con la ripresa da scorte del 2002. Il mercato dette vita a un bear market rally che però finì addirittura prima del picco della produzione. In altre parole, i dati positivi a un certo punto cessarono di avere effetto sull’azionario, che anzi prese a scendere fino alla grande svolta della primavera 2003.

Gastone, dal canto suo, non è molto preoccupato, ma ha cominciato a seguire con più attenzione il quadro macro. Non è iperottimista come Bruce Kasman e tutti quelli di JP Morgan e sa che i paesi che hanno accelerato di più negli ultimi quattro-cinque mesi, Cina e Asia in generale, ora stanno crescendo più lentamente. Pensa però che in Europa e in America ci sia ancora parecchia spinta propulsiva da ricostituzione di scorte. Non bastano certo un paio di mesi di produzione più forte per compensare lo svuotamento dei magazzini da ottobre a giugno.

Gastone, che ha cambiato la sua seconda macchina a condizioni favolose grazie agli incentivi, è rimasto colpito dalle stime dei concessionari sulla domanda strutturale, salita secondo loro dai 9 milioni annui dell’inverno e primavera scorsi ai 10.5 attuali (cui vanno aggiunti una tantum i 700mila veicoli del Cash for Clunkers) e destinata a portarsi a 11 l’anno prossimo e a risalire gradualmente a 13-14 entro il 2013. Stime, si dirà, e per di più con l’autorevolezza dei venditori di auto. Intanto, però, i loro piazzali sono vuoti, mentre i compratori, anche dopo la fine degli incentivi, non sono calati.

Paperino ha girato a Gastone la nota di Goldman Sachs con qualche confusa annotazione, tipo per voi è finita, ora scende tutto, vedrai. Gastone l’ha letta fino in fondo, ha apprezzato l’osservazione che le valutazioni azionarie, pur non essendo particolarmente basse, non sono elevate come erano ancora all’inizio del 2002 e ancora di più quella che la crescita della produzione, a livello globale, resterà molto buona almeno per due tre mesi ancora e che comunque manterrà segno positivo anche più avanti.

Per scrupolo Gastone ha anche preso la carta di credito e ha speso 5 dollari per farsi mandare dal NBER l’ultimo paper di Martin Feldstein. Gastone lo considera il più autorevole tra i pessimisti, più dei nuovonormalisti di Pimco (sempre interessanti, ma un po’ concettuali), più di Roubini (negli ultimi tempi erratico) e più dell’orsismo oltranzista di un Rosenberg (che comunque indica in 800 e non più in 600 un livello corretto per l’S&P 500) o di un Albert Edwards.

Ebbene Feldstein, pur senza mai cadere nell’ottimismo, esclude con decisione uno scenario da Grande Depressione, la possibilità cioè che dopo la ripresa in corso si riprecipiti in un drammatico circolo vizioso. Feldstein si mantiene molto critico su un’exit strategy fiscale basata su un aumento delle tasse, ma si tratta di un ragionamento a medio termine.

Alla fine Gastone decide che finché i dati macro si manterranno buoni come sono adesso non cambierà molto della sua strategia. Certo, è settembre, il mercato ha le sue tradizioni e superstizioni e per qualche settimana spirerà un leggero vento contrario. Gastone venderà qualche call e si ripromette di utilizzare il ricavato per comprare call su prezzi d’esercizio più bassi nel caso il mercato voglia scendere sul serio. Continua infatti a pensare che sia possibile entro fine anno vedere nuovi massimi, anche se non spettacolari. Su quei massimi si ripromette di alleggerire con più impegno.

Al momento il 2010 non si prospetta in nessun modo come un anno funesto. Ci sarà crescita, anche se più lenta di quella che vediamo in questo momento. Se ci si riavvicinerà pericolosamente alla crescita zero si rimetterà mano agli stimoli, più monetari che fiscali. Non saranno stimoli enormi, ma saranno comunque preziosi e molto probabilmente sufficienti a evitare ricadute.
I mercati penseranno però al peggio, almeno per qualche momento, e per questo sarà bene avere a disposizione una riserva di liquidità (da creare a fine anno) per rientrare a livelli più bassi.

Quanto a Paperino, Gastone gli dà un consiglio. Comprati almeno dei bond bancari (garantiti ufficialmente o implicitamente) e dei corporate di buona qualità. Certo, i tassi dei tuoi T-Bill saliranno, ma resteranno comunque estremamente bassi ancora a lungo. Oggi tutti parlano di exit strategy, ma lo fanno soprattutto per rassicurare i mercati e potere in realtà mantenere i tassi bassi. Non aspettare il 2393.

Fonte - Il Rosso e il Nero

 

 

 

  Mercoledì 09 Settembre 2009   Sabato 12 Settembre 2009   Martedì 15 Settembre 2009  
       
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  Si riparte: chi ha soldi può fare buoni affari, gli altri no

07 Settembre 2009 23:19 MILANO - di Giuseppe Turani

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Per chi avesse in mente di fare acquisti (acquisti importanti, case e aziende) si apre una sorta di finestra-opportunità di circa quindici mesi: da adesso fino alla fine del 2010. A questa conclusione si arriva leggendo gli ultimi report congiunturali. Il punto di svolta è rappresentato dal terzo trimestre in America (luglio-agosto-settembre). Secondo le previsioni più aggiornate questi 90 giorni (che stanno per finire) dovrebbero rappresentare il punto di svolta nella Grande Crisi che abbiamo attraversato.
Il Pil americano, infatti, in questo trimestre dovrebbe aumentare per la prima volta dall’inizio della recessione: si pensa addirittura del 3,4 per cento (dato trimestrale annualizzato). E questo fatto dovrebbe chiudere agli occhi di tutti la fase negativa dell’e¬conomia. Poiché gli Stati Uniti sono la maggior economia del mondo, è evidente che un risultato del genere (che sembra abbastanza certo) avrà un effetto importante sul clima generale.

E’ impressionante notare la sequenza degli eventi. Il primo trimestre 2009 si era chiuso in America con una caduta del Pil del 6,4 per cento (dato trimestrale annualizzato), il secondo aveva fatto segnare una diminuzione dell’1 per cento. Il terzo dovrebbe vedere l’America ritornare a una specie di boom, con una crescita del 3,4 per cento.

Naturalmente, non è tutto oro quello che luccica. Dietro questo risultato (se sarà proprio di queste clamorose dimensioni) ci sono tutti gli incentivi fiscali e di altra natura messi in campo dall’amministrazione Obama. Incentivi che andranno via esaurendosi. E infatti si prevede che già nel quarto trimestre la crescita si dimezzi. Poi nel 2010 si proseguirà con valori positivi del Pil, ma ovviamente di dimensioni più ridotte (intorno al 2 per cento). Poi, a partire dal 2011 non si parlerà più di crisi e di recessione.

Tutto questo, però, autorizzerà autorità e pubblico degli investitori e degli operatori a dichiarare ufficialmente chiusa la recessione. E il mondo degli affari potrà tornare a tessere la sua tela.

Come sempre, i primi a muoversi saranno i mercati finanziari. Nelle Borse l’emergenza può essere considerata finita e quindi potrà partire la riconquista delle posizioni (di prezzo) perse durante la recessione. Ma va anche detto che questo, per almeno quindici mesi, sarà il momento buono per chi vuole comprarsi qualche azienda. Dal 2011 in avanti i prezzi potrebbero tornare a essere molto elevati perché a quel punto il mondo dovrebbe essere tornato davvero "normale". Insomma, chi ha i soldi e intende muoversi, è meglio che lo faccia ora. Non si può escludere, quindi, di vedere molti passaggi di mano nei prossimi mesi. La geografia delle aziende e del potere economico, a livello internazionale, potrebbe anche cambiare significativamente.

Su questo punto occorre fare però una precisazione. La finestra-opportunità è aperta solo per chi è stato bravo e ha messo i soldi da parte. Non si potranno comprare aziende con i soldi delle banche, come si faceva prima della crisi. La mappa del potere economico, insomma, verrà ridisegnata nei prossimi quindici mesi, ma a ridisegnarla saranno quelli che hanno i soldi. Gli altri saranno invece ridisegnati.

Ragionamenti non molto dissimili riguardano il mercato immobiliare. Se è vero (è sempre stato così) che circa un anno dopo l’avvio di un boom di Borsa, arriva anche un boom immobiliare (perché la gente va a mettere lì parte dei guadagni fatti intorno ai listini), è abbastanza facile concludere che anche in questo caso i prossimi mesi saranno quelli buoni per chi ha i soldi e vuole comprare casa (o vuole semplicemente investire in immobili). Poi, dalla fine del 2010 in avanti i prezzi potrebbero tornare a salire, e anche molto in fretta.

Insomma, si riparte. Chi ha i soldi può fare buoni affari, gli altri no.
 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

 

 

Oro sopra i mille dollari l'oncia È record degli ultimi sei mesi

08 Settembre 2009 08:52 MILANO - Il Sole 24 Ore
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L'oro supera, per la prima volta in sei mesi, quota 1.000 dollari. Il metallo prezioso a consegna immediata, spinto dalla debolezza del dollaro e dai timori per il riaccendersi dell'inflazione, ha raggiunto quota 1.002,73 dollari l'oncia. L'oro non superava i 1.000 dollari dal 20 febbraio scorso.
Che il mese di settembre sia un periodo positivo per l'oro lo dice, curiosamente, anche la statitistica. Negli ultimi 20 anni per ben 16 volte il prezzo del metallo giallo è, in questi trenta giorni dell'anno, risultato positivo. Analizzando il fixing al mercato di Londra, l'oro ha guadagnato in media il 3,4% dalla fine di agosto, mentre per cinque volte è riuscito a mettere a segno un balzo superiore al 5 per cento. Va anche detto, però, che se è pur vero che nell'ultimo ventennio il mese di settembre è stato un mese d'oro, nei 16 mesi sucessivi all'abolizione della convertibilità del dollaro (avvenuta nel 1971 con il famaso discorso dell'allora presidente degli Usa Richard Nixon) per ben 8 volte il prezzo del metallo prezioso è sceso. Come dire, insomma, che le statitische possono dare un'indicazione di massima ma non sono infallibili.
Al di là delle serie storiche, quali le motivazioni che possono indurre un simile balzo in avanti? Da un lato, c'è chi sottolinea l'incremento della domanda reale. I produttori di gioielli accumulano scorte in previsione di alcuni importanti periodi dell'anno. In India, per esempio, in Ottobre si tiene il Diwai, uno dei più importanti festival religiosi dell'area durante il quale la domanda di gioielli subisce un balzo in avanti. Peraltro anche in Cina, il secondo consumatore di oro al mondo, la richiesta del metallo tende ad alzarsi per vari mesi, dopo il primo ottobre, in previsione dei festeggiamenti del capodanno cinese. Su questo fronte, quello della richiesta del metallo pregiato, va inoltre ricordato che nel secondo trimestre del 2009 il volume mondiale di oro riconducibile alla domanda è sceso del 9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un calo che equivale, a livello di valore complessivo della domanda, ad una discesa del 6% a 21,3 miliardi di dollari. La contrazione, secondo il report di Gold Demand Trends, è da attribuirsi alla debolezza del settore "jewellery" e di quello industriale, controbilanciato da un aumento da quella che viene definita "investment" demand.
Proprio in tal senso, c'è chi sottolinea la funzione di copertura del metallo in caso di inflazione. La domanda di lingotti di "carta" aumenta quando vengono precepiti indizi di un possibile surriscaldamento dell'economia. Ora, visti i segnali che sono arrivati dall'economia reale, pensare ad una effettiva e forte ripartenza del livello dei prezzi al consumo è abbastanza azzardato. Tuttavia, come diceva Keynes, non è tanto importante ciò che realmente può accadere ma quello che gli operatori pensano possa accadere. In questo caso, non sono pochi sul mercato a vedere spinte inflattive e quindi l'attività di hedging aumenta.
Di più, non va dimenticata l'enorme liquidità in circolazione che è in cerca di un luogo dove potersi accasare e realizzare anche un ritorno sull'investimento. Con le Borse che, si dice, potrebbero ritracciare; con i titoli di stato che, in alcuni casi, hanno mostrato dei tassi, al netto di tasse e commissioni, pari allo zero il lingotto diventa evidentemente un rifugio interessante. Soprattutto per quegli investitori non americani che posso sfruttare la debolezza della divisa Usa. «Il mercato toro dell'oro di questi giorni - conferma Mark Pervan, analista di commodity di Anz Bank - è statao spinto dalla sfiducia sulla possibilità che il rally dell'azionario possa ancora continuare. Il rischio che i corsi azionari scendano ha invogliato gli investitori a coprirsi con il lingotto»
Alla luce di questi movimenti, diventano interessanti alcuni titoli di società che operano nel settore. Recentemente, sul mercato delle opzioni, è stato notato un incremento dei volumi su questi diritti. Rispetto, per esempio, a Gold Fields il Wall Street Journal ha rilevato l'incremento delle opzioni call (cioè che scommettono su un rialzo del titolo) di nove volte. Un fenomeno che è stato notato anche su un'altra società legata al business dell'oro: Yamaha Gold.
Ciò detto, la domanda sorge spontanea: questo livello verrà mantenuto? Le risposte degli operatori sono scettiche. «I movimento dell'oro - dice Marcello Esposito, direttore servizi investimenti Banca Patrimoni - sono caratterizzati essenzialmente dalla finalità di copertura del rischio inflazione e dall'idea di bene rifugio a fronte del rischio sistemico». Ebbene? «Io non vedo la possibilità di concretizzarsi del rischio sistemico, così come non è concretizzato con forza il pericolo inflattivo. Quindi credo che il range di riferimento rimanga l'aera compresa tra 900 e 1.000 dollari l'oncia». «Non so se l'oro rimarrà su questi livelli - fa da eco David Moor, commodity strategist di Commonwealth Bank of Australia -. Credo che, alla fine dell'anno, il prezzo dei lingotto sarà al di sotto dell'attuale, probabilmente attorno a 950 dollari l'oncia».

 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

Quattro scenari per il pharma

09-09-09 - Marco Caprotti
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Il dibattito sulla riforma sanitaria in America mantiene pimpante il comparto farmaceutico. L’indice Msci di categoria nell’ultimo mese (fino al 9 settembre e calcolato in euro) ha guadagnato più dell’1,7%. “Gli investitori stanno posizionando i portafogli in attesa di quello che succederà negli Usa”, spiega Damien Conover, analista di Morningstar. “Non pensiamo che il governo imporrà regole eccessivamente rigide per quanto riguarda il controllo dei prezzi dei medicinali sui quali, comunque, vorrà dire la sua. In ogni caso, bisogna ricordare che i giganti americani del pharma realizzano le metà del loro fatturato all’estero”.

I costi delle preparazioni, inoltre, saranno coperti dalle assicurazioni. Un’opportunità che, nei prossimi due anni, dovrebbe essere estesa ai 46 milioni di cittadini che attualmente non hanno una polizza. L’analista di Morningstar ha ipotizzato quattro scenari sul possibile esito della riforma con conseguenti diversi effetti sul mercato farmaceutico (incluso quello borsistico).
Primo scenario Il progetto attuale di riforma, nella sezione D prevede la possibilità di scegliere fra un gran numero di polizze di diverse società. “A causa della quantità di offerte disponibili il governo ha minore capacità di esercitare il controllo sul costo delle polizze”, spiega lo studio di Conover. Probabilmente, quindi, nella nuova versione della riforma sarà diminuito il numero delle polizze per dare all’amministrazione Obama maggiore capacità di controllo. Allo stesso modo il presidente potrebbe decidere di esercitare la sua tutela sul prezzo dei medicinali che potrebbero scendere anche del 15%. Questo si tradurrebbe in uno sconto del 5% sul titolo delle società del settore”.
Secondo scenario L’estensione dell’assicurazione agli individui che ancora non ne hanno una potrebbe aumentare del 15% l’utilizzo dei farmaci. Se questo scenario si verificasse, la crescita delle vendite di prodotti potrebbe compensare un’eventuale diminuzione dei prezzi. “Inoltre il governo potrebbe dare un contributo alle case farmaceutiche che è stato quantificato in 80 miliardi di dollari”, continua il report. Circa 30 miliardi potrebbero essere destinati alle prescrizioni per i più anziani”. In questo caso non ci sarebbero impatti significativi sul fair value dei titoli del pharma.
Terzo scenario La Casa bianca potrebbe decidere di fare una riforma profonda per avvicinarsi a modelli sanitari come, ad esempio quello italiano. In questo caso, potrebbe essere lasciata mano libera alle aziende per quanto riguarda il prezzo dei medicinali. “Prevediamo un aumento medio dei prezzi del 15%”, scrive Conover. “Va precisato, tuttavia, che si tratta di un caso improbabile per le pressioni che verranno esercitate dai lobbisti, dalle aziende farmaceutiche e dai repubblicani in parlamento”. Se si arrivasse a questo esito, comunque, il prezzo delle azioni quotate in Borsa scenderebbe del 10% circa.
Quarto scenario L’ultimo scenario prevede un controllo rigido da parte del governo per quanto riguarda i prezzi delle prescrizioni. “In questo caso il valore dei titoli del comparto potrebbe anche scendere del 30%”, dice l’analista. “Le società, tuttavia, potrebbero compensare i mancati guadagni con minori spese per la commercializzazione dei loro prodotti. Oppure potrebbero aumentare i prezzi in altri mercati. Magari quelli di Paesi che in passato hanno ottenuto finanziamenti dagli Stati Uniti. Riteniamo comunque questo scenario il meno probabile di tutti”.

 

 

 

L'hi tech continua a sorprendere

09-09-09  - di Marco Caprotti
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Il comparto tecnologico continua a comportarsi in maniera brillante. L’indice Msci del settore nell’ultimo mese (fino all’8 settembre e calcolato in euro) ha guadagnato il 2,44%, portando a +35% la performance da inizio anno. La tirata ha fatto bene anche ai fondi del comparto che, a livello mondiale (secondo i dati Morningstar) da gennaio fino al 31 agosto hanno guadagnato mediamente il 34,7%.
“I risultati delle aziende tecnologiche sono stati migliori delle aspettative”, spiega un report firmato da Courtney Goethals Dobrow, analista di Morningstar. “Inoltre, queste società sanno difendersi meglio dagli effetti della recessione. La maggior parte, infatti, è riuscita a passare indenne dallo scoppio della bolla Internet del 2000”.
A spingere il settore tecnologico sono anche alcune operazioni straordinarie. La spagnola Telefonica, ad esempio, ha deciso di aumentare la propria quota nella cinese China Unicom (portandola dal 5,4% all’8,1%) sborsando un miliardo di dollari tondo e diventando in questo modo il maggior azionista occidentale della società asiatica. Non è il primo accordo che il gruppo orientale sigla con l’ovest. Il mese scorso, ad esempio ha siglato un contratto con la Apple per vendere gli apparecchi iPhone.
In Europa, invece, Deutsche Telekom e France Telecom hanno stretto una joint-venture per quanto riguarda il mercato inglese. L’operazione, che secondo le stime porterà il fatturato delle due società a quasi 9,5 miliardi di euro, consentirà ai due colossi di diventare il primo operatore di telefonia mobile del Regno Unito.
Dal punto di visto operativo, in ogni caso, gli analisti consigliano la massima attenzione. “Il comparto tecnologico è molto particolare, non solo per la tipologia delle società ma anche per quanto riguarda le scelte che fanno i gestori”, continua il report di Morningstar. “Prima di acquistare uno strumento di questo tipo, è bene sapere cosa contiene il portafoglio”.
 

Fonte - MorningStar

 

 

 

 

 

  Corporate America: tanto cash, occhio a fusioni ed acquisizioni

09 Settembre 2009 16:45 NEW YORK - di WSI

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Anche dopo il rally poderoso visto di recente, con $335 miliardi in contanti a disposizione, le principali aziende degli Stati Uniti potrebbero senza ombra di dubbio continuare a fare molta strada. Tra queste figurano...
Ora che la possibilita' di un crollo dei mercati e' divenuta piu' remota, gli investitori vorranno probabilmente sapere quali delle maggiori societa' inizieranno ad utilizzare i miliardi di dollari a disposizione per acquisizioni strategiche e maxi-fusioni.

Nei calcoli dei bilanci di tutte le blue chip, non sono stati presi in considerazione gli obblighi sul fronte del debito sia nel breve periodo che non. Si tratta di un calcolo basato solamente sui contanti e sugli investimenti a lungo termine.

Siccome si parla delle maggiori societa' al mondo, con quello che dovrebbe essere un bilancio credibile in tutti i casi, sono comprese anche le cifre che uniscono i crediti da riscuotere e le scorte, in modo da stabilire quali aziende potrebbero servirsi di risorse di capitale addizionali.

Tali cifre non tengono invece conto delle linee di credito inutilizzate e dei prodotti che potrebbero portare nelle casse ulteriori miliardi di dollari. Considerato il metodo di calcolo sopra citato, i numeri potrebbero discostarsi leggermente da quelli forniti dalle stesse aziende per quanto riguarda le disponibilita' di contanti ed equivalenti.

La domanda successiva da porsi e': tutti questi soldi a disposizione si potranno effettivamente tradurre immediatamente in operazioni di M&A? Difficile. Vanno ad esempio tenuti in considerazione i dividendi. Gran parte del denaro potrebbe essere dunque utilizzato per acquisti e fusioni solo in determinate circostanze.

Per questo motivo non fanno parte della lista le societa' che sono perennemente o anche solo temporaneamente fuori dai giochi di M&A. Delle quattordici "extra" large-cap (ovvero con una capitalizzazione superiore ai $100 miliardi) sorprende tuttavia la grande disponibilita' di liquidita' su cui possono contare, senza nemmeno considerare gli effetti complessivi positivi delle linee di credito, dei crediti da riscuotere e delle scorte. Il totale ammonta ad una cifra soprendente di $335 miliardi, un numero che sarebbe di gran lunga superiore se tenesse conto anche delle societa' che invece rappresentano delle eccezioni.

Tra le aziende che possono puntare ad espandersi figurano Exxon Mobil (XOM), Microsoft (MSFT), Johnson & Johnson (JNJ), Procter & Gamble (PG), Berkshire Hathaway (BRK-A), International Business Machines (IBM), AT&T (T), Apple (AAPL), Google (GOOG), Chevron (CVX), Cisco Systems (CSCO), Intel (INTC) e Oracle (ORCL). Anche dopo il rally poderoso visto di recente, con $335 miliardi si puo' senza dubbio fare molta strada.

Exxon Mobil ha una capitalizzazione di mercato di $329 miliardi e sta spendendo circa $8 miliardi l'anno in dividendi. Puo' contare su utili abbastanza alti da coprire la cedola. I profitti dovrebbero infatti attestarsi a $3.94 per azione nel 2009 e il suo dividendo annuale e' di $1.68 per titolo. A meno di un'acquisizione diversificata, l'idea e' che Exxon e' cosi' grande che se fara' un'acquisizione questa avverra' fuori dai confini statunitensi. Forse potrebbe decidere di lanciare una sfida alle ambizioni di crescita della Cina.

Microsoft ha una capitalizzazione di mercato di $213 miliardi e puo' contare su una liquidita' di $36 miliardi. Nonostante le preoccupazioni in materia di antitrust, l'esempio dell'accordo nella ricerca con Yahoo! dimostra che sinora l'azienda non ha avuto problemi di questo tipo. I target piu' sensati potrebbero essere nel settore dei software, dei media, della ricerca, della pubblicita' online e della comunicazione, sempre che tutto il denaro a disposizione non finisca in operazioni di buyback o nel versamento di altri dividendi elevati.

Johnson & Johnson ha una lunga storia di acquisti alle spalle. La sua capitalizzazione di mercato di $165 miliardi si confronta con quella di circa $15 miliardi di liquidita' pura. In questo caso i settori dove l'operazione di takeover potrebbero essere i prodotti al consumo e l'assistenza sanitaria.

Procter & Gamble puo' invece contare su una capitalizzazione di mercato di $153 miliardi, ma vista la liquidita' relativamente bassa, appena sotto i $5 miliardi e' difficile che l'acquisto avvenga in cash. Va tuttavia segnalato che l'accordo annunciato ultimamente per la vendita della sua divisione di farmaci portera' nelle casse altri $3 miliardi e nuovi contanti.

Berkshire Hathaway: nonostante una capitalizzazione di mercato da $153 miliardi non si puo' parlare di tanto denaro a disposizione. E' risaputo che Warren Buffett e' solito buttarsi in enormi investimenti e che da tempo cerca di mettere a segno un colpo grosso. Il bilancio e' di oltre $24.5 miliardi in contanti ed equivalenti, ma il portafoglio investimenti sul lungo termine e' pari a circa $125 miliardi, che potrebbero essere utilizzati per nuovi accordi. Se a 20% del portafoglio investimenti si aggiungono $25 miliardi, ecco che si raggiunge una cifra di $50 miliardi che Buffett e soci potrebbero facilmente utilizzare per fare piu' di un affare nei prossimi anni.

International Business Machines ha una capitalizzazione di mercato di $152 miliardi e cash di $12.5 miliardi dopo aver speso $2.4 miliardi nel solo trimestre scorso in dividendi e operazioni di buyback. Negli ultimi tempi si sono aperte diverse possbilita' nei sistemi di archiviazione di memoria e nell'hardware.

AT&T puo' contare su una capitalizzazione di mercato di $150 miliardi, ma i contanti sono solo $10 miliardi. L'appetito verso operazioni di M&A potrebbe smorzarsi a causa della dimensione troppo grande nel settore tlc, che comporta problemi in materia di antitrust. Tuttavia ci sono areee che potrebbero finire nel radar dell'azienda, come i servizi di telecomunicazione senza contrati e carte prepagate, ma questa e' un'idea che si basa solo sulle mosse fatte di recente dalle concorrenti.

Apple ha una capitalizzazione di mercato di $148 miliardi e una montagna di contanti, pari a $31 miliardi. Comprare le proprie azioni sarebbe troppo caro, ma anche integrare una societa' esterna si potrebbe dimostrare un'operazione complicata. Con 909.16 milioni di titoli, Apple potrebbe permettersi di pagare circa $34.00 per azione di dividendo se volesse portare la liquidita' a disposizione a zero e ripartire da capo.

Google ha una capitalizzazione di mercato di circa $146 miliardi, ma al momento ha un bilancio di circa $19.3 miliardi. Un acquisto importante sarebbe difficile. Piu' probabile che la societa' dichiari un dividendo di $60 dollari e riparta da zero con le attivita' di crescita della liquidita'.

Chevron ha una capitalizzazione di mercato di circa $137 miliardi e puo' contare su oltre $31 miliardi cash. Cosi' come per Exxon, anche in questo caso sara' difficile che Chevron decida di comprare un'azienda energetica grande negli Stati Uniti, proprio per i problemi in materia di antitrust che si verrebbero a incontrare. E' dunque un'operazione di espansione in Cina la soluzione piu' probabile.

Cisco Systems puo' contare su quasi $122 miliardi di capitalizzazione di mercato e nonostante le tante operazioni di takeover e di buyback, il trimestre precedente si e' chiuso con $35 miliardi di contanti. La societa' di router e' in espansione da tempo e su molti fronti, pertanto dove potrebbe concludere un affare dipendera' dalle condizioni generali, con l'azienda che guardera' alle prospettive di crescita future maggiori.

Coca-Cola conta su una capitalizzazione di mercato di circa $116 miliardi e su $14 miliardi di liquidita'. Non ha mai manifestato interesse nell'acquisto di imbottigliatori, preferendo non accettare la sfida lanciata dalla rivale Pepsi. Sembra invece maggiormente interessata ai brand di qualita' ma piu' piccoli. Tuttavia con lo Zio Sam che sta valutando l'ipotesi di tassare le bevande analcoliche, Coca Cola potrebbe per il momento accontentarsi di accumulare denaro.

Prima della chiusura dell'accordo per l'acquisto di Wind River, Intel aveva una capitalizzazione di mercato di circa $110 miliardi e $19 miliardi di contanti, oltre a $6 miliardi di crediti residui e scorte. La societa' e' da tempo molto attiva, attraverso le sue joint venture e dovrebbe tiene i sotto osservazione qualunque accordo nel mercato dei processori, perche' se e' vero che sta gia' dominando il settore, ci sono probabilmente talmente tante tecnologie core parallele nell'informatica e nella comunicazione (almeno una decina) che non sara' probabilmente sottoposta a controlli antitrust.

Oracle puo' contare su una capitalizzazione di mercato di circa $110 miliardi e su oltre $12.5 miliardi di contanti alla fine del trimestre. L'azienda hi-tech sta per completare gli ultimi dettagli dell'acquisto di Sun Microsystems per $7.4 billion, ovvero circa $5.6 miliardi netti di cash e debito e ha emesso titoli per $5 miliardi il trimestre passato. Considerando che Oracle ha fatto in passato decine e decine di acquisizione, non dovrebbe stupire se la societa' manterra' ancora lo stesso tipo di strategia aggressiva, almeno fino a quanto le sara' permesso.
 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

  Gestori, la svolta … è qui

10-09-09 - di Sara Silano

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L’economia ha svoltato pagina. La maggior parte dei gestori si è lasciato alle spalle i dubbi che aveva prima dell’estate ed è più ottimista sui mercati finanziari, anche se la ripresa sarà lenta. In sintesi, è quanto emerge dall’ultimo sondaggio, condotto da Morningstar tra le principali case di investimento che operano in Italia, nel quale è stata introdotta una domanda sulle Borse dell’Asia-Pacifico, accanto alle consuete previsioni su Europa, Stati Uniti e Giappone. La liquidità, dicono anche i fund manager, rimarrà abbondante fino al 2010, per cui le azioni e le altre classi di investimento più rischiose potrebbero crescere ancora, seppur in un contesto volatile.
Europa in recupero
A settembre i gestori ottimisti sui mercati azionari del Vecchio continente sono balzati al 53% (dal 27,8% di luglio). Dai minimi di marzo, i listini sono saliti di oltre il 30%, ma restano lontani dai massimi del 2007. Il rialzo è stato favorito dai risultati del secondo trimestre, che sono stati migliori delle previsioni, grazie al controllo dei costi. Sul fronte macroeconomico, è aumentato il flusso di notizie positive, anche se rimane il problema della disoccupazione.
Usa in chiaroscuro
Gli Stati Uniti raccolgono meno consensi dell’Europa. Tuttavia la percentuale di ottimisti è passata dal 38,9% di luglio al 47,1%. Molti gestori sono convinti che sia prematuro parlare di ripresa, per cui i prossimi mesi saranno caratterizzati da volatilità. Infatti, i dati macro hanno mostrato un miglioramento del quadro generale, anche se i consumi rimangono deboli. Intanto, il governo e la banca centrale proseguono nelle politiche di sostegno all’economia.
Giappone, attesa sul nuovo corso
Sono molto le aspettative legate al cambio della guardia alla guida del Giappone, dopo le elezioni di fine agosto. La vittoria del partito democratico, che ha ottenuto la maggioranza sia nella Camera bassa sia in quella alta, dovrebbe favorire un miglioramento del processo decisionale. I gestori non nascondono l’ottimismo: il 53% è convinto che la Borsa di Tokyo salirà nei prossimi sei mesi, anche se c’è preoccupazione per l’elevato livello di disoccupazione e la debolezza economica.
La crescita passa dall’Asia
Da settembre, Morningstar ha introdotto una domanda sui mercati asiatici, che stanno assumendo sempre più importanza a livello globale. I gestori sono concordi nel dire che la crescita economica futura passerà dall’area del Pacifico e che quindi sia un tema di investimento di lungo periodo. Nel breve, invece, c’è maggior cautela, dopo il forte rally dei mesi scorsi. Il 47,1% dei fund manager prevede un apprezzamento dei listini nei prossimi sei mesi contro il 23,5% che si attende una discesa.
Tassi ancora bassi
La ripresa economica è agli inizi per cui i gestori si aspettano che i tassi rimangano bassi o comunque che non ci saranno interventi in grado di mutare sostanzialmente la curva dei rendimenti. Oltre il 50% non prevede significative variazioni dei prezzi delle obbligazioni negli Stati Uniti, percentuale che sale al 76,5% in Europa. La possibilità di una bolla speculativa è considerata remota, perché difficilmente i rendimenti si impenneranno in un contesto di bassa inflazione e sotto-utilizzazione delle risorse economiche.
Dollaro giù
Più di un gestore su due prevede che il dollaro continuerà a indebolirsi nei confronti dell’euro. Il processo è in corso da tempo ed è causato principalmente dai forti interventi governativi a favore dell’economia e dei mercati. Nei primi mesi del 2009, il biglietto verde si era apprezzato nei confronti della divisa comunitaria per il peggioramento della situazione economica. Oggi, questo fattore a vantaggio del dollaro è venuto meno.
Hanno partecipato al sondaggio, condotto tra l’1 e l’8 settembre, 17 delle principali società di diritto italiano ed estero operanti sul territorio, che contano per circa il 70% degli asset gestiti in Italia. Si tratta di Aberdeen AM, Aletti Gestielle, Allianz Global Investors Italia, Axa Im, Bipiemme Gestioni, Bnp Paribas Am Sgr, Fideuram Investimenti, Henderson Global Investors, Ing IM, Julius Baer, Mc Gestioni, Pioneer Im, Prima Sgr, Sella Gestioni, Threadneedle, Total Return, Vontobel.
 

Fonte - MorningStar

 

 

 

 

 

IL DOLLARO E' CONDANNATO A SCENDERE ANCORA

10 Settembre 2009 02:44 NEW YORK - WSI
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Il deficit enorme degli Stati Uniti, unito alla loro propensione alla continua emissione di nuova carta, sono fattori destinati a gravare sul biglietto verde. Ma non abbiate paura: ci sono tanti modi per proteggersi dall'annunciato tracollo.
Il dollaro e' condannato a perdere ancora terreno, questo perche' il deficit degli Stati Uniti e' enorme e continua ancora a crescere, ma non solo. Preoccupa anche la propensione del Paese a stampare nuova carta per poter rispettare un numero di obblighi sempre maggiore e andare in soccorso di societa' come AIG e Bank of America.
Tra cinque mesi la massa di denaro stampato non sara' altro che aumentata ancora. Nientedimeno che Warren Buffett, proprietario del noto fondo di investimento Berkshire Hathaway, ha scavato la tomba del dollaro nell'editoriale del New York Times della scorsa settimana.

L'investitore multimilionario ha scritto che "fiscalmente, ci troviamo in un territorio inesplorato" e che "le emissioni di nuovi dollari provocheranno certamente il dileguamento del potere d'acquisto della valuta", concludendo che "il destino del dollaro e' legato alle azioni del Congresso". Quest'ultima affermazione vuol dire solo una cosa: che il biglietto verde e' condannato.

Cio' dovrebbe sicuramente mettere in allarme chi possiede la valuta americana, chi viene stipendiato in dollari, chi ha un conto bancario in dollari o chi investe in azioni e titoli di Stato Usa prezzati in dollari. Ma la buona notizia e' che l'indebolimento della valuta americana non avverra' a vuoto, senza che si verifichino altre conseguenze di cui l'investitore attento dovrebbe servirsi proprio come cuscinetto dal tracollo annunciato del biglietto verde.

Affinche' il dollaro cali, altre valute devono ovviamente rafforzarsi. Questo significa che per proteggersi e persino intascare qualche guadagno, e' sufficiente comprare azioni di quelle societa' che sono attive in business misurati in altre valute, come ad esempio Coca-Cola (KO), Wal-Mart (WMT), oltre ovviamente a quelle valute che si ritiene vengano favorite dall'indebolimento del dollaro.

Tra queste, stando al team di ricerca Motley Fool Global Gains, le monete abbastanza stabili da offrire un'alternativa credibile agli Stati Uniti, in quei Paesi che stanno cercando di tenere sotto controllo i surplus commerciali e che hanno un numero notevole di asset che diventeranno sempre piu' richiesti con il passare del tempo.

Tra i candidati papabili figurano l'euro (nonostante il fatto che l"Europa abbia tuttora problemi economici strutturali), il real brasiliano, la rupia indonesiana, lo yuan cinese (dovesse diventare liberamente convertibile), il peso cileno e il sol peruviano.

Siccome non e' possibile prevedere quali opzioni garantiranno i ritorni maggiori, il consiglio e' quello di riempire il portafoglio con un basket di asset che permetteranno di esporsi a tutte le valute sopra citate. Cosi' vi sarete garantiti una diversificazione notevole, che vi mettera' al riparo anche nel caso, tanto per fare un esempio, di instabilita' politica in Peru' o Indonesia.
 

Fonte - WSI

 

 

Torna la voglia di M&A

10-09-09 - Marco Caprotti
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La marea delle fusioni e acquisizioni sta montando. L’indicazione arriva dai segnali che si registrano sui principali mercati mondiali. La notizia più eclatante è stata l’offerta da 16,7 miliardi di dollari fatta dal colosso alimentare americano Kraft per acquisire l’inglese Cadbury (e per ora rispedita al mittente). Ma le cronache finanziarie di questi giorni registrano anche un accordo fra i giganti della telefonia France Telecom e Deutsche Telekom per portare la loro quota di mercato in Gran Bretagna al 37%.
Sempre restando in Europa, Vivendi ha annunciato che intende crescere mediante un’acquisizione in Brasile. Le mire sono cadute sull’operatore televisivo GVT per il quale il gruppo d’oltralpe è disposto a sborsare circa un miliardo di euro. Nuove manovre di consolidamento sono attese anche nel settore auto, dopo che l’amministratore delegato di Renault e Nissan Carlos Ghosn ha detto che “la crisi finanziaria è alle spalle” e che si attende la partenza di acquisizioni nel comparto. E’ ancora presto per dire se si sta per assistere a un’ondata di M&A come quella che ha caratterizzato e guidato le Borse mondiali nei quattro anni precedenti allo scoppio della crisi. Resta il fatto che l’indice Msci World (in euro) in cinque giorni ha guadagnato più del 2%. Una performance di tutto rispetto, se si considera che il paniere da inizio anno ha segnato un +14%.
“Le notizie sulle fusioni e acquisizioni stanno agitando il mercato”, conferma Philip Gorham, analista di Morningstar. “Prendiamo l’operazione Kraft-Cadbury: presto potremmo vedere l’ingresso in scena di Nestlè. Per loro l’acquisizione non sarebbe strategica. Ma se la società americana riuscisse ad avere il controllo di quella inglese diventerebbe un formidabile concorrente. L’unica soluzione è cercare di mettergli i bastoni fra le ruote. L’offerta che ora è sul tavolo è 13 volte superiore all’utile lordo di Cadbury. Nestlè è nelle condizioni finanziarie di fare un rilancio fino a 16 volte. Comunque vada a finire si tratta di un segnale di fiducia per le imprese. Significa che qualche linea di credito è stata riaperta”.
Negli Stati Uniti gli occhi degli investitori sono puntati sul comparto medicale e su quello delle energie alternative. “Il primo ha visto crescere il numero delle M&A da 357 nel primo trimestre a 395 nel secondo. Si tratta di operazioni che hanno un valore medio di 240 milioni di dollari”, dice uno studio della società di consulenza finanziaria Research&Markets. “Nel secondo, da inizio anno ci sono state quasi 800 fra fusioni e acquisizioni”.
Il discorso cambia un po’ quando si parla di Italia. “Il vostro Paese non è mai stata la Terra promessa per le fusioni”, dice Gorham di Morningstar. “Il capitale azionario, di norma, è controllato da pochi grandi soci. Senza contare che alcune delle aziende più interessanti come Eni ed Enel hanno una forte presenza statale. Un elemento che, di solito, spaventa i possibili acquirenti”. Qualcosa, però, potrebbe cambiare nel futuro prossimo. Almeno per le utility. Una norma inserita nel decreto Ronchi (studiato per risolvere alcune infrazioni comunitarie), prevede che i comuni diminuiscano la loro partecipazione nelle società di servizi ed energia al 30% se non vogliono perdere la concessione idrica e quella per la raccolta dei rifiuti. Per quanto riguarda Piazza affari il decreto interessa Acea, Iride, Enia ed Hera, tutte società che hanno forti interessi nei due settori. Per mettersi in regola hanno tempo fino al 2012.
 

Fonte - Morningstar

 

 

 

 

 

  Wall Street: attenzione che siamo quasi al finale

14 Settembre 2009 03:47 BIELLA - di Maurizio Milano

Questo documento e' stato preparato da Maurizio Milano, resp. Analisi Tecnica Gruppo Banca Sella

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La rotazione settoriale premia comparti rimasti un po’ indietro, come i media, i trasporti e gli industriali, mentre prendono fiato i finanziari. Il bear market rally è indirizzato verso gli obiettivi "finali" rappresentati dai livelli di fine settembre-inizio ottobre 2008. Una volta raggiunti, l’asset da privilegiare sarà la liquidità.

Nell’ultima ottava gli indici azionari toccano nuovi massimi per l’anno. Dal supporto a 1965 il Nasdaq Composite supera i precedenti top in area 2060/70 e tocca un nuovo massimo 2009 a ridosso di 2090, portando a +65% il guadagno rispetto ai minimi del 9 marzo a 1265. Per mantenere un’impostazione tonica è importante che eventuali ritracciamenti si mantengano al di sopra di 2000/35. Un segnale di rinnovata debolezza si avrebbe comunque solo al di sotto di 1965 (poco probabile), per un test del forte supporto a 1925. Un segnale negativo si avrebbe solo sotto tale livello (improbabile).

L’obiettivo finale del bear market rally in essere da un semestre è confermato nella resistenza chiave a 2200. I margini si stanno quindi riducendo. Positivo anche il Dow Jones Industrial, che dal supporto a 9280 risale verso i massimi in area 9650/800, toccando un nuovo picco a 9649,85, con un rialzo del 49,1% rispetto ai minimi di marzo. Per conservare un’impostazione tonica eventuali correzioni devono rimanere al di sopra del supporto a 9280, anche se un segnale di maggiore debolezza si avrebbe solo con la perforazione di quota 9000, poco probabile.

Il superamento di 9650/800 spingerebbe poi l’indice verso l’obiettivo ultimo del bear market rally in corso, la forte resistenza a 10350, con estensioni verso la resistenza chiave ad 11000, dove dovrebbe comunque esaurirsi il rimbalzo iniziato a marzo. Rialzo anche per lo S&P500, che dal supporto a 990 risale verso i picchi a ridosso della resistenza a 1045, con un nuovo massimo 2009 a 1048,18; +57,2% dai minimi di marzo. Per rimanere tonico l’indice deve consolidare al di sopra di 995; un segnale di debolezza si avrebbe solo su discese al di sotto del forte supporto a 975, poco probabile. Il superamento di 1045 proietterebbe poi le quotazioni verso la resistenza critica a 1100.

L’obiettivo finale del bear market rally è confermato nella resistenza chiave a 1200. Per mantenere un quadro sereno e propizio alla prosecuzione del rialzo dell’azionario è necessario che la volatilità implicita rimanga sui livelli correnti (Vix sotto 29,00/60); una "scivolata controllata" del dollaro Usa sarebbe un ulteriore elemento a favore. Nonostante la perdita di spinta delle ultime settimane, l’azionario continua a godere di buona salute ed è indirizzato verso gli obiettivi "finali" sopra citati, corrispondenti ai livelli di fine settembre-inizio ottobre 2008. Dopo un semestre di rialzi straordinari, le prospettive di rischio-rendimento iniziano però a deteriorarsi.

Il bear market rally è ormai entrato nella fase di "maturità", ragion per cui il focus deve spostarsi non tanto sul fare nuovi guadagni ma piuttosto sulla protezione dei forti utili accumulati "cavalcando il torello" dell’ultimo semestre. Vista la ben nota "asimmetria" della volatilità, il mercato potrebbe infatti "rimangiarsi" in poche settimane di discese gli utili di molti mesi di salite. Essere disarcionati in corsa sarebbe particolarmente doloroso: meglio quindi non farsi sorprendere sovrappesati quando inizierà lo "scartellamento". Dovremo perciò trovare il coraggio di monetizzare gli utili approfittando dell’euforia che in genere caratterizza le ultime fasi rialziste dei mercati.

Operativamente:

1°) è possibile ridurre fin d’ora il peso dei titoli finanziari a vantaggio di altri comparti, come industriali, media, telecomunicazioni, alimentare e utilities. In tal modo – a parità di esposizione sull’azionario – abbassiamo la volatilità del nostro portafoglio;

2°) una volta raggiunti gli obiettivi indicati sarà opportuno ridurre drasticamente il peso dell’azionario. L’asset class da preferire sarà la liquidità: una liquidità che potrà certamente essere reinvestita in Borsa ma solo dopo una correzione "seria" – un 15-20% sotto gli obiettivi sopra citati, per intenderci – che riporti gli indici al test dell’ampia fascia di supporto compresa tra i massimi dell’11 giugno ed i minimi dell’8 luglio.

Fonte - Analisi Tecnica Gruppo Banca Sella

 

 

 

 

  Giovedì 17 Settembre 2009   Sabato 19 Settembre 2009   Lunedì 21 Settembre 2009  
       
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Il caso Enron

Lunedì 14 Settembre 2009, 7:52 - di Davide Ferri
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Stamattina su Cult ho visto uno speciale sul caso Enron.
Enron, sino all'anno scorso è stato il più grande crack finanziario nella storia degli Stati Uniti.
La Enron, prima del crack fu eletta per 5 anni consecutive dalla rivista Fortune la miglior azienda degli Stati Uniti. Era considerata l'azienda più innovativa, quella dal futuro più roseo. Tutti si strappavano di mano le azioni Enron in borsa.
All'inizio dello scoppio della bolla speculativa Internet, quando il Nasdaq (NASDAQ: notizie) iniziò a scendere, le azioni Enron continuavano a salire perché si riteneva che quello fosse il porto più sicuro in cui investire…
La Enron faceva trading di energia elettrica.
Qualche anno prima i vertici della società avevano ottenuto una speciale deroga dalle autorità americane della borsa per valorizzare il bilancio con principi contabili differenti dalla norma..
In pratica i ragazzi della Enron utilizzarono questa deroga nel modo migliore possibile. NON riportavano a bilancio i ricavi effettivamente fatturati, ma stimavano le potenzialità del future di ogni loro business… In pratica attualizzavano i ricavi che prevedevano avrebbero realizzato in futuro. Fu così che, tra le altre cose, nel 2000 riportarono a bilancio 50 milioni di dollari di utile per un accordo con Blockbuster che non fu messo in pratica…
In pratica i bilanci Enron erano pura fantasia e dietro utili stratosferici riportati di anno in anno, si nascondeva un buco nero…
La Enron pagava gli analisti per avere buone valutazioni…
Tutti gli analisti di Wall Street, prima dello scandalo, continuarono a dare valutazioni elevatissime a Enron pur non sapendo da cosa nascessero quegli utili.
Aprile 2009. Abolizione del mark to market per le banche americane.
Come tutti sappiamo le banche americane da Aprile non debbono più applicare il mark to market nella valutazione dei loro asset.
In pratica se loro hanno asset pagati 100 che adesso valgono 20 (80 di perdita) NON sono più obbligati a riportare in bilancio il valore di mercato di 20, ma possono riportare, in base a precisissime regole tutte ampiamente soggettive (…), un valore ritenuto congruo dal management.
A me ricorda qualcosa…
Anche qui i bilanci sono pura fantasia. Anzi, dopo 9 anni hanno fatto notevoli passi avanti nell'arte di truccare i bilanci: oggi è diventato persino legale…lti
Probabilmente, alla fine, Fortune ci aveva visto giusto: Enron è stata veramente l'azienda più innovativa degli Stati Uniti.
Infatti oggi gran parte delle aziende possono truccare i bilanci.
Oggi abbiamo centinaia di Enron, e, probabilmente, non solo nel settore finanziario.

 

Fonte - tradinganalisi.blogspot.com

 

 

Un crack lungo un anno

14/09/2009 - MIAECONOMIA
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Domani è l’anniversario di un piccolo fatto storico: nel culmine della recessione mondiale, giudicata la peggiore dal 1929, falliva la casa d’affari Lehman Brothers, aprendo uno scenario di una serie di crack a catena nel settore finanziario, che in fretta si propagava dagli Usa verso il resto del mondo.
Ma in verità la crisi era iniziata prima, quando nel luglio 2007 scoppiava la bolla speculativa dei cosiddetti mutui sub-prime (mutui ad alto rischio) figlia di una politica economica senza controlli che generava denaro virtuale da carte senza nessun supporto concreto, come appunto nel caso dei sub prime.
Una girandola di prodotti finanziari speculativi che hanno nel totale accumulato un valore fittizio per 700mila miliardi di dollari, in prativa oltre 12 volte il Prodotto interno lordo di tutto il mondo, che si ferma ad appena 55mila miliardi di dollari. E nel giro di poco l’economia virtuale, come accaduto in passato, nel suo crollo è finita con il travolgere anche l’economia reale, fatta di posti di lavoro che danno da mangiare a intere famiglie, a prestiti per lavorare diventati di colpo difficili da ottenere.
Mentre le autorità di controllo finanziario hanno mostrato tutti i loro limiti, non percependo fino in fondo che strada era stata imboccata. Ma le cose non sembrano andare molto meglio, adesso che arrivano i primi segnali di una faticosa uscita dalla recessione, come segnalano Elio Lannutti di Adusbef e Rosario Trefiletti di Federconsumatori.
I presidenti delle due associazioni, infatti, fanno notare che gli artefici della gravissima crisi finanziaria, salvo rare eccezioni, sono ancora tutti a piede libero “intenti a studiare nuove truffe legalizzate e nuove alchimie finanziarie da parte di ingegneri strutturatori assoldati dai banchieri per studiare attività e strumenti ancor più sofisticati e fraudolenti quali polizze sanitarie cartolarizzate,futures,collateral, swap su petrolio,soia,grano ed altre materie prime”.
Che non a caso ricordano come il 15 settembre 2008 falliva la Lehman Brothers, una delle più grandi banche di affari del mondo "le cui obbligazioni venivano reclamizzate con il massimo dell’affidabilità dal sito dell’Associazione bancaria italiana Patti Chiari". E ancora, il 17 settembre la Fed – la banca centrale Usa - prestava 85 miliardi di dollari al colosso assicurativo americano Aig e il 18 l'Amministrazione varava il Piano Paulson contro l'emergenza finanziaria che rischiava di travolgere tutto.
“Grave la responsabilità di vigilanti ed autorità monetarie – dicono Federconsumatori e Adusbef -, gravissima quella delle agenzie di rating, che hanno sfornato giudizi e rapporti lusinghieri, spesso da tripla 'A' su prodotti finanziari rischiosissimi connessi a quei prestiti che continuano ancora oggi a viaggiare alla deriva ed al di fuori di qualsiasi controllo nei portafogli di banche speculatrici, investitori e risparmiatori”.
Il guaio è che dopo la catastrofe, dopo i miliardi pubblici spesi in Europa e Usa per salvare gli istituti finanziari, ben poco sembra nel concreto essere cambiato, tanto che Lannutti e Trefiletti si chiedono: “Come si può pensare di offrire l’immunità alle agenzie di rating,che sono state tra le maggiori artefici della crisi economica globale,che ha arricchito pochi per impoverire moltitudini ? E come si può tollerare che queste agenzie di rating non abbiano alcuna responsabilità di ordine civile e penale sulle pagelle di massima affidabilità sfornate a gettone ?”.
 

Fonte - MIAECONOMIA

 

 

Nuove regole: l'innovazione finanziaria è un'opportunità

Lunedì 14 Settembre 2009, 12:59 - Di Pierpaolo Molinengo
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È possibile stabilire nuove regole per il mondo della finanza senza che il processo si trasformi in una 'Controriforma', con la conseguente messa all'indice dell'innovazione finanziaria? Anche se ha contribuito a creare l'instabilità che agita i mercati dall'estate 2007, l'innovazione non è necessariamente 'nemica' dell'investitore/consumatore. Questa la tesi che viene presentata dalle pagine del prossimo numero di «Bancaria», il mensile dell'Abi che verrà diffuso in occasione del Comitato esecutivo Abi del 15 settembre, da Mario Sarcinelli. Nel suo intervento, intitolato «Innovazione finanziaria, opportunità e criticità», Sarcinelli contribuisce dunque al dibattito sulle azioni da adottare per impedire nuove crisi future con una posizione in controtendenza. La sua tesi è che le tanto (da alcuni) vituperate innovazioni sono invece importanti, perché perfezionano mercati strutturalmente incompleti, risolvono asimmetrie informative in sede contrattuale, contribuiscono ad abbassare i costi per gli utenti, rispondono a modifiche nella tassazione e nella regolamentazione e, infine, reagiscono al processo di globalizzazione e all'aumentata volatilità.
Ovviamente, il quadro è complesso. Sarcinelli non sostiene che l'innovazione finanziaria «è sempre socialmente utile», ma si rimette al giudizio del mercato: «Se l'innovazione attecchisce è buona, se abortisce – scrive - vuol dire che… non era vitale!». Senza negare, allo stesso tempo, che i segnali inviati dal mercato non sono sempre correttamente interpretati. In caso di fraintendimenti, come appunto avvenuto negli ultimi anni, ecco che «il disastro è assicurato», mette in guardia Sarcinelli. C'è tuttavia una soluzione in grado di minimizzare i rischi: la segmentazione degli intermediari, delle operazioni e della clientela. Sul prossimo numero del mensile dell'Abi anche due studiosi dell'Università romana di Tor Vergata, Michele Bagella e Paolo Paesani, si cimentano nella non semplice difesa dell'innovazione finanziaria. E nell'analizzare le «Nuove regole per un sistema finanziario globale» mettono in guardia dalla tentazione di introdurre troppe norme, che rallenterebbero quell'innovazione necessaria per ampliare il processo di scelta degli investitori e garantire un più ampio accesso al credito.
Il tema sulle conseguenze dell'innovazione finanziaria ritorna anche nell'approfondimento di Elisabetta Gualandri, Andrea Landi e Valeria Venturelli dell'Università di Modena e Reggio Emilia. In questo caso, però, il punto di vista è differente: si parte dall'analisi del rischio di liquidità. Un elemento decisivo ai fini della stabilità del sistema, a maggior ragione negli ultimi anni, quando alla crescente finanziarizzazione delle economie non si è accompagnato un parallelo sviluppo di un sistema di regole. L'esistenza di sistemi «frammentati a livello nazionale» impone, queste le conclusioni dei tre ricercatori, una nuova gestione del rischio di liquidità, da considerare secondo un «approccio pan-europeo, che veda la convergenza dei regimi di liquidità, delle prassi di vigilanza al riguardo, con uno scambio informativo continuo». Interessante anche l'articolo di Maria Cristina Arcuri e Gino Gandolfi, in cui si fa il punto sulla nascita di Blackrock (NYSE: BLK - notizie) -Barclays (Londra: BARC.L - notizie) , il maggior player mondiale nella gestione del risparmio, ragionando sulle domande cruciali che questo merger colossale pone all'industria dei servizi finanziari.
La sezione «Contributi», infine, offre documenti 'unici' per operatori dell'informazione finanziaria, professionisti del settore e ricercatori: le trascrizioni, rielaborate, delle relazioni o degli interventi pronunciati a braccio dal ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, dal Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi e dal Presidente dell'Abi Corrado Faissola in occasione dell'assemblea annuale Abi dello scorso 8 luglio. In particolare, la relazione di Draghi pubblicata su Bancaria è stata integrata con gli interventi fatti a braccio dal Governatore, mentre le parole di Tremonti - che non aveva un testo scritto - sono state trascritte.
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

 

  Che farà il mercato prima di salire ancora?

14 Settembre 2009 00:16 NEW YORK - di Martin J. Pring

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I modelli che seguo continuano a indicare un’impostazione positiva per i tre principali mercati: obbligazionario, azionario e materie prime. Una conferma dell’intonazione già assunta in agosto.

UPTREND PRIMARIO. Sulle Borse statunitensi aumentano gli indizi di presenza di un trend primario rialzista. Il nostro modello, che confronta il momentum del rendimento del mercato azionario con quello delle commercial paper a tre mesi (mercato monetario Usa), è tornato bullish per la prima volta dal settembre 2007. Di conseguenza il nostro «barometro» generale sul mercato azionario potrebbe generare un segnale rialzista nel corso del mese di settembre.

D’altronde, se è pur vero che il rally partito a settembre è stato molto intenso, tuttavia non registriamo divergenze tra le principali medie e gli indicatori di ampiezza che misurano quanti titoli stanno contribuendo al rialzo, come l’A/D line del New York Stock Exchange. Anzi, a ben vedere la grande ampiezza del movimento delle azioni sembra aprire spazio a nuovi massimi in settembre e, dunque, ad uno sviluppo incoraggiante del trend in corso. Ma non sono tutte rose e fiori. La struttura tecnica positiva del mercato risulta «tirata» sia nel breve sia nel medio periodo: dunque una correzione appare fisiologica, e a dire il vero anche benvenuta, all’interno della tendenza rialzista che sta prendendo consistenza in ottica di lungo periodo. Che è poi quello che interessa di più.

PIÙ PESO ALL’EUROPA. Più in generale, abbiamo osservato a fine agosto una leggera disaffezione da asset come le materie prime e titoli delle società collegate, le valute ritenute difensive e gli Etf legati ai mercati emergenti. In particolare il fondo quotato Fxi che replica il listino azionario cinese è stato uno dei più penalizzati dopo essere stato protagonista nel rally dei mercati azionari nei mesi precedenti. Sta infatti sottoperfomando le principali Borse. E non è tutto.

L’indice di Shanghai ha violato la trendline rialzista che lo sosteneva dai minimi, ma anche la linea di tendenza ascendente del rapporto tra lo stesso inidice e l’S&P Composite. E chi sta prendendo il suo posto a condurre le danze delle Borse? L’Europa. Infatti il ruolo di leader in termini di forza relativa sembra essere ormai assunto dai mercati azionari del Vecchio Continente. Già a inizio agosto abbiamo aggiunto alla nostra asset allocation l’Etf legato alla Borsa svedese. Ora tocca al mercato azionario francese a entrare in portafoglio.

Cosa fare poi con le materie prime? Dipende dall’orizzonte temporale. Benché i prezzi rimangano inseriti in un trend primario rialzista, stiamo osservando alcuni fenomeni particolari. Innanzi tutto un picco a livello di trend di medio periodo nel ratio tra azioni favorite in situazioni di deflazione e quelle favorite da uno scenario inflattivo. Poi, i nostri indicatori Kst, sia di breve sia di medio periodo, applicati alle quotazioni del mercato obbligazionario Usa hanno iniziato a girare verso l’alto. Di conseguenza, una combinazione di questi fattori suggerisce che il mercato potrebbe attendersi una temporanea fiammata dello sviluppo di uno scenario deflattivo.
Se questa lettura di fenomeno temporaneo dovesse essere corretta, avremmo buone possibilità che il rally del mercato azionario continui in salute, gettando basi più solide per il recupero delle Borse.

ATTENTI AL DOLLARO. Il Dollar index resta sotto la media mobile di lungo periodo, registrando una serie di massimi decrescenti. Non si scappa: il trend deve essere classificato come ribassista. In ogni caso, prudenza: alcune rotture potrebbero rivelarsi momentanee, se non addirittura falsi segnali. Non si può escludere che prima o poi si sviluppi una forte reazione. In quest’ottica monitoriamo quota 81,5. Fino a che questa soglia non sarà superata non si avranno dubbi sull’impostazione ribassista.

ASSET ALLOCATION. Per la nostra asset allocation continuiamo a suggerire la presenza di un 5% di obbligazionario corporate, tramite l’iShare iBox Corporate Bond Etf. Manteniamo un 10% sull’Inflation Protected Etf (Wip). Si tratta di un fondo quotato che punta su bond governativi internazionali e offre una copertura contro l’inflazione e contro un declino del dollaro. Ma non è l’unica scommessa sul ritorno del carovita. Infatti in vista di un possibile rally di medio periodo nel mercato del credito, raccomandiamo anche un 10% allocato sull’Inflation Protected Us Etf (Tip).

Una scommessa di lungo periodo, che però nel breve periodo potrebbe soffrire. Come collocare invece la parte azionaria? Per prima cosa notiamo che pur essendo in trend rialzista, Wall Street sta sottoperformando il resto del mondo. Quindi fino a che non avremo segnali contrari a questa lettura, non andremo oltre il 30% di asset azionari Usa in portafoglio. Aumentiamo invece, come accennato, il peso dei mercati azionari europei, mentre alleggeriamo i mercati asiatici ed emergenti dopo le buone performance fino a metà agosto. Nel complesso, alle Borse non-Usa riserviamo il 25% del portafoglio.
La scelta dei singoli mercati (Cina, India, Sud Corea, Francia, Svezia, Australia e Messico) è stata fatta privilegiando i listini con l’impostazione rialzista del nostro indicatore Kst di lungo periodo come forza relativa rispetto al World index.

Spazio anche all’oro. Poiché tutti i grafici del metallo giallo espresso nel varie principali valute mondiali (euro, dollaro, yen) sono orientati al rialzo restando sopra la media a 12 mesi, continuiamo a consigliare un 10% posizionato sulla commodity. Pronti però ad alzare il peso al 15% se l’oro confermerà il superamento di 1.010 dollari all’oncia su base settimanale.
 

Fonte - Borsa&Finanza

 

 

 

 

 

Un mare agitato attende le Borse

17-09-09 - Marco Caprotti
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Se il peggio della tempesta è passato, non è detto che adesso nel mare dei mercati finanziari si possa navigare tranquilli. Il 15 settembre, operatori e commentatori di tutto il mondo hanno ricordato il primo anniversario della caduta di Lehman Brothers. Un avvenimento che, secondo molti, avrebbe potuto cambiare per sempre la storia del capitalismo.
I segnali c’erano tutti. La bufera del settore finanziario (già provato dalla crisi dei subprime) che ha mandato a picco la storica merchant bank si era spostata con rinnovato vigore sull’economia reale costringendo le famiglie a chiudere ancora più stretti i portafogli e le aziende a presentarsi col cappello in mano davanti alle banche per avere linee di credito ricevendo, nella maggior parte dei casi, un secco no.
Dodici lunghi e pesanti mesi dopo, le Borse sono ancora in piedi. E dimostrano ottima salute. Se nelle ultime 52 settimane (fino al 15 settembre) l’indice Msci World ha perso il 12%, da inizio 2009 ha guadagnato quasi il 16%. Il discorso è simile se si guarda ai sotto-panieri regionali. Il benchmark relativo al nord America in un anno ha lasciato per strada il 13,5% mentre, da gennaio, è salito del 14%. Lo Europe (che da metà settembre del 2008 è arretrato dell’11,2%), da inizio anno è salito del 21% circa. Il listino dell’Asia in un anno ha perso il 3%, mentre da inizio 2009 ha registrato + 20%.
A questo punto è utile capire se, dopo quello che i mercati si sono lasciati alle spalle, la corsa può continuare. “L’economia a livello globale sembra dare segni di stabilizzazione e qualche movimento di crescita è ancora possibile prima della fine dell’anno”, spiega Jeremy Glaser, Market editor di Morningstar. “Le previsioni a lungo termine di molti operatori, tuttavia, parlano di una situazione più complessa. Secondo i nostri analisti i mercati azionari, sia a livello regionale che settoriale, hanno raggiunto valutazioni adeguate. Ci sono tuttavia ancora delle incertezze sulla solidità del recupero a cui abbiamo assistito da inizio anno. Per questo non possiamo escludere nuovi forti movimenti della volatilità. Insomma: se proprio non possiamo navigare in un mare più calmo nei prossimi 12 mesi, almeno speriamo che l’anno passato ci abbia insegnato a costruire imbarcazioni più solide”.
Gli analisti, nel dubbio, preferiscono muoversi con prudenza. “Il rally estivo dell’azionario ha aumentato la fiducia degli investitori. Molti, tuttavia, hanno delle perplessità sulla tenuta di questa corsa”, recita l’ultimo Global Snapshot di Henderson Global Investors. “I grafici di lungo termine, segnalano che siamo sulla rotta giusta per una tendenza al rialzo. In passato, però gli indicatori hanno anche cambiato direzione, soprattutto nei momenti di forte volatilità. Se ci trovassimo in uno di quei periodi, le indicazioni di una ripresa potrebbero non essere completamente attendibili e dovremmo parlare soltanto di una fase di consolidamento”.
Sulla stessa linea di prudenza sono anche Andrea Delitala e Marco Piersimoni, investment advisor di Pictet Funds. “ Il recupero dai minimi di inizio marzo rappresenta un’eccezione per la velocità con cui è avvenuto. Il rialzo, comunque, ci lascia ben lontani dai livelli precedenti al fallimento di Lehman”, scrivono nella Nota strategica datata 10 settembre. “Un fattore determinante di questo recupero, è stata la celerità nella ricapitalizzazione delle banche: a fronte di perdite di 1.600 miliardi di dollari a livello mondiale, sono stati apportati 1.300 miliardi di nuovi capitali, di cui poco meno della metà dai governi. Questo ha contribuito ad eliminare uno dei maggiori ostacoli al corretto funzionamento dei mercati finanziari. Fugato oramai definitivamente il rischio di collasso del sistema, si è tornati a ragionare sui fondamentali che, a marzo 2009, offrivano valutazioni stracciate”.
Pensando al futuro, un elemento determinante saranno gli utili. “Per i mercati azionari il passaggio cruciale avverrà nel 2010, quando bisognerà tornare ad analizzare investimenti e fatturato e non solo la riduzione dei costi”, continua Pictet. “Gli investitori premiano le soluzioni radicali come licenziamenti e dismissioni in tempi di crisi. Ma all’uscita dalla turbolenza, cercano anche la crescita”.
 

Fonte - Morningstar.it

 

 

Il mistero s’infittisce

Friday, 18 September, 2009 at 19:09 - by phastidio
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Interessante commento di David Rosenberg quest’oggi, sui compratori statunitensi di questo furioso rialzo azionario. Non sono i fondi comuni azionari, che anzi ancora di recente hanno visto riscatti netti a favore dei fondi obbligazionari. Non si tratta neppure di insider buying, visto che i dirigenti di imprese quotate sono pesantemente venditori netti di azioni. Né si tratta di riacquisto di azioni proprie da parte delle imprese, un canale di domanda che si trova ai minimi dal 1998. Chiunque sia il compratore (Rosenberg ipotizza soprattutto ricoperture e program trading) resta la realtà di un mercato che ormai si trova al 60 per cento sopra i minimi, e soprattutto in modo del tutto scorrelato dalla fase del ciclo in cui ci troviamo. Anche sul piano dell’analisi tecnica, il mercato si trova il 20 per cento sopra la propria media mobile a 200 giorni. L’ultima volta è accaduto 27 anni fa. Ma tutto è eccezionale, in questo ciclo di mercato.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

Le banche nel mirino dell’Ue

18/09/2009 - MIAECONOMIA
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I conti correnti italiani sono cari, carissimi. E non è una sensazione: lo ha messo nero su bianco l’Antitrust al termine dell’indagine conoscitiva sul costo dei servizi bancari avviata un anno fa. L’importo medio di tenuta e movimentazione di un c/c ammonta a 182 euro, ma per l’Authority è presente “un’enorme variabilità dei prezzi: per la stessa tipologia di conto si può pagare anche 10 volte di più”.

E, nonostante, l’Associazione bancaria italiana rispedisca sempre al mittente queste accuse, spiegando che i prezzi dei c/c italiani possono essere cari, perché offrono pacchetti di servizi, come la possibilità di pagare le utenze (gas, luce, acqua, telefono), di effettuare bonifici e comprendono anche i costi del Bancomat, poi nella realtà quando ci si rivolge ad uno sportello bancario per richiedere l’apertura del c/c bisogna prestare sempre molta attenzione.
Un campanello d’allarme anche per l’Unione Europea. Le banche italiane, insieme a quelle di Francia, Spagna e Austria, sono finite nel mirino della commissaria ai Consumatori, Meglena Kuneva, che martedì prossimo presenterà un rapporto ad hoc.
E da quello che si apprende da fonti vicine a Bruxelles il resoconto è tutt’altro che roseo: l’Ue punterà, infatti, il dito contro la poca trasparenza e i costi più alti d’Europa applicati dagli istituti di credito dei quattro Paesi.
In particolare, Italia, Austria, Francia e Spagna si distinguono per scarsa trasparenza e servizi bancari cari. Al contrario dell’Olanda dove, invece, il sistema bancario si distingue per i minori costi.
La commissaria Kuneva ha individuato diverse forme in cui si manifesta la mancanza di trasparenza: i problemi riguardano le informazioni contrattuali, il trasferimento del conto corrente da una banca a un’altra, il livello e la trasparenza delle tariffe praticate, il conflitto di interessi di impiegati o intermediari nel momento in cui forniscono indicazioni ai clienti.
Secondo Bruxelles, sono questi i motivi per cui solo meno del 10% dei consumatori europei ha trasferito il proprio conto da una banca a un’altra negli ultimi due anni.
Capitolo a parte per l’Italia dove il capo d’imputazione principale riguarda la struttura dei prezzi dei conti correnti, giudicata dalla Commissione “molto opaca” e tale da impedire ai consumatori di sapere quanto stanno pagando e di comparare le diverse offerte.
Una restrizione alla trasparenza bancaria che si sta comunque cercando di arginare. Va, infatti, ricordato che a decorrere dal prossimo 1° novembre 2009 scatteranno i nuovi termini massimi per la data di valuta a favore del beneficiario di bonifici (un giorno), di assegni circolari (sempre un giorno) e di assegni bancari (tre giorni). Più chiare e rigorose anche le disposizioni a favore dei clienti delle banche per ciò che riguarda la commissione di massimo scoperto e la surrogazione dei mutui.
Mentre dal 25 settembre entreranno in vigore le nuove norme sulla correttezza della informazioni con la clientela scritte dalla Banca d’Italia che vieteranno clausole in caratteri minuscoli e pagine di contratti incomprensibili.
 

Fonte - MIAECONOMIA

 

 

 

Per i promotori finanziari la sfida più difficile

18 Settembre 2009 10:42 MILANO - di Lucilla Incorvati e Marco lo Conte
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Provateci voi a dare il consiglio giusto su come impiegare i soldi degli altri. Magari in piena crisi finanziaria, peraltro, quando le banche fallivano al ritmo di una al giorno, quando buona parte delle certezze costruite in 150 anni di storia dei mercati finanziari venivano spazzate via da una valanga di ordini di vendita, quando migliaia di bancari lasciavano con gli scatoloni in mano la loro sede di lavoro. Oppure dopo, quando le Borse si sono riprese e hanno iniziato a correre, come accaduto negli ultimi mesi, e tentare di far recuperare più di qualcosa ai propri clienti. Provateci voi ad avere la responsabilità del benessere o semplicemente dei risparmi di un cliente, nel bel mezzo di una crisi sistemica. Metterci la faccia, ottenere in cambio fiducia.

Sotto pressione sono finiti in particolare i promotori finanziari. Una categoria che, regolata sin dal 1991 con un apposito albo, dopo una fase di espansione (1999-2004) è stata recentemente costretta a ripensare al proprio modello. Negli ultimi anni si è imposto il cosiddetto multibrand, con reti che distribuiscono prodotti di più case: un fenomeno che ha spinto i professionisti ad affinare le proprie conoscenze, dedicando più tempo alla preparazione e focalizzando l'attività non solo sulla pura vendita ma anche sulla consulenza. La selezione di mercato ha fatto prevalere i migliori, quelli con i portafogli più consistenti.
«Si, è un momento difficile», dice Dino Cardone, 78 anni, pescarese, da 37 nel mondo della consulenza finanziaria, prima in Fideuram e poi in Azimut. «I clienti sono diventati molto diffidenti, restii perfino a sottoscrivere un titolo di stato. È fondamentale quindi proporre soluzioni semplici, chiare, anche perché qualche scelta non azzeccata c'è stata da parte di tutti. In più di trent'anni di lavoro, però, la crisi peggiore è stata forse quella del 2001: a livello psicologico il crollo delle Torri gemelle e quello che ne è conseguito è stato più forte del fallimento di Lehman Brothers. Si era innescato il timore di perdere qualcosa non solo a livello patrimoniale ma soprattutto a livello personale, la famiglia, i propri cari. Che cosa insegnano questi momenti? Che nel nostro lavoro la parte più importante sta nello stare vicino al cliente in ogni fase, in particolare nei momenti di maggiore difficoltà».

Cosa che fanno anche i consulenti indipendenti. Sono proprio loro la novità del settore. Un po' evoluzione e un po' alternativa alla figura del promotore finanziario, questa professione ha trovato una definizione normativa con la Direttiva Mifid (è oggi un'attività soggetta alla vigilanza Consob così come la promozione finanziaria). Prima i consulenti "fee only" (pagati a parcella e non in ragione dei prodotti collocati) operavano liberamente, ma la loro attività non era riconosciuta giuridicamente. Il percorso normativo non ancora concluso porterà a fine 2009 alla nascita dell'Organismo incaricato di gestire l'albo professionale. Per potersi iscrivere - come nel caso dei promotori finanziari - sarà necessario fare un esame.
«Telefonate preoccupate ne abbiamo ricevute, però non abbiamo avuto alcun freno nella nostra attività», racconta Claudio Botteghi, 28 anni di Rimini, da due attivo presso Skema come consulente indipendente. «Anzi abbiamo avuto un vero e proprio boom di clienti, venuti da noi spinti da una crisi che ha messo a nudo un certo modo di fare finanza. Li abbiamo conquistati grazie a un approccio sereno: non dipendiamo dai budget delle reti e per questo siamo liberi di organizzare una strategia d'investimento centrata sulle esigenze del cliente. Non guardiamo alle previsioni e per evitare brutte sorprese usiamo indicatori come i take profit (prese di profitto) o gli stop loss (limite massimo alle perdite). Ma una cosa diciamo con chiarezza ai nostri clienti: nessun metodo garantisce di comprare ai minimi e di realizzare ai massimi».

E che cosa avete consigliato in questi ultimi due anni? «Penso che il risparmio gestito sia la soluzione d'investimento migliore; i fondi sono prodotti semplici e trasparenti. Certo, non tutti: abbiamo elaborato uno studio che ci permette di selezionare quelli in grado di battere con costanza gli indici».
Su come si rassicura la clientela ne sa qualcosa anche Dino Cardone, che si porta dietro clienti da quasi quarant'anni. «È importante saper trasferire un senso di sicurezza al cliente – aggiunge – quando s'instaura una relazione. È fondamentale essere sereni e tranquilli quando si danno chiarimenti e spiegazioni. Oggi più di ieri serve un carattere forte, autorevole e soprattutto positivo. La gente non affida il suo denaro a una persona triste e demotivata. Ottimismo, onestà e serietà, ovviamente: sono la base per instaurare un rapporto di fiducia con la clientela e salvaguardare la propria credibilità sul mercato. Certe relazioni non s'interrompono così facilmente e dopo tanti anni i clienti diventano amici e si diventa intimi».
Non è un lavoro per giovani? Certo, l'esperienza rappresenta agli occhi del cliente un valore aggiunto e per Botteghi avere meno di trent'anni non è esattamente un vantaggio, quando in gioco ci sono i milioni di euro dei clienti che vogliono sapere come investire il proprio patrimonio privato. Anche per questo agli incontri è importante la presenza del suo diretto superiore (Franco Bulgarini, fondatore di Skema). «Ma non chiamatelo accompagnamento - precisa Botteghi - lo chiamano così a Mediolanum, dove ho lavorato per due anni». Perché ha lasciato quella struttura? «Il promotore finanziario a mio avviso è 80% commerciale e 20% consulenza. E l'ordine delle priorità vede al primo posto la rete, poi il promotore e infine il cliente. Io sin da studente avevo in mente un approccio diverso, molto più vicino a quello del commercialista, che aiuta la clientela a compiere le scelte più razionali in relazione alle sue esigenze. E questo secondo me il promotore finanziario ha difficoltà a farlo, condizionato com'è da altro. E la crisi finanziaria, questo, l'ha messo in luce». Cosa vi dite quando v'incontrate con gli ex colleghi della rete? «Il mio ex capo mi dice sempre che in ufficio da lui è pronto a riprendermi con lui e io gli rispondo sempre che preferisco questo tipo di professione».
Eppure, prima che nel 1991 nascesse l'albo dei promotori finanziari, questi operatori si chiamavano proprio consulenti finanziari. Cosa è cambiato rispetto ad allora? «Trent'anni fa collocavamo un unico prodotto (Fonditalia, fondo comune di diritto lussemburghese, collocato da Fideuram) semplice ma completamente sconosciuto al mercato. Non servivano competenze tecniche quanto le capacità relazionali del professionista, impegnato a fare percepire alla clientela la nuova opportunità di guadagno. La clientela aveva esigenze semplici: salvaguardare i propri risparmi e migliorare il proprio tenore di vita, costruito spesso con sacrificio. Si telefonava a casa alla gente, chiedendo un incontro, anche se contava molto anche essere presentati. Oggi prevale il canale diretto e la segnalazione da parte di "referall" e soprattutto prevale la parte consulenziale rispetto al collocamento puro e semplice. I clienti hanno bisogni più complessi: spesso si lavora in collaborazione con altri professionisti, come avvocati, notai, commercialisti».

Proprio come il nuovo consulente indipendente. Che punta però molto su una preparazione specifica. Botteghi ha due lauree, una in Economia aziendale, l'altra in Statistica, oltre a una specializzazione in Intermediari finanziari. Nel suo bagaglio professionale, un foglio excel per elaborare calcoli e verificare ipotesi applicate ai portafogli dei clienti. E sulla scrivania un libro di Warren Buffett. «Molti lo citano, ma pochi lo conoscono - dice Botteghi - leggo molto di suo e su di lui e cerco di imparare.»
C'è chi ha modelli e chi è un modello: «In questi mesi sto trasferendo il portafoglio ai miei figli, Rita e Giuseppe - dice Cardone -, anche se intendo continuare a seguire come andranno. A loro sto trasmettendo anche un valore importante, l'apertura al cambiamento: in tutti questi anni mi ha portato da una rete gerarchizzata come la prima Fideuram, poi a una rete che supportava l'espansione di una grande banca sul territorio (UniCredit); quindi ho sposato il progetto di una rete indipendente in cui i promotori sono anche azionisti (Azimut)».
Ma quanto si guadagna facendo questo lavoro? Claudio Botteghi è agli inizi: ma può già contare su livelli di retribuzione che i suoi coetanei difficilmente riescono a conseguire: «In media circa 2.500 euro al mese. Mi sento molto fortunato se mi paragono con quanto fanno alcuni giovani professionisti, come i commercialisti, che investono anni dell'inizio della loro carriera percependo compensi qualche volta inferiori». Un promotore finanziario invece incassa ogni anno come minimo l'1% rispetto al suo portafoglio, se colloca prodotti della casa. Guadagni che salgono per chi ha incarichi di gestione della rete. «Al top del mio percorso professionale avevo un portafoglio di 50 milioni di euro. Ma come diceva un mio vecchio capo a Fideuram, "io credo nella fortuna, ma trovo che più lavoro più ne ho". Insomma, l'impegno tenace e costante nel lavoro sono premianti».
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

 

  «Moneta-merce e liquidità» I complici della crisi finanziaria

22 Settembre 2009 08:19 MILANO - di Vittorio Carlini

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Maggiori regole per mercati e istituti finanziari; meno bonus ai banchieri e più patrimonio alle banche. Il tutto avvolto dal richiamo a ritrovare l'etica perduta. Sono alcune delle impostazioni che dovrebbero guidare i lavori del G20 di Pittsburgh. Il rischio, tuttavia, è che il "Congresso di Vienna" della finanza partorisca il più classico dei topolini. Non solo per le divergenze tra i vari grandi (Europa e Inghilterra in testa). Ma anche, sostengono in molti, perché le diverse impostazioni non colgono la profondità della crisi: «Spesso - dice Marco Vitale, economista d'impresa -, sono il frutto di una mancanza di pensiero in grado di "sviscerare" i perché strutturali del grande crack». Un tentativo, al contrario, che Massimo Amato e Luca Fantacci , entrambi esperti di storia della moneta e docenti alla Bocconi di Milano, fanno nel loro «Fine della finanza» (Donzelli Editore). Certo, si potrà obiettare la validità del loro pensiero; come si potrà e dovrà discutere sulla validità delle soluzioni prospettate. Ma è indubbio che, di fronte «ai menestrelli del tutto come prima - per dirla sempre alla Vitale - e ai tanti talebani del mercato» il porre dei dubbi di sistema è comunque esercizio utile. Il Sole24Ore.com ha in contrato i due economisti per capire meglio il loro pensiero.

«Il vero nodo - dice Amato - è stato modificare la funzione stessa della finanza. Quest'ultima, in senso lato, riguarda l'apertura di un credito a favore di un soggetto cui viene anticipato del denaro per sviluppare, ad esempio, un'impresa. Una funzione essenziale per l'economia reale che presuppone, prima o poi, la chiusura del credito stesso». Non è un caso, quindi, che nel latino del tardo impero "Finantia" significasse «definizione amichevole di una controversia».
«È il "pagherò" della cambiale - fa notare Fantacci-, che, tuttavia, nel mercato finanziario si è trasformato in un "pagherò mai"». Addirittura! Non è un po' un'esagerazione...«Al contrario, a livello di sistema è proprio così. Grazie a tecniche come la cartolarizzazione, il creditore e il debitore sono stati "allontanati", non c'è più una relazione personale tra loro. È stato volutamente interrotto, scisso il rapporto tra le due parti. In questo modo il debitore ha potuto non solo posticipare il pagamento, ma rinviarlo all'infinito: il "pagherò" è stato, di fatto, trasformato in un "paghero mai". Una rivoluzione non solo economica ma, oserei dire, antropologica». Ma come è stato possibile arrivare a tanto? «È abbastanza facile da capire - risponde Fantacci - Il debito, magari subprime, è stato trasformato, anche grazie allo spacchettamento delle cartolarizzazioni, in un qualcosa comunque desiderabile, appetibile. Un titolo tanto più richiesto in quanto "gettato" nel fiume della liquidità che, per la sua stessa natura, ha la necessità di trovare una remunerazione, possibilmente sempre maggiore».
Secondo quest'impostazione, quindi, la liquidità è uno dei problemi alla base della crisi...«Sì. La liquidità, intesa come continua convertibilità di un titolo in moneta e viceversa, è la base strutturale di questo sistema. Che, peraltro, per funzionare richiede un ulteriore elemento». Vale a dire? «La moneta intesa come riserva di valore -risponde Fantacci -. Com è noto, la currency attualmente è: unità di conto, mezzo di scambio e, per l'appunto, riserva di valore. Ecco, quest'ultima caratteristica è imprescindibile nel mercato finanziario: la moneta dev'essere una merce il cui prezzo è il saggio d'interesse. Se non ci fosse questo aspetto chi cede moneta non dovrebbe, né potrebbe, essere remunerato con il saggio d'interesse, per l'appunto. E, di conseguenza, tutta l'impalcalcatura della liquidità che genera ricchezza grazie alla moneta-scambiata-con-titoli-di-credito-sempre-trasformabili-in-moneta non potrebbe funzionare».

Una visione un po' radicale. Attribuire tutto questo peso alla riserva di valore non è un arteficio teorico a sostegno della tesi esposta? «Assolutamente no - ribatte Amato - La prova si è avuta quando le banche centrali hanno inondato il mercato con "denaro frusciante". Ebbene, se fossero prevalse le caratteristiche di unità di conto e mezzo di scambio, la moneta sarebbe circolata tra gli istituti finanziari. Invece, le banche hanno tesaurizzato la liquidità. L'hanno considerata una merce, l'hanno messa "in magazzino", tenendo a mente essenzialmente la funzione di riserva di valore». Quindi, l'errore è nella gestione degli istituti di credito? «Non si tratta di volontà o meno: se rimaniamo a questo livello la discussione è superficiale. È il mercato finanziario che induce tali comportamenti: da un lato si vuole che la banca presti denaro dall'altra la si invoglia a tesaurizzare. La vera questione è un'altra: bisogna eliminare la moneta-merce, in modo che gli istituti di credito tornino a focalizzarsi su quello che dovrebbe essere il loro reale core business, cioè svolgere l'attività d'intermediazione per garantire prestiti al mondo dell'economia reale».
Un bel discorso teorico, ma realizzabile in che modo? «Bisogna avere il coraggio di pensare a una riforma del sistema monetario - risponde Fantacci - La strada da seguire, un po' sulla falsariga di quanto era nell'idea di Keynes a Bretton Woods, è quella di una moneta internazionale nella forma di clearing union. Il meccanismo della stanza di compensazione necessita solo della moneta come unità di conto e delle anticipazioni contabili. In questo modo l'elemento di riserva di valore viene meno e si elimina alla radice il meccanismo della rendita monetaria. A livello locale poi, anche per ridefinire in maniera corretta un reale rapporto tra debitori e creditori, bisognerebbe pensare alla creazione di divise territoriali». Ritorniamo al bel libro dei sogni: una moneta internazionale richiede un organismo sovranazionale in grado d'imporla. Difficile solo pensarlo, viste le divisioni perfino sui semplici bonus dei banchieri...«Il fatto che la strada sia in salita - replica Amato - non vuol dire la via sia sbagliata. Bisogna provarci. Solo in questo modo potremo uscire dal circolo vizioso in cui ci siamo infilati. Altrimenti, spingendo sempre e soltanto sulla soluzione della liquidità non faremo altro che preparare le basi delle nuova crisi. Con una aggravante». Quale? «Il vincolo dei debiti pubblici statali impedirà di attuare nuovamente quegli interventi a carico dei tax payer che sono stati messi in opera in questi due anni. Non avremo cioè un'arma per contrastare il problema».
E rispetto, invece, al finanziamento delle imprese, eliminata la moneta-merce quali i contenuti della finanza? «È l'anticipazione del credito, sotto le sue molteplici forme. Dalla forma del venture capital fino al clearing come strumento per finanziare il capitale circolante».
 

 

 

  «Moneta-merce e crisi» Parlano lettori e economisti

25 Settembre 2009 14:18 MILANO - di Vittorio Carlini

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Maggiori regole per mercati e istituti finanziari; meno bonus ai banchieri e più patrimonio alle banche. Il tutto avvolto dal richiamo a ritrovare l'etica perduta. Sono alcune delle impostazioni che dovrebbero guidare i lavori del G20 di Pittsburgh. Il rischio, tuttavia, è che il "Congresso di Vienna" della finanza partorisca il più classico dei topolini. Non solo per le divergenze tra i vari grandi (Europa e Inghilterra in testa). Ma anche, sostengono in molti, perché le diverse impostazioni non colgono la profondità della crisi: «Spesso - dice Marco Vitale, economista d'impresa -, sono il frutto di una mancanza di pensiero in grado di "sviscerare" i perché strutturali del grande crack». Un tentativo, al contrario, che Massimo Amato e Luca Fantacci , entrambi esperti di storia della moneta e docenti alla Bocconi di Milano, fanno nel loro «Fine della finanza» (Donzelli Editore). Certo, si potrà obiettare la validità del loro pensiero; come si potrà e dovrà discutere sulla validità delle soluzioni prospettate. Ma è indubbio che, di fronte «ai menestrelli del tutto come prima - per dirla sempre alla Vitale - e ai tanti talebani del mercato» il porre dei dubbi di sistema è comunque esercizio utile. Il Sole24Ore.com ha in contrato i due economisti per capire meglio il loro pensiero.

«Il vero nodo - dice Amato - è stato modificare la funzione stessa della finanza. Quest'ultima, in senso lato, riguarda l'apertura di un credito a favore di un soggetto cui viene anticipato del denaro per sviluppare, ad esempio, un'impresa. Una funzione essenziale per l'economia reale che presuppone, prima o poi, la chiusura del credito stesso». Non è un caso, quindi, che nel latino del tardo impero "Finantia" significasse «definizione amichevole di una controversia».

«È il "pagherò" della cambiale - fa notare Fantacci-, che, tuttavia, nel mercato finanziario si è trasformato in un "pagherò mai"». Addirittura! Non è un po' un'esagerazione...«Al contrario, a livello di sistema è proprio così. Grazie a tecniche come la cartolarizzazione, il creditore e il debitore sono stati "allontanati", non c'è più una relazione personale tra loro. È stato volutamente interrotto, scisso il rapporto tra le due parti. In questo modo il debitore ha potuto non solo posticipare il pagamento, ma rinviarlo all'infinito: il "pagherò" è stato, di fatto, trasformato in un "paghero mai". Una rivoluzione non solo economica ma, oserei dire, antropologica». Ma come è stato possibile arrivare a tanto? «È abbastanza facile da capire - risponde Fantacci - Il debito, magari subprime, è stato trasformato, anche grazie allo spacchettamento delle cartolarizzazioni, in un qualcosa comunque desiderabile, appetibile. Un titolo tanto più richiesto in quanto "gettato" nel fiume della liquidità che, per la sua stessa natura, ha la necessità di trovare una remunerazione, possibilmente sempre maggiore».

Secondo quest'impostazione, quindi, la liquidità è uno dei problemi alla base della crisi...«Sì. La liquidità, intesa come continua convertibilità di un titolo in moneta e viceversa, è la base strutturale di questo sistema. Che, peraltro, per funzionare richiede un ulteriore elemento». Vale a dire? «La moneta intesa come riserva di valore -risponde Fantacci -. Com è noto, la currency attualmente è: unità di conto, mezzo di scambio e, per l'appunto, riserva di valore. Ecco, quest'ultima caratteristica è imprescindibile nel mercato finanziario: la moneta dev'essere una merce il cui prezzo è il saggio d'interesse. Se non ci fosse questo aspetto chi cede moneta non dovrebbe, né potrebbe, essere remunerato con il saggio d'interesse, per l'appunto. E, di conseguenza, tutta l'impalcalcatura della liquidità che genera ricchezza grazie alla moneta-scambiata-con-titoli-di-credito-sempre-trasformabili-in-moneta non potrebbe funzionare».

Una visione un po' radicale. Attribuire tutto questo peso alla riserva di valore non è un arteficio teorico a sostegno della tesi esposta? «Assolutamente no - ribatte Amato - La prova si è avuta quando le banche centrali hanno inondato il mercato con "denaro frusciante". Ebbene, se fossero prevalse le caratteristiche di unità di conto e mezzo di scambio, la moneta sarebbe circolata tra gli istituti finanziari. Invece, le banche hanno tesaurizzato la liquidità. L'hanno considerata una merce, l'hanno messa "in magazzino", tenendo a mente essenzialmente la funzione di riserva di valore». Quindi, l'errore è nella gestione degli istituti di credito? «Non si tratta di volontà o meno: se rimaniamo a questo livello la discussione è superficiale. È il mercato finanziario che induce tali comportamenti: da un lato si vuole che la banca presti denaro dall'altra la si invoglia a tesaurizzare. La vera questione è un'altra: bisogna eliminare la moneta-merce, in modo che gli istituti di credito tornino a focalizzarsi su quello che dovrebbe essere il loro reale core business, cioè svolgere l'attività d'intermediazione per garantire prestiti al mondo dell'economia reale».
Un bel discorso teorico, ma realizzabile in che modo? «Bisogna avere il coraggio di pensare a una riforma del sistema monetario - risponde Fantacci - La strada da seguire, un po' sulla falsariga di quanto era nell'idea di Keynes a Bretton Woods, è quella di una moneta internazionale nella forma di clearing union. Il meccanismo della stanza di compensazione necessita solo della moneta come unità di conto e delle anticipazioni contabili. In questo modo l'elemento di riserva di valore viene meno e si elimina alla radice il meccanismo della rendita monetaria. A livello locale poi, anche per ridefinire in maniera corretta un reale rapporto tra debitori e creditori, bisognerebbe pensare alla creazione di divise territoriali». Ritorniamo al bel libro dei sogni: una moneta internazionale richiede un organismo sovranazionale in grado d'imporla. Difficile solo pensarlo, viste le divisioni perfino sui semplici bonus dei banchieri...«Il fatto che la strada sia in salita - replica Amato - non vuol dire la via sia sbagliata. Bisogna provarci. Solo in questo modo potremo uscire dal circolo vizioso in cui ci siamo infilati. Altrimenti, spingendo sempre e soltanto sulla soluzione della liquidità non faremo altro che preparare le basi delle nuova crisi. Con una aggravante». Quale? «Il vincolo dei debiti pubblici statali impedirà di attuare nuovamente quegli interventi a carico dei tax payer che sono stati messi in opera in questi due anni. Non avremo cioè un'arma per contrastare il problema».

E rispetto, invece, al finanziamento delle imprese, eliminata la moneta-merce quali i contenuti della finanza? «È l'anticipazione del credito, sotto le sue molteplici forme. Dalla forma del venture capital fino al clearing come strumento per finanziare il capitale circolante».
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

 

 

Stati Uniti – Migrazione dai fondi monetari

Monday, 21 September, 2009 at 11:48 - by phastidio
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Stati Uniti – Migrazione dai fondi monetari
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Il Tesoro statunitense ha lasciato scadere lo scorso 18 settembre la garanzia pubblica sui fondi comuni che investono sul mercato monetario. Uno strumento che da settimane sta comunque vedendo imponenti deflussi, a causa dei tassi a zero.
Lo scenario che si apre ora, per effetto di questa situazione, vedrà con tutta probabilità un aumento delle sottoscrizioni di obbligazioni e fondi comuni obbligazionari (inclusi titoli di stato), e ciò consentirà di creare una fonte di domanda a supporto delle imponenti emissioni di Treasuries, giusto in tempo per la conclusione del programma di easing quantitativo sui titoli di stato, che scadrà alla fine di ottobre. Questo nuovo flusso di domanda sul reddito fisso è verosimilmente alla base della tenuta dei rendimenti obbligazionari a fronte del forte rally azionario.
Tra gli effetti collaterali di questa migrazione biblica in uscita dai money market funds, il cui modello di business è entrato in crisi in un ambiente di mercato a “tasso zero”, vi sarà anche la prossima contrazione degli aggregati monetari: i fondi monetari, infatti, fanno parte di M2 ed M3.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

Mercati del credito – 22 Settembre 2009. Rally fra le preoccupazioni

Tuesday, 22 September, 2009 at 12:15 - by John Christian Falkenberg
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Dopo la calma seguita alla scadenza tecnica di ieri, il mercato del credito continua il suo rally “a due facce”. L’indice continua a migliorare, ignorando la debolezza di ASIA e USA, mentre i singoli emittenti mostrano andamenti discordanti e il settore delle obbligazioni societarie è nel suo complesso ancora poco stabile, nonostante le buone performance dei nomi più sicuri. Se è vero che i mercati toro nascono scalando “un muro di preoccupazioni”, allora questo mercato è pronto ad esplodere.
Per quanto riguarda i nomi italiani, ENI SpA sembra rimanere stabile, nonostante i report negativi negli ultimi tempi. Anche Telecom Italia prosegue il trend negativo sui timori di nuove emissioni, mentre ENEL sta beneficiando del riposizionamento degli investitori su nomi più difensivi e meno volatili.
 

 

Itraxx S12 Levels

   

Nota: Gli indici di credito sono quotati in spread (rendimento), come i tassi d’interesse. Un segno negativo equivale ad un miglioramento delle valutazioni del mercato, equivalente ad una salita degli indici di Borsa. Un cambiamento positivo è un segnale di peggioramento delle condizioni, equivalente al calo di un indice di Borsa.

 

Livello

Var.ne da ieri

 

Main

81.75

-3.8

 

HiVol

151

-5.0

 

Crossover

580

-24.5

 

 

Livelli di alcuni CDS su nomi italiani

 

CDS a 5 anni

bid

ask

Acea

75

105

AEM

90

110

Atlantia

56

61

CIR SpA

425

450

Edison

83

86

Enel

96

100

ENI

47

50

Fiat SpA

382

397

Terna

65

90

Telecom Italia

141

146

FIAT

382

397

 

######

Tenor

ATLIM

CIRIM

EDNIM

 

Enel

ENI

FNCIM

TITIM

FIAT

   

bid

ask

bid

ask

bid

ask

bid

ask

bid

ask

bid

ask

bid

ask

bid

ask

dic-09

3m

-26

29.81

-44.2

-14.19

37

62

1

51

11

26

-2

98

30

40

42

142

mar-10

6m

9

59.81

400.8

430.81

37

62

1

76

41

51

18

68

30

40

144

169

giu-10

9m

36

66.81

-44.2

-14.19

37

62

26

101

46

56

23

58

35

55

119

169

set-10

1y

22

42

370

420

44

54

55

75

25

35

23

43

50

65

169

179

set-11

2y

46

51

395

445

62

72

73

80

32

42

31

51

70

85

232

257

set-12

3y

47

57

410

460

71

81

90

95

34

44

41

51

98

108

307

337

set-13

4y

50

60

415

445

76

86

93

98

42

52

46

56

135

145

317

367

set-14

5y

56

61

425

450

83

86

96

100

47

50

55

60

141

146

382

397

set-16

7y

57

72

420

445

85

92

99

107

50

60

57

67

150

160

382

402

set-19

10y

57

72

425

455

88

97

98

108

52

62

57

67

160

170

387

412

set-24

15y

57

72

450

470

88

97

105

125

52

62

57

67

170

180

397

422


 

Fonte - Macromonitor

 

 

Est Europa a rischio frenata

22-09-09 - di Marco Caprotti
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L’est Europa va trattato con le pinze. L’indice Msci della regione nell’ultimo mese (fino al 22 settembre e calcolato in euro) ha guadagnato quasi il 5,5%, portando a +51,6% la performance da inizio anno.
Una corsa che, secondo gli operatori, è esagerata. Soprattutto se si considera la situazione macroeconomica in cui versa l’area in questo momento. “Nel lungo periodo, quella dell’Europa dell’est è una storia che ci convince”, spiega una nota di Morningstar. “I dubbi riguardano, semmai, le prospettive di breve e medio termine. I valori a cui vengono trattati questi mercati per il momento ci paiono elevati. Probabilmente, aspettando ancora un po’, si possono trovare migliori opportunità di acquisto”.
Le perplessità ruotano intorno a Polonia e Russia. Il primo è il Paese dell’est più grande dell’Unione europea, mentre il secondo è considerato il volano della regione, la cui velocità determina quella dell’intera area. “La Polonia difficilmente raggiungerà l’obiettivo di ridurre il deficit sotto il 3% entro il 2012 come richiesto dall’Ue”, ha spiegato nei giorni scorsi Mark Allen, responsabile del Fondo monetario internazionale (Fmi) per l’Europa centrale e dell’est. “La situazione sta peggiorando ad ogni momento”.
Il Paese è sotto osservazione da parte dell’Unione dal luglio scorso per il pericolo che vada in default. A Varsavia sono stati dati tre anni di tempo per mettersi in regola con i regolamenti finanziari richiesti dall’Ue.
Le priorità sono una graduale riduzione del debito e una maggiore stabilità della moneta locale che, nel primo semestre, ha perso quasi il 7% nei confronti dell’euro. In questa situazione sembrano allungarsi i tempi per l’entrata di Varsavia nel club di Eurolandia.
Secondo le previsioni della società di rating Fitch, l’anno prossimo il deficit pubblico supererà il 56% del Pil. Se la stima fosse confermata, il Parlamento polacco potrebbe essere costretto ad introdurre pesanti misure di austerity.
La situazione è delicata anche in Russia. Il governo ha appena annunciato un nuovo piano di privatizzazioni per rimpolpare le casse statali, alle prese con problemi di budget per la prima volta negli ultimi dieci anni. Secondo il vice primo ministro Igor Shuvalov lo Stato ha circa 5.500 aziende che possono essere trasformate in società per azioni. Senza contare quei gruppi nei quali la Russia è azionista, anche se sono già in Borsa.
L’economia del Paese dipende dall’andamento del prezzo del petrolio che oggi quota intorno ai 70 dollari al barile contro i 100 dollari del secondo semestre del 2008. I risultati sono stati una contrazione del Pil del 10,9% nel secondo trimestre (rispetto allo stesso periodo di un anno fa) e una crescita dei crediti incagliati.
“L’economia russa è stata una di quella maggiormente colpite dalla crisi globale”, recita una nota firmata da Maarten-Jan Bakkum, strategist azionario per i mercati emergenti di Ing Investment Management. “Gli unici miglioramenti convincenti si sono avuti sul fronte della produzione industriale, mentre si vedono scarsi segnali per quanto riguarda la domanda”. Le stime sul Pil elaborate dalla casa olandese parlano di una frenata dell’8% per quest’anno e di +3% il prossimo.
 

Fonte - Morningstar.it

 

 

LA CRISI ARCHITETTATA NEGLI UFFICI DELLE BANCHE

23 Settembre 2009 17:11 LONDRA - di Nicol Degli Innocenti
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(WSI) – Un coro di fischi ha accolto il discorso di Lord Turner al banchetto annuale del Lord Mayor di Londra. Un comportamento davvero inusuale in un'occasione così formale, nell'elegante cornice di Mansion House nel cuore della City. D'altronde e' inusuale – e decisamente poco gradito – il messaggio che Turner, presidente della Financial Services Authority, ha lanciato ai banchieri.

La crisi finanziaria e' stata "architettata" negli uffici delle banche da dealer e trader avidi e privi di scrupoli, il cui bonus annuale e' pari ai guadagni di tutta una vita per le vittime della recessione da loro causata, ha detto Turner. Il presidente dell'Fsa ha ribadito le criticatissime opinioni rivelate il mese scorso e ha anzi rincarato la dose: "So che mi considerate un eretico ma non ho intenzione di rinnegare quello che ho detto. Il settore finanziario e' ormai "gonfiato" e deve essere ridimensionato, mentre le banche sono inutili alla società". I banchieri non stanno mostrando alcuna contrizione mentre dovrebbero riflettere sul loro ruolo in una crisi che ha causato la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e che porterà inevitabilmente a tagli della spesa pubblica e a un aumento delle tasse per tutti.

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In futuro le banche devono diventare più "noiose", ha detto Turner: "Devono di nuovo puntare le loro energie non su quei prodotti eccessivamente complessi che non servono all'umanità ma piuttosto sulle funzioni-chiave di fornire servizi ai clienti per i risparmi, il credito e i pagamenti. Non tutte le innovazioni finanziarie hanno un valore, non tutte le attività di trading sono utili e un sistema finanziario più grande non e' necessariamente migliore." Gli enormi utili che le banche britanniche annunceranno quest'anno sono in gran parte dovuti alle garanzie del Tesoro e ai bassi tassi d'interesse e quindi i profitti dovrebbero essere utilizzati per potenziare le riserve di capitale e la liquidità e non per pagare ricchi bonus ai banchieri, ha sottolineato il presidente della Consob britannica.

Il Lord Mayor della City ha replicato criticando implicitamente Turner: "Punire o limitare il settore finanziario non e' la risposta, - ha detto Ian Luder. – Il Governo e gli istituti di regolamentazione hanno il dovere di considerare il settore come un bene prezioso e di garantire la crescita e la competitività internazionale della City." Inutile dire che il suo discorso ha ricevuto più applausi di quello dell' "eretico" presidente dell'Fsa.
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

Paracadute cercasi

Thursday, 24 September, 2009 at 15:50 - by John Christian Falkenberg
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Come si fa ad affondare l’indice Standard and Poors? Semplice: ci si assicura contro il ribasso. Per sei miliardi di dollari.
Dopo i commenti della Fed di ieri, il mercato sembrava essersi già indebolito, nonostante un inizio di di giornata tranquillo ed un momento di euforia subito dopo la decisione della Fed e la conferenza stampa. Ad un certo punto, tuttavia, la ritirata è divenuta un mini-crollo. Secondo voci di mercato, l’accelerazione del calo sarebbe dovuta ad un’unica, gigantesca operazione: un investitore istituzionale avrebbe acquistato opzioni put per un nominale di 5.6 miliardi di dollari, pagando premi per circa 250 milioni. Un’opzione put è un contratto che da’ al compratore la possibilità, ma non l’obbligo, di vendere un determinato quantitativo di titoli ad un dato prezzo. Funziona quindi come una sorta di assicurazione: un portafoglio composto dall’indice e dalla put ha un valore minimo garantito. Non sappiamo dove andrà il mercato nei prossimi giorni, ma l’operazione di ieri di ieri chiarisce che almeno un grosso operatore comincia ad essere preoccupato per una possibile discesa dei corsi.
Hat tip: Across the Curve .

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

 

 

  G20: finito braccio di ferro politica vs banche

24 Settembre 2009 18:18 BERLINO - di WSI-ASCA-APCOM

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Per il cancelliere Angela Merkel, "la cosa piu' importante" al meeting di Pittsburgh e' quella di evitare che "le banche divengano cosi' grandi da poter ricattare le nazioni". Diciamo la verita', e' falso argomento: si tratta della stessa lobby.
Per il cancelliere Angela Merkel, "la cosa piu' importante" al meeting del G20 e' quella di evitare che le banche divengano cosi' grandi da poter ricattare le nazioni. Il Cancelliere ha parlato, nel corso di una intervista, alla radio Bayerischer Rundfunk, in vista del meeting dei big del pianeta che inizia stasera a Pittsburgh, negli Stati Uniti.

''Abbiamo bisogno di regole, per tutti i prodotti finanziari, per tutte le piazze dove si scambiano i titoli, per tutte le banche'', ha proseguito la Merkel. Poi la stoccata ai banchieri, "c'e' ora la tendenza della banche a dire lasciateci in pace, l'economia sta torndao a crescere". Se puo' interessarti, in borsa si puo' guadagnare con titoli aggressivi in fase di continuazione del rialzo e difensivi in caso di volatilita' e calo degli indici, basta accedere alla sezione INSIDER. Se non sei abbonato, fallo ora: costa solo 76 centesimi al giorno, provalo ora!.

"Dobbiamo opporci a questa tendenza", ha concluso il cancelliere. Le parole della Merkel fanno sorridere, viste dalle sale trading di Wall Street: la politica e tutt'uno con la lobby bancaria, i piu' grandi istituti di credito del mondo sono stati tutti salvati dal collasso pochi mesi fa in un'ondata di nazionalizzazioni, da Hypo Real Estate in Germania, a Citigroup negli Stati Uniti a UBS in Svizzera.

"Il vertice dei capi di stato e di governo del G20 non dovrebbe concentrarsi sul tema degli stimoli alla crescita economica a scapito dei precedenti impegni per riformare i mercati finanziari globali", ha continuato Angela Merkel, nel suo messaggio lanciato a poche ore dall'inizio del summit di Pittsburgh. "Non dobbiamo cercare argomenti sostitutivi e, oltretutto, dimenticarci della regolamentazione dei mercati finanziari", ha detto Merkel incontrando i giornalisti a Berlino prima di prendere un volo per gli Stati Uniti alla volta del vertice.

Il cancelliere tedesco ha sottolineato che i Paesi che dominano l'economia mondiale devono assumere le iniziative predisposte ai vertici di Londra e Washington, e varare regolamentazioni e politiche che promuovano una crescita sostenibile. "Dobbiamo assicurarci - ha aggiunto - che possiamo trarre i giusti insegnamenti dalla crisi dei mercati finanziari e perciò assicurarci che tale crisi non si ripeta. I politici devono avere il coraggio di fare qualcosa che non sarà immediatamente accolto favorevolmente da tutte le banche".

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I leader delle principali potenze economiche mondiali si riuniscono oggi per il summit del G20 con la promessa di intraprendere azioni forti di controllo dei mercati finanziari per prevenire una nuova crisi economica. Nella citta' di Pittsburgh le misure di sicurezza sono stringenti, con migliaia di poliziotti e agenti dei servizi segreti schierati lungo un anello di barriere di cemento ed acciaio. L'invito ad una ''stretta alla regolamentazione di tutti i centri finanziari'', fatto ieri da Barack Obama nel suo discorso davanti all'assemblea dell'Onu, e' stato raccolto oggi dal cancelliere tedesco Angela Merkel, secondo la quale il summit di questi giorni ''rappresentera' una pietra miliare decisiva nel determinare se la questione della regolamentazione dei mercati finanziari resta un punto centrale. Per noi questo sara' il vero argomento della riunione. Siamo sulla giusta strada ma l'impeto puo' affievolirsi in qualunque momento e bisogna spingere ancora piu' forte su questo tasto''.

Il summit di due giorni, che riunisce i 19 paesi piu' sviluppati e le economie emergenti, piu' l'Unione Europea, arriva giusto un anno dopo dal default delle banche Usa, che ha innescato un rallentamento in tutta l'economia mondiale, de sei mesi dopo il meeting del G20 di Londra convocato per affrontare la crisi.

Il presidente francese Nicolas Sarkozy proporra' l'imposizione di sanzioni nei confronti dei cosiddetti paradisi fiscali. ''Rifugi dal fisco, segreto bancario, e' tutto finito'', ha detto Sarkozy ieri parlanto dalla tv francese. Parigi e Berlino la scorsa settimana avevano avanzato la proposta comune di imporre un tetto ai bonus dei banchieri. Un'opzione avversata da Gran Bretagna e Stati Uniti, anche se fonti ufficiali riferiscono che un compromesso, per quanto annacquato, potrebbe essere raggiunto.

Le economie emergenti guidate dall'India, dal canto loro, chiedono miliardi di dollari in aiuti per convertire le proprie tecnologie e renderle piu' rispettose dell'ambiente in cambio della firma di un accordo al previso summit di dicembre di Copenhagen. il primo ministro britannico, Gordon Brown, ha stimato in 100 miliardi di dollari da qui al 2020 l'ammontare dei fondi necessari ed ha annunciato in un'intervista al New York Times che fara' pressioni sul G20 in questo senso.

Oltre alle regole per i mercati finanziari, il summit discutera' anche di come iniziare a ridurre il pacchetto di aiuti stabilito dai singoli paesi per combattere la recessione. Giappone ed Europa hanno cominciato ad evidenziare il problema, avanzando l'ipotesi di un taglio, sostenuti dalla Cina che teme che il defici Usa possa destabilizzare il dollaro, ma molti pensano che si tratterebbe di una mossa prematura.
 

Fonte - xxx

 

 

 

  Venerdì 25 Settembre 2009   Sabato 26 Settembre 2009   Mercoledì 30 Settembre 2009  
       
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  G20: se lo conosci lo eviti. I mercati ignorano le chiacchiere

24 Settembre 2009 23:18 NEW YORK - di Mauro Bottarelli

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Solitamente sono io a porre legittimi dubbi sull’eccessivo ottimismo di alcuni politici e regolatori riguardo i tempi della crisi e l’arrivo della sua fine. Stavolta, invece, è stato il Monetary Policy Committee della Bank of England a spegnere sul nascere i facili entusiasmi parlando a chiare lettere di «false albe per l’economia» e di un inverno che potrebbe portare in dote ulteriore aumento della disoccupazione, contrazione del credito e della domanda interna oltre a nuove, pesanti svalutazioni nel comparto bancario. Insomma, una nuova ondata di crisi.

La decisione all’unanimità di mantenere pressoché a 0 i tassi di interesse, d’altronde, parla questa lingua: il paese europeo che più di ogni altro ha pagato il prezzo prima allo shock finanziario e poi alle ripercussioni sull’economia reale resta pesantemente sulla difensiva. Insomma, i dati macro parlano chiaro e i rally borsistici di queste ultime settimane potrebbero essere nulla più che assalti alla diligenza della speculazione, ovvero interventi a freddo su commodities e cross monetari che innescano sì acquisti in grande stile, ma al primo segnale di "stop" fanno crollare il castello di carta.
E non è un caso, in tal senso, che alla vigilia del G20 la Federazione mondiale delle Borse si sia lanciata all'attacco dei mercati paralleli, i sistemi "over-the-counter" od Otc, mettendo in guardia i paesi appartenenti al consesso dei Grandi che queste piattaforme di trading potrebbero non funzionare in maniera appropriata e favorire la volatilità anche sui mercati ufficiali e regolamentati. Secondo quanto riportava ieri il Financial Times, alla vigilia del vertice di Pittsburgh, la World Federation of Exchanges si è fatta avanti con una lettera a Mario Draghi, che oltre ad essere governatore della Banca d'Italia è anche il presidente del Financial Stability Board, l'ente transazionale con sede a Basilea che cura il coordinamento tra i vari paesi su regole e stabilità del settore finanziario.

Tuttavia le accuse delle Borse rischiano di innescare forti attriti con le grandi banche internazionali, i principali operatori di questi mercati paralleli, chiamati anche "dark pools", o "pozzi oscuri" in quanto i dettagli delle transazioni che vi vengono effettuate sono resi noti solo dopo la loro chiusura. Secondo le Borse «l'elevata opacità» di queste piattaforme «inibisce la capacità di determinare i prezzi», che deriva dall'incontro tra domanda e offerta, riportava il Ft «e può portare a ripercussioni negative, tra cui una maggiore volatilità dei mercati».

Le banche rivendicano che si tratti di una attività legittima, che riguarda operazioni rilevanti su titoli finanziari (azioni, obbligazioni o derivati), che è difficile e costoso effettuare sui mercati ufficiali, dove l'ammontare massimo del singolo ordine viene continuamente assottigliato. Inoltre le stesse Borse gestiscono in certi casi dei loro mercati Otc: secondo il Ft la mossa della federazione delle Borse mette in rilievo un’intensificazione delle attività di lobbying per persuadere la politica a far confluire tutte le operazioni di trading sui titoli finanziari nei loro circuiti.

Nei mesi scorsi i mercati Otc sono stati oggetto di critiche da più parti e alcune di queste piattaforme sono state accusate di aver esacerbato la volatilità dei prezzi sui titoli derivati, riportava ancora il quotidiano della City. Lo scontro, quindi, sta diventando non tra Robin Hood e lo sceriffo di Nottingham come vorrebbe farci credere la bozza preventiva del G20, tagliata su misura per il populismo di Sarkozy, bensì tra due diversi tipi di sceriffi di Nottingham: quello regolare, trasparente ancorché non limpido né immune da colpe delle Borse regolamentate e quello dei "pink sheets", dei mercati oscuri dove si fanno i veri soldi, dove si avviano i processi speculativi - l’Ice di Londra con il suo mercato dei futures sul petrolio Usa ne è la conferma - che poi si ripercuotono sui mercati e soprattutto dove le grandi banche internazionali hanno maggiori interessi.

Siamo certi che, purtroppo, sui grandi giornali si darà poco conto di questa contrapposizione, per il semplice fatto che le banche hanno interessi su quei mercati e le stesse sono spesso editori dei principali quotidiani: il fatto che il Financial Times abbia lanciato la notizia appare un chiaro segnale verso Basilea più che verso Pittsburgh.

Tanto più che se la logica delle nuove norme invocate da più parti per i mercati deve essere quella della trasparenza e della fine dell’epoca dei "derivati dei derivati", allora il mercato Otc appare davvero il luogo deputato per la prima mossa. In quanti, però, saranno davvero pronti a compierla non è dato a sapere. I sistemi over-the-counter sono veri e propri campi minati, sono il palcoscenico preferito dei grandi player perché si può operare nell’ombra e metterci mano potrebbe risultare da un lato controproducente - ricordo ancora qualche giacobino che chiedeva l’eliminazione dei contratti futures, salvo poi rendersi conto che senza quei contratti le linee aeree ci farebbero pagare un volo Milano-Londra 1.000 euro - e dall’altro poco salutare per amministrazioni politiche come quella americana o britannica che alle lobby dei mercati devono molto, anche in termini di ricchezza del paese e posti di lavoro.

Il fatto che ieri al Congresso il segretario Usa al Tesoro, Tim Geithner abbia parlato di necessità di uno schema di protezione per i consumatori e del miglioramento dei meccanismi di funzionamento dell’agenzia chiamata a vigilare sul fatto che le banche non debbano diventare "too big to fail" fa capire quale sia l’impostazione Usa nello scegliere le priorità da affrontare: c’è quindi il forte rischio che al G20 si consumi uno strappo ma anche che i troppi temi sul tappeto facciano passare in secondo piano le reali battaglie in atto tra i partecipanti al vertice.

È di ieri infatti la conferma che il Caspio sia il teatro della nuova corsa alle risorse energetiche e che il Turkmenistan potrebbe essere un paese-chiave, su cui si addensano gli appetiti geopolitici delle più grandi potenze del mondo: la Russia, la Cina, gli Stati Uniti, l'Unione europea, l'Iran e l'India.

Gurbanguly Berdymukhamedov, il "dominus" della repubblica centro-asiatica, ne è consapevole e sta giocando la sua partita su diversi tavoli: ieri l’agenzia di stampa Interfax dava infatti conto di un incontro a New York tra il presidente turkmeno e il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, durante il quale Berdymukhamedov ha ricevuto la promessa di aiuto americano nella complessa opera di diversificazione delle forniture di gas, risorsa di cui il Turkmenistan è uno dei Paesi più ricchi al mondo. Mossa che, come potete facilmente intuire, non suscita gli entusiasmi di Russia a Cina. Ma al G20 si parlerà di bonus ai banchieri e nuove regole. Poveri noi.
 

 

Fonte - IlSussidiario.net

 

 
 

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