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PARTE  1

 

INDICE ARTICOLI di TESTA

 

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Crisi creditizia UE - Caso Grecia e effetto domino

Grecia, danni collaterali: l'Italia dovrà continuare a rimanere in apnea

Crisi creditizia UE - Caso Grecia e effetto domino

La Grecia e le banche europee respirano, ma la resa dei conti è solo...

Valutario - €uro situazione / Opinioni

Il grande rebus irrisolto: ma l'euro è ancora sopravvalutato?

Crisi creditizia UE - Caso Grecia e effetto domino / Opinioni

Terribile escalation: la crisi passerà da Grecia a Europa e al resto del...

Crisi creditizia & Macro USA - Opinioni

Roubini: preoccupa lo stallo americano per i tagli al debito

Crisi creditizia UE - Caso Grecia e effetto domino / Intervento UE

Europa: un fondo da $1 trilione. La BCE interviene comprando bond

Crisi creditizia UE & Fondo salva-€uro / Opinioni

Aggredire il debito con altro debito

Crisi creditizia UE & Fondo salva-€uro / Opinioni

L'Europa è pronta per l'austerità?

Valutario - €uro situazione / Opinioni

I dieci perché della crisi dell'euro

Crisi creditizia & Macro USA - Impatto sociale

Quelli che la crisi manda a fondo

 
+++   TOP NEWS   +++   MERKEL PROPONE UN'EUROPA CON PAESI DI "SERIE A" E DI "SERIE B". GRECIA, TUTTO OK   +++   Grecia:accordo su 110mld aiuti in 3 anni   +++  Ws: DOW JONES IN PICCHIATA PERDE 1000 PUNTI POI RISALE A -500   +++   Usa: Chiuse Altre 4 Banche, Da Inizio Anno 68 Fallimenti   +++   Crisi: Ue Vara Super-Piano Da 750 Mld Euro   +++  Crisi: Economisti, Recuperano Borse Ma l'Euro Torna a Scendere   +++  Borsa: Nuova Ondata Di Vendite. La Merkel Favorisce La Zampata Dell'Orso   +++   Borsa, mese nero per l'Europa (-9,6%)   +++   Ws: un mese da dimenticare (-7%). Spagna dice addio a tripla A   +++   TOP NEWS
 
  Sabato 01 Maggio 2010   Lunedì 03 Maggio 2010   Martedì 04 Maggio 2010  
       
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INDICE ARTICOLI - Seconda pagina e flash

   

La settimana, 17/2010

Le banche centrali della zona euro avviano l'acquisto ...

PIIGS: QUESTO SALVATAGGIO NON SI DOVEVA FARE

CLAMOROSO: AXEL WEBER (BUNDESBANK) CRITICO SUL PIANO...

L’Ue mette sotto accusa le agenzie di rating

Il Giappone sembra un sosia della Grecia

CHAMPAGNE PER TUTTI

Il Canada prepara il sorpasso agli Usa

AMERICANI IN BANCAROTTA: +15% IN UN ANNO

Come funziona il meccanismo europeo di stabilizzazione ...

L'ira dei greci: «Paghiamo per colpe altrui»

Euro: l'idea di una rottura e' ridicola. Parola di Goldman

USCIRE DALL'EURO SAREBBE LA "MADRE DI TUTTE LE CRISI...

"Il prossimo collasso dell'economia americana" e' un video...

Vertice europeo a Bruxelles La Bce smentisce voci su ...

Come la Francia potrebbe uscire dall’euro

Euro sotto attacco, allarmismo eccessivo

Fed, rivista al rialzo la crescita Usa

La spirale dei debiti ingessa l'Europa

Merkel: tassa sulla finanza

PIANO SALVA EURO: LA BCE ALLA FINE DICE SI' ALLA "OPZIONE...

Il conto salato delle mancate riforme

   
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  Grecia, danni collaterali: l'Italia dovrà continuare a rimanere in apnea

02 Maggio 2010 21:38 MILANO – di *Alessandro Fugnoli

*Questo documento e' stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR.

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La mattina del 5 settembre 1977 un commando della Rote Armee Fraktion tese un agguato al convoglio scortato del presidente degli industriali tedeschi Hanns-Martin Schleyer che stava recandosi in ufficio a Colonia. Al momento dell’assalto (che un mese più tardi gli costò la vita) Schleyer era assorto nella lettura di Bild (che allora si chiamava Bild Zeitung).
In Italia a sentire nominare Bild, un tabloid dai toni gridati e piuttosto scollacciato, qualcuno arriccia il naso, considerandolo un giornale di gossip e poco altro. In Germania, tuttavia, Bild è la prima lettura di politici, manager e professionisti nonostante il suo tono popolare (è il giornale più venduto in Europa) e il suo tedesco comprensibile, agli antipodi della elegante e sofisticata Frankfurter Allgemeine.
Quando pensa alla Grecia, quindi, la Bundeskanzlerin Angela Merkel non può non fare i conti con la campagna martellante di Bild, perché Bild esprime alla perfezione i sentimenti viscerali dell’opinione pubblica verso quella repubblica delle banane di furbacchioni che se ne sta laggiù in fondo all’Europa, amata e detestata al tempo stesso.
Vendeteci il Partenone, dice Bild, vendete qualcuna delle vostre isolette, non mandate i vostri statali in pensione a 53 anni quando i nostri ci vanno a 67. L’inviato ad Atene di Bild si fa fotografare mentre regala in giro vecchie dracme e annota compiaciuto che gliele strappano letteralmente di mano. Una foto di manifestanti ad Atene viene titolata "Noi non vogliamo risparmiare". Undici milioni di tedeschi leggono ogni giorno questi pezzi di Bild, molti di loro li condividono, molti di loro voteranno fra dieci giorni.
Il dramma della signora Merkel è quello di essere la figlia politica di Helmut Kohl, il padre fondatore di Eurolandia insieme a Mitterrand. E’ Kohl ad averla scoperta, lanciata e sponsorizzata, anche se lei, a un certo punto, lo ha messo da parte. La figlia del padre di Eurolandia non può essere l’affossatrice di Eurolandia.
Anche la Merkel, però, legge Bild. Anche lei, come tutti i politici, deve pensare 23 ore al giorno a come mantenere il consenso e tenere in piedi la coalizione con i liberali, da sempre spregiudicati e aggressivi quando si tratta di raccogliere voti e oggi su posizioni pericolosamente antigreche. Anche a lei, come ai mercati, i dieci giorni che mancano alle elezioni in Renania (e che rischiano di metterla in minoranza al Bundesrat) devono sembrare eterni.
Oltre al mantenimento del consenso, anche la stabilità delle banche tedesche è nei pensieri della Merkel. La Germania è un paese affascinante. Tiene nella massima considerazione virtù come la prudenza, la laboriosità e la solidità dei conti. Spesso si mette anche in cattedra per sgridare cicale e speculatori. Eppure non c’è un crash (dall’immobiliare dopo la riunificazione alla Russia nel 1998, a Internet, fino ai subprime e ora alla Grecia) in cui le banche tedesche, preferibilmente pubbliche, non si facciano cogliere con le mani nella marmellata andata a male.
La lotta all’azzardo morale è uno dei fondamenti dell’ideologia tedesca, ma il sistema delle Landesbanken e delle Sparkassen è esattamente una centrale di produzione di azzardo morale. Controllate dai partiti, queste banche si prestano a salvataggi industriali con una logica talvolta più politica che economica. Così facendo incorrono in perdite che cercano di compensare con investimenti finanziari rischiosi, forti della possibilità di finanziarsi ai tassi del Bund perché il mercato le considera implicitamente garantite dai Lander e, in ultima istanza, dallo stato. Finora è sempre stato così e così continuerà ad essere, ma solo finché sarà possibile.
L’azzardo morale (delle banche pubbliche ma anche di quelle private, di quelle tedesche ma anche delle francesi) è stato anche favorito dalle regole di Basilea, che non assoggettano a riserva il debito pubblico, e dalla possibilità di scontare tutto presso la Bce. Il risultato è che le banche tedesche e francesi sono oggi proprietarie di più di un trilione di euro di titoli di stato di Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia. I 30-35 miliardi che alla fine dovranno mettere Germania e Francia per salvare la Grecia sono davvero poca cosa se si pensa al danno derivante da una ristrutturazione disordinata di questi debiti. Alla fine, quindi, gli euro raccolti da Berlino per Atene torneranno a Francoforte e alle sue banche.
E’ per questo che chi sta sui mercati deve attribuire un 90 per cento di probabilità al salvataggio e solo un 10 all’incidente di percorso. In pratica si tratta, nei prossimi giorni, di comprare su debolezza il più possibile, dove per possibile si intende quello che permetterà comunque di sopravvivere in caso di incidente. Dato che l’incidente avrebbe, nel caso, proporzioni notevoli, molti portafogli già investiti dovranno rinunciare a comprare dell’altro nonostante le numerose e belle occasioni già sul mercato. Alcuni dovranno addirittura vendere, perché i risk manager (persone in genere molto brillanti e qualificate, ma tenute a officiare i riti prociclici del VaR dalla normativa che fa del VaR la religione universale di stato) obbligano a vendere anche quando il flusso di notizie volge improvvisamente in senso positivo.
Beati dunque i leggeri di portafoglio, perché potranno comprare. Già, ma comprare perché e che cosa? Il perché del comprare è che l’economia globale per il momento ignora felicemente la Grecia e continua a crescere. Un secondo motivo, a questo punto altrettanto importante, è che il piano di salvataggio sarà alla fine robusto. Il mercato potrà divertirsi tutti i giorni a trafficare su Cds sulla Grecia e potrà spingere i prezzi dei bond a 60, 40, 20 o qualunque livello ritenga opportuno. Potrà farlo perché sarà ridotto all’irrilevanza, perché per un anno (e forse due) la Grecia non avrà bisogno di emettere (lo fara' ogni tanto per testare il mercato, nulla di più).
Il governo greco, dal canto suo, appare tecnicamente preparato (come quello portoghese, per inciso). Nelle prossime ore concorderà un programma dettagliato con il Fondo Monetario e con ogni probabilità lo seguirà (è molto raro che i programmi concordati con il Fondo non vengano seguiti). Fra un anno il disavanzo pubblico greco sarà a una sola cifra. Lo stock di debito su Pil continuerà a crescere, ma la riduzione costante del disavanzo indurrà un giorno il mercato a sottoscrivere di nuovo titoli greci a tassi non da usura. A quel punto il debito su Pil si stabilizzerà.
Lo stesso percorso fiscale virtuoso dovrà assolutamente essere seguito dagli altri paesi a rischio di contagio. Tra questi, l’unico a essere strutturalmente semi-insolvente è il Portogallo, non tanto per il suo debito pubblico quanto per il debito complessivo del paese. Spagna e Irlanda hanno problemi di liquidità e di competitività, risolvibili se il mercato del lavoro è sufficientemente flessibile (e in Irlanda certamente lo è).
L’Italia non è considerata in pericolo. Secondo uno studio molto autorevole della Banca dei Regolamenti Internazionali, la proiezione a 30 anni (in mancanza di misure correttive) pone il debito italiano al 200 per cento del Pil nel 2040 contro il 300 tedesco, il 400 americano e francese e il 600 giapponese. Sui desk di trading, tuttavia, non siedono economisti ma trader che devono indovinare che cosa faranno gli altri trader e la convenzione, nel loro mondo, è che l’Italia in caso di crisi sia un obiettivo, non per farla saltare ma per rosicchiare qualche punto base. Con molti squali in giro, l’Italia dovrà continuare a rimanere in apnea e perfettamente compos sui.
Quanto al cosa comprare, tenderemmo a escludere Grecia, Portogallo e Spagna (non l’Irlanda). Per Portogallo e Spagna non c’è un buon rapporto tra upside limitato e downside. Per la Grecia non è totalmente da escludere una ristrutturazione del debito, ma non nel modo caotico e distruttivo che immagina il mercato.
La Grecia non è l’Argentina del 2000, non perché abbia conti molto migliori (anzi), ma perché ha fatto un buon matrimonio entrando nell’euro e ha venduto la sua carta non a investitori individuali atomizzati e politicamente poco rilevanti ma a grandi banche tedesche e francesi assolutamente vitali per i loro paesi. Noblesse oblige, quindi, e un’eventuale ristrutturazione sarà in un momento di calma, ordinata, civile, misurata sui writeoff decisi nel frattempo dalle banche e sotto le spoglie di un coinvolgimento dei privati nel salvataggio, una filosofia che il Fondo Monetario aveva adottato una decina di anni fa e che si era poi persa per strada.
Vanno comprati, in questa fase, titoli ciclici, tecnologia e petroliferi, disponibili con buoni sconti rispetto a una settimana fa. Vanno poi comprate valute emergenti di Africa, Asia ed Europa orientale. Tra queste la lira turca, espressione di un paese che nei prossimi anni godrà di una forte e solida crescita al contrario della Grecia.
L’euro è la valuta più debole del pianeta e anche Chavez e gli iraniani si guardano bene dal minacciare di abbandonare il dollaro, che si tengono ora molto stretto. Non si deve esagerare, però, quanto meno contro dollaro.
L’Europa mediterranea diventerà sempre più austera e i conti con l’estero di Eurolandia, già in pareggio, miglioreranno per la diminuzione dell’import e per il miglioramento dell’export facilitato dal cambio debole. L’America, per contro, è tuttora in disavanzo. E’ possibile quindi che l’euro rimanga debole tutto quest’anno e forse anche il prossimo, ma a stabilizzazione avvenuta una parte del terreno perduto contro dollaro verrà recuperata.
Questa settimana sarà ancora nervosa e molto cauta. L’atteggiamento del mercato sul salvataggio è di scetticismo, finché non vedo non credo. La macchina del salvataggio però procede a un ritmo intenso. Il programma sarà pronto entro domenica e la Germania farà finta di studiarlo attentamente e cercherà di tirare sul prezzo. Le vere intenzioni filogreche del governo sono dimostrate dal fatto che il voto al Bundesrat sarà prima delle elezioni renane (che potrebbero creare una maggioranza diversa nella camera delle regioni) proprio per avere più possibilità che venga approvato. Se così sarà, vedremo sui mercati un rally di sollievo piuttosto veloce.
Il Fomc, nel frattempo, ribadisce che i tassi americani rimarranno a zero per un periodo prolungato. Tutti i paesi si stanno preparando a una stretta fiscale per il 2011. Un motivo in più, per i paesi sviluppati, per mantenere una politica monetaria assolutamente espansiva per molto, molto tempo a venire e un cambio basso verso i paesi emergenti.
 

Fonte - Il Rosso e il Nero, settimanale di strategia di Kairos Partners SGR.

 

 

 

 

 

La settimana, 17/2010

Posted on Sunday, 2 May, 2010 - di phastidio
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Dopo un’altra settimana drammatica, caratterizzata da ripetuti declassamenti di debito sovrano europeo (Grecia, Spagna, Portogallo) da parte delle agenzie di rating, è stata finalmente siglata l’intesa operativa che prevede assistenza finanziaria congiunta alla Grecia da parte di Unione europea e Fondo Monetario Internazionale, su un arco triennale, a fronte di una pesantissima correzione dei conti pubblici greci, pari ad almeno dieci punti percentuali di Pil in un biennio.
Dopo che il mercato dei titoli di stato greci ha praticamente smesso di funzionare (anche per effetto del declassamento a junk da parte di Standard&Poor’s), con rendimenti che hanno toccato sulla scadenza biennale anche il 25 per cento e la curva dei rendimenti invertita (segno di imminente dissesto), l’annuncio dell’accordo ha stabilizzato i mercati, sia pure su basi di rendimento elevatissime. I problemi restano aperti, sia per la Grecia che per l’Ue. In particolare, la prima rischia di entrare in una trappola di debito, in cui strette fiscali causano il crollo del Pil, che a sua volta apre nuovi ed ulteriori deficit. Per l’Ue la posta in gioco è altrettanto rilevante: si teme quanto potrà accadere se e quando altri paesi in difficoltà (Portogallo e Spagna su tutti) non riusciranno a raggiungere il riequilibrio dei conti pubblici entro le scadenze previste nei piani di rientro concordati con l’Ue. Appare infatti improbabile che l’intervento a sostegno della Grecia possa essere risolutivo dei problemi dell’Area Euro.

Sui mercati, la notizia di rilievo della settimana è il possibile ampliamento del caso-Goldman (frode ai danni degli investitori) dall’ambito civile rappresentato dall’azione della Sec a quello penale, con l’apertura di un’inchiesta federale da parte dei procuratori distrettuali di New York. In ambito penale, l’onere della prova a carico dell’accusa appare molto più impegnativo rispetto all’azione civile promossa dalla SEC, ma la notizia è stata sufficiente per causare un crollo di quasi il 10 per cento delle quotazioni di Goldman, durante il mercato di venerdì 30 aprile. In termini di analisi tecnica, l’azione Goldman si trova in una condizione non favorevole, avendo già fallito, settimane addietro, il test dei massimi segnati lo scorso ottobre. Gli analisti azionari di Standard&Poor’s hanno emesso una raccomandazione di vendita sul titolo. Sul mercato azionario, più in generale, si è registrato un marcato aumento della volatilità implicita, registrata dall’indice Vix, testimonianza di una maggiore avversione al rischio.
Tra i dati macroeconomici della settimana, pubblicata venerdì la prima stima del Pil statunitense del primo trimestre 2010, che è cresciuto del 3,2 per cento su base annualizzata. Al dato hanno contribuito soprattutto l’andamento delle scorte ed i consumi privati. Le prime hanno contribuito per l’1,7 per cento al dato complessivo di crescita, per effetto non più di una decelerazione del loro decumulo, come avvenuto nel quarto trimestre 2009, ma di un effettivo accumulo. I consumi delle famiglie sono cresciuti oltre le attese, al passo del 3,6 per cento annualizzato, confermando l’interruzione del trend di recupero del tasso di risparmio già vista nei dati mensili del primo trimestre. Si tratta di un dato per molti aspetti anomalo, visto anche l’andamento ancora depresso del mercato del lavoro ed il rilevante contributo alla crescita del reddito personale fornito dai trasferimenti pubblici legati alle misure di stimolo, il cui massimo impatto sul Pil statunitense è atteso proprio nel secondo trimestre di quest’anno.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

PIIGS: QUESTO SALVATAGGIO NON SI DOVEVA FARE

domenica, 2 maggio 2010 - 23:50 NEW YORK - di WSI
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Servono $2000 miliardi in 3 anni. L'FMI e' senza speranze, con una capacita' di appena $700 miliardi. Perche' allora continuano a mentirci? Qualcosa non torna: il tavolo e' truccato, il crupier e' d'accordo col banco. Meglio assistere al fallimento di...
Con i PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) che avranno bisogno complessivamente di $2000 miliardi di aiuti nell'arco di tre anni - secondo le ultime stime che circolano in ambienti finanziari di New York - il salvataggio dell'euro sembra impossibile. Inutile illudersi. Il Fondo Monetario Internazionale non puo' far altro che starsene seduto a braccia conserte e aspettare che l'inevitabile fallimento si materializzi. Non ora. Piu' in la' nel tempo.
Stiamo parlando di $600 miliardi in un solo anno. Il che finirebbe per esasperare fino alle estreme conseguenze le casse del Fmi, che ha una capacita' finanziaria di circa $700 miliardi. E chi dovrebbe salvare i PIIGS non e' messo molto bene economicamente, alle prese con una deflazione che non si vedeva dai tempi della Grande Depressione.
Perche' allora il Fondo Monetario e l'Unione Europea continuano a mentirci? Ci rimbambiscono di belle parole ottimistiche che loro sanno essere false. Qualcosa non torna. Da qualunque parte la si guardi, la conclusione di questa vicenda avra' un solo finale possibile. E non sara' un "happy ending", come dicono in America. D'accordo: gli americani hanno tutto l'interesse a recitare il ruolo duro degli anti-euro. Ma i numeri non si possono manipolare, al contrario delle promesse mai mantenute di certi leader politici. Non si tratta di apparire catastrofisti o anti-italiani (come diranno gli "ottimisti a tempo pieno" filo-governativi) ma appena appena realisti, moderati.
In concreto, una grande banca internazionale con sede negli Stati Uniti ha stilato una serie di tabelle in cui vengono analizzati nel dettaglio tutti i fondi necessari, paese per paese, debito per debito, deficit per deficit. Italia compresa, si'. Vediamoli, questi numeri. E' una lettura obbligata per chi e' alla ricerca della "verita' finanziaria". Per coloro che non s'accontentano delle tesi di facciata megafonate dall'elite politico/bancaria al potere.
E' il tipo di kit di sopravvivenza necessario per investitori che vogliono posizionarsi sui mercati in modo da guadagnare come fa l'oligarchia che scommette in senso opposto a quel che fa la massa; massa a cui e' stato detto invece di scommettere nell'altra direzione (Goldman docet). Ricordate: il tavolo e' truccato. Il crupier e' d'accordo col banco. Tutto congiura contro di noi se non sappiamo quel che sanno loro, in questa fase di finto capitalismo drogato da stimoli, aiuti e salvataggi sia governativi che sovra-nazionali.

 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

L’Ue mette sotto accusa le agenzie di rating

03/05/2010 - di miaeconomia.leonardo.it
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E adesso che il piano di aiuto alla Grecia e’ stato varato, si attende la reazione dei mercati, ci si lecca le ferite e si fanno i conti di quanto l’incertezza dell’Europa e l’impuntatura della Germania e’ costata in termini di miliardi di euro. Ma soprattutto si approfittera’ della falla creata nel transatlantico dell’Eurogruppo per evitare che la prossima lo possa trasformare nel Titanic. Ed una delle misure al vaglio della commissione europea e della Banca Centrale e’ la creazione di un proprio sistema di valutazione della solidita' finanziaria dei paesi della zona euro con l’obiettivo di spezzare il monopolio delle tre agenzie di rating, Moody's, Fitch e Standard&Poor's.
Infatti da molti analisti ed economisti e’ stato riconosciuto che gli abbassamenti di rating a raffica di Grecia prima e Portogallo e Spagna poi, da parte di Standard&Poor's, hanno favorito la speculazione al ribasso contro l’euro. Tra i piu’ insofferenti al predominio delle tre sorelle e’ Bini Smaghi membro del comitato esecutivo delle Banca Centrale Europea, che in alcune dichiarazioni attacca frontalmente le agenzie. In una conferenza stampa a latere del convegno: l’Europa nel mondo del G-20, senza nominare nessuna agenzia in particolare, apostrofa come al limite della pratica etica il comportamento delle agenzie, atteggiamento che le portera’ ad una perdita di credibilita’. E motiva l’attacco sottolineando come sia stato sorprendente e curioso che le agenzie di rating avessero bocciato il programma di misure fiscali e strutturali della Grecia senza conoscerlo.
Le tre grandi agenzie statunitensi di rating Moody's, Fitch e Standard&Poor's controllano circa il 96% del mercato, mentre le briciole vengono spartite tra un’altra decine di agenzie. Le vicende greche hanno dimostrato che un loro giudizio equivale a una sentenza, ma c'e' chi nutre dubbi sulla loro capacita’ di valutare la reale condizione debitoria di un soggetto e la loro imparzialita', come le dichiarazioni di Bini Smaghi dimostrano. Inoltre le agenzie sono pagate dai committenti che vogliono emettere un'obbligazione od ottenere qualsiasi altra forma di credito, poiche’ la loro influenza e’ tale che senza il rating delle agenzie e' difficile raccogliere denaro sul mercato. Ma il fatto che il loro giudizio sia pagato dai giudicati, espone le agenzie a un palese conflitto di interessi.
Quando Enron falli’ le agenzie di rating abbassarono il debito dell’azienda a livello di spazzatura solo quattro giorni prima del fallimento eppure i problemi della societa’ erano noti da mesi. Ma altri esempi si possono fare come quello di Worldcom sempre negli Usa, o di Parmalat e Cirio in Italia. Non a caso Adusbef prima della crisi greca ha analizzato oltre 1000 report delle agenzie di rating evidenziando come a posteriori i risultati siano stati errati 9 volte su 10, ovvero un 91% di valutazione sbagliate contro un 9% corrette.

 

Fonte - miaeconomia.leonardo.it

 

 

 

 

 

 

  La Grecia e le banche europee respirano, ma la resa dei conti è solo rinviata

May 3rd, 2010 by editor – di Mario Seminerio

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Ora che è stato raggiunto l’ennesimo accordo (ma il primo apparentemente operativo) tra Unione europea, Fondo Monetario Internazionale e Grecia, è opportuno tentare di analizzare le prospettive di Eurolandia e, soprattutto, della crisi di debito sovrano che sta mettendo a rischio il futuro dell’area valutaria unica, almeno così come si è formata finora.
La prima osservazione è che il sostegno alla Grecia rischia di essere solo il rinvio della resa dei conti. Le misure di austerità a carico di Atene sono molto pesanti, soprattutto per un paese da sempre caratterizzato da forti turbolenze sociali ed elevata evasione fiscale. Si parla di un aumento dell’Iva di tre punti percentuali, fino al 23 per cento ed aumento del 10 per cento delle accise; blocco del turnover e della contrattazione collettiva (inclusa la parte economica) nel settore pubblico per tre anni, aumento dell’età pensionabile fino a 67 anni, massicce privatizzazioni, soppressione di enti pubblici inutili, apertura delle professioni regolate da albi. Curioso come si tratti di misure che noi italiani conosciamo bene, almeno per il furioso quanto sterile dibattito ad esse associato da almeno un quindicennio.
L’erogazione dei finanziamenti di sostegno dovrebbe avvenire (se prevarrà l’impostazione del FMI, oltre che del buon senso) in modo graduale e condizionato al raggiungimento del piano di risanamento fiscale. Ma un paese come la Grecia, caratterizzato da una bassa base di esportazioni sul Pil (così come Spagna e Portogallo, del resto) rischia di essere condannato a trascorrere molti anni nel tunnel della depressione economica. Nel frattempo, dopo molte esitazioni ed una cacofonia governativa e di maggioranza di sapore italiano, il governo tedesco sembra aver capitolato all’esigenza di evitare un collasso del sistema bancario europeo. Restano, a dire il vero, alcune posizioni ed affermazioni piuttosto sconcertanti, come l’invito alle banche tedesche a prendersi carico del proprio “comportamento speculativo” accettando perdite sugli investimenti in Grecia. Se ciò accadesse, il sistema bancario tedesco andrebbe immediatamente ricapitalizzato, e in un numero non limitato di casi servirebbe proprio l’intervento del contribuente. Questo “suggerimento” tedesco apparirà di consolazione a quanti si lamentano circa l’analfabetismo economico medio della classe politica italiana.

La domanda che tutti si pongono è sempre la stessa: l’intervento di Ue e FMI funzionerà? Premesso che, come abbiamo più volte ricordato, questa vicenda presenta solo esiti negativi, da qualunque via d’uscita la si guardi, resta un problema di fondo: la Grecia è un paese tecnicamente insolvente. Ha un imponente deficit primario, che trasformare in avanzo risulterà impresa titanica, date le premesse. Ma soprattutto, in questi giorni stiamo ascoltando un enorme sospiro di sollievo europeo che proprio non ha ragione di esistere. Il salvataggio ha ridotto il rischio sistemico nel breve termine, al prezzo di un’impennata dell’azzardo morale di medio e lungo termine.
Proviamo a riflettere su questo: le agenzie di rating la scorsa settimana hanno declassato il merito di credito di Spagna e Portogallo sulla base della scarsa credibilità dei piani di risanamento fiscale. Quest’ultima, a sua volta, dipende da due elementi: la qualità delle misure adottate e le ipotesi di scenario macroeconomico. Nel caso del Portogallo, ad esempio, tra le prime figura un rientro fiscale basato su misure in prevalenza una tantum oltre che posticipate ai prossimi anni. Riguardo le ipotesi di crescita, le agenzie di rating stanno ridimensionando quelle dei governi e, se dovessero avere ragione, ci troveremmo con paesi che cadono in una trappola di debito. Che accadrà quando Portogallo e Spagna saranno nuovamente declassate, evento tutt’altro che remoto? I mercati venderanno a mani basse il loro debito, e si tornerà alla spirale greca. E allora che farà la Ue, un nuovo salvataggio? Qualcuno realisticamente pensa che il FMI abbia dotazioni di risorse illimitate e, soprattutto, concentrabili su Eurolandia?

La verità è che, con il puntello alla Grecia, stiamo salvando il sistema bancario europeo. Sottocapitalizzato, opaco, ricco di veicoli fuori bilancio, soprattutto in Germania. Ecco perché le variabili chiave da osservare, ora più che mai, sono la crescita ed il saldo primario di finanza pubblica. I mercati stanno facendo lo stesso. Alla luce di questi due “canarini nella miniera”, due parole sul nostro paese. Che ha, come evidenziato ad nauseam, una ormai strutturale tendenza a crescere poco. Quanto all’avanzo primario, nel 2009 lo abbiamo perso. Siamo a rischio di attacchi sui mercati? La risposta è al contempo affermativa e negativa. Siamo a rischio perché abbiamo le stigmate del paese a rischio. Non siamo a rischio (nel breve termine) perché abbiamo una rilevante ricchezza privata, mobiliare ed immobiliare. Da un lato, questa caratteristica eviterà di intervenire a sostegno del sistema bancario, come invece accaduto in altri paesi. Inoltre, in caso di emergenza fiscale, il governo potrà applicare un prelievo straordinario su attività finanziarie ed immobiliari, come fatto da Giuliano Amato nel 1992. Naturalmente le conseguenze politiche di una tale azione sarebbero devastanti, ma ai mercati interessa la solvibilità di breve termine. Ma c’è un’altra vulnerabilità, per il nostro paese.
La percezione di un crescente stress fiscale in Eurolandia porterà gli investitori a chiedere di essere compensati per il maggior rischio, cioè a richiedere tassi più elevati. Ciò si somma al premio al rischio di credito, che ha ormai fatto irruzione sulla scena dell’euro: non basta più essere membri del club per emettere debito allo stesso costo della Germania. Un aumento dei rendimenti richiesti dal mercato, in un contesto di stagnazione, farebbe esplodere il nostro deficit, mettendoci immediatamente sotto i riflettori come paese ad alto rischio, stante il nostro stock di debito. Questi sono scenari meno remoti di quanto si tenda a pensare.
La situazione resta estremamente complessa e al momento non si intravedono evoluzioni positive. La sensazione è che l’intera Eurolandia stia solo procrastinando la resa dei conti.
 

Fonte - www.Epistems.org

 

 

 

  Mercoledì 05 Maggio 2010   Giovedì 06 Maggio 2010   Venerdì 07 Maggio 2010  
       
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CHAMPAGNE PER TUTTI

lunedì 3 maggio 2010 - di Leon Zingales
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Come previsto la Grecia verrà salvata con i nostri soldi. Naturalmente ha promesso che la strada del risanamento pubblico verrà intrapresa, ma è un segreto di Pulcinella il fatto che non verrà mantenuto alcun impegno. Avanti fino alla successiva minaccia di default sovrano…
Purtroppo non siamo noi il prossimo della lista: prima vi sono quantomeno Portogallo, Spagna ed Irlanda. Rischiamo di arrivare tardi, dobbiamo sbrigarci perché i soldi stanno per terminare. Dobbiamo impegnarci, correre in uno sforzo all’unisono. In altre parole la parola d’ordine è una sola: dobbiamo farci salvare subito dopo la Grecia, dobbiamo superare la fila (..tra l’altro quando mai in Italia si sono rispettate le file).
Un paio di idee li ho: undici mesi di aspettativa obbligatoria per tutti (naturalmente pagati con uno stipendio doppio) ed un mese di ferie facoltative. Per chi non ha lavoro, nessun problema..la soluzione è a portata di mano. Basta far piovere pensioni di invalidità per tutti. Al fine di rimuovere le fastidiose pastoie burocratiche basterà autocertificare il proprio stato di invalidità onde ricevere subito il giusto dallo Stato (..siamo uomini di mondo, nessuno di noi si meraviglierebbe nel vedere ciechi che guidano e sordi che rispondono al telefono). Per chi non ha casa..anche qui presto detto: crociere a spese dello Stato, alloggi in residence di lusso in giro per il mondo e notti da sogno (allietate da bottiglie di Champagne delle migliori annate) nelle suite più lussuose.
Naturalmente non pretendo che le mie proposte siano le migliori per garantire un adeguato tenore di vita al nostro valoroso popolo, ma credo che possano essere un buon inizio.
Ad occhio basteranno tre mesi (forse un po’ meno) per sbragare definitivamente i conti dello Stato ed arrivare ad uno stato terminale come la Grecia: arriveremo ad un debito del 150% del PIL ed un deficit del 18%.
E qui inizia il divertimento: poiché non si è fatto fallire la Grecia (per evitare immense perdite delle banche), non potranno certo far fallire noi (con 600 Miliardi di nostro debito pubblico che danzano allegri per il mondo). Insomma i Crucchi lavoreranno per mantenerci. Certo..inizialmente tituberanno, mugugneranno, protesteranno, minacceranno ma poi finiranno con lo scucire.
Ovviamente anche noi, come la Grecia prometteremo un piano di lacrime e sangue: l’aspettativa dovrà essere ridotta a 10 mesi e 29 giorni (poiché siamo furbi ridurremo il mese di Febbraio e cosi’ li freghiamo), mentre, per rendere più difficile la pensione di invalidità, la certificazione dovrà essere controfirmata dal coniuge del richiedente. Ma, dopo aver ricevuto il generoso emolumento, continueremo a divertirci (come prima e più di prima) per qualche altro mese: come si suol dire, passata la festa gabbatu lu Santu.
Mettetevi nei panni di un passeggero sul Titanic. Qualora avesse saputo la fine che lo aspettava sicuramente non avrebbe fatto il taccagno litigando per il prezzo del caviale. Sia le cicale che le formiche annegheranno allorché arriverà il diluvio dei default sovrani: quanto vale cantare e suonare in attesa dell’inevitabile ed allora…Champagne per tutti.
 

Fonte - www.IlCignoNero.it

 

 

 

AMERICANI IN BANCAROTTA: +15% IN UN ANNO

04 Maggio 2010 14:56 NEW YORK - di WSI
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Molta gente non ce la fa e getta la spugna. L'economia Usa continua a dare segnali di recessione, anche se il Pil cresce, alcuni indicatori migliorano, le aziende fanno profitti. Problema lavoro e consumi.
L'economia americana continua a dare chiari segnali di recessione, anche se il Pil e' in crescita, molti indicatori migliorano, le aziende annunciano profitti in aumento. Tuttavia le bancarotte personali, cioe' di singoli individui, mostrano un trend tutt'altro che in miglioramento. Secondo quanto riportato da Bloomberg, i casi di bancarotta personale negli Stati Uniti hanno raggiunto quasi le 146.000 unita' nel mese di aprile. Cio' significa che la disoccupazione e il calo dei consumi pesano ancora fortmente sulle famiglie.
Il dato e' in calo rispetto a marzo, quando era stata toccata quota 158.000. Il punto e' che il totale del mese appena concluso rappresenta un incremento del 15% rispetto a 12 mesi fa, cioe' all'aprile del 2009. Si tratta del secondo peggior mese da quando la Bankruptcy Abuse Prevention e il Consumer Protection Act del 2005 furono decretati.

 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

L'ira dei greci: «Paghiamo per colpe altrui»

04 Maggio 2010 08:52 ATENE - dal nostro inviato Vittorio Da Rold
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ATENE - La protesta sta montando nel paese mentre i greci si preparano a scendere in piazza domani nello sciopero generale contro le nuove misure di austerity annunciate dal governo Papandreou e che oggi verranno presentate in Parlamento.
«Non accetteremo il taglio del 30% dei salari», tuona nel suo ufficio immacolato ad Atene Spiros Papaspirous, presidente del sindacato dei dipendenti pubblici Adedy, quelli più colpiti dai tagli, mentre il suo sindacato annuncia 48 ore di sciopero a partire da oggi, invece delle 24 previste per domani, contro le «crudeli e brutali misure senza precedenti» annunciate domenica dal governo in cambio di 110 miliardi di aiuti Ue-Fmi. Ieri intanto hanno iniziato le proteste contro il piano di austerità da 30 miliardi in 3 anni i dipendenti municipali mentre l'Adedy invita i greci a «rispondere con forza» al «saccheggio dei redditi e dei diritti dei lavoratori sia nel settore pubblico che privato».
Ma come vive la gente comune ad Atene il piano lacrime e sangue del governo? Ecco uno spaccato di storie quotidiane sui costi sociali della maggiore crisi del dopoguerra che ha colpito la Grecia, paese di appena 11 milioni di abitanti e con un debito di 300 miliardi di euro.

Lo spazzino
Yannis, 44 anni, porta i Rayban come uno sceriffo americano, ha due muscoli da sollevatore pesi. Fa lo spazzino comunale ed è furibondo. Non partecipa allo sciopero indetto dai suoi colleghi che protestano in piazza Syntagma. Svuota i sacchi dell'immondizia in zona Plaka, quella più turistica, con destrezza e velocità supersonica. Poi dice a bruciapelo: «Perderò 2.500 euro quest'anno. Ho quattro figli da mantenere, tre vanno a scuola e uno solo ha un lavoro, ma è ancora in casa con noi. Lavoro sabato e domenica per sette ore al giorno. Neanche i senegalesi vogliono fare questo lavoro, preferiscono vendere merce in strada. Naturalmente, io greco, ho un altro lavoro e così faccio un totale di dieci ore al giorno» E adesso? «Adesso mi tagliano il salario. Così resterò a casa, niente pizza, niente taverna». «I politici hanno esagerato: c'è solo una cosa che non mi ha tradito e a cui non rinuncio». Sorride. Poi alza il risvolto della sua t-shirt bianca e sul bicipite compare un enorme tatuaggio dell'Aek, una delle tre squadre di calcio di Atene.

Il medico
Iraklis, 29 anni, ha un tono di voce calmo ma si percepisce che è un uomo in rivolta. È arrabbiato, disgustato, precisa. Dice che bisognerebbe prendere i responsabili di questo saccheggio e condannarli. È medico, presso un ospedale pubblico di Atene e guadagna circa mille euro al mese mentre gli specialisti arrivano a 2mila. Qui non c'è nessun controllo, nessuno è stato finora chiamato a rispondere per i furti perpetrati a danno dell'Erario. «Naturalmente non è solo colpa dei politici – ammette - anche la gente deve cambiare la mentalità e lavorare di più». «Io intanto ho trovato un lavoro ben pagato a New York dove ho dei parenti e grazie alla riforma sanitaria di Barack Obama che ha fornito un'assistenza sanitaria a 45 milioni di persone prima sprovviste ora in America cercano medici negli ospedali. Così lascio Atene senza rimpianti. Tornerò fra cinque anni a vedere se il paese è cambiato».

L'insegnante part-time
Kourakis, Nikos, 38 anni, dorme da cinque notti in una tenda da campeggio collocata davanti al Parlamento greco. Ha un enorme striscione alle sue spalle dove spiega i motivi della sua insolita protesta. È uno dei tanti insegnati part-time a 400 euro al mese, ora riuniti in un collettivo, che verranno lasciati a casa alla scadenza del suo contratto a termine. «Insegno educazione artistica, i ragazzi sono contenti e a me piace il lavoro che faccio. Ho votato il premier George Papandreou, un socialista, e ora perdo il posto di lavoro perché mi dicono che così vuole l'Europa e l'Fmi. Ma qui in Grecia la disoccupazione è all'11%, dove troverò un'altra occupazione? A Bruxelles, forse, presso la Comunità europea? Questa è una guerra tra ricchi e poveri e i poveri stanno pagando il conto».

La pensionata
Maria Chardalia, pensionata, porta gli occhiali scuri «perché la luce troppo forte occulta la verità». Dice che spesso aiuta i suoi nipoti, tutti senza lavoro stabile, con piccole somme e ora teme di non poterlo più fare. «Le pensioni verranno ridotte, dice il Governo, ma noi di cosa vivremo?». «Prendessero i soldi ai ladri e non a noi, l'ex premier Karamanlis ha preso in mano il paese con 180 miliardi di debiti nel 2004 e l'ha consegnato nel 2009 con un debito a 300 miliardi di euro. Ne mancano 120 all'appello. Dove sono andati a finire i soldi?». Poi come una novella Cassandra dice: «Ho paura per tutti questi giovani senza speranza, ci saranno scontri e sangue nelle strade di Atene».

L'immigrato
Paulo, fa il muratore e ha mani grandi come badili. Vedi tutti questi cartelli con scritto Enoikiazetai? Bene, in greco significa "affitasi" ma sono tutti vuoti. E il palazzo che vedi qui di fianco non è ultimato da mesi. Nessuno si presenta per fare offerte, il mercato immobiliare è completamente fermo. Anzi molte società si stanno trasferendo dal centro città in uffici più piccoli in periferia». E allora che pensi di fare? «Me ne torno a casa in Albania, perché ora qui non c'è più lavoro». E allora perché sei ancora qui? «Perché mia figlia ha studiato qui con profitto e non vuole tornare in Albania. Ha imparato il greco e l'inglese, e ora si sente greco-albanese. Ha amiche e va bene a scuola. Che faccio? La lascio qui da sola o la costringo a tornare e non me lo perdonerà mai più?».
 

Fonte - Sole 24 ore

 

 

 

 

 

  Il grande rebus irrisolto: ma l'euro è ancora sopravvalutato?

06 Maggio 2010 11:36 NEW YORK – di IL SOLE 24 ORE

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Se ad un marziano fosse fatto vedere il grafico dell'euro contro il dollaro, a partire dal 2000 fino ad oggi, la sua conclusione sarebbe una sola: la divisa unica europea non è certo debole, né sottovalutata. Nel 2002 valeva attorno a 0,8 dollari e, superata definitivamente la parità solo nel 2003, a fine 2006 viaggiava attorno a quota 1,2 dollari. Certo, alla chiusura del 22 luglio 2008 aveva raggiunto quota 1,558, e ieri ha toccato nell'intraday il livello 1,2817.

Ma al marziano quest'ultimo valore sembrerebbe una quotazione, seppur non stratosferica, almeno "robusta". Al contrario giornali, e anche molti operatori, parlano sempre e solo di euro debole, fiacco, in crollo verticale. Dall'altra parte dell'Oceano, invece, siti finanziari importanti come Marketwatch si domandano: «Misteri della crisi sul debito, chi sostiene l'Euro?».

L'euro è ancora sopravvalutato?
Certo, forse non c'è proprio totale obbiettività nel giornalismo americano su questi argomenti. E certo, il marziano non conosce tutta la "narrazione economico-sociale" che, soprattutto negli ultimi tre anni, ha caratterizzato sia l'Europa sia gli Stati Uniti. Tuttavia la domanda, diciamo pure la provocazione, ci può stare: l'euro, anche a fronte dell'incendio greco non domato e al rischio contagio sul fronte del debito nei paesi del Sud Europa, non è sopravvalutato?

Le risposte degli esperti
«In un certo qual senso sì -risponde Roberto Mialich, esperto valutario di UniCredit -. L'euro potrebbe scendere ancora, pur rimanendo in un contesto di forza. A ben vedere nei mercati valutari, a differenza di quelli azionari, non esiste un fair value per la moneta. Tuttavia, si può tentare di capire a quale livello di cross beni uguali hanno un prezzo uguale. Si tratta di utilizzare modelli che sfruttano variabili quali, per esempio, il deflatore del Pil (cioè il rapporto tra Pil nominale e quello reale, ndr), il costo del lavoro per unità di prodotto e l'inflazione core».
E cosa salta fuori? «Che un valore equo dell'euro, nei confronti, del dollaro dovrebbe essere situato nell'intervalo tra 1,12 e 1,17 dollari». Quindi, al di sotto dell'attuale quotazione.
Non è della stessa opinione Ronny Hamaui, docente di mercati monetari internazionali all'università Cattolica di Milano. «L'idea di una sopravvalutazione non mi convince», dice.
Per quale motivo? «Se così fosse dovremmo avere una diversa situazione delle partite correnti tra le due sponde dell'oceano Atlantico. L'Europa può vantare un surplus, che indica la forza dell'export; al contrario, gli Stati Uniti vantano un deficit. Si tratta di una combinazione che, a fronte di un euro realmente forte, non avrebbe possibilità di esistere».«Non vedo una divisa unica europea particolarmente sopravvalutata - afferma da canto suo Luca Paolazzi, direttore del Centro studi di Confindustria -. In particolare poi, nell'analizzare i dati, non si può prescindere dal contesto in cui si concretizzano. Negli ultimi anni c'è stata una forte diversificazione, per esempio da parte dei fondi sovrani, sul fronte valutario: è stato abbandonato il dollaro come unica moneta in favore di altre divise», tra cui l'euro. In tal senso, la discesa della moneta di Eurolandia è un indizio di debolezza. «A ben vedere - articola il suo pensiero Paolazzi - si fronteggiano due debolezze "strutturali", degli Stati Uniti e dell' Europa».

La mancanza di fiducia
Al di là della discussione sul "giusto valore" del cambio, gli esperti trovano una certa concordia nell'analisi su quello che può essere oggi il problema dell'euro: la mancanza di fiducia. Una carenza che può declinarsi in diversi modi.
«Oggi -dice Hamaui - non contano tanto i fondamentali: la moneta è considerata alla stregua di un normale asset finanziario il cui valore relativo è fortemente influenzato dalla ricerca di un porto sicuro. Dall'inizio della crisi, ogni qualvolta c'è stata una tensione legata all'economia americana l'euro è cresciuto; viceversa quando, come negli ultimi giorni, si diffonde il timore sul debito dei paesi europei i flussi di capitali lasciano Eurolandia. Si va, insomma, alla ricerca di un asset in grado di conservare il proprio valore».
Parla di fiducia anche Mialich: «In questo momenti i mercati non si fidano della possibilità che la situazione possa stabilizzarsi: i rendimenti dei tassi», per esempio dei bond greci, «sono tornati allo stesso livello ante-crisi, prima che il pacchetto di misure a favore di Atene fosse adottato. È un po' come se fosse successo niente».
Ma c'è anche la "fiducia" intesa come consapevolezza che : «Non ci sono alternative -sottolinea Paolazzi -. Si parla di euro a due velocità, addirittura di un euro limitato a pochi paesi. Ma questo vorrebbe dire costi enormi; vorrebbe dire che salta anche il mercato unico. Una strada che non mi sembra percorribile».

Una divisa sostenuta artificialmente?
La via, invece, che i flussi monetari sembrano, almeno negli ultimi giorni, imboccare è quella verso il safe-haven tedesco. Ieri, il Bund future quotato al circuito Eurex di Francorte è passato di mano, in chiusura, a 126,43 centesimi, guadagnando lo 0,73% rispetto alla giornata di mercoledì che già aveva registrato un rialzo notevole.
«Questo trend - dice Adam Boyton, esperto valutario di Deutsche Bank - è una delle motivazioni per cui l'euro non ha preso con fermezza la rincorsa verso il basso», nonostante i dati della Commodity Future Trading Commission mostrino che le posizioni short su Eurolandia siano a livelli record. «È un po' come ci fosse una mano invisibile -fa da eco Mike Malpede, capo analista di Easy Forex a Chicago - che tiene su il tutto. Non ho prove, ma forse chi guarda alle banche centrali europei può trovare i "colpevoli"».
«Io non ho sentore di una simile strategia degli istituti centrali europei -ribatte Mialich -. Piuttosto, si può parlare di interventi su basi locali». In che senso? «Certamente la banca centrale svizzera ha messo in campo delle operazioni per sostenere l'euro verso il franco. Gli svizzeri, che hanno gran parte del loro export focalizzato sull'unione europea, non possono permettersi una moneta unica troppo debole. Così intervengono». Un'operazione che può avere un effetto più ampio oltre il franco svizzero? «Non credo. Le masse monetarie che si muovono sul mercato valutario sono enormi. Una sola strategia non ha questa forza».
 

Fonte - IL SOLE 24 ORE

 

 

 

 

 

USCIRE DALL'EURO SAREBBE LA "MADRE DI TUTTE LE CRISI FINANZIARIE"

06 Maggio 2010 00:04 NEW YORK - di WSI
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Grecia al centro di tutte le tensioni. I costi sarebbero altissimi. Per tutta l'Europa. Qualsiasi paese che uscisse dal sistema UE non rimarra' una democrazia: solo un governo autoritario potrebbe varare leggi speciali.
Il costo per fare un passo indietro nella Ue, anzi, per porsi al di fuori della moneta unica europea, sarebbe eccessivo in questo momento per qualunque paese membro. Pur se ognuno pensa alla Grecia - dopo i violenti disordini di ieri con 200.000 dimostranti in strada, gli assalti al Parlamento, i morti - per ogni nazione UE anche solo prepararsi ad un'uscita potrebbe innescare "la madre di tutte le crisi finanziarie".
A sostenerlo e' un esperto americano, che ci spiega punto per punto cosa comporterebbe lo sfaldamento dell'Eurozona. Ovviamente i lettori di WSI sanno che i report "made in Usa" che pubblichiamo hanno un handicap, non sono "neutri" rispetto allo scenario piu' negativo. Del resto sono questi i rapporti che circolano; e sono i piu' letti in questo momento, dai ministeri degli esteri alle sale trading di hedge funds e banche di tutto il mondo.
Tra gli enormi costi - ne elenchiamo diversi - ci sono quelli politici. Immensi. Nel senso che il paese che esce dall'euro probabilmente non rimarra' una democrazia: solo un governo autoritario potrebbe varare leggi speciali, sai per controllare l'ordine pubblico minacciato, sia per imporre a banche, istituzioni e amministrazione del Tesoro di rinominare tutta una serie di prodotti finanziari, a cominciare dai bond governativi, e imporre regole ferree su esportazioni di capitali. Solo che il paese in questione, trovandosi gia' in crisi, da quel momento non sarebbe in grado di raccogliere piu' neanche uno spillo in termini di capitali dal mercato. E questa, appunto, "sarebbe la madre di tutte le crisi". E si riverberebbe anche nei confronti di tutti gli altri stati membri dell'Europa.
Se per esempio la Grecia tornasse alla dracma, certo non sarebbe il governo Papandreu a poter varare il ribaltone. Per questo i disordini di ieri ad Atene, le fiamme, gli attacchi alle banche, ricordano molto la situazione del default dell'Argentina nel 2002. Colonelli di nuovo sul Partenone?

 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

Vertice europeo a Bruxelles La Bce smentisce voci su un maxi sportello prestiti

07 Maggio 2010 19:54 BRUXELLES - di Sole 24 ore
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Dimostrare alla comunità finanziaria internazionale che la politica non ha perso il controllo dei mercati finanziari. Questo l'obiettivo cruciale, e per nulla scontato, del vertice dell'Eurogruppo che si è tenuto venerdì sera a Bruxelles ed è proseguito in nottata. Prima del summit dei 16 paesi dell'area euro i ministri delle finanze e i banchieri centrali del G-7 si sono riuniti in teleconferenza per discutere l'uscita dalla crisi e per inviare segnali di tranquillità ai mercati spagnolo e portoghese finanziariamente instabili.
Esclusi a priori dal ministro delle finanze del Giappone interventi a sostegno dell'euro (oggi in recupero sopra 1,27 contro il dollaro ma soprattutto a minimi storici contro lo yen) mentre sono attese espressioni di solidarietà verso il piano Ue-Fmi da 110 miliardi per impedire la bancarotta della Grecia. Tra i temi al centro della riunione dei 16, invece, la lettera che la cancelleria tedesca Merkel e il presidente francese Sarkozy hanno inviato ai vertici dell'Unione europea sollecitando regole più rigide per assicurare la stabilità della moneta unica, alla luce dell'esperienza della crisi greca.

L'allarme di Trichet, la fiducia di Blankfein
Il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, intervenendo al vertice, ha messo in guardia i leader politici: «Attenzione, siamo di fronte ad una crisi sistemica». Da notare che in serata l'appena riconfermato ceo e presidente di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, da New York, si è detto fiducioso che i leader europei possano trovare una soluzione alla crisi originata dal debito greco e li ha invitati a rassicurare gli investitori: «I mercati - ha dichiarato Blankfein - devono essere tranquillizzati».

Sistemi di pronto intervento, agenzie di rating nel mirino
Un meccanismo di pronto intervento per salvare altri Paesi che dovessero finire nel mirino della speculazione, un giro di vite sulla vigilanza sui conti pubblici, nuove manovre correttive nei Peasi più esposti: questi alcuni dei principali strumenti attraverso i quali il vertice dell'Eurogruppo intende rispondere alla sfida lanciata dai mercati, sottolineando la volontà di difendere la stabilità e l'unità dell'Eurozona.
L'avvio del vertice, slittato di un'ora e mezzo rispetto all'orario previsto, è stato preceduto da ben quattro ore di consultazioni bilaterali, nel corso delle quali tutti hanno parlato con tutti. Incontri che hanno indicato chiaramente quanto la situazione sia complessa e potenzialmente esplosiva. La riunione straordinaria, del resto, è stata convocata all'insegna di mercati sempre più volatili e della necessità di evitare che la crisi scatenata dalla condizione fortemente debitoria della Grecia contagi altri partner, in primo luogo Spagna e Portogallo. E a questo scopo l'Eurogruppo sta valutando la possibilità di mettere in campo, già nei prossimi giorni, uno strumento di 'intervento-rapido' per combattere la speculazione che nelle ultime sedute ha affonfato le Borse.

Merkel: «Non c'è più tempo da perdere»
«Non c'è più tempo da perdere», ha detto tra l'altro la cancelliera Angela Merkel dopo aver parlato con il presidente Usa Barack Obama e aver concordato sull'esigenza di lanciare un «segnale forte» per salvare la Grecia e l'euro. Merkel, dopo il via libera del parlamento tedesco agli aiuti ad Atene, è determinata a portare a casa impegni concreti da parte dei suoi partner per il rafforzamento del Patto di stabilità e la vigilanza sui conti pubblici. Con l'introduzioni di sanzioni importanti - come la sospensione del diritto di voto in sede europea - da applicare a chi non dovesse rispettare le regole del gioco. La Germania vuole anche un'accelerazione del varo di nuovi strumenti per la regolamentazione dei mercati finanziari.

La disciplina di bilancio, le agenzie di rating
Nel testo di conclusioni su cui si sono confrontati i leader anche un forte richiamo al rafforzamento della disciplina di bilancio, e una chiara indicazione sul fatto che, se sarà necessario, i Paesi interessati dovranno compiere ulteriori sforzi per il risanamento dei loro conti pubblici. Dal vertice sono attese indicazioni sulla necessità di istituire un organismo europeo per vigilare sulle agenzie di rating, oppure puntare direttamente alla nascita di un'agenzia europea per la valutazione dei debiti pubblici.
Intanto dopo sette trimestri negativi l'economia della Spagna - altro paese del Sud Europa messo sotto pressione dalle agenzie di rating insieme a Grecia e Portogallo (e per quanto riguarda Moody's anche l'Italia, salvo correggere a frittata fatta, ndr) - è uscita ufficialmente dalla recessione. Nei primi tre mesi dell'anno, ha reso noto la Banca centrale iberica, il pil è cresciuto dello 0,1%. dato superiore alle stime della Commissione Ue.

Berlusconi invoca «misure chiare, concrete ed efficaci»
«Non è il momento di messaggi di buone intenzioni, ma di misure chiare, concrete ed efficaci per difendere l'euro, rafforzare l'Europa e l'unione monetaria». È questa la valutazione del premier Silvio Berlusconi arrivato nel pomeriggio a Bruxelles, sulla quale, indicano fonti di Palazzo Chigi, si è registrata piena condivisione nel corso degli incontri bilaterali con il portoghese Socrates, il francese Sarkozy, il premier spagnolo Zapatero e il presidente Ue, Van Rompuy. Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, intervenendo all'incontro promosso da Confindustria Veneto a Roncade, ha invece sostenuto che «se c'è una crisi della zona economica europea, c'è una crisi dell'Europa ed è una crisi globale che non si fermerà al nostro continente. Se c'è la forza di una visione comune, per capire che la speculazione è solo una parte del problema, credo che ci siano ragioni per essere fortemente ottimisti».

Letta: «Si decide sul futuro dell'Europa»
Quello che si terrà a Bruxelles questa sera sarà un vertice europeo «drammatico», convocato «per decidere se discutere sul futuro dell'euro e sul destino dell'Europa». Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, alla cerimonia di consegna del premio 'Guido Carli'. «Sono in corso consultazioni tra l'Europa e gli Stati Uniti - ha detto in serata Letta annunciando come probabile uno slittamento del vertice di un'ora - per discutere di una situazione che si è fatta molto difficile».

Papandreou: «Riaffermare fiducia nella moneta unica»
I vertici dei sedici paesi dell'Eurozona «riaffermeranno» questa sera «la loro fiducia nelle nostre economie e nella nostra moneta unica» durante il summit di Bruxelles, ha dichiarato il primo ministro greco, Georges Papandreou. «C'è una volatilità senza precedenti nel mondo e nell'economia mondiale - ha detto Papandreou -. È per questo che la riunione di oggi qui a Bruxelles è così importante».

Il no comment della Bce sul maxi sportello prestiti
Secco no comment dalla Bce, intanto, sulle voci riportate da agenzie di stampa internazionali di un'imminente decisione da parte della Bce di mettere a disposizione uno sportello prestiti con fondi per 600 miliardi di euro al tasso dell'1% con durata un anno a favore di 1.100 banche europee. Le voci, riportate dalle agenzie di stampa Bloomberg e Dow Jones, hanno contributo all'inversione di tendenza sui mercati finanziari e valutari. La decisione, secondo le stesse voci, dovrebbe essere annunciata nel fine settimana.
Le voci si sono intensificate nel tardo pomeriggio dopo che in mattinata la Bce ha tenuto una teleconferenza con i principali gruppi bancari dell'Eurozona, secondo quanto dichiarato da fonti del settore, nel quadro dei contatti con il Money Market Contact Group che tiene contatti regolati e comprende i primi 50 gruppi bancari del Vecchio Continente. (a cura di Alberto Annicchiarico)
 

Fonte - Sole 24 ore

 

 

 

 

 

  Terribile escalation: la crisi passerà da Grecia a Europa e al resto del mondo

07 Maggio 2010 04:07 NEW YORK – di *Luca Ciarrocca

*Luca Ciarrocca e' il direttore e fondatore di Wall Street Italia.

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"La crisi e' molto grave, da locale, il caso di un singolo paese come la Grecia e' sul punto di trasformarsi in regionale, cioe' si espande alla regione Europa, per poi diventare globale". Cosi' dice Mohamed El-Erian, amministratore delegato di Pimco, il piu' grande fondo obbligazionario del mondo con oltre $1 trilione ($1,071 miliardi) in assets e uffici a Newport Beach, California. Quando uno come El-Erian parla, il mercato ascolta. Sara' pure una coincidenza ma le sue esplosive parole sono andate in onda su Cnbc Usa verso l'1:15pm ora di New York. Novanta minuti dopo alle 2:45pm a Wall Street si sono aperte le cataratte degli high-frequency trading, il panico dei sell gestiti dai computer. Pochi minuti dopo il Dow Jones era in calo -9,2%, un record negativo di quasi 1000 punti.
La domanda da 1 trilione di dollari (non e' solo il patrimonio di Pimco ma anche - strano - la perdita in capitalizzazione dell'azionario Usa in quella frenetica mezz'ora ieri) suona molto diretta: e' stato uno dei 2 gestori di Pimco (l'altro e' Bill Gross, noto ai lettori di WSI) a scatenare volutamente il mini crash di giovedi' poi rientrato?

Seduto su quella montagna di denaro, El-Erian parla misurando perfino le vocali delle parole che usa. E guarda caso gli investitori istituzionali presi dal panico ieri sono fuggiti in massa dall'azionario verso il mercato obbligazionario, proprio il terreno di caccia di Pimco. Nel caos del crollo improvviso di Wall Street da tutto il mondo banche e hedge funds si sono buttati a comprare un solo asset: titoli di Stato Usa, considerati porto sicuro in casi di tempesta finanziaria. Il prezzo dei T-Bond e' salito di 5 punti, in parallelo si e' verificato il maggior calo del rendimento dei Treasury dallo scorso luglio ad un minimo intraday del 3.29%. Quanti miliardi ha guadagnato Pimco con la passata in TV di El-Erian?
Probabilmente non lo sapremo mai. Ma vediamo cos'altro ha detto a Cnbc il Ceo del fondo n.1 del mondo oltre a divulgare alle masse la sua tesi principale e cioe' che l'attuale crisi finanziaria sta trasmettendosi dal singolo paese per poi diventare regionale e poi globale. El-Erian ha espresso opinioni su molte altre questioni su cui dovremmo riflettere soprattutto in quella chiave di guerra guerreggiata America vs Europa per il dominio commerciale e finanziario mondiale, di cui tanto parliamo in questi giorni qui su WSI.

Ecco le sue parole: "I capitali dall'Europa fluiranno nei prossimi mesi negli Stati Uniti, dove il dollaro si rafforza a fronte di un indebolimento dell'euro in Europa. Cio' provochera' ulteriore deflazione nel sistema finanziario europeo e quindi un vero shock. Accadra' proprio nel momento peggiore in quanto la domanda e la crescita economica dei paesi UE stanno calando. In questo scenario e' chiaro che il capitale in uscita da una regione va verso l'altra regione".
Il Ceo di Pimco insiste nel dire che la crisi e' grave ma non come quella del 2008 che scoppio' in America con il credit crunch dovuto ai mutui subprime. La Grecia e' un problema serio ma non quanto lo fu il fallimento di Lehman Brothers a cui si imputo' il collasso sul mercato finanziario americano e poi globale.
Ma ora attenzione, vi chiederete come possano essere pronunciate di fronte ad un'audience televisiva (seppure di un network specializzato) parole come le seguenti: "Non e' come nel 2008 - spiega El-Erian - quando un giorno io stesso dissi a mia moglie di prendere il tesserino dell'ATM (Automatic Teller Machine, il Bancomat Usa) per ritirare tutto il cash avendo paura di non trovarlo piu' in banca. No, in questi giorni non e' la stessa cosa", dice il gestore. "Una similitudine pero' e' che le banche sono di nuovo diffidenti, cominciano a non prestarsi piu' denaro l'un l'altra e se si rifiuta una lo fa una seconda poi la terza e in pochissimo tempo l'effetto a cascata e' immediato".
"La Grecia non sara' la Lehman Brothers dell'Europa - continua - ma e' comunque uno shock per tutto il sistema finanziario; uno shock destinato a impattare le valutazioni di vari assets. In questo momento l'economia mondiale e' come un'auto che ha bucato una gomma e va ancora in giro con la ruotina di scorta. Bhe', se quest'auto prende una buca e' facile capire cosa succede: sbanda. Basta una buca, nell'attuale situazione".

Sulla crisi finanziaria greca l'ad di Pimco sostiene che "non si tratta di una questione di liquidita' (il Fmi e l'Ue hanno messo sul piatto molto cash, circa 110 miliardi di euro) ma soprattutto di solvibilita'". In sostanza "o l'Unione Europea si decide a fare un passo radicale e cioe' a prestare soldi ad Atene ad un tasso allo 0% oppure la Grecia deve ristrutturare il debito. Non ci sono alternative".
Ma cosa accadra' all'Europa dopo questa grave crisi? El-Erian non ha problemi ad esprimere chiaramente il suo pensiero, che si suppone coincida con una precisa strategia di gestione del colossale portafoglio dei fondi Pimco. "C'e' un'alta probabilita' che tra qualche tempo la UE sara' diversa da come la conosciamo oggi. L'euro sopravvivera' ma avremo una frammentazione dell'Eurozona. L'Europa alla fine sara' piu' piccola e comprendera' soltanto i paesi fiscalmente virtuosi ruotanti intorno alla Germania. I paesi piu' deboli si prenderanno un periodo sabbatico".
E gli Stati Uniti? "L'America non e' a rischio come la Grecia - risponde El-Erian - ma il debito e il deficit ormai contano, contano molto, per tutti. Anche per gli Stati Uniti non c'e' piu' tempo: bisogna agire subito prima che il problema esploda anche da noi".

 

 

 

  Sabato 08 Maggio 2010   Domenica 09 Maggio 2010   Lunedì 10 Maggio 2010  
       
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  Perfino Trichet ammette: "la crisi è sistemica". Nuovo piano di intervento UE

08 Maggio 2010 02:18 BRUXELLES – di Luca Ciarrocca

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La crisi dei mercati scatenata dal caso euro e' "sistemica": e' l'allarme, molto tardivo e a questo punto di nessuna credibilita', lanciato dal presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet ai leader dell'eurozona durante il vertice straordinario tenutosi a Bruxelles, durato 6 ore e conclusosi a tarda notte.
L'ultima trovata, dope lunghissime trattative, puzza lontano un miglio di misura disperata, i membri dell'Europa puntano adesso a creare un "fondo di emergenza" detto anche "meccanismo di stabilizzazione europea" per fermare l'effetto contagio che si sta diffondendo come un virus dalla Grecia ai paesi deboli ad alto debito, compreso il nostro. Questo piano pare fin d'ora un'idea risibile, anche non se ne conoscono i dettagli, poiche' questi geni dei nostri burocrati si vedranno ancora durante il weekend, giusto in tempo per approvare il draft prima dell'apertura dei mercati finanziari e obbligazionari lunedi' 10 maggio.

Il presidente francese Nicolas Sarkozy e' l'unico passato stanotte alle cronache delle grandi agenzie internazionali (ma Berlusconi non era imprenditore, e non dovrebbe capire qualcosa di economia piu' degli altri?); Sarkozy ha affermato che il blocco europeo difendera' l'euro "attaccando direttamente gli speculatori. Senza pieta'". "Molto presto sapranno una volta per tutte che cosa abbiamo in programma per loro", ha minacciato il presidente francese. Noi che siamo scettici, sappiamo gia' come reagiranno i mercati: saranno feroci, giustamente, bocceranno tutto il bocciabile, la speculazione si accanira' senza tregua, e con cinismo doppio e triplo contro i paesi PIIGS, punendo con violenza i peggiori, come si compete per gli incompetenti e bugiardi (Atene ha raccontato menzogne per anni truccando i bilanci, come possiamo essere sicuri che anche Roma non faccia lo stesso? E infatti, nessuno lo sa).
Da notare che Sarkozy non ha voluto fornire dettagli su questo fantomatico "piano di emergenza" per non "minacciarne l'efficia" (tradotto in parole povere: non ha voluto scoprire le carte nei confronti della speculazione, altrimenti quest'ultima avrebbe "visto" il bluff in anticipo e ben prima dell'apertura dei mercati).

Comunque tutti e 27 i ministri finanziari dell' Unione Europea (per l'Italia Giulio Tremonti) si vedranno per un'altra riunione di emergenza domenica pomeriggio per mettere a punto il draft del piano. Nelle sale trading delle banche d'affari aspettano con ansia, come in un video gioco in cui si sa chi vince perche' si conoscono gia' tutte le scappatoie e trappole.
Le misure europee, nelle intenzioni, dovrebbero servire per prevenire lo scenario in cui la crisi dei debiti sovrani europei scuota alle fondamenta la fiducia dei cittadini in questo povero euro, che ha compiuto 11 anni ma non e' maturato neanche un po', per colpa di genitori irresponsabili.
Poi le solite parole di facciata, altre munizioni per le armi di distruzione di massa degli speculatori. "Difenderemo l'euro a qualsiasi costo" ha detto il presidente della Commissione Europea Jose' Barroso dopo il meeting di ieri (nota: l'euro solo questa settimana ha perso -4.3% e -15% da novembre; i titoli di stato e i CDS europei (credit default swaps) sono saliti venerdi' ai massimi storici (robe da vera recessione, perdita di fiducia, profonda avversione al rischio percepito).
"Difenderemo l'euro a qualsiasi costo" non e' certo una cosa intelligente da dire, da parte del signor euro-burocrate: non esiste sui mercati finanziari una strategia portata avanti "a qualsiasi costo", in quanto appunto costerebbe troppo perseguirla: ci di dissanguerebbe per motivi "ideologici" mentre la realta' magari nega brutalmente l'assunto. "You take your loss", dicono saggiamente gli americani in casi come l'euro che non funziona piu'. Cioe': prendetevi questa perdita, mettetela in bilancio, ok non e' una bella cosa, ma forse e' meglio far uscire questi cialtroni dei Greci dall'Europa, ridiamogli pure la dracma, efgaristo'.

E' l'unica vera doccia fredda o mossa radicale che il mercato amerebbe vedere, poiche' varrebbe da esempio e stimolo a non fare altrettanto per gli altri irresponsabili PIIGS come noi italiani, gli spagnoli e i portoghesi. Se vogliamo stare al gioco della correttezza fiscale, signor Tremonti, bisogna rispettare le regole senza blaterare ma facendo quadrare i conti. Con le nostre furbizie di sempre, simbolizzate al governo da Silvio Berlusconi in persona, ormai non si va piu' da nessuna parte. La borsa punisce, la creativita' e fantasia italiane non pagano. Bisogna che i nostri politici capiscano che gli americani sono l'esempio da seguire, Washington e New York si' che fanno sul serio (a Wall Street una perdita di -9.2% del Dow Jones giovedi' ha cancellato in mezz'ora $1 trilione di dollari, prima dei recuperare). Anche se sono numeri kolossal l'Europa e l'Italia devono capire che dobbiamo cominciare a fare sul serio per non incappare nelle stesse punizioni.

Tornando alla riunione di Bruxelles, in precedenza il presidente della Commissione Ue Durao Barroso e il presidente francese Sarkozy avevano espresso insoddisfazione per il testo di dichiarazione che dovrebbe uscire domenica dal vertice. A loro giudizio, il messaggio "e' ancora troppo debole" e "non contiene segnali abbastanza forti per un'azione rapida, cosi' come richiesto dalla situazione".
Cio' lascia presupporre che finalmente potrebbero cominciare a volare gli stracci, in quella patetica parvenza di governo europeo che e' la UE, proprio grazie ai pesanti cali di borsa e dei titoli di stato. Nessuno per mesi ha deciso nulla, ne' a Francoforte ne' a Bruxells. Per fronteggiare la devastante crisi finanziaria scoppiata in America nell'ottobre 2008, Washington ha dibattuto per vari giorni al Congresso, anche con duri litigi tra democratici e repubblicani, ha soppesato e valutato le misure urgenti da prendere, ma poi in poco tempo un immane piano di intervento da oltre $750 miliardi di dollari e' stato approvato, allo scopo di salvare l'America dalla terribile accoppiata crash/recessione.
In Europa, all'inizio nessuno aveva capito cosa accadeva, oppure se lo aveva capito per mesi non ha voluto ammettere in pubblico la gravita' della situazione (debiti pubblici fuori controllo, conti truccati, arretramento dell'economia, disoccupazione record, debito e asset tossici delle banche). Adesso la consapevolezza c'e', ben chiara, e tutti hanno sbattuto contro questo muro. Eppure all'UE e alla BCE ancora chiacchierano, ipotizzano, valutano, si riuniscono, pensano di approvare... Ma ci facciano il piacere! A casa tutti, da Trichet in giu'.

Solo per fare un raffronto concreto, valutate la sinteticita' e consapevolezza di un vero investitore/speculatore che sa il fatto suo di fronte ai drammatici eventi di questi giorni: "O l'Unione Europea si decide a prestare soldi ad Atene ad un tasso dello 0% oppure la Grecia dovra' ristrutturare il debito". "L'euro resistera', ma si va verso un'eurozona piu' piccola, con i paesi deboli fuori". Parole di Mohamed El-Erian, un signore che gestisce il fondo obbligazionario Pimco, il piu' grande del mondo con un patrimonio di $1 trilione di dollari.
Parole di verita', quelle di El-Erian. Esatto: la Federal Reserve americana - nell'iconografia popolare dei trader di Wall Street soprannominata "elicottero Bernanke" (il chairman della Fed che da un elicottero sorvola il territorio americano in crisi gettando dall'alto dollari, liquidita', denaro) - la Fed, dicevamo, nel momento di massima crisi del 2008 e' intervenuta in modo massiccio, con una forza d'urto immensa, per risollevare il mercato finanziario moribondo. Ancora oggi la Fed dopo 18 mesi presta denaro alle banche Usa ad un tasso tra lo 0% e lo 0.25%. Una valanga obbligata di cash per evitare l'apocalisse. E' chissa' per quanto durera' cosi'.
Da Trichet & soci, espressione di un'Europa che non ha volonta' politica, non ha omogenita' di culture e lingue, non ha esercito ma ha solo una moneta che potrebbe anche essere a questo punto quella di Monopoli e non farebbe gran differenza; da Trichet & C., invece, solo piccoli aborti, mezze frasi, piani stitici, dichiarazioni fuorvianti. Soprattutto: niente denaro a tassi zero e niente riacquisto di bond dei paesi europei in difficolta'. Il che equivale ad ammettere: misure concrete, nada, nein, nulla, rien. Ma allora scusate, che ci state a fare ai vertici di quest'Europa?

Che senso ha, per esempio, cari euroburocrati e signori della BCE, continuare a insistere con quell'idiozia del rapporto deficit/pil fissato rigidamente dal 1999 al 3%, quando tutti i paesi saranno in media al 6.6% nel 2010 e al 6.1% nel 2011? Cambiamolo, questo parametro. Aboliamolo. Bisogna essere flessibili e non ideologici, la rigidita' e la poca agilita' ha estinto i dinosauri ma preservato la vita a piccoli volatili, in epoche antiche di sommovimenti violenti.
Se la Grecia, un paese con tanta storia, arte e filosofia si', ma irrilevante nelle geo-politica globale per pil e popolazione (appena 11 milioni di persone di cui 4.5 milioni lavorano nel parassitario settore pubblico in un'economia come quella della UE di poco inferiore a quella degli Stati Uniti); se la Grecia oggi e' in grado di mandare a catafascio questo castello di carte su cui si fonda l'euro, allora che senso ha mantenere in piedi lo scenario? Che senso ha stanziare 140 miliardi di dollari per salvare una nazioncina facente parte di un'economia da 12 trilioni di dollari, quando incertezze e rigidita' mentali rischiano di affossare tutti gli altri paesi legati da questo patto ormai scellerato? Atene fuori, addio Mikonos e Santorini. E il patto Ue, riscriviamolo.

Immaginiamo se la speculazione cominciasse veramente (ma sul serio) ad attaccare gli stati a pil forte e debito fuori-misura, appunto Italia, Spagna e Portogallo. Bhe', fino ad ora non abbiamo bevuto che l'aperitivo, di quello che si prospetta come un lauto pranzo. I signori speculatori non sono cattivi, fanno il loro mestiere, che e' molto utile, in questi casi, per smascherare le ipocrisie che poi si ripercuotono sul benessere e sullo standard di vita dei singoli cittadini.
Insomma siamo in balia - detto con molta prudenza e cautela - di una classe dirigente di incompetenti.
Trichet era il personaggio che due anni fa, nel momento in cui l'euro aveva tassi molto piu' alti rispetto al dollaro, dichiarava tronfio: "I fondamentali sono solidi, l'economia dell'eurozona e' solida, noi in Europa e la nostra moneta siamo solidi (si e' visto, col senno di poi...). Ebbene i Trichet sono ovunque purtroppo in questa disgraziatissima Europa. Facciamo un altro rapido esempio terra-terra. Qualcuno dei nostri personaggi.

Ieri su SkyTG24 (l'unica televisione vedibile in Italia per capire come vanno davvero le cose) abbiamo ascoltato una dichiarazione dell'Umberto Bossi, poveretto, che farfugliava col suo idioma strascicato da post-ictus... alcune tesi come dire? leghiste? su economia, debito, mercato.
Diciamo la verita' subito: tali imbecillita' - di questo si tratta - non dovrebbero essere consentite ad un ministro del governo della Repubblica Italiana nonche' massimo alleato del presidente del consiglio Silvio Berlusconi nella slabbrata coalizione dell'esecutivo di centro-destra. Non c'e' scusante che tenga, neppure la malattia. "Noi italiani siamo fortunati - ha blaterato a fatica il Senatur federalista/secessionista - noi italiani siamo fortunati.... perche' abbiamo un ministro dell'Economia fantastico come il Tremonti.... lui ci ha curato la tenuta dei conti... ci ha tenuto a galla anche nei momenti difficili... e infatti l'Italia sta meglio degli altri paesi... e le banche italiane sono solide... Tremonti e' come una brava massaia che ha risparmiato per non spendere troppo nei momenti di crisi". Testuali parole.

Ora dite voi se non e' giusto, sacrosanto, addirittura liberatorio che gli speculatori, che certo stupidi non sono, non abbiano avuto ragione a portare venerdi' il CDS Italia - credit default swap, cioe' quello strumento finanziario utilizzato sui mercati come copertura assicurativa contro un'eventuale bancarotta del paese - al massimo assoluto di tutti i tempi, praticamente allo stesso livello del Kazakistan e a ruota subito dopo Portogallo e Spagna. Ecco: la speculazione serve anche a smascherare i cialtroni e furbi come Bossi, che per le loro trame jurassiche (la Padania? la secessione? il federalismo?) tengono in scacco l'Italia nel momento piu' drammatico degli 11 anni di vita dell'euro. "Brava massaia", certo come no. Ma ci faccia il piacere, Senatur. Studi un po' di macroeconomia oppure taccia.

"Questi giocano col fuoco" - come disse giustamente la Emma Marcegaglia venerdi' in uno dei pochi (forse l'unico) sound-bite degno di nota in tempi recenti; giocano col fuoco ma non lo hanno ancora capito. Non sanno nulla, questi nostri politici, per ignoranza, ignavia o anche perche' vivono da veri ricchi blindati nel lusso, scarrozzati da auto-blu', circondati da scorte e poliziotti, spupazzati in cene, festini, inaugurazioni. Questi non sono consapevoli che la festa e' finita, il vento e' cambiato, la storia impone scelte diverse, coraggiose, dolorose, non da Grande Fratello. Classi dirigenti di questa fatta non possono governare un paese moderno che ha bisogno come l'aria di intelligenza, stimoli, piani, progetti, giovani, investimenti, futuro, visione. Questa classe dirigente ha fallito.
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

Euro sotto attacco, allarmismo eccessivo

10/05/2010 - di miaeconomia.leonardo.it
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Non c’e’ dubbio che l’obiettivo della speculazione ribassista non sono ne’ la Grecia ne’ il Portogallo ne’ la Spagna. I Governi dell’euro potranno anche essere lenti nelle decisioni, ma non sono stupidi, non lasceranno fallire la Grecia e non faranno fallire neppure Spagna o Portogallo. D'altronde se non sono state abbandonate al loro destino le banche, dopo Lehman, potrebbe essere abbandonata a se stessa l’economia di uno dei 16 Paesi dell’euro? Mai e poi mai.
E allora se la premessa e’ valida, se la Grecia non puo’ fallire ne’ tanto meno il Portogallo, per i grandi investitori che scommettono al ribasso l’obiettivo non e’ il default di un paese, ma la debolezza dell’euro per guadagnare su un eventuale tracollo. Quel tanto che basta per fare una manciata di miliardi e poi ritirarsi. Si chiamano raiders, mordi e fuggi. Prondono posizione al ribasso sull’euro, poi creano panico, spingono tutti alla vendita di obbligazioni in euro meno sicure, come i titoli greci e portoghesi e poi si ricoprono al momento opportuno.
E’ quello che e’ accaduto nell’ultima settimana, quando la moneta unica ha ceduto quasi il 5% contro il dollaro. Per chi gioca sulle valute, sport molto di moda ultimamente, un calo simile e’ manna. Il panic selling della scorsa settimana dopo il report di Moody’s sulle banche, ha spinto al ribasso tutto, Borse, petrolio e ovviamente l’euro, tanto che la banca centrale giapponese e’ stata costretta a intervenire in acquisto per sostenere la valuta europea per evitare un eccessivo apprezzamento dello yen, deleterio per l’export nipponico.
Eppure a dispetto dell’allarmismo, fuori luogo, dei media (tv e giornali) la valuta unica pur in calo del 5% rimane sempre oltre al soglia di 1,25 che ha toccato a marzo 2009, sui minimi toccati dai mercati finanziari dopo il crollo del 2008-2009 e venerdi’ ha chiuso le contrattazioni in recupero contro il dollaro, ancora prima che i capi di Governo dei 16 trovassero un accordo per difendere la moneta. E poi un euro un po’ piu' debole, rispetto agli ultimi mesi, puo’ rivelarsi anche un vantaggio per l’export dell’Eurozona.

 

Fonte - miaeconomia.leonardo.it

 

 

La spirale dei debiti ingessa l'Europa

09 Maggio 2010 16:54 - di Morya Longo
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«Se ti devo un dollaro io ho un problema, ma se ti devo un milione di dollari allora il problema è tuo». Quando John Maynard Keynes inventò questa massima, non avrebbe mai immaginato che circa un secolo dopo il mondo occidentale sarebbe affogato nei debiti. Secondo le stime del «Sole 24 Ore», usando vari studi e banche dati, se si sommano i debiti totali (pubblici e privati) di Stati Uniti, area euro, Gran Bretagna, Giappone e Canada si arriva infatti oggi a una cifra quasi difficile da pronunciare: 130mila miliardi di dollari. Per intenderci: due volte il Pil mondiale. O due volte e mezza la capitalizzazione di tutte le Borse del globo.
Questo è il male che affligge i mercati: una zavorra che incatena stati, banche, imprese e famiglie. Gli uni finanziano gli altri e viceversa: debitori e creditori hanno lo stesso volto. Eppure solo l'Europa, o meglio alcuni paesi del Vecchio continente, sono colpiti dalla speculazione: salgono i rendimenti dei titoli di stato, s'impennano le polizze anti-default, cadono le Borse. Gli Stati Uniti, che hanno 55mila miliardi di debiti pubblici e privati, sono anzi visti come rifugio. Un paradosso? In parte sì, ma un motivo c'è: sebbene il problema sia comune, tutti pensano che gli Usa abbiano molte più risorse per reagire.

Bersaglio: Europa
La speculazione ha colpito l'area euro – che ha debiti totali per 40mila miliardi $ – perché soffre di un cronico problema: ha da anni una moneta unica, ma non un'unità politica. «Questo rende più difficoltoso il coordinamento delle politiche monetarie e fiscali – osserva Johannes Mueller, economista di Dws (Deutsche Bank) –. La Fed ha comprato i titoli di Stato Usa e la Banca d'Inghilterra quelli britannici, ma la Bce non ha fatto nulla di tutto ciò». I nodi di un'opera incompiuta stanno insomma venendo al pettine. Ecco perché la crisi nata negli Usa sta colpendo l'Europa.

I primi a soffrire sono i paesi ritenuti più vulnerabili. Prima è toccato alla Grecia, quando ha svelato che i suoi bilanci non erano come li aveva sempre mostrati. Così, sebbene la penisola ellenica avesse il sistema bancario più piccolo (gli attivi complessivi raggiungono a mala pena il 150% del Pil) e non avesse una bolla immobiliare (il mattone rappresenta meno del 10% del Pil), è finita subito nella bufera dei mercati. Bufera che le ha impedito di rifinanziare i debiti se non a costi proibitivi. E che, anche dopo il salvataggio, continua a imperversare: non a caso i Cds di Atene stanno ora sui 940 punti base. Alta tensione.
Evidentemente il mercato ritiene che il salvataggio di Atene non basti, perché ci sono altri paesi con squilibri. Ad esempio Portogallo, Spagna e Irlanda. Madrid e Dublino hanno vissuto la grande bolla speculativa immobiliare, con la conseguenza che oggi le famiglie hanno un debito rispettivamente pari al 130% e al 200% del loro reddito. Questo zavorra un'economia che era abituata – grazie soprattutto a una "droga" immobiliare – a correre. A ben vedere, anche la Gran Bretagna (che a fine 2008 McKinsey stimava con un debito totale quattro volte e mezzo superiore al Pil) appare vulnerabile.

La catena di Sant'Antonio
Il problema dell'elevato debito è il rifinanziamento: fin che si trovano investitori disposti a comprare obbligazioni e a prestare soldi, tutto va bene. Ma se gli investitori sono a loro volta indebitati, il meccanismo diventa più farraginoso. Prendiamo le banche. Da un lato sono tra i principali acquirenti di titoli di stato, cioè sono tra i principali finanziatori dei governi. Tanto che oggi quelle europee sono zeppe di titoli di stato di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Ecco perché crollano in borsa. D'altro canto – però – le stesse banche hanno a loro volta una leva finanziaria eccessiva, tanto che molte sono state salvate dagli stati stessi. Insomma: io salvo te, tu salvi me.
Idem per le famiglie. Sono loro a comprare titoli di stato e obbligazioni aziendali – anche attraverso i fondi – e a depositare i risparmi in banca. Ma in molti paesi sono le stesse famiglie ad essere oberate dai debiti concessi dalle stesse banche. Magari – e il cerchio si chiude – da quelle salvate dagli stati. Preoccupa quindi il fatto che il tasso di risparmio mondiale (stimato dal Fmi) sia in calo del 15,1% nel 2009: significa che le famiglie hanno meno soldi da parte e, dunque, meno soldi da investire in titoli di Stato e in banca. Il cappio del debito si stringe. Restano poi i prestatori di ultima istanza: le Banche centrali. Non a caso oggi viene invocata la Bce.

«Exit strategy»
Come uscirne? La risposta è quasi banale: bisogna ridurre i debiti. Il problema è che la cura dimagrante non è facile: provoca rallentamenti economici, squilibri sociali. McKinsey qualche mese fa ha effettuato uno studio per vedere le conseguenze, dagli anni '30 a oggi, di massicce riduzioni dei debiti. Nella storia è accaduto 45 volte. Nella maggior parte dei casi il fenomeno ha causato recessione: «Se accadesse ora – scrive McKinsey – il Pil si contrarrebbe per i primi due o tre anni prima di ripartire». In alcuni casi la riduzione dei debiti ha causato massicci default o alta inflazione. Oppure – ma solo in casi rari – una nuova crescita del Pil.
 

Fonte - Sole 24 ore

 

 

 

 

 

 

  Roubini: preoccupa lo stallo americano per i tagli al debito

09 Maggio 2010 15:43 – di Sole 24 ore

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Nouriel Roubini non è il classico intellettuale. Certo, fino alla crisi finanziaria che si è innescata tre anni fa, aveva passato gran parte della sua carriera ad analizzare le tendenze economiche e scrivere libri con titoli come Political Cycles and the Macroeconomy (1997) o New International Financial Architecture (2005, di questo è uno dei curatori). Aveva anche tenuto una serie di discorsi sulla fragilità del mondo delle banche, talmente pessimisti da fruttargli il nomignolo di «Dr. Doom» (Dottor Destino).
Ma nel 2007, inaspettatamente, è cambiato tutto. È esplosa la crisi finanziaria, e il mondo, apparentemente dal giorno alla notte, si è accorto che Roubini era uno dei pochi economisti che avevano predetto l'imminente collasso delle banche. Oggi le autorità di tutto il mondo pendono dalle sue labbra, i giornalisti accorrono a frotte ai suoi discorsi per ascoltare le ultime previsioni e i clienti pagano profumatamente per le analisi della sua società di consulenza, la Roubini Global Economics.
«Allora, com'è essere una celebrità?», gli chiedo, incerta se la cosa gli piaccia. Lui fa una smorfia. «La celebrità è solo rumore», borbotta. «La gente parla come se fossi uscito fuori dal nulla, come se avessi lavorato in un ufficetto chissà dove, da solo, per tutti questi anni, sconosciuto da tutti, e poi improvvisamente fossi diventato famoso. Ma è assolutamente falso, sono vent'anni che faccio l'economista!».

Con aria indignata ripercorre in dettaglio la sua carriera. Tutt'altro che banale. Nato a Istanbul nel 1959 da genitori ebrei iraniani, ha passato i primi anni della sua vita in Iran prima di trasferirsi in Italia, dove ha frequentato la scuola e l'università. In seguito si è trasferito negli Stati Uniti e a Harvard, dove ha preso il dottorato in economia per poi insegnare a Yale e a New York. Roubini, che parla italiano, ebreo e farsi, dice che ha sentito di essere finalmente arrivato negli Stati Uniti «circa quindici anni fa, quando ho cominciato a sognare in inglese». In tutto questo tempo ha anche lavorato per brevi periodi all'Fmi, alla Fed, alla Banca mondiale, al Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca e al dipartimento del Tesoro, prima di mettere in piedi la sua società di consulenza.
Non è il curriculum di un carneade, questo è vero. Ma Roubini non era certo un nome noto al grande pubblico quando, nell'autunno del 2006, con l'economia mondiale e i mercati del credito in pieno boom, tenne un discorso all'Fmi in cui ammoniva che «gli Stati Uniti probabilmente dovranno fare i conti con un tracollo immobiliare di proporzioni mai viste, con uno shock petrolifero, con un crollo della fiducia dei consumatori e alla fine con una recessione grave», con tanto di «proprietari di case che non riescono a pagare il mutuo, migliaia di miliardi di dollari in titoli garantiti da ipoteca che andranno in fumo in tutto il mondo e il blocco del sistema finanziario globale». Era una previsione audace, al punto che molti politici ed economisti pensarono che Roubini fosse un po' matto.

Quando Roubini partecipò al Forum economico mondiale di Davos, nel gennaio del 2007, e ripeté le stesse profezie, il suo grido d'allarme cadde nel vuoto. È stato nell'aria tersa e pura delle montagne svizzere che l'ho incontrato per la prima volta, e me ne ricordo molto bene. Nei mesi precedenti anch'io avevo cominciato a scrivere dei pericoli della finanza complessa (anche se in modo molto meno brillante e drammatico di Roubini), e quegli articoli avevano suscitato le critiche di alcuni dei luminari riuniti a Davos, che mi avevano accusata di essere «allarmista». Anche se non ci eravamo mai incontrati prima (e non ci siamo quasi mai parlati da allora), a un pranzo sotto il sole in un pretenzioso albergo svizzero Roubini difese con convinzione i miei articoli. Gli esprimo la mia gratitudine: le Cassandre all'epoca erano merce rarissima.

«Me ne ricordo», ride Roubini. Poi rievoca con irritazione un editoriale di Michael Lewis - autore dell'acclamato saggio su Wall Street Liar's Poker (1989), e più recentemente di un altro saggio intitolato The Big Short (2009) - in occasione di quel forum di Davos: Lewis scriveva che le Cassandre come Roubini erano degli "smidollati" e dei "sempliciotti". «È incredibile come abbiano cambiato idea certe persone – dice, aggiungendo tagliente che oggi – il senno di poi dilaga».
Perché il mondo delle banche è finito gambe all'aria nel 2007? Roubini, insieme a Stephen Mihm, un professore di storia economica, ha scritto un libro sul tracollo delle banche, Crisis Economics, che cerca di dare una risposta a questa domanda e di suggerire che cosa si può fare per rimettere le cose a posto. A una prima occhiata, non sembra diverso da tutti gli altri libri sulla crisi che gli economisti sfornano a getto continuo. La particolarità, però, è che a differenza di quasi tutti gli altri (tra le eccezioni, William White e Claudio Borio della Banca dei regolamenti internazionali) Roubini può dire di aver capito come stavano le cose prima che arrivasse il disastro. Gli chiedo: «Da dove nasceva tutta questa sicurezza?».

«Avendo passato dieci anni a studiare i mercati, so che ci sono meccanismi che si ripetono immancabilmente», mi spiega. «Una bolla è come un fuoco che ha bisogno di ossigeno per continuare; quando vedi che l'ossigeno si è esaurito, le cose cambiano». Più specificamente, nell'estate del 2006 Roubini aveva capito che il mercato immobiliare aveva raggiunto i livelli massimi, e si convinse che il sistema stava per collassare, perché c'era troppo debito ipotecario in giro.
Ha continuato a lanciare allarmi anche dopo il crack. All'inizio del 2009 ha detto che la crisi delle banche forse non era finita, e ha detto anche che c'era un 20% di possibilità di una recessione a W, perché la crescita americana sarebbe stata troppo debole. In realtà l'economia americana è risalita più in fretta del previsto, e sono tornati a salire anche i titoli azionari del comparto bancario, facendo gongolare molti rivali di Roubini che sostengono che la sua previsione del 2006 è stata solo un colpo di fortuna. Ma lui replica che è ancora troppo presto per dire con sicurezza che l'economia globale è avviata sulla strada della ripresa. E almeno una delle sue previsioni recenti si è rivelata giusta: nell'ultimo anno ha ripetutamente messo in guardia dai pericoli legati al debito pubblico. In particolare è convinto che il dramma che sta vivendo la Grecia rifletta un problema più grande che interessa tutto il mondo occidentale, dato che i governi non sembrano avere il coraggio di affrontare la crescita vertiginosa del debito pubblico.

«Quello che mi preoccupa veramente è lo stallo politico che c'è negli Stati Uniti», dice aggiungendo che questa situazione impedisce al governo di prendere le decisioni difficili che sarebbero necessarie. «Il Regno Unito ha lo stesso problema. Non c'è davvero la volontà di tagliare la spesa o aumentare le tasse». Di conseguenza, «ci sarà la tentazione di continuare a monetizzare il disavanzo», cosa che finirebbe per produrre inflazione.
Per combattere questi rischi, Roubini vuole che i politici collaborino al di là delle divisioni tra partiti, superando i vecchi schemi ideologici di "destra" e "sinistra". «Io sono cresciuto in Italia negli anni 60 e 70, ed era un periodo di grandi turbolenze sociali, quando anche i giovanissimi erano impegnati in politica. All'epoca ero un po' più spostato a sinistra», dice rimestando lo zucchero nel caffelatte e disegnando eleganti volute bianche e marroni. Oggi sulle questioni economiche dice di essere "centrista", perché è convinto che i governi debbano mettere mano al portafogli nei periodi di crisi per sostenere il sistema, in linea con gli ideali economici keynesiani, ma è convinto anche che quando una crisi è finita dovrebbero tornare a un approccio liberista, secondo quanto insegna la cosiddetta "scuola austriaca". «C'è un gran dibattito fra keynesiani e liberisti. Ma io sono pragmatico ed eclettico. È tutta una questione di tempistica».

Secondo lui, adesso la gente dove dovrebbe investire? Lui che fa? Sembra schermirsi. «In vita mia non ho mai comprato neanche un'azione, un'obbligazione o una valuta. Ho i soldi per la pensione investiti in un fondo passivo (100% di azionario, metà Stati Uniti, metà resto del mondo). Tutto il reddito extra che ho ricevuto negli ultimi anni è andato in liquidità. A un certo punto lo investirò in attività più di rischio, ma non ora». Una prudenza che sembra tipica del "Dottor Destino", suggerisco io. Lui non è d'accordo. «Il soprannome di Dottor Destino è carino e l'ho anche apprezzato per un po' di tempo, ma adesso dico sempre che sono il Dottor Realista».
In altre parole, Roubini ora vuole essere conosciuto come un saggio capace di elargire consigli costruttivi, invece che come un profeta di sventure. Il giorno del nostro incontro ha scritto un editoriale per il Financial Times in cui esortava l'Europa a lasciare che la Grecia procedesse alla ristrutturazione del debito. E aveva appena fatto ritorno da Washington, dove aveva incontrato un gruppo di ministri dell'Economia e banchieri centrali d'importanti paesi occidentali. «La cosa importante è per me che la gente ascolti quello che scrivo. Io offro la mia saggezza alla gente, concordi o meno con me».

 

Traduzione - Fabio Galimberti

Fonte - Sole 24 ore

 

 

 

  Martedì 11 Maggio 2010   Mercoledì 12 Maggio 2010   Giovedì 13 Maggio 2010  
       
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  Europa: un fondo da $1 trilione. La BCE interviene comprando bond

10 Maggio 2010 03:00 BRUXELLES – di WSI

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Show di forza con un salvataggio kolossal da 750 miliardi di euro per bloccare la speculazione. Borse asiatiche, futures Usa ed euro su, ma non troppo. Fed e altre banche intervengono con swap in dollari. Bce compra eurobond (violando il trattato UE).
I 27 ministri delle finanze UE (16 stati membri + 11 esterni) hanno annunciato un pacchetto di salvataggio kolossal "all'americana" di circa 750 miliardi di euro, pari circa a $1 trilione (1000 miliardi di dollari) che dovrebbe essere sufficiente per bloccare almeno nel breve termine la speculazione anti-euro, prevenire il panico da collasso e fermare il diffondersi del contagio dalla Grecia agli altri paesi PIIGS.
Dopo un meeting ad alta tensione durato oltre 14 ore, l'Europa ha deciso di mettere a disposizione (con quali soldi non e' chiaro, visto che sono tutti indebitati) 440 miliardi di euro in linee di credito o garanzie, 60 miliardi di altri prestiti direttamente dal bilancio UE mentre il Fondo Monetario Internazionale dovrebbe mettere sul piatto ulteriori 250 miliardi, in forma di prestiti disponibili per i paesi in difficolta'.
Inoltre - in aperta violazione del Trattato di Maastricht sui e' fondata l'Europa, cioe' in violazione del principio che considera proibiti i prestiti dalla BCE agli stati membri - la BCE si impegna ad acquistare bond sia emessi dagli stati europei sia dalle aziende dell'area euro, per iniettare liquidita' nel sistema e stablizzarlo di fronte agli attacchi della sepculazione. Infine la Fed e altre grandi banche centrali promettono di intervenire sul mercato con swap sul dollaro e la riapertura di linee di credito di emergenza.
Appena circolate le prime indiscrezioni, verso le 22:45 di domenica, l'euro e' partito al rialzo sui mercati forex, in forte recupero: +1,30% sopra quota 1.29 (vedi eur/usd in tempo reale), per poi pero' assestarsi su valori inferiori. I future S&P500 sono saliti S&P 500 2.3% a Tokyo, mentre quelli sul Dow Jones mostravano un rialzo dell'1.9%. L'indice MSCI Asia Pacific e' salito per la prima volta dopo sei giorni di ribassi, ma solo +0.4%. A Tokyo l'indice Nikkei 225 era in rialzo a meta' seduta +1.3% a quota 10499.
In parallelo al pacchetto di prestiti da 750 miliardi di euro approvato dai ministri UE, la Banca centrale europea ha annunciato che interverra' sui mercati del debito pubblici e privati, cioe' dei bond dell'area euro (Securities Markets Program) con una mossa senza precedenti per assicurare la liquidita' e profondita' necessaria a questi mercati che sono diventati "disfunzionali", senza peraltro intaccare le politiche fiscali e di bilancio dei singoli paesi. Cio' ha il preciso intento di bloccare la speculazione che con il filone dei debiti sovrani sta minacciando di disintegrare l'euro rendendo "disfunzionali" i mercati dei bond.
Sempre con l'obiettivo di fermare la speculazione che dopo la crisi della Grecia ha preso di mira altri paesi europeri, con un altro passo straordinario parallelo che conferma l'eccezionalita' del coordinamento globale dovuta all'estrema gravita' della situazione, la Federal Reserve ha riaperto stanotte le linee di credito verso l'Europa che erano state chiuse lo scorso febbraio esaurita l'urgenza dell'altro maxi-salvataggio, cioe' quello da $750 miliardi approvato da Tesoro Usa e Fed a fine 2008. L'obiettivo e' di sifonare dollari in Europa, visto che nel mondo c'e' un'altra domanda di valuta americane e nessuno vuole euro, con l'aiuto di molte altre banche centrali tra cui Bank of Canada, Bank of England, la stessa BCE e la Banca nazionale Svizzera (la Banca del Giappone partecipera' in un secondo momento). "Questa azione e' stata intrapresa in risposta al riemergere di stress sui mercati finanziari in Europa", dice la Fed, "e per evitare che le tensioni si propaghino ad altri mercati".
Con questo piano l'Europa si gioca quindi il futuro cercando di approntare i mezzi per fermare almeno momentaneamente la speculazione ed evitare la disintegrazione dell'euro. Vedremo lunedi' come reagiranno le borse europee ed entro qualche settimana se l'obettivo di salvare l'euro sara' stato raggiunto.
Le difficolta' e gli ostacoli che hanno portato al varo di tali misure eccezionali, da guerra finanziaria nucleare, si erano avvertite all'inizio della riunione fiume di stanotte tra i 27 ministri dell'Ecofin, con una prima grave spaccatura quando Londra ha annunciato che non apporterà la propria garanzia al fondo d'urgenza al quale si lavora a livello europeo per aiutare i Paesi in difficoltà. Anche la Germania ha creato un serio problema sul fondo "salva euro": per Berlino la questione stava nelle "garanzie dei prestiti" che non solo la Commissione ma anche i singoli Stati dell'Eurozona dovrebbero fornire ai paesi in difficoltà, secondo il progetto dell'esecutivo Barroso.
La moneta europea ha perso la scorsa settimana il 4.5% e il 15.0% da novembre nei confronti del dollaro, scivolando venerdi' 7 maggio ai minimi di 14 mesi. I titoli di Stato e i CDS (credit default swaps), delle nazioni col debito piu' esplosivo, i PIIGS, con in testa l'Italia, erano venerdi' ai massimi storici per la drammaticita' della crisi. Le borse europee sono calate la scorsa settimana ai minimi degli ultimi 18 mesi, con l'indice Stoxx Europe 600 in calo -8.8%. La Borsa di Milano ha perso il doppio, con un crollo di -16.42% negli ultimi 6 mesi.
Per i 27 ministri finanziari della UE, riuniti nell'Ecofin, e' stata una corsa contro il tempo. Un pacchetto di misure serie e credibili per rassicurare i mercati doveva essere approvato prima dell'apertura delle borse orientali in Australia, Nuova Zelanda e Tokyo.
Il presidente Usa Barack Obama, terrorizzato dall'inazione politica europea che sta provocando danni collaterali pesantissimi anche a Wall Street (il crollo intraday di -9.2% giovedi' scorso e' da "cod-red" - codice rosso - per la Casa Bianca) domenica pomeriggio ha chiamato per la seconda volta in tre giorni la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Sarkozy, per discutere la situazione (tra l'altro e' molto indicativo che la Merkel sia stata sconfitta proprio oggi alle elezioni locali tedesche). Il portavoce della Casa Bianca Bill Burton precisa che Obama avrebbe ribadito ai due maggiori leader europei la necessita' di intraprendere passi e azioni risolute e "forti" per riportare fiducia e rassicurare i mercati. Il presidente francese Sarkozy e la Merkel si sono sentiti a loro volta al telefono, "constatando il loro completo accordo" sulle misure che saranno annunciate a Bruxelles.
La posizione della Gran Bretagna - che non fa parte della zona dell'euro - rischia di ostacolare il meccanismo di prestiti garantiti. Per la decisione non è richiesta l'unanimità, ma solo la maggioranza qualificata. A quanto si è appreso, al vertice dell'Eurogruppo di venerdì scorso, il presidente francese Nicolas Sarkozy ed altri leader avevano sottolineato la necessità di andare avanti comunque, anche senza avere il sì di tutti e 27 gli Stati membri Ecofin.
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

 

PIANO SALVA EURO: LA BCE ALLA FINE DICE SI' ALLA "OPZIONE NUCLEARE"

10 Maggio 2010 07:00 BRUXELLES - di APCOM
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Con il piano 'salvate l'euro' scattato, anche la Banca centrale europea ha rotto gli indugi, impegnandosi a effettuare acquisti di titoli di Stato, così come di obbligazioni di emittenti private, tramite interventi mirati che punteranno a assicurare il corretto funzionamento dei segmenti di mercato sotto pressione.
E' la misura più significativa tra quelle annunciate nel corso della notte dall'istituzione monetaria dell'unione, che alcuni commentatori avevano battezzato "opzione nucleare" della Bce, e che allo stesso tempo ha riattivato le linee di interscambio valutarie (swap) con le altre maggior banche centrali, a cominciare dalla Federal Reserve americana.
Questo garantisce alle banche commerciali europee finanziamenti diretti in dollari. Ripristinati anche diversi interventi di finanziamento ultra agevolati, a tassi fissi e a piena soddisfazione della richiesta delle banche, le cosiddette "aste a rubinetto" che verranno nuovamente effettuate sulle scadenza a tre e sei mesi.
Le diverse misure sono state decise dal Consiglio direttivo, recita un comunicato della Bce.
Innanzitutto l'istituzione di Francoforte si è impegnata a "effettuare interventi sui mercati di titoli pubblici e privati dell'area euro per assicurare l'ampiezza e la liquidità di questi segmenti di mercato che risultano compromessi. L'obiettivo è intervenire sui malfunzionamenti e ripristinare l'appropriato meccanismo di trasmissione della politica monetaria - si legge -. La portata degli interventi verrà determinata dal Consiglio direttivo".
Tuttavia la Bce precisa che per evitare che queste stesse interventi finiscano per creare distorsioni sulla linea di politica monetaria "verranno condotte specifiche operazioni di riassorbimento delle liquidità iniettate".
Intanto il 26 maggio a favore delle banche commerciali verrà effettuata una nuova asta di rifinanziamento a tre mesi e a tasso fisso prestabilito, in cui la domanda degli istituti verrà interamente soddisfatta. Stesse modalità per un rifinanziamento a sei mesi che invece scatterà il 12 maggio, riporta ancora la Bce.
Sempre ieri è stato deciso di riattivare le linee di swap con la Federal Reserve e con la Banca Nazionale svizzera, mentre la Banca del Giappone sta a sua volta esaminando la possibilità di fare altrettanto a breve.
Questi meccanismi consentono alla Bce di fornire alle banche dell'area euro finanziamenti diretti nelle altre principali valute globali, ai tassi di riferimento delle relative autorità, senza che queste debbano reperirle sul mercato interbancario.

 

Fonte - APCOM

 

 

Le banche centrali della zona euro avviano l'acquisto dei bond governativi

10 Maggio 2010 13:08 MILANO - di Sole 24 ore
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hanno iniziato ad acquistare titoli di stato emessi dai membri dell'eurozona. La conferma è giunta dalla Bundesbank e dalla Banca d'Italia che hanno avviato gli acquisti dei bond governativi, come previsto dal programma della Banca centrale europea nell'ambito del maxi-piano per stabilizzare la moneta unica.
I portavoce della Bundesbank e della Banca d'Italia non hanno voluto aggiungere altri commenti. Secondo la Banca di Finlandia, tutte le banche centrali stanno effettuando acquisti di bond governativi, ma la Bce non ha confermato.
Alle 3.15 di questa notte la Bce ha annunciato che avrebbe acquistato bond governativi, sottolineando che nel prendere questa decisione, il board della banca centrale aveva tenuto conto dell'impegno dei governi dell'area euro «di adottare le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica, quest'anno e negli anni a venire, in linea con le procedure di deficit eccessivo».
La Bce attuerà anche misure per riassorbire la liquidità iniettata nel sistema con il Securities markets programme e ciò - precisa una delle comunicazioni diffuse nella notte - «garantirà che la politica monetaria attuale non sia toccata» dagli interventi per stabilizzare i mercati.
L'euro ha beneficiato delle decisioni della notte scorsa a Bruxelles e soprattutto dell'annuncio della Bce. Dopo un minimo appena sopra quota 1,28 nei confronti del dollaro registrato intorno alle 3 della notte scorsa, la divisa europea è risalita fino a 1,3084 a metà mattinata. Alle 13 scambiava poco sotto quota 1,30.
Le misure delle banche centrali
La notte scorsa, la Banca centrale europea ha comunicato le modalità di intervento (Securities markets programme) decise per calmare le tensioni sui mercati che hanno evidenziato «disfunzioni». Oltre all'acquisto dei bond pubblici e privati, per «riattivare un appropriato meccanismo di trasmissione della politica monetaria e far fronte al cattivo funzionamento dei mercati finanziari», il piano prevede interventi per sostenere la liquidità del dollaro, comprato a piene mani da chi abbandonava l'euro. Perciò, Bank of Canada, Bank of England, Federal Reserve e Banca nazionale svizzera e Bce hanno riattivato temporaneamente gli accordi di swap sulla valuta americana. Gli interventi si articoleranno in operazioni diliquidità a sette e 84 giorni. Il primo intervento è fissato per martedì 11 maggio. Come ha spiegato la Fed in una nota diffusa nella notte, è «di migliorare le condizioni di liquidità sui mercati in dollari» e di «prevenire la diffusione di disordini». Qualche ora dopo ha annunciato l'adesione all'accordo anche la Banca del Giappone che ha anche deciso di mantenere i tassi di interesse invariati allo 0,1%.
La banca centrale europea ha annunciato anche aste di rifinanziamento a tasso fisso a tre mesi per il 26 maggio e il 30 giugno e una a sei mesi a tasso variabile per il 12 maggio.
Il Fondo Monetario Internazionale «sostiene fortemente i passi annunciati dall'Unione Europea e dalla Bce per ripristinare la fiducia e la stabilità finanziaria nell'euro area» ha affermato in una nota il direttore generale del Fmi, Domenique Strauss-Kahn, sottolineando come «l'attuazione di misure per riportare su una strada sostenibile i conti pubblici sono essenziali». «L'Fmi giocherà la propria parte, nell'interesse della comunità internazionale, nell'affrontare le attuali sfide» aggiunge Strauss-Kahn, precisando che «il contributo del Fondo sarà paese per paese, attraverso la gamma di strumenti che abbiamo già a disposizione. Ci aspettiamo che la nostra assistenza finanziaria sia ampiamente proporzionata ai nostri recenti accordi europei».
 

Fonte - Sole 24 ore

 

 

 

 

CLAMOROSO: AXEL WEBER (BUNDESBANK) CRITICO SUL PIANO DI SALVATAGGIO UE

10 Maggio 2010 18:33 NEW YORK - di WSI
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Il governatore della Banca centrale tedesca e candidato n.1 alla guida della BCE parla di "rischi significativi" nel super piano di salvataggio, in particolare riferendosi al riacquisto di eurobond. Nel corso di un'intervista a un giornale in Germania Weber ha detto che l'acquisto di eurobond sovrano dei singoli paesi europei "pone rischi significativi".
"Adesso il problema e' come mantenere questi rischi al livello minimo possibile", ha detto Weber al quotidiano finanziario Boersen-Zeitung, aggiungendo di essere "critico" nei confronti del programma di riacquisto di titoli sovrani dei paesi europei in difficolta' (ovviamente Weber non parla di PIIGS).
In aperta violazione del Trattato di Maastricht sui e' fondata l'Europa, cioe' in violazione del principio che considera proibiti i prestiti dalla BCE agli stati membri, la BCE ieri notte si e' impegnata ad acquistare bond sia emessi dagli stati europei sia dalle aziende dell'area euro, per iniettare liquidita' nel sistema e stabilizzare i flussi, in modo da fermare gli attacchi speculativi contro l'euro in corso da varie settimane per la crisi della Grecia.
Dopo un meeting ad alta tensione durato oltre 14 ore, l'Europa ha deciso di mettere a disposizione (con quali soldi non e' chiaro, visto il livello attuale di indebitamento degli stati membri) 440 miliardi di euro in linee di credito o garanzie, 60 miliardi di altri prestiti direttamente dal bilancio UE mentre il Fondo Monetario Internazionale dovrebbe mettere sul piatto ulteriori 250 miliardi di euro, in forma di prestiti disponibili per i paesi in difficolta'.
I 27 ministri delle finanze UE (16 stati membri + 11 esterni) hanno annunciato un pacchetto di salvataggio kolossal "all'americana" di 750 miliardi di euro, pari circa a $1 trilione (1000 miliardi di dollari) che dovrebbe essere sufficiente per bloccare almeno nel breve termine la speculazione anti-euro, prevenire il panico da collasso e fermare il diffondersi del contagio dalla Grecia agli altri paesi PIIGS.
Il rally dell'euro dopo l'annuncio del super piano di salvataggio kolossal da $1 trilione varato da UE, FMI e BCE, cosi' come dell'acquisto di bond, sara' solo "temporaneo". A lanciare l'avvertimento e' UBS AG, il secondo trader al mondo per importanza nel mercato valutario.
Dopo avere toccato un massimo intraday di 1.3094 (+2.7%) sull'onda dell'euforica accoglienza al piano europeo di salvataggio, poi ha cominciato a prevalere una visione piu' realistica del caos in cui si trova tuttora e ancora per molto tempo l'Europa, cosi' i realizzi hanno fatto scivolare la moneta unica sotto quota 1.28 (quotazioni eur/usd in tempo reale) un rialzo molto piu' moscio, +0.4%. Le borse invece, totalmente manipolate dal sistema bancario (i maggiori rialzi di prezzo sono proprio delle banche) si sono mosse tutte in "decoupling" (sdoppiamento) mettendo a segno fortissimi rialzi, anche per via delle ricoperture selvagge degli short.

 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

  Aggredire il debito con altro debito

May 10th, 2010 – di Andrea Gilli

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Nella notte, i leader dell’Eurozona hanno raggiunto un accordo con la Commissione europea ed il Fondo Monetario Internazionale per istituire una linea di credito di stabilizzazione fino a 750 miliardi di euro, in prestiti diretti e garanzie. A questa misura si affianca l’annuncio della Banca centrale europea circa la possibilità di intervenire nel mercato secondario dei titoli di stato, per rimuoverne alcune “disfunzioni”. Proviamo ad analizzare in dettaglio gli aspetti economici e quelli politici dell’intervento.
I crediti e garanzie dai governi dell’Area Euro sono pari a 440 miliardi di euro, mentre il FMI interverrebbe con altri 250 miliardi. Il pacchetto è in aggiunta ai 110 miliardi già decisi per la Grecia. La facility sarà organizzata su base intergovernativa tra i memebri dell’Eurozona, anche se Svezia e Polonia hanno manifestato interesse ad aderire. Tale fondo di emergenza prenderà la forma di un veicolo (special purpose vehicle, SPV), di durata triennale. Altri 60 miliardi di assistenza verranno raccolti attraverso emissione di obbligazioni della Commissione europea, nell’ambito degli interventi per contrastare crisi di bilancia dei pagamenti. La cornice legale dell’accordo resta l’articolo 122 del Trattato di Lisbona, che consente assistenza finanziaria “in circostanze eccezionali ed oltre il controllo” dei paesi membri. Tale articolo non era stato utilizzato per la Grecia.
In parole povere, il veicolo di stabilizzazione resta attivabile in modalità contingente, cioè al bisogno espresso da paesi membri dell’Eurozona. L’entità della misura serve a scoraggiare i mercati dall’assumere iniziative speculative, scommettendo sulla rottura dell’Eurozona. Che questa misura funzioni nel medio termine, è tutt’altro discorso.
In primo luogo, la drammaticità degli eventi ha forzato le autorità europee a quel coordinamento che finora era mancato, e che continuerà a mancare in futuro, inutile farsi soverchie illusioni. Inoltre, si risponde su base aggregata ad una crisi di debito con altro debito, anche se al momento il veicolo resta un contingency plan. E’ significativo che la Commissione europea abbia chiesto “nuovi sacrifici” a Spagna e Portogallo, gli anelli deboli della catena, ricevendone un ovvio assenso “in linea di principio”. Nei fatti, correggere i conti pubblici di un ulteriore 1,5-2 per cento quest’anno sarà qualcosa di estremamente doloroso, e troverà crescenti resistenze nella popolazione. In altri termini, il mega-piano promette da subito più debito per salvare alcuni debitori, ottenendone in cambio vaghe promesse di austerità fiscale. Continua, quindi, a mancare una revisione del Patto di stabilità che abbia i denti, e continuerà a mancare per molto tempo, viste le criticità politiche della revisione. Questa asimmetria non promette nulla di buono per il futuro.
Poi c’è il ruolo della Bce. Che ha deciso di reintrodurre le aste di rifinanziamento a lungo termine e tasso verosimilmente intorno all’1 per cento, come nel recente passato. In questo modo, le banche potranno continuare a sottoscrivere debito pubblico e finanziare la posizione a costi molto bassi, incassando il carry e risanando i propri conti. La Bce ha inoltre deciso che potrà intervenire sul mercato secondario, comprando titoli di stato dei paesi membri, quando si verificheranno “situazioni disfunzionali”. Che tradotto vuol dire che l’istituto di Francoforte, in caso di tensioni, potrà comprare titoli di stato greci, portoghesi, spagnoli, italiani e quant’altro. Per evitare di gonfiare gli aggregati monetari, la Bce sterilizzerà l’intervento, vendendo altri titoli presenti nel suo portafoglio, drenando in tal modo la liquidità creata con gli acquisti. In sintesi, è un intervento sul rischio di credito e non sulla moneta. Ma così facendo la Bce realizzerà un deterioramento qualitativo del proprio portafoglio, cedendo Bund e comprando titoli di emittenti assai meno solidi. In questo aspetto, si tratterà non di un quantitative easing ma di un credit easing.
Come sintetizzare, quindi? Si evita la rottura di Eurolandia con un impressionante iceberg di debito potenziale. Potrebbe anche funzionare, ma solo se vi fosse crescita economica e risanamento fiscale. Se mancheranno queste due condizioni (segnatamente la prima, che è ovviamente agevolativa della seconda), non riusciremo ad evitare alcuni default, che porteranno con sé la perdita in conto capitale delle erogazioni del veicolo speciale. In altri termini, avremo innescato una reazione nucleare che distruggerà l’Eurozona ed i suoi membri.
La reazione isterica dei mercati di questa mattina è data dalla chiusura delle posizioni corte su azionario (banche, soprattutto) e sull’euro, e di quelle lunghe sul Bund. Per qualche tempo torneremo a vivere nella bolla di finta complacency che abbiamo costruito negli ultimi quindici anni, ma occorre essere consapevoli che questo è l’ultimo giro. Tentare di uscire da una crisi di debito in una unione monetaria con altro debito appare molto simile ad una rolulette russa in cui il tamburo ha solo una camera vuota. Perché nei fatti stiamo solo spingendo il dissesto più in là.
 

Fonte - www.Epistems.org

 

 

 

  Sabato 15 Maggio 2010   Martedì 18 Maggio 2010   Giovedì 20 Maggio 2010  
       
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  L'Europa è pronta per l'austerità?

11 Maggio 2010 16:03 – di Il Sole 24 Ore

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Tagli, sacrifici, austerità. Se il piano di salvataggio europeo da 750 milioni di euro fa tirare un sospiro di sollievo ai mercati, il problema del debito rimane. L'Europa riuscirà a risolverlo? L'interrogativo domina editoriali e commenti della stampa internazionale, con dubbi e scetticismo.
"L'Europa è impreparata per l'austerità", si legge sul Financial Times. La sfida urgente per gli europei è come tenere sotto controllo la spesa dei governi, osserva il Wall Street Journal, mentre Newsweek mette in guardia contro la "spirale mortale" del welfare state.
Già, perché la tempesta ha portato a galla la questione di fondo: "Gran parte dell'Unione europea vive al di sopra delle proprie possibilità", avverte Gideon Rachman sul Financial Times, puntando il dito sui deficit governativi "fuori controllo" e sul debito pubblico che aumenta. "Sfortunatamente, gli elettori e i politici europei sono semplicemente impreparati per l'età d'austerità che hanno di fronte".
Il nocciolo della questione: l'Europa non può affrontare il suo comodo sistema pensionistico. La Grecia- continua Rachman - è "l'esempio estremo di un più ampio problema europeo". Anche i quattro maggiori paesi – Gran Bretagna, Francia, Italia e Spagna – "non sono immuni da questa preoccupazione". I disordini in Grecia mostrano che non tutti gli europei reagiranno "stoicamente" ai tagli della spesa pubblica. "Ma se gli europei non accettano l'austerità ora, saranno confrontati con qualcosa di più scioccante – i default dei debiti sovrani e il collasso delle banche". Il pezzo è corredato da una vignetta dove un panciuto europeo, con un bicchiere di vino in mano, sfonda l'amaca dell'euro su cui è sdraiato.

Le condizioni per il successo del piano Ue
a Bruxelles, il corrispondente del Ft Tony Barber ("L'accordo neutralizza la minaccia, ma l'Ue deve restaurare il suo vigore") fa notare che il successo del piano Ue si basa sulla capacità dei governi di persuadere i cittadini che "dolorosi programmi d austerità e riforme economiche sono non solo il prezzo della partecipazione all'eurozona ma la garanzia più sicura della prosperità a lungo termine". E l'evidenza dice che per i governi sarà dura.
L'Europa ha ancora "altre pallottole da schivare", si legge ancora sul Ft, dopo "il giorno che ha testato i limiti dell'Unione".
Per il Guardian, l'euro contrattacca con "la più grande scommessa". Il Times Online esorta i paesi dell'Eurozona ad "agire con decisione", poiché il pacchetto aiuta solo a "guadagnare tempo". Bbc Capital Markets ha fatto notare che i 750 miliardi di euro sono sufficienti a coprire il pagamento degli interessi e i riscatti dei Bot per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna solo fino al marzo 2013. I paesi deboli devono attuare una seria stretta fiscale e riforme del mercato del lavoro perché così a medio e lungo termine non dovranno indebitarsi così tanto. Il Times Online porta anche ad esempio l'Irlanda, "il maiale che esce dal fango", concludendo che il solo possibile candidato per la "I" di Pigs è l'Italia.
Il Wall Street Journal sottolinea i timori del cosiddetto "rischio morale" (moral-hazard) suscitati dal piano di salvataggio Ue. Il rischio è che i governi non facciano i tagli necessari, sapendo che tanto l'Ue li salverà dal fallimento. Ecco dunque la nuova sfida urgente per gli europei: "tenere sotto controllo i governi spendaccioni", "attuare il rigore fiscale nell'eurozona". Il Wsj cita in particolare Marco Annunziata, capo economista dell'Unicredit a Londra, secondo il quale i fondi di salvataggio "hanno indebolito gli incentivi alla disciplina fiscale".
Il Wsj mette in evidenza gli interrogativi sul ruolo Bce, che con riluttanza alla fine ha accettato di acquistare il debito di alcuni paesi Ue. "Il piano di salvataggio Ue sarà sufficiente?" si domanda Neil Shah: la grande sfida dei prossimi mesi sarà di convincere i paesi oberati di debiti a risanare le loro finanze pubbliche senza ostacolare la crescita.
Il grande punto interrogativo è questo: il pacchetto di salvataggio "funzionerà a lungo termine?". E' quanto si domanda il New York Times sotto il titolo "Un trilione (mille miliardi) per l'Europa, con dubbi". Anche il Nyt evoca il "rischio morale": "Altri paesi potrebbero continuare a evitare le azioni che ridurrebbero deficit e abbasserebbero il debito – passi dolorosi per la gente e pericolosi per i politici – perché anche loro si aspettano di essere soccorsi".
Il pacchetto europeo ha avuto anche una leggera spinta da Washington, nota ancora il Nyt: il presidente Usa Barack Obama ha telefonato alla cancelliera tedesca Angela Merkel per dirle che "l'Europa doveva provare a fare qualcosa di grande".
L'editoriale del New York Times afferma che ci sono "buone ragioni" per chiedersi se questi passi saranno sufficienti. La debolezza della strategia è che presume che "paesi molto zoppicanti, come la Grecia, possano riacquistare la capacità di servire il debito abbattendo il deficit di bilancio". Le loro economie sono in difficoltà, alcune sono in recessione. Tagli eccessivamente severi peggioreranno la situazione, "rendendo ancora più difficile per la Grecia, e per altri, onorare i loro debiti". L'Europa, secondo il Nyt, potrebbe non riuscire a risolvere i suoi problemi senza far pagare alle banche la loro parte.
"Il salvataggio europeo combatte la crisi del debito con più debiti", titola il Los Angeles Times parlando di "cerotto temporaneo".
Newsweek vede la Grecia avvitarsi nella "spirale mortale del welfare state". "Ma non è il problema della Grecia soltanto" … ogni nazione avanzata, Stati Uniti inclusi, sono di fronte allo stesso problema. Popolazioni che invecchiano hanno avuto promesse di grandi benefici sanitari e previdenziali "che i paesi non hanno interamente coperto con le tasse". "La resa dei conti è arrivata in Grecia, ma attende la maggior parte delle società agiate". Queste possono ridurre i pericoli "sforbiciando gradualmente i benefici futuri" in modo da rassicurare i mercati.
Il settimanale americano Time mette in evidenza il potere del contagio e avverte che la maggior parte dei paesi industrializzati sono emersi dalla Grande Recessione sepolti sotto i debiti. Giappone, Gran Bretagna e Stati Uniti sono sempre più carichi di debiti governativi, nota Michael Schuman. "Gli europei devono agire collettivamente per stabilizzare e poi ridurre il carico del debito dei paesi più deboli dell'eurozona. Altrimenti l'influenza greca si spanderà al di là dell'Europa".
Les Echos in un editoriale intitolato "Dopo l'urgenza" afferma che restano due condizioni da rispettare per massimizzare le chances di successo dell'operazione "Notte 10 maggio". La prima è che la Germania persista nel suo cambiamento di approccio nei confronti della questione greca. E il fatto che si sia indebolita dopo le elezioni "non ne farà un partner comodo quando si tratterà di fissare le modalità del Fondo di solidarietà".
La seconda condizione è di "osare" fare le riforme che faciliteranno la rimessa in moto della crescita. "L'eccesso del debito, questo male che minaccia l'euro di morte, riguarda tutti" i paesi Ue. Una Reuters, pubblicata sul sito di Les Echos, afferma che dopo tre giorni "storici", l'Europa è "più francese". Il presidente francese Nicholas Sarkozy avrebbe agito da mediatore e si sarebbe assicurato l'appoggio portoghese, italiano e spagnolo esigendo nel contempo da loro impegni supplementari di riduzione dei deficit pubblici.
In un'intervista su Le Figaro, Daniel Cohen spiega che "questo piano deve permettere di evitare un giro di vite precipitato e generalizzato". Libération parla di "Pozione austera per l'Europa".
L'editoriale di El Pais – "Un euro governato" – sottolinea che la tregua dei mercati reggerà solo "con duri aggiustamenti dei paesi con più deficit". Il governo spagnolo, ammonisce, è uno dei destinatari di questo messaggio.
"Dopo la Grecia…le barricate arriveranno nelle strade spagnole?" titola il sito web di Expansion. Anche la Spagna, infatti, si prepara a stringere la cinghia. Il giornale economico spagnolo teme conflitti sociali, scatenati dal "detonatore" delle riforme del lavoro. Con i tagli che si prospettano per il settore pubblico, i funzionari pubblici diventeranno "l'avanguardia del proletariato"? E l'economia sommersa diventerà la valvola di sfogo delle tensioni sociali?
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

 

Il Giappone sembra un sosia della Grecia

martedì, 11 maggio 2010 - 9:21 - di Marco Caprotti
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Il Giappone sembra aver apprezzato la tragedia greca andata in scena nelle ultime settimane. Ma avvertono gli analisti, quando il sipario sugli eventi ellenici sarà definitivamente calato, gli operatori dovranno tornare a fare i conti con le prospettive di crescita nipponiche. E allora potrebbero trovarsi di fronte a un copione simile. L’indice Msci Japan nell’ultimo mese (fino al 10 maggio e calcolato in euro), ha perso solo lo 0,1%. Settimana scorsa, mentre gli operatori si disperavano di fronte al crollo dei listini, il paniere nipponico è cresciuto di quasi il 2,5%. Il risultato è anche il frutto dal rapporto di cambio fra euro e yen, altrimenti i listini nipponici sarebbero andati peggio.
Resta, tuttavia, la tendenza di fondo. Alla caccia disperata di asset in cui parcheggiare i propri soldi, gli investitori hanno iniziato a guardare con interesse ai risultati trimestrali e alle previsioni di alcuni gruppi nipponici. Fra questi, il produttore di pneumatici Bridgestone che, per il primo semestre di quest’anno ha previsto una crescita dei profitti dagli 11 miliardi (91,5 milioni di euro) dello scorso anno a 27 miliardi. Stime in crescita anche per Aoyama Trading che conta di chiudere l’esercizio con utili per 7,3 miliardi, in salita del 30%. Ad aumentare l’appeal dell’azionario made in Japan è stata anche Fuji Oil che ha chiuso l’anno fiscale con un miglioramento del 43%. C’è speranza anche per i debutti in Borsa. Il gestore di supermercati Genky Stores conta di raccogliere sul mercato almeno 450 milioni. A far drizzare le antenne gli investitori sono state anche le rassicurazioni fornite dalla Bank of Japan che, nei giorni neri d’Europa, ha cercato di convincere gli investitori che gli istituti nipponici non avevano “esposizioni significative” sul debito greco.
Nubi sempre più nere, intanto si stanno addensando intorno allo stato insulare. E a spingerle, così come è successo in Europa, sono state le agenzie di merito di credito. La situazione finanziaria giapponese è stata messa sotto un’ancora più stretta osservazione a gennaio quando Standard&Poor’s ha tagliato l’ outlook sul rating AA del Paese, portandolo da “stabile” a “negativo”.
Il carico ce l’ha messo il 22 di aprile l’agenzia Fitch, annunciando che potrebbe rivedere il suo giudizio di AA-. A quel punto è intervenuto il ministro delle finanze Naoto Kan, dicendo che l’atteggiamento delle due società di analisi cambierà a giugno, quando il premier Yukio Hatoyama presenterà il nuovo piano fiscale. Alcuni osservatori, intanto, alzano il sopracciglio. Carl Weinberg della società di consulenza specializzata sui Paesi del G-7 High Frequency Economics (HFE) nell’ultimo suo studio ha parlato senza mezzi termini di “situazione debitoria irrecuperabile” e “impossibilità di finanziare il deficit”.
Al di là del linguaggio diretto al limite del brusco che tanto piace agli americani, secondo uno studio del Fondo monetario internazionale (FMI), il Giappone ha la situazione finanziaria peggiore del mondo industrializzato. Il debito statale, secondo le previsioni dell’FMI, quest’anno raggiungerà il 277% del prodotto interno lordo e il 246% entro il 2014. Il tutto in uno scenario che prevede un calo della forza lavorativa del 41% nei prossimi 40 anni, rendendo progressivamente sempre più difficile pagare gli interessi sul debito statale. In pratica: meno persone sono in età da lavoro, minori tasse dalle loro buste paga entreranno nelle casse statali. L’unica speranza è una crescita del Pil che, secondo le stime di HFE, dovrebbe essere almeno del 3% l’anno per il prossimo decennio.
La possibilità di un default del Paese, del resto, non viene esclusa nemmeno dalla stessa BoJ che, per bocca di uno dei suoi membri (Tadao Noda), a inizio aprile ha parlato di una “situazione che si sta deteriorando e nella quale non si può non parlare di pericolo fallimento”.
 

 

 

Il Canada prepara il sorpasso agli Usa

martedì, 11 maggio 2010 - 16:22 - di Marco Caprotti
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Per gli americani, i canadesi sono spesso le vittime di feroci battute riguardo alla loro (presunta) ingenuità e alla loro (indubbia) gentilezza. Per gli investitori, invece, il Paese al nord degli Stati uniti sta diventando un affare molto serio. A dirlo sono, prima di tutto, gli indici. Il listino Msci North America da inizio anno (fino al 10 maggio e calcolato in euro) ha guadagnato il 16%, mentre quello relativo al Canada è riuscito a tenere il passo del grande vicino segnando +15,2%.
Ma se la storia insegna qualcosa, fra qualche mese l’America potrebbe trovarsi a dover rincorrere e, magari, a perdere parecchie posizioni. Nel corso del 2009, infatti, il paniere canadese ha guadagnato quasi il 48%, mentre quello statunitense si è dovuto accontentare di un +22,3%. Gli elementi perché questo copione possa ripetersi, spiegano gli operatori, sembrano esserci tutti. Secondo un report del Fondo monetario internazionale il Canada quest’anno registrerà il tasso di crescita maggiore fra i Paesi che fanno parte del gruppo dei G-7. La Banca centrale del Paese, sempre per il 2010, prevede una crescita della produzione industriale del 3,7% e del 3,11% l’anno prossimo.
“E’ bene precisare che la recessione che dopo lo scoppio della crisi subprime ha interessato il Canada è simile a quella registrata negli Usa”, spiega uno studio della società di consulenza Oxford Analytica (OA). “La produzione industriale, invece, è andata anche peggio. Tuttavia, il recupero dell’economia canadese è stato più forte di quello del vicino, grazie ai suoi punti di forza: un basso indebitamento delle famiglie, una bolla immobiliare che non è scoppiata e un sistema finanziario poco esposto a prodotti problematici”. Tutti elementi che continuano a dare tono all’economia del Paese dei canucks e ai quali, secondo OA si uniranno altri fattori. “Primo fra tutti, un aumento delle spese personali che quest’anno dovrebbero crescere del 2,7% rispetto al +0,2% segnato nel 2009”, continua lo studio. “Ci sarà anche una ripresa degli investimenti superiore al 6%, dopo la contrazione del 14,1% registrata l’anno scorso. Le esportazioni, nel frattempo, inizieranno a recuperare tono dopo il -14% del 2009, arrivando a +7%”.
Dal punto di vista operativo, gli analisti consigliano di evitare il comparto auto (specializzato soprattutto sui motori), dove la produzione sta perdendo il 35% rispetto ai massimi toccati nel 2007 e non sembra dare segni di risveglio, nonostante le promesse di rimbalzo che periodicamente arrivano dai rappresentanti della categoria.
Più sicuro, al di là degli shock di queste ultime settimane, il settore finanziario che assomiglia di più a quello europeo, anche a livello culturale e quindi, a differenza di quello degli Usa, è meno disposto a scommettere su strumenti troppo complessi. Non a caso, il Canada ha forti legami con il Vecchio continente: ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito attraverso un lungo processo di emancipazione, svoltosi tra il 1867ed il 1982, anche se la Regina Elisabetta II di Inghilterra continua a rimanere la sovrana.

 

Fonte - morningstar

 

 

 

Come funziona il meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria

13 maggio 2010 – Il Sole 24 Ore
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Il 9 Maggio il Consiglio Europeo ha adottato un Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria per tutelare la stabilità in Europa. Il provvedimento trova i suoi presupposti nell'Articolo 122.2 del Trattato e in un accordo intergovernativo tra gli stati membri della zona euro.
Qual è lo scopo del Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (Mesf)?
«Consente di offrire assistenza finanziaria a uno stato membro in difficoltà o alle prese con le gravi conseguenze di una difficoltà dovuta a circostanze eccezionali al di fuori dal suo controllo. Tale assistenza finanziaria assumerà la forma di un prestito o di una linea di credito offerta allo stato membro in questione».
Come funziona il Mesf?
«Nell'ambito di tale strumento, la Commissione ha la possibilità, in base all'Articolo 122, di contrattare prestiti sui mercati dei capitali o con alcune istituzioni finanziarie a vantaggio dell'Unione Europea. Questo criterio che consente di fornire assistenza finanziaria si ispira direttamente agli strumenti di finanziamento a medio-termine (Medium-Term Financing Facility). Questo particolare accordo di prestito implica che non vi siano costi per l'Unione al servizio del debito. Tutti gli interessi e il prestito principale sono ripagati tramite la Commissione direttamente dallo stato membro che ne beneficia. Inoltre, il meccanismo prevede la possibilità di fornire assistenza finanziaria a uno stato membro della zona euro tramite il cosiddetto Spv (Special Purpose Vehicle), che sarà deciso con un accordo tra i vari governi di tutti gli stati membri della zona euro».
Che importo possono ricevere gli stati in base a questo meccanismo?
La quantità di prestiti e di linee di credito disponibili tramite questo strumento fissato dall'Articolo 122 dovrà essere limitata al tetto stanziato nel budget Ue. E' previsto un volume massimo di 60 miliardi di euro.
L'Spv fissato dall'accordo tra i vari governi degli stati dell'area euro garantirà una base di prestito pro-rata fino a 440 miliardi di euro».
Quali Paesi saranno coperti da questo strumento?
«Il Mesf è stato creato con l'obiettivo di preservare la stabilità, l'unità e l'integrità dell'Unione Europea. Lo strumento consente di offrire aiuto a qualsiasi stato membro che stia vivendo una grave situazione o sia gravemente a rischio a seguito di un'alterazione economica o finanziaria dovuta a circostanze eccezionali che esulano dal suo controllo. L'assistenza finanziaria con il Spv, tuttavia, sarà fornita soltanto agli stati membri della zona euro. Gli stati membri che non appartengono alla zona euro resteranno in ogni caso coperti dal Balance of Payment Facility, in virtù del quale finora la Commissione ha già erogato aiuti a Lettonia, Ungheria e Romania».

Questo meccanismo è equiparabile a un salvataggio in extremis?
«No, questo meccanismo consente di fornire prestiti, non sovvenzioni. I prestiti dovranno essere pertanto ripagati con gli interessi. In questo modo il Meccanismo è compatibile con l'Articolo 125 del Tfeu».

Cosa deve fare uno stato memrbo per ottenere aiuto?
«Uno stato membro che intende avere aiuti finanziari nell'ambito di tale meccanismo dovrà discutere con la Commissione in contatto con la Banca Centrale Europea le sue necessità finanziarie. Dovrà sottoporre quindi alla Commissione europea e al Comitato economico e finanziario la bozza di un programma di aggiustamento economico e finanziario. Il Consiglio, sulla base di una proposta presentata dalla Commissione, adotterà una decisione in merito tramite voto della maggioranza qualificata, concedendo l'assistenza finanziaria.
La decisione del Consiglio dovrà includere la cifra massima, il costo e la durata dell'aiuto finanziario, il numero di rate che dovranno essere versate e le condizioni e le prassi principali da espletare in relazione agli aiuti. Dovrà incaricare la Commissione della responsabilità di negoziare un memorandum di intesa con il Paese in questione, dettagliando tutte le condizioni previste».
Come si procederà a controllarne l'applicazione?
«La Commissione monitorerà da vicino che lo stato membro beneficiario rispetti le condizioni previste per l'erogazione del prestito, in sintonia e collaborazione con la Bce, prima che le rate siano erogate. Se si giungerà alla conclusione che le condizioni sono state rispettate, si proporrà ai partecipanti di erogare i prestiti».
Qual è il presupposto legale di questo Meccanismo?
«Il meccanismo si basa su una decisione del Consiglio europeo adottata in conformità all'Articolo 122, che richiede la maggioranza qualificata in Consiglio, che il Parlamento ne sia informato, e che vi sia un accordo tra i vari governi».
 

 

Traduzione - Anna Bissanti

 

Fonte - Consiglio europeo

 

Fonte - Il Sole 24 Ore


 

 

 

 

 

  I dieci perché della crisi dell'euro

17 Maggio 2010 – di Fabrizio Galimberti

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I piani di risanamento all'esame dell'Ecofin
Niente sarà più come prima. La crisi greca va ben al di là della situazione difficile di un paese minore (la Grecia conta solo il 2,5% dell'attività economica nell'Eurozona). Ma allo stesso tempo questa crisi ha sbattuto in faccia ai paesi dell'euro un problema di cui si sapeva l'esistenza ma si continuava a rimandare la soluzione. Qual era questo problema? Che cosa è veramente successo? L'euro ha rischiato grosso? Che ruolo ha avuto la speculazione? E che cosa succederà? Proviamo a chiederci alcune domande e a dare le risposte.
L'euro è stato creato una decina di anni fa. Quel glorioso concerto di monete che si sono fuse in una sola era, fin dall'inizio, una «sinfonia incompiuta»?
Ebbene, sì. Era una sinfonia incompiuta perché nella storia non si era mai dato il caso di un gruppo di paesi che decidevano di mettere in comune la moneta conservando però ognuno la propria sovranità negli altri campi dell'agire. O, se si era dato, le aree a moneta unica che ne erano scaturite avevano avuto vita breve. I soli casi di aree monetarie a vita lunga erano e sono quelli in cui c'è una sola moneta e un solo stato.

Allora, fare la moneta unica voleva dire mettere il carro avanti ai buoi?
Sì, ma mettere il carro avanti ai buoi non fu un gesto disattento: fu un rischio calcolato. La strategia era questa: sappiamo che la moneta unica, per funzionare bene, ha bisogno che gli stati membri proseguano nell'integrazione mettendo in comune le politiche anche in campi fuori da quello monetario. E speriamo che questo succeda, che il fatto di avere una politica monetaria unica porti anche ad avere una politica di bilancio unica, a rimuovere i rimanenti ostacoli a un mercato unico, a incoraggiare la mobilità per gli insediamenti di imprese e per i lavoratori da un paese all'altro della comunità europea.

Se era un rischio calcolato è stato calcolato male. La crisi greca ha portato molti a dubitare dell'euro, c'è chi parla di uscire dall'euro, o di fare un euro-nord e un euro-sud, insomma di un'avventura che finisce male.
Anche le case anti-sismiche possono crollare quando arriva un terremoto di violenza mai registrata prima. Bisogna rendersi conto del fatto che la crisi greca è arrivata dopo un uno-due di portata assolutamente imprevedibile. La più forte recessione degli ultimi ottant'anni ha colto tutti di sorpresa, e questo evento inatteso si è coniugato a un altro evento che non appartiene agli scenari del probabile: il caso di un paese che aveva, semplicemente, imbrogliato i conti pubblici. Questa coincidenza di due eventi altamente improbabili ha portato a una crisi che ha messo a nudo quella parte incompiuta della sinfonia della moneta unica: la mancanza di una politica di bilancio anch'essa unica. Se i paesi dell'euro avessero avuto una sola politica di bilancio, una sola autorità incaricata di redigere e gestire il bilancio unico non ci sarebbero stati imbrogli. Ma naturalmente questo passo è molto più difficile: avere un bilancio unico vuol dire colpire al cuore la sovranità, vuol dire avere un grado di integrazione che oggi è politicamente impossibile.

Ma tutto questo è peggio di una sinfonia incompiuta. Imbrogli e indecisioni sono delle note stonate, sono una serie di stecche. Come nel loggione della Scala, sono partiti i fischi e gli speculatori hanno attaccato l'euro.
I governanti amano parlare di speculazione, ma in questo caso si tratta di normale prudenza, più che di speculazione. Pensiamo ai titoli greci. La Grecia ha un grosso deficit di bilancio, e deve finanziare non solo il disavanzo, ma anche il rinnovo dei titoli che scadono. Per speculare non c'è bisogno di particolare malvagità. Quando si parla di speculatori si pensa a gente che gioca al ribasso vendendo i titoli greci. Ma per mandare in tilt il mercato dei titoli greci non c'è bisogno di vendere, basta non rinnovare i titoli che scadono, cosa che appartiene alla prudenza del buon padre di famiglia.

Allora, il buon padre di famiglia dovrebbe tenere i risparmo in euro o investirli in dollari o altre monete?
Se il padre di famiglia riceve lo stipendio in euro, è meglio non correre rischi di cambio e mantenere i risparmi nella moneta che si conosce, che è sempre meglio del diavolo che non si conosce.
Sarà, ma siamo tutti cittadini dell'euro, e dovremmo avere fiducia nella nostra moneta. Invece sembra che i mercati di fiducia ne abbiano poca.
Ci saranno sempre profeti di sventura che amano parlare dell'euro come di una moneta in bilico, se non un esperimento fallito. Ma la verità è che quel che è successo è stato, tutto sommato, per il meglio. L'euro si è indebolito, ma solo al livello di un anno fa, quando non c'era nessuna crisi greca. Gli alti e bassi della moneta unica sono assolutamente fisiologici. Ricordiamoci che nei primi anni dell'euro il cambio col dollaro, che oggi è a 1.25, era sceso addirittura ben sotto l'1, a 0.82. E la crisi ha avuto il grande merito di costringere i governi dell'Eurozona ad approfondire il coordinamento delle politiche di bilancio, a mettere in opera procedure di sorveglianza dei conti più efficaci di quelle attuali (per evitare imbrogli e dintorni), a mettere in gioco schemi di soccorso e piani di finanziamento che costituiranno un utile modello per fronteggiare altre crisi.

Allora, non tutto il male viene per nuocere. Ma i mercati non hanno apprezzato le indecisioni e il tempo perduto nell'arrivare a mettere in campo il pacchetto di soccorso.
Più che un pacchetto, si tratta di un grosso pacco di misure, senza precedenti per stazza e per architettura. Oltre alle misure ci sono le dichiarazioni, che, nel caso dei due paesi-chiave dell'Eurozona - Francia e Germania - sono sorprendentemente chiare e decise. I paesi dell'euro hanno capito la posta in gioco e quelle dichiarazioni sottendono una comunanza di intenti e una fermezza nelle decisioni che avrebbero fatto molto piacere ai padri fondatori della moneta unica. Ma è vero che prima di arrivare a questa positiva conclusione vi sono stati molti tentennamenti e molte sfilacciate discussioni.

Anche a proposito dell'intervento del Fondo monetario. C'era chi lo vedeva addirittura come una intromissione negli affari interni dell'area euro.
In effetti ci sono state alcune infelici dichiarazioni in questo senso, un po' come se i pompieri intenti a domare un incendio vedessero di cattivo occhio l'arrivo di un'autobotte da un'altra caserma di vigili del fuoco. Ma alla fine la saggezza ha prevalso. Il combinato disposto del soccorso Ue+Fmi è la soluzione più efficace. Anzi, avrebbero dovuto essere gli stessi paesi dell'euro a farsi parte diligente chiedendo al Fondo di aggiungersi alla squadra. Se qualcuno deve imporre al governo greco delle misure di risanamento del bilancio, è sempre meglio avere nella squadra qualcuno che non fa parte della 'famiglia', che rivesta il ruolo di un mediatore esterno. E il Fondo ha la possibilità - una possibilità costruita sulla prassi di tante altre crisi passate - di imporre una stretta condizionalità agli aiuti (ti diamo i soldi solo se tu fai le seguenti cose: a, b, c...).

E ora che cosa succederà?
L'euro ha affrontato la più grossa crisi della sua storia, una crisi, come detto prima, sorta da una peculiare congiunzione astrale, la coincidenza di una devastante recessione e di un disordine colposo nei conti di un paese membro. Questa crisi è stata superata, e, anzi, ha generato un sia pur sofferto tentativo (riuscito) di collaborazione istituzionale, portando a un più alto gradino il livello di integrazione delle politiche di bilancio: in questo senso, come detto all'inizio, "nulla sarà più come prima". La "sinfonia incompiuta" dell'euro è oggi un po' meno incompiuta di prima. I mercati saranno ancora inquieti per un po' di tempo, ma il momento peggiore della crisi è superato.
I mercati temono però un'altra cosa: temono che le misure imposte alla Grecia, così come le altre restrizioni di bilancio adottate o adottande da Spagna e Portogallo, non saranno applicate a causa di dissensi politici e di reazioni (vedi tumulti in Grecia) del corpo sociale.
Queste preoccupazioni sono legittime, ma non costituiscono solo un problema dell'euro. Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone - dollaro, sterlina e yen - hanno problemi simili, dato che in nessuno di quei paesi c'è un "piano credibile" di rientro dal deficit. Non c'è quindi ragione perché l'euro debba essere particolarmente punito rispetto alle altre monete.
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

  Sabato 22 Maggio 2010   Giovedì 27 Maggio 2010   Sabato 29 Maggio 2010  
       
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GR1 RAI - 27 Mag. ore 22:00

   

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Euro: l'idea di una rottura e' ridicola. Parola di Goldman

Pubblicato il 17 maggio 2010 | Ora 20:30 - di WSI
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Dopo aver pronosticato una ripresa a V dell'economia mondiale, il capo della ricerca economica mondiale di Goldman Sachs, Jim O'Neill, ha detto che e' "ridicolo" sostenere che il blocco dell'area dell'euro si sfaldera' entro il prossimo anno e ha previsto che la fase di declino della valuta sia ormai volta al termine.
I pronostici catastrofici si basano "su un semplice equivoco: le persone cercano di equiparare la pura logica economica alla realta' politica sociale", ha dichiarato O'Neill in un'intervista tenuta con Bloomberg dal suo ufficio di Londra. "I tedeschi e i francesi sono impegnati con passione nella strenua difesa dell'euro, che lo si accetti o no".
Oggi la moneta unica e' scesa al livello piu' basso in oltre quattro anni contro il dollaro, in gran parte a causa della preoccupazione circa l'efficacia del maxi piano da 1000 miliardi dollari varato dai ministri delle Finanze la settimana scorsa. Il timore e' che il pacchetto architettato per garantire la stabilita' dell'euro non ridurra' gli squilibri economici all'interno della regione delle 16 nazioni. Christopher Wood, equity strategist chief presso CLSA Asia Pacific Markets, oggi ha previsto che "prima o poi" la moneta scivolera' sulla parita' rispetto al dollaro americano.
"Si tratta di 60 anni di storia di un processo ancora alle prime fasi della sua trasformazione, dunque l'idea che l'euro cadra' al primo vero test della sua credibilita' mi sembra altamente improbabile", ha proseguito O'Neill. "Potrebbe anche essere che tra 20 anni non esistera' piu' l'euro, ma l'idea che scomparira' entro l'anno prossimo perche' il mercato ha paura per le esigenze finanziarie di Spagna e Portogallo e' semplicemente ridicola".
I governi nazionali dell'area devono piuttosto utilizzare la crisi come un'opportunita' per rivedere la governance del blocco Ue, altrimenti il rischio di una rottura crescera' con il tempo. I ministri delle Finanze della regione si sono riuniti oggi a Bruxelles per esaminare le modalita' tali da essere in grado di coordinare piu' da vicino, spalla a spalla, le loro politiche.
O’Neill ha spiegato a Bloomberg che l'opinione generale prevalente e' che l'euro si indebolira' ulteriormente. Delle 600 persone a cui si e' rivolto di recente, solo tre hanno predetto che la moneta si sarebbe rafforzata.
Un mese fa colui che e' diventato famoso al grande pubblico per aver coniato l'acronimo BRIC, riferito alle economie in via di sviluppo di Brasile, Russia, India e Cina, aveva indicato a $1.22 il fair value per il cross euro/dollaro. Ora vede un piu' realistico un calo a quota $1.20.
Ci sono molti lati deboli alla base dell'unita' monetaria europea e "questa crisi sta dimostrando quali sono tali debolezze. Il problema principale e' dato dall'incapacita' di avere un'autorita' fiscale centrale e (i leader dell'Ue) dovranno affrontarlo".

 

 

 

"Il prossimo collasso dell'economia americana" e' un video che sta facendo il giro del mondo sul web

Pubblicato il 17 maggio 2010 | Ora 23:22 Fonte: WSI - di WSI
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Si intitola Meltup, "The Beginning Of US Currency Crisis And Hyperinflation", questo video "virale" su YouTube preparato da Inflation.us che Wall Street Italia presenta per prima nel nostro paese. L'audio e' inglese, dura un'ora, la visione e' sconsigliata a chi si ostina a voler ignorare la verita' sullo stato di salute del sistema economico-finanziario degli Stati Uniti e di conseguenza di tutte le economie mondiali. Inflation.us ha come missione "Preparare gli americani all'iperinflazione".
Sono concetti che i lettori e abbonati di WSI - che siano deflazionisti o inflazionisti (la seconda e' la tesi del video) - conoscono gia' molto bene. Ma si tratta di idee economiche ovviamente considerate poco "ortodosse" dai vari establishment in quanto vanno ben al di la' delle critiche tollerabili dalla propaganda dei "poteri forti". Mandate questo video YouTube a colleghi di lavoro, amici, conoscenti, piu' circole meglio e'. Per far crescere la consapevolezza generale sullo stato di salute dell'economia mondiale. Se qualcuno attrezzato tecnicamente poi si prendesse la briga di tradurre l'audio dall'inglese in italiano, per favore ce lo faccia sapere, sarebbe un'ottima cosa.
 

http://www.youtube.com/watch?v=eb1n1X0Oqdw&feature=player_embedded#!

 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

Come la Francia potrebbe uscire dall’euro

18/05/2010 - di miaeconomia.leonardo.it
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La caduta verticale dei mercati nella seduta di venerdi’ e’ stata alimentata anche da una indiscrezione che voleva il presidente francese Sarkozy minacciare la Cancelliera tedesca Merkel di uscita della Francia dall’Unione Europea se la Germania non avesse approvato il piano di aiuti per la Grecia. Gia’ nelle scorse settimane si era paventata la possibilita’ che la Grecia potesse abbandonare l’euro e uscire dall’Eurogruppo. In realta’ il trattato di Maastricht non lo prevede, mentre il Trattato di Lisbona dell’Unione Europea, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, afferma, in modo espresso, il diritto di ogni Stato di uscire dalla Ue (articolo 50). Ne consegue che l'unica strada possibile, per la Francia o la Grecia o di qualsiasi altro stato membro, per uscire dall’Eurozona e’ quella di uscire del tutto dall'Unione Europea. Un'ipotesi del tutto teorica ma tecnicamente possibile.

L’uscita dalla Unione Europea richiede alcuni passaggi. Il primo e’ quello di comunicare al Consiglio degli stati membri la decisione di volere lasciare l’Ue. Ne segue una discussione negoziale tra Unione Europea e stato membro al fine di trovare un accordo che stabilisca la procedura dell’abbandono. Tale accordo una volta votato a maggioranza dal Consiglio, passa all’approvazione dell'Europarlamento. Se a chiedere l’uscita dall’Ue fosse un Paese dell’euro l’abbandono dell’Unione Europea porterebbe in automatico all’abbandono anche dell’Eurozona. Se poi successivamente il Paese volesse rientrare nell’Unione o nell’Eurozona, dovrebbe, in linea sempre teorica, sottoporsi nuovamente alle ordinarie procedure di adesione.
La violazione dei parametri di Maastricht, il cui rispetto e’ obbligatorio per entrare a far parte del club dell’euro, non prevede la possibilita’ dell’espulsione dalla moneta unica, ma solo l'applicazione di sanzioni a seguito delle violazioni. Il Consiglio Ue, su indicazione della Commissione, verifica il disavanzo eccessivo e trasmette la raccomandazioni allo stato membro. La mancanza di interventi nella direzione di una correzione del disavanzo del Paese sotto analisi, porta il Consiglio ad una ulteriore raccomandazione di intervento entro un termine stabilito, trascorso il quale segue l’applicazioni di sanzioni.
 

 

 

Fed, rivista al rialzo la crescita Usa

20/05/2010 - di miaeconomia.leonardo.it

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Ieri sera la Federal Reserve (Fed) ha reso noti i verbali relativi all’ultima riunione della Banca Centrale americana. Un appuntamento molto atteso dal mercato perche’ offre la visione della Fed sulle prospettive dell’economia, e in particolare della crescita economica americana, dell’inflazione e dell’andamento dei tassi. Non sono mancate le note positive, che per altro hanno permesso ieri a Wall Street di chiudere riducendo le perdite sotto il punto percentuale dopo una prima parte di seduta in pesante flessione.
Per la Banca Centrale Usa la ripresa della congiuntura dovrebbe rivelarsi superiore alle attese, in virtu’ non solo di un miglioramento della crescita ma anche di un calo della disoccupazione, che favorira’ la ripresa dei consumi, vero motore dell’economia a Stelle e Strisce. In quest’ottica la Federal Reserve ha ritoccato verso l’alto le previsioni di crescita del Pil statunitense per il 2010 puntando su una variazione positiva al 31 dicembre compresa tra il 3,2% e il 3,7%, rispetto al range individuato a gennaio scorso tra il 2,8% e il 3,5%

Riguardo il mercato del lavoro, quest’anno il tasso di disoccupazione dovrebbe rimanere compreso tra il 9,1% e il 9,5%, ma in miglioramento rispetto alle precedenti stime tra il 9,5% e il 9,7%. Nel 2011 il tasso dovrebbe scendere nel range tra l‘8,1% e l‘8,5%.
L’inflazione secondo la Fed dovrebbe crescere meno del previsto. E infatti ieri il dato dell’indice dei prezzi al consumo ad aprile ha segnato una variazione negativa dello 0,1%, la prima dal 2009, mentre il mercato si aspettava un rialzo dello 0,1%. La versione core, senza le componenti piu’ volatili quali alimentari ed energia, e’ rimasta invariata rispetto a marzo, mentre gli analisti si attendevano un progresso dello 0,1%. Segnale, questo, che rassicura gli operatori sul fronte tassi.
 

Fonte - miaeconomia.leonardo.it

 

 

 

 

 

 

  Quelli che la crisi manda a fondo

Pubblicato il 24 maggio 2010 | Ora 14:27 – di Rosarai Amato

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Troppo grandi per fallire, troppo piccoli per essere aiutati. La crisi finanziaria che ha investito il mondo dalla fine del 2007 ha visto soccombere tutti: le imprese, le banche, le famiglie, la finanza, persino i governi, e adesso come nuova possibile vittima c'è anche una divisa, l'euro. Eppure, qualcuno è stato salvato, molti sono stati mandati ancora più a fondo. Lo ricorda, con accuratezza di dati e di cifre, il Rapporto sui diritti globali 2010, presentato stamane nella sede della Cgil a Roma dal curatore Sergio Segio, l'ex terrorista di Prima linea da anni impegnato nel sociale.
"Viviamo in una società sempre più spaventata del futuro, in cui i legami sociali sono sempre più deboli e quindi più fragile la sua coesione - rileva il segretario della Cgil Guglielmo Epifani - crescono l'individualismo e l'antagonismo laddove servirebbero relazioni e solidarietà". Dalla crisi non sembra emergere un mondo migliore: "Passata la paura - dice Segio - tutto è tornato come rpima: banche e holding finanziarie e assicurative a macinare profitti, lavoratori a tirare la cinghia".

Un ceto medio sempre più povero. Questo perché, ricorda Sergio, "l'inevitabile corrispettivo e conseguenza del too big to fail, del troppo grandi per fallire, è che vi sono i troppo piccoli, troppo deboli e troppo senza potere per essere aiutati. Anzi, sono loro a essere costretti ad aiutare i grandi - grandi e voraci - attraverso l'eterno gioco fondato sulla privatizzazione dei profitti e sulla socializzazione delle perdite". Un giudizio troppo ideologico? Ci sono numeri e percentuali che lo sostengono. Limitandosi all'Italia, i dati parlano per il 2008 di 2.737.000 famiglie (l'11,3% del totale, con un incremento dello 0,2% sul 2007) in condizioni di povertà relativa. Con il ceto medio in bilico, pronto a raggiungere la parte più svantaggiata della popolazione: "1,8 milioni di famiglie giovani, a reddito medio-alto - si legge nel rapporto - soffrono a causa del mutuo per la casa, che porta il 56,5% di loro ad arrivare con difficoltà alla fine del mese, il 54% a non poter accantonare un solo euro".

Poveri lavoratori. Non solo: "Nel 2009 le famiglie italiane si sono indebitate per 524 miliardi di euro, più del 2008, 21.270 euro per ogni cittadino. Per i lavoratori dipendenti, il debito annuo è di 15.900 euro, il 79,4% per la casa e il resto per consumi diversi". Pensare che un tempo gli italiani erano un popolo di risparmiatori, e il risparmio era tale da costituire una barriera di protezione contro le crisi finanziarie. Adesso questo risparmio s'è dissolto.
Tra le ragioni principali ci sono i salari troppo bassi, al palo da un decennio: "Avere un lavoro non protegge dall'impoverimento. 13,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese, di cui 6,9 milioni meno di 1.000". "In sei anni, tra il 2002 e il 2008, il reddito netto familiare ha perso ogni anno 1.599 euro tra gli operai, 1.681 euro tra gli impiegati". E quindi, nel 2009 "il 10% degli occupati è sotto la soglia della povertà relativa (un dato tra i peggiori dell'Unione Europea, che conta in media l'8%)". Nel 2007 la percentuale era dell'8,6%. Sono quelli che le statistiche definiscono "working poor", poveri con un'occupazione, solo un po' meno poveri dei disoccupati.
L'emergenza casa. Gli aumenti dei prezzi, della disoccupazione e il livellamento verso il basso dei salari hanno aggravato l'emergenza casa. Entro il 2011, si legge nel rapporto, si stima che 150.000 famiglie italiane saranno sfrattate e perderanno così l'abitazione. L'affitto incide sui redditi dei pensionati e lavoratori dipendenti tra il 30 e 70%. Nel 2008 risulta un 18,6% in più di sfratti esecutivi rispetto al 2007. In Italia i senzatetto sono stimati tra 65 mila e 120 mila. Il problema è più grave per le famiglie straniere: 1 milione e 300.000 sono in affitto. L'85% ha un contratto non registrato o registrato per un canone inferiore al reale, "l'affitto di posti letto avviene in piena violazione delle norme, l'addebito di spese condominiali va spesso oltre il consentito e il legale, gli alloggi sono senza dotazioni minime nè certificazioni".

C'è poi l'altro lato della medaglia. Nell'introduzione al rapporto Segio elenca uno dietro l'altro i superbonus e i superemolumenti ottenuti in tempi recentissimi dai manager di banche e imprese, sfidando le accuse di demagogia: "Carlo Puri Negri (ex vicepresidente esecutivo di Pirelli Re) con 14 milioni di euro, nonostante la società abbia chiuso l'anno con un passivo di 104 milioni; poi vengono Claudio De Conto (ex direttore generale di Pirelli) con 7,3 milioni e Marco Tronchetti Provera (presidente di Pirelli) con 5,6 milioni".
Citati anche i top manager Fiat, nell'anno delle ristrutturazioni e degli annunci di lacrime e sangue: "l'ad Sergio Marchionne, ha percepito 4 milioni e 782 mila euro, poco meno dell'ex presidente della Fiat Luca Cordero di Montezemolo che ha incassato, sempre nel 2009, cinque milioni e 177 mila euro". Le banche non sono state da meno, tanto che, conti alla mano, "con il compenso di 100 top manager si potrebbero insomma pagare i salari di 10.000 lavoratori". Del resto è andata così anche nel resto del mondo: "Complessivamente, secondo uno studio del Wall Street Journal, i 38 maggiori istituti finanziari hanno distribuito ai loro collaboratori145 miliardi di dollari, con un incremento del 18% rispetto allo scorso anno e superando persino il 2007, l'ultimo anno della bolla speculativa prima del crac".

Invertire la rotta. C'è ancora la possibilità di invertire la rotta, di "non sprecare una buona crisi", come alcuni economisti ed esponenti politici hanno suggerito negli ultimi mesi? La Cgil ha una sua ricetta: "Uno dei principali punti di forza di un nuovo modello di sviluppo economico - sostiene Epifani - deve essere la convergenza fra reti di imprese sul territorio e reti telematiche. Questo non è un processo spontaneo, ma va perseguito con politiche mirate al recupero del ritardo strutturale del nostro paese nell'adozione di tecnologie innovative. L'Italia ha bisogno di un progetto forte anche sulle nuove frontiere della green economy, delle biotecnologie e della salute, delle infrastrutture materiali per una migliore mobilità e di quelle immateriali, costituite da reti relazionali complesse tra istituzioni, cultura, economia, ecologia e comunità locali".
Rilanciare il Paese. Non si tratta solo di aiutare i più deboli, ma anche di rilanciare il paese che, ricorda il segretario della Cgil, "ha un gap di competitività nei confronti di altri Paesi anche perché non ha saputo scommettere sul sapere e sull'innovazione sociale e tecnologica". Al di là delle continue rassicurazioni del governo sul fatto che "il peggio sarebbe passato e addirittura l'Italia avrebbe reagito meglio di altri Paesi".
 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

 

Merkel: tassa sulla finanza

24 maggio 2010 - di Beda Romano
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Dopo mesi di apparenti incertezze e tatticismi il cancelliere Angela Merkel sta cercando di mostrare leadership. Ieri ha tentato ancora una volta di convincere i tedeschi ad accettare il pacchetto di aiuti europei ai paesi più deboli della zona euro, cavalcando l'idea di una tassa sulle attività finanziarie. L'ipotesi è ancora tutta da definire, ma è vista di buon occhio da un'opinione pubblica molto critica nei confronti delle banche.
«Non bisogna essere particolarmente perspicaci per indovinare che non sarà un tema su cui ci accorderemo fin dalla prima cena - ha detto la signora Merkel durante una conferenza a Berlino - ma non penso che faremmo fallire i mercati se introducessimo una tassa internazionale. Farò campagna in questo senso». L'idea circola da qualche settimana. Verrà discussa in occasione di un vertice del G-20 in Canada alla fine di giugno.
In un momento di accese critiche al sistema bancario, accusato da più parti in Germania di essere responsabile della crisi finanziaria, il cancelliere tedesco vuole assolutamente strappare un accordo a livello internazionale da usare anche in politica interna. Ma non è chiaro a cosa pensi il governo tedesco: a una Tobin Tax, in altre parole a un'imposta sulle transazioni finanziarie? O a una tassa sulle attività finanziarie, come proposto dal Fondo monetario internazionale?
In ogni caso, «la mia richiesta al G-20 e alla presidenza sud-coreana (che prenderà dal Canada la guida di questo consesso nei prossimi mesi, ndr) è la seguente: penso che questo compito debba essere portato avanti anche dai paesi che non sono stati toccati dalla crisi», ha detto la signora Merkel durante una conferenza organizzata per illustrare le priorità tedesche nella regolamentazione finanziaria. Il tema di una tassa sui mercati ha già suscitato dissensi nei mesi scorsi.
Ieri il segretario al Tesoro canadese Tim Macklem ha ammesso che «non vi è un consenso» sulla questione e «mancano soluzioni uniformi». La Francia, in particolare, ha seguito l'esempio tedesco nelle scorse settimane con la messa a punto di una tassa nazionale sui profitti bancari, ma ieri il ministro delle Finanze Christine Lagarde è rimasto vago su un'imposta più generale: siamo «sulla stessa linea», ha detto, senza però precisare quale essa sia.
La verità è che la Germania sta combattendo su più fronti in modo confuso. Negli ultimi giorni, il governo democristiano-liberale ha presentato un programma di rafforzamento del patto di stabilità; ha vietato unilateralmente le vendite allo scoperto; ha insistito sull'idea di una tassa sui mercati finanziari. Dopo mesi di incertezze dinanzi agli sviluppi della crisi greca, il cancelliere è partito all'attacco per meglio difendere le priorità tedesche.
A breve termine probabilmente il suo obiettivo è quello di rassicurare l'opinione pubblica tedesca, preoccupata dalla crisi dell'euro e arrabbiata con le banche per la gravissima crisi finanziaria. Oggi il parlamento tedesco - uno dei primi a compiere questo passo - dovrebbe approvare un pacchetto composto da garanzie finanziarie per 440 miliardi di euro che serviranno ad aiutare gli anelli deboli della zona euro. La quota tedesca è di circa 130 miliardi.
Questo paracadute europeo non piace a molti in questo paese. Ieri il presidente dell'istituto bavarese Ifo Hans-Werner Sinn ha sostenuto che non vi sono in questo momento «rischi sistemici». Al contrario, secondo l'economista tedesco, il pacchetto finanziario a favore della zona euro «comporta incalcolabili pericoli per la Germania e provocherà sicuramente un rallentamento della sua crescita economica».
Secondo il capogruppo della Cdu al Bundestag Volker kauder il passaggio del progetto di legge è da considerarsi cosa fatta. Ieri i partiti hanno organizzato un voto di prova che ha avuto successo, tenuto conto dell'ampia maggioranza Cdu-Fdp alla Camera Bassa: solo sette deputati della coalizione di governo hanno votato contro e due si sono astenuti. Dal canto suo il partito socialdemocratico ha detto che in linea di massima si asterrà.
 

Fonte - ASCA

 

 

Il conto salato delle mancate riforme

24 maggio 2010 - 16:08 - di Sara Silano
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In un rapporto pubblicato a fine 2009, Allianz Global Investors indicava la Grecia come il Paese europeo con il maggior bisogno di una riforma pensionistica. La mancata attuazione ha portato alla crisi attuale, che ha messo in ginocchio l’intera Europa. Ma Atene non è l’unica nazione che rimanda i cambiamenti strutturali al sistema previdenziale, sottovalutando i pericoli di default che derivano dal progressivo invecchiamento della popolazione.
Secondo l’indice sulla sostenibilità delle pensioni elaborato da Allianz GI, che tiene conto delle condizioni demografiche, delle finanze pubbliche e delle caratteristiche del sistema previdenziale di ciascun Paese, anche la Spagna ha urgente bisogno di riforme, mentre il Portogallo ha imboccato nel 2009 la strada del cambiamento, agganciando il reddito della fase post-lavorativa all’aspettativa di vita. L’Italia è messa un po’ meglio dato che negli anni passati ha fatto alcuni sforzi per ridurre l’incidenza della spesa per le pensioni sul Prodotto interno lordo. Rimane, tuttavia, la nazione che, dopo la Spagna, sta invecchiando più rapidamente. Sul fronte opposto c’è l’area scandinava e la Danimarca, meglio posizionate dal lato demografico e previdenziale.
Maglia nera a Cina e India A livello mondiale, i Paesi che hanno maggior urgenza nell’attuare le riforme sono la Cina e l’India, perché hanno un sistema inadeguato. Il dato può sorprendere dato che queste nazioni non hanno i problemi di invecchiamento della popolazione che ora stanno mettendo a dura prova l’Europa. In realtà, come ha spiegato Alexander Borsch, analista del settore pensionistico per Allianz GI, durante la conferenza sull’Asia di RCM ad Amburgo, l’aspettativa di vita è cresciuta rapidamente nell’area del Pacifico, con conseguente aumento degli ultra-sessantenni. Inoltre, dagli anni Sessanta ad oggi il tasso di fertilità (numero di bambini per ogni donna) è sceso drasticamente.
“La popolazione cinese in età lavorativa avrà il suo picco tra il 2010 e il 2011, poi scenderà rapidamente”, dice Borsch. “Entro il 2050, gli ultra-sessantenni saranno un terzo del totale nell’ex celeste impero, più di tutti gli abitanti degli Stati Uniti”. I processi di invecchiamento saranno più veloci in Asia rispetto all’Europa, come conseguenza degli elevati tassi di sviluppo economico, delle politiche di contenimento delle nascite, di un progressivo maggior benessere e dell’allargamento delle opportunità lavorative per le donne.
I sistemi previdenziali in quest’area sono stati introdotti solo dopo gli anni Novanta e sono ancora in uno stato embrionale; tuttavia il loro sviluppo avviene con dinamiche demografiche più favorevoli rispetto all’Europa, dove le riforme sono urgenti perché l’invecchiamento della popolazione è a uno stadio più avanzato. Insomma, l’Asia non deve correggere un sistema che non è più in grado di sostenersi, ma partire dal nulla (o quasi) per costituirlo. “Lo schema preferito è quello a contribuzione definita (in cui è predeterminato l’importo da versare al fondo, ndr )”, dice Borsch. “Esso è caratterizzato da portabilità, trasparenza e dal trasferimento del rischio dell’investimento e di longevità sul lavoratore”.
Virtuosi e non Collocata nello spettro globale, il Vecchio continente si colloca ai due estremi sulla base dell’indice di sostenibilità: la Grecia viene dopo India e Cina come il Paese peggio posizionato, mentre la Svezia è quello più virtuoso dopo l’Australia, che è in assoluto il migliore. Il motivo? Il suo sistema è basato su una bassa pensione pubblica e uno sviluppato settore della previdenza integrativa. Per le nazioni “gravemente insufficienti” dal punto di vista delle riforme, il problema è politico e sociale e non va sottovalutato o procrastinato, perché se il reddito dei pensionati non sarà sufficiente per vivere aumenterà la povertà e la necessità di attuare piani di aiuto straordinari, molto difficili da praticare per i Paesi fortemente indebitati.

Fonte - www.morningstar.it

 

 

 

 
 

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