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INDICE ARTICOLI di TESTA

 

PARTE 2

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Borse e Mercati - Sentiment & Opinioni

Borsa: segnali di nervosismo e impennata della volatilità

Borse e Mercati - Sentiment & Opinioni

Borsa? No, è il mercato dei bond a dettare legge

Borse e Mercati - Sentiment & Opinioni

La visione dei mercati di Buffett

Agenzie Rating

Moody's, S & P e Fitchecco chi comanda nelle agenzie di rating

Cronologia sessioni

Borse: Resoconto di una settimana clamorosa

Borse e Mercati - Sentiment & Opinioni

Fugnoli, l'abituale ottimista, oggi fa una previsione catastrofica

Borse e Mercati - Sentiment & Opinioni

Previsioni. Nonostante le difficolta', lo S&P500 salira' a quota 1350

Borse e Mercati - Sentiment & Opinioni

Wall Street: Russell (Dow Theory) ovviamente non e' ottimista

Corporate bond - Sentiment e situazione

Incubo corporate bond, i numeri ricordano il crollo di Lehman

Crisi creditizia / Effetti collaterali

La massa monetaria Usa sta crollando come durante la Grande...

 
+++   TOP NEWS   +++   MERKEL PROPONE UN'EUROPA CON PAESI DI "SERIE A" E DI "SERIE B". GRECIA, TUTTO OK   +++   Grecia:accordo su 110mld aiuti in 3 anni   +++  Ws: DOW JONES IN PICCHIATA PERDE 1000 PUNTI POI RISALE A -500   +++   Usa: Chiuse Altre 4 Banche, Da Inizio Anno 68 Fallimenti   +++   Crisi: Ue Vara Super-Piano Da 750 Mld Euro   +++  Crisi: Economisti, Recuperano Borse Ma l'Euro Torna a Scendere   +++  Borsa: Nuova Ondata Di Vendite. La Merkel Favorisce La Zampata Dell'Orso   +++   Borsa, mese nero per l'Europa (-9,6%)   +++   Ws: un mese da dimenticare (-7%). Spagna dice addio a tripla A   +++   TOP NEWS
 
  Sabato 01 Maggio 2010   Lunedì 03 Maggio 2010   Martedì 04 Maggio 2010  
       
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INDICE ARTICOLI - Seconda pagina e flash

   

Le banche Usa continuano a chiudere

Primi segnali di tensione per i tassi sul monetario

La borsa cinese si apre ai gruppi esteri

Le banche nel mirino degli Usa

CINA: RISCHIO CRASH NEL GIRO DI NOVE MESI, UN ANNO

La Super-Fed avanza al Senato

Mercati del credito 3 Mag. – salvataggio festivo, nubi cinesi

Il piano salva i Pigs ma schiaccia le Borse

Le agenzie di rating e i PIIGS

La settimana, 19/2010

Iraq, un'affare da 40 miliardi. Forse

Gli effetti nascosti dell'incidente BP

TASSI & BOND: UNA BOMBA A TEMPO CHE COSTERA' MIGLIAIA...

Scaroni: "C'è petrolio per i prossimi 70 anni" (Expansion)

Cercare l'ombrello sicuro. Un rifugio nei titoli tedeschi

ANALISI / Una crisi che ricorda il dopo Lehman

Mercati del credito 5 Maggio 2010. Dagli all’untore

Mr Doom Roubini prevede ancora un 20% di calo

La fine di un rally

Credito: banche americane con "problemi" salgono a 775

Borse, tanti errori in una sola settimana

Borsa: il grafico per ora e' identico al crash del 1929

La settimana, 18/2010

La Ue propone un fondo per gestire i fallimenti bancari

ATTENZIONE ALL'EUFORIA DROGATA. ALERT ESPERTI

Parla il guru: BRIC, il toro è già qui e si scatenerà ancora

   
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  Borsa: segnali di nervosismo e impennata della volatilità

02 Maggio 2010 21:33 BIELLA – di *Maurizio Milano

*Questo documento e' stato preparato da Maurizio Milano, resp. Analisi Tecnica Gruppo Banca Sella

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Prove tecniche di correzione. Nella seduta di martedì vendite improvvise respingono gli indici Usa verso i primi supporti, dove scatta un veloce rimbalzo seguito da nuove vendite sul finale d’ottava. Una settimana all’insegna del "nulla di fatto" per l’azionario americano, si potrebbe dire, visto che gli indici rimangono poco al di sotto dei massimi di periodo, ma che riflette comunque un nervosismo crescente. Prosegue invece l’andamento negativo delle Borse europee, oramai quasi tutte in territorio negativo da inizio anno.

Il Nasdaq Composite ripiega velocemente verso il supporto a 2450, per poi risalire sopra 2500 e ridiscendere sul finale di settimana verso 2450. Ricordiamo che l’area 2500/50 rappresenta l’obiettivo del bear market rally, in cui è opportuno alleggerire l’esposizione, in ottica prudenziale. Il quadro tecnico rimane fragile: un segnale convincente di perdita di spinta si avrebbe, tuttavia, solo su discese sotto 2450, da considerarsi come livello di protezione per le posizioni lunghe ancora aperte. Sotto 2450, infatti, scatterebbero veloci vendite verso 2395 e quindi a testare il forte supporto in area 2325/45. Sotto 2325 (prematuro) l’obiettivo sarebbe poi 2250 e quindi il supporto critico in area 2200/20, la cui tenuta è necessaria per mantenere una buona impostazione per i prossimi mesi.
Scivolone e tentativo di assestamento anche per il Dow Jones Industrial che dai massimi a 11250 scende verso 11000. Il quadro tecnico rimane fragile: la rottura di tale supporto confermerebbe il segnale di debolezza, con primo obiettivo l’area 10700/800, sotto cui si proporrebbe il test dell’area 10400/500: la rottura di quest’ultimo supporto (prematuro) darebbe poi un segnale ribassista anche per le settimane a venire. Gli acquisti riprenderebbero sopra 11250 (prematuro), con obiettivo 11400 ed estensioni verso l’area chiave di resistenza 11750-12000, che dovrebbe comunque arrestare il rialzo per molti mesi a venire.

Veloce discesa anche per l’indice S&P500 che riesce comunque a mantenersi al di sopra del supporto a 1185. Il quadro tecnico rimane fragile: la rottura di 1185 provocherebbe un’accelerazione ribassista verso il forte supporto a 1150. Sotto 1150 (prematuro) si proporrebbe poi il test dell’area 1105/15, con estensioni verso il supporto critico in area 1080/85, la cui tenuta è necessaria per mantenere una buona impostazione per i prossimi mesi. Gli acquisti riprenderebbero solo su chiusure settimanali sopra 1215 (prematuro), con obiettivo 1255/65 ed estensioni verso la resistenza chiave a 1315, che dovrebbe comunque arrestare il rialzo dell’indice per molti mesi a venire.
Sull’indice DJEurostoxx50, la rottura del supporto in area 2850/70 ha determinato un ulteriore peggioramento del quadro tecnico con le quotazioni scivolate fino a un minimo a 2762. Al di sotto di 2760 sono possibili discese a testare il supporto critico in area 2700/20 (al di sotto i minimi dell’8 febbraio a 2618, la cui tenuta è necessaria per mantenere una buona impostazione per i prossimi mesi). Le spinte ribassiste diminuirebbero sopra 2850 ma il tono migliorerebbe solo sopra 2900 (poco probabile) e gli acquisiti riprenderebbero solo sopra 2965/85 (improbabile), con obiettivo i massimi in area 3025/45, sopra cui si avrebbero estensioni verso la resistenza chiave a 3150, che dovrebbe comunque arrestare il rialzo dell’indice per molti mesi.
Dalla metà di aprile la volatilità implicita (cfr. Indice Vix relativo allo S&P500) ha avuto un andamento fortemente erratico tra i minimi dell’anno a ridosso di 15,50-16 e la resistenza a 20. Il recente superamento, con un forte balzo, di quota 20 e lo sbuffo verso 22,75-23,20 confermano i segnali di tensione. Un chiaro peggioramento del quadro tecnico si avrebbe poi al superamento della forte resistenza a 25 (prematuro).

Un rasserenamento si avrebbe solo su veloci ridiscese del Vix sotto 17,50-18,40, seguite da una sua stabilizzazione. Una volatilità in risalita ed instabile, infatti, rappresenta sempre un campanello d’allarme che non può essere ignorato. In una scala crescente di percezione del rischio in 4 diversi colori - verde, giallo, arancione e rosso - potremmo dire che siamo passati da una situazione di serenità, di rischio "verde" (Vix stabile sotto quota 20), ad una situazione di relativo nervosismo, di rischio "giallo" (Vix sopra 20 e molto erratico, ma ancora sotto la resistenza critica a quota 25). Il "termometro del rischio" salirebbe ad arancione solo col superamento di 25 (prematuro).
In tempi incerti, in cui sembrano esserci più rischi che non opportunità (tra cui anche l’euro/dollaro a rischio di forti scivoloni, ad esempio) e comunque sono probabili molti falsi segnali, è opportuno mantenere un basso profilo di rischio. Nei prossimi 1-2 mesi la liquidità tornerà probabilmente ad essere l’asset più interessante in cui parcheggiare il denaro. Molto meglio perdere delle opportunità che non il proprio capitale: in attesa di tempi migliori, ad esempio una bella correzione da sfruttare per rientrare sul mercato azionario.
 

Fonte - xxx

 

 

 

 

 

Le banche Usa continuano a chiudere

domenica, 2 maggio 2010 - 19:50 - di MIAECONOMIA
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E siamo a 64. E' lo sterminato numero di banche Usa che hanno chiuso dall'inizio del 2010, portando altri miliardi a carico dell'Fdic, l'ente federale che e' stato istituito da governo statunitense per evitare il peggio al momento della crisi. Nel giro di pochi giorni si sono aggiunte alla lista nera qualcosa come 7 banche regionali, un po' da tutte le parti del paese.
C'e' il Missouri, che ha visto nel fine settimana chiudere due banche, ma anche Washington, Michigan e perfino altri tre istituti di Porto Rico. Tutti in fila con l'Fdic che e' stato costretto a intervenire con quasi 7,4 miliardi di dollari, per le sole banche portoricane sono stati impiegati qualcosa come 5,28 miliardi di dollari a fronte di depositi per 14,84 miliardi.
Forse non e' un caso che il quotidiano Wall Street Journal sottolinei come l'Fdic stia affrontando una raffica di fallimenti come non se ne vedevano dagli inizi degli Anni 90, in occasione della crisi del risparmio e dei prestiti.
In parte come previsto, forse, ma il segnale non e' incoraggiante, nel solo mese di aprile ben 23 banche statunitensi hanno chiuso i battenti, per adesso il mese record come se la recessione non si stia allontanando ma proprio il contrario. Il circolo vizioso sembra essere legato anche al mondo del lavoro, tanto che si prevede un aumento ulteriore delle chiusure a fronte dei tassi di disoccupazione che rimangono alti e impediscono alle famiglie di onorare parecchi arretrati pendenti.
Tanto che la progressione e' impressionante, a gennaio 15 banche venivano chiuse, a febbraio scendevano a 7, per poi decollare a 19 in marzo fino appunto ai 23 fallimenti di aprile. A conti fatti siamo gia' quasi alla meta' delle 140 banche chiuse in tutto il 2009, anche se ci troviamo ad appena un terzo dell'anno.

 

Fonte - MIAECONOMIA

 

 

La borsa cinese si apre ai gruppi esteri

02 Maggio 2010 11:01 - di Sole 24 ore
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SHANGHAI - Shanghai attende l'apertura dell'Expo per annunciare la sua prossima rivoluzione finanziaria. «Entro la fine dell'anno saranno pronti i nuovi regolamenti per la quotazione in Borsa delle società straniere», ha annunciato ieri (giusto alla vigilia dell'inaugurazione dell'Esposizione Mondiale 2010) il direttore generale dello Shanghai Financial Service Office (Sfso), Fang Xinghai.
Si tratta di una grossa novità. Attualmente, infatti, alla Borsa Rossa sono quotate solo azioni di società cinesi. Che possono essere di due tipi: le «azioni A», denominate in yuan, che rappresentano ben oltre il 90% della capitalizzazione complessiva dei listini di Shanghai e Shenzhen; e le «azioni B» che, invece, sono denominate in dollari. Con la riforma messa in cantiere dalle autorità finanziarie, il parterre shanghainese aprirà le proprie porte alle aziende straniere.
Quali saranno i criteri e le modalità dell'ammissione in quotazione di queste ultime non è ancora ben chiaro. Secondo alcune indiscrezioni di mercato, le società straniere saranno autorizzate a emettere azioni di tipo A. Le dichiarazioni rilasciate ieri da Fang confermano questa ipotesi. «Le quotazioni di titoli di aziende estere alla nostra Borsa consentirà agli investitori cinesi di acquistare le migliori società del mondo, e di aumentare così il loro ritorno sull'investimento», ha spiegato il direttore generale dello Sfso. Se l'obiettivo è questo, è evidente che la quotazione dovrà essere in yuan, visto che oggi sono ancora pochi i cittadini cinesi detentori di conti in valuta estera.

Come accade puntualmente in Cina quando si varano riforme che schiudono finestre di opportunità agli stranieri, anche quella della Borsa Rossa sarà un'apertura graduale e a piccoli passi. «Il primo gruppo di candidate alla quotazione a Shanghai sarà composto da aziende straniere che conoscono bene il mercato cinese e che hanno con una forte presenza locale», ha aggiunto Fang.
Con queste premesse non è difficile indovinare chi sarà la società estera a lanciare la prima Offerta pubblica di vendita della storia oltre la Grande Muraglia: quasi sicuramente Hsbc, oppure come seconda scelta Bank of East Asia, un grosso istituto di credito di Hong Kong ben radicato da anni in Cina.
L'apertura della Borsa Rossa alle società d'oltremare è un'altra tappa cruciale nell'evoluzione di Shanghai come piazza finanziaria internazionale. Entro il 2020, la città vorrebbe superare Hong Kong e Singapore, e diventare il principale mercato finanziario asiatico. Il piano è suggestivo e ambizioso, ma sembra non fare i conti con due ostacoli non da poco: l'inconvertibilità del renminbi e lo scetticismo di Pechino.

 

Fonte - Sole 24 ore

 

 

 

CINA: RISCHIO CRASH NEL GIRO DI NOVE MESI, UN ANNO

03 Maggio 2010 16:19 NEW YORK - di WSI
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Parla l'investitore super-short Marc Faber (che vive a Singapore). "L'economia di Pechino e' destinata prima a rallentare e poi a crollare". Gia' rialzati i tassi. E basta leggere i cali di commodity e azionario: la bolla immobiliare sta per scoppiare.
L'economia della Cina e' destinata a rallentare il passo e poi, con ogni probabilita', a crollare clamorosamente entro un anno. La prova la stanno offrendo i recenti cali dei mercati di materie prime e azionario di Pechino, chiari indicatori del fatto che la bolla immobiliare sta per esplodere. Anche per via dell'aumento delel riserve obbligatorie decise dalle autorita' cinesi (vedi a fondo pagina).
A lanciare l'avvertimento e' l'investitore super-gufo e super-short Marc Faber (vive e gestisce il suo fondo di investimento a Singapore e conosce i mercati asiatici come le sue tasche) il quale, intervistato da Bloomberg TV, ha sottolineato come quello che "il mercato ci sta dicendo non e' molto confortante. L'economia cinese rallentera' a prescindere da altri fattori. E' probabile che avremo persino un crash in Cina, nei prossimi nove-dodici mesi".
L'investitore e autore del Gloom, Boom & Doom Report (uno degli short piu' famosi e accaniti di Wall Street, come dimostrano le allegre immagini sul suo sito...) ha elencato a Bloomberg TV gli elementi a supporto della sua tesi: i titoli delle societa' australiane esportatrici di risorse, la Borsa di Shanghai e le commodity industriali stanno tutte uscendo dalla bolla, e nelle ultime settimane prezzi e valori hanno ceduto pesantemente terreno.
"Inoltre l'inaugurazione dell'Expo mondiale di Shanghai la settimana scorsa non e' un segnale particolarmente buono", ha aggiunto Faber, citando vari casi in cui questi eventi di solito sono simbolici di un top gia' toccato, dopo il quale c'e' solo il declino.
Cio' e' valso anche per le Olimpiadi di Pechino nel 2008 (li' ci fu l'apex sul mercato azionario cinese) e come ben sa chi si occupa di mercati finanziari, lo stesso discorso vale ogni volta che un'azienda, un gruppo o una banca costruiscono il piu' alto o piu' bel grattacielo del momento: e' un picco massimo per molto tempo.
Piu' in concreto, la negativita' di Marc Faber si manifesta dopo che le autorita' in Cina hanno approvato un aumento delle riserve obbligatorie (RRR) misura che ha ovviamente brutti effetti sull'azionario. Nonostante cio' la decisione di Pechino per raffreddare un'economia e un mercato immobiliare surriscaldati, non e' sufficiente. Un report di JP Morgan ammette: "Il rialzo di 50 punti base delle riserve (RRR) da parte della Banca Centrale di Pechino conferma due messaggi di politica monetaria: (1) C'e' bisogno di ulteriori strette sui tassi da parte della Cina; (2) Il "passo" di queste strette sara' moderato, anche perche' Pechino vuole dimostrare di non avere fretta".
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

Mercati del credito 3 Maggio 2010 – salvataggio festivo, nubi cinesi

Monday, 3 May, 2010 - di John Christian Falkenberg
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Mercati del credito semichiusi a causa della festività inglese. La proposta di salvataggio greco è sicuramente positiva, ma i mercati USA ed asiatici soffrono per le vicende di Goldman Sachs e, soprattutto, per le misure restrittive cinesi che minacciano di disseccare una delle maggiori fonti di liquidità del mercato.
Il pacchetto di salvataggio per Atene permetterebbe al governo greco di non dover più tornare sul mercato almeno per due anni circa. Rimangono le perplessità sui dettagli e sulla capacità del governo Papandreou di imporre le misure d’austerità, che non paiono comunque irrealizzabili: sono paragonabili a quelle implementate dall’Irlanda, senza aiuti internazionali, e meno severe di quelle imposte dallo stesso IMF alla Lettonia, in cambio di un altro pacchetto d’aiuti. La migliore sintesi , per il momento, rimane quella del Wall Street Journal “La Grecia ottiene aiuti, promette austerità”. Rimane da vedere come si evolverà la situazioine per le altre nazioni pesantemente indebitate: il contagio greco è soltanto un fattore fra quelli che hanno fatto lievitare i differenziali di rischio fra Germania ed altre nazioni europee; il quadro dei fondamentali rimane preoccupante .
Per puntellare ulteriormente la situazione di liquidità, la Banca Centrale Europea ha sospeso le proprie stesse regole sui titoli forniti a garanzia dei finanziamenti alle banche: continuerà a prestare denaro contro qualsiasi titolo di stato greco, indipendentemente dal rating. In questo modo l’ECB potrebbe continuare a fornire liquidità al sistema bancario greco, sull’orlo del collasso, oltre che e alle banche tedesche maggiormente esposte, anche in caso di declassamento del debito di Atene anche da parte di Moody’s o Fitch, oltre che di Standard & Poor’s.
Sul fronte americano, la chiusura di venerdì è stata pesantemente influenzata dalle vicissitudini dell’inchiesta su Goldman Sachs.
In Asia, gli indici azionari chiudono al ribasso non soltanto per il “contagio ” di Wall Street, ma anche per i tentativi delle autorità cinesi di sgonfiare la propria bolla speculativa immobiliare aumentando i coefficienti di riserva obbligatoria del sistema bancario per la terza volt ain un anno. I mercati cinesi veri e propri sono chiusi sino a domani, ma l’indice di Hong Kong perde l’1.5% e vi sono forti timori della reazione dei mercati domestici alla riapertura. Data l’imponente aiuto alla liquidità internazionale data dagli acquisti cinesi , ogni inveriosne di tendenza rischia di creare notevoli turbolenze nel breve periodo.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

 

  Borsa? No, è il mercato dei bond a dettare legge

05 Maggio 2010 01:28 NEW YORK – di *Leon Zingales

*Leon Zingales, collaboratore di WSI, PhD in Fisica, e' professore al Dipartimento di Matematica dell'Università di Messina e autore del blog IlCignoNero.

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La maggior parte degli osservatori reputa il mercato azionario l’indicatore privilegiato dello stato della crisi. Non e' cosi' (...).

In Fisica è noto come ogni particella debba essere rivelata con opportuni strumenti. Qualora cercassimo di acchiappare i neutrini usando retini per farfalle non osserveremmo nulla. Ciò non significa che i neutrini non esistono: si è semplicemente sbagliato lo strumento rivelatore.
I mercati azionari sono ormai completamente distaccati dal sistema reale e le fluttuazioni dei mercati obbligazionari sono semplici oscillazioni che servono a trasferire risorse dal parco buoi verso gli agenti informati. In questo senso i mercati azionari non sono più un indicatore della crisi. La FED è pesantemente intervenuta nel mercato azionario guidandolo con sapienza, mediante un classico effetto leva, onde consentire, mediante poche (si fa per dire) centinaia di miliardi di dollari, una adeguata ricapitalizzazione del sistema finanziario.
Il vero terreno di battaglia si è spostato nel mercato obbligazionario, in particolare nella guerra per l’acquisto delle bombole di ossigeno per gli stati: la battaglia dei titoli sovrani. Le fluttuazioni dei mercati obbligazionari sono ben più pericolose. L’attacco contro la Grecia è ormai un caso da manuale con un meccanismo ben oliato: si attaccano i punti deboli della zona Euro, si fanno volare i rendimenti obbligazionari, si gonfiano i CDS e, nel contempo, per contraltare, si impone il dollaro come moneta di rifugio.
Ma il troppo è troppo: sottoporre a sollecitazioni sempre più ampie un sistema rigido come l’euro sta celermente conducendo la moneta unica verso il punto di rottura. Continuare la speculazione contro l’euro onde consentire la vendita dei TBills USA è ormai divenuto rischioso come buttare un cerino acceso dentro una pompa di benzina.
Nel momento in cui la fluttuazione sui Titoli di Stato amplificata dagli speculatori raggiunge una soglia critica il sistema esibirà una transizione di fase. Un repentino flusso di informazioni si propagherà per l’intero sistema mutando il suo stato termodinamico. Non si creda di poter isolare il possibile default della Grecia in un compartimento stagno sterilizzando il resto del sistema Euro. L’eventuale fallimento determinerà un effetto domino che contagerà in modo repentino molti altri paesi della zona Euro (Portogallo, Irlanda e Spagna, detti PIIGS) e poi si espanderà come un virus inarrestabile fino ai pachidermi: Gran Bretagna ed USA in primis.
L’errore (e direi anche l’orrore) degli economisti classici è credere che in il tempo sia omogeneo. In prossimità di una transizione di fase il tempo corre: ghiacciata una porzione di sistema, l’intero sistema celermente congelerà.
Si sono lanciati generici allarmi sul deterioramento dei conti pubblici, credendo che il tempo giochi a proprio favore consentendo graduali e poco dolorosi aggiustamenti; ormai il tempo dell’economia non si misura più in anni, tutto sta accelerando. Gli eventi precipitano: il punto critico è vicino e nei prossimi mesi (se non addirittura settimane) si ballerà parecchio.
 
 

Fonte - www.IlCignoNero.it

 

 

 

  Mercoledì 05 Maggio 2010   Giovedì 06 Maggio 2010   Venerdì 07 Maggio 2010  
       
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Le agenzie di rating e i PIIGS

05 Maggio 2010 08:28 - A cura di Jim Leaviss, Head of Retail Fixed Income di M&G Investments
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Dopo il declassamento della Grecia (fino a ”spazzatura”) e del Portogallo (fino ad A -) di martedì scorso, Standard & Poor’s ha guardato alla conseguente carneficina nel mercato delle obbligazioni sovrane e ha deciso che mercoledì sarebbe stato il turno della Spagna. Il rating sul debito sovrano della Spagna è stato abbassato da AA+ ad AA, solo di un livello, ma abbastanza per far allargare lo spread dei CDS oltre i 200 punti base, e assistere all’ampliamento degli spread del credito sulle banche di 20 punti base, e ancora di più sul debito senior.
Anche se sappiamo che le posizioni fiscali nei Paesi periferici della zona euro sono deboli e in via di deterioramento, ci preoccupa che la decisione di declassamento derivi principalmente dall’oscillazione dei prezzi delle obbligazioni. In altre parole, i rating sul credito sono stati tagliati perché i prezzi delle obbligazioni sono scesi. In una certa misura questo è razionale – poiché il costo degli interessi sale all’aumentare dei rendimenti delle obbligazioni governative, e la fiducia sul credito cade. Le agenzie di rating hanno esplicitamente parlato di questo, per esempio quando Moody’s all’inizio di aprile ha tagliato il rating della Grecia, ha motivato asserendo: “C’è un rischio significativo che il debito possa stabilizzarsi a un livello più alto e più costoso rispetto a quello precedentemente stimato”. Nel mercato high yield la caduta nelle previsioni di default da parte delle agenzie di rating dal 20% del 2009 al di sotto del 5%, è stata ampiamente trainata dagli spread dei junk bond subordinati, e non da un miglioramento degli utili.
Ma il punto è: abbiamo davvero bisogno delle agenzie, se i loro rating riflettono in gran parte quello che il mercato obbligazionario dice loro? La vera informazione non è semplicemente il prezzo? Il problema è che le agenzie di rating rimangono importanti; i mandati per i fondi pensione includono clausole che li forzano a vendere al di sotto di determinati livelli di rating, e anche la Banca Centrale Europea ha dei limiti all’accettazione di collaterale che accetterà sul proprio mercato monetario in base ai rating ufficiali (attualmente i junk bonds sono esclusi, anche se la Grecia continua ad avere i requisiti perché mantiene il rating investment grade da altre agenzie).
Cosa dice adesso il mercato dei CDS sul rischio del credito sovrano se pensiamo che predica il rating sul credito? Il declassamento della Grecia da parte di Standard & Poor’s era ampiamente in ritardo, e alla chiusura di giovedì il costo per assicurare il debito greco era superiore a quello del debito pakistano (B-) e ucraino (B-) e solo 100 punti base in meno rispetto all’Argentina (B-). Il Portogallo (A-) ha chiuso a 321 punti base, a metà strada tra la Lettonia (BB) e il Libano (B). Il mercato sta valutando che il rating AA dell’Irlanda sia molto vulnerabile considerato che il CDS a 218 punti base la schiaccia tra la Croazia (BBB), l’Ungheria (BBB-) e l’Egitto (BB+). La Spagna (rating AA, 189 punti base) è tra il Kazakistan (BB-) e la Turchia (BB). (Tutti i rating riportati sopra sono di Standard & Poor’s – in genere le altre agenzie sono state ancora più lente nel declassare i Paesi, considerando che Fitch e Moody’s classificano la Spagna rispettivamente AAA e Aaa).
 

Fonte - M&G Investments

 

 

Iraq, un'affare da 40 miliardi. Forse

martedì, 4 maggio 2010 - 13:46 - di Marco Caprotti
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Che fosse un successo era prevedibile. Ora resta da vedere come le aziende che hanno vinto i diritti di estrazione in Iraq sapranno approfittarne. Ad aggiudicarsi le concessioni sono state Schlumberger, Baker Hughes, Weatherford e Halliburton. Per ottenere i ricchi contratti di estrazione di petrolio e gas si sono impegnate ad aumentare la capacità di estrazione dell’Iraq di 12 milioni di barili al giorno rispetto ai 2,5 milioni di oggi. Per farlo avranno sei-sette anni al massimo.
“Se ci riusciranno, avranno ottenuto uno degli obiettivi più grandi nella storia dell’industria petrolifera”, spiega uno studio di Stephen Ellis, analista di Morningstar che prevede per le aziende coinvolte nella fornitura di servizi ai vincitori un guadagno di 40 miliardi di dollari almeno. “Con questi numeri è impossibile immaginare quanto guadagneranno le aziende che hanno vinto i contratti e che daranno gli appalti in sub fornitura”, continua il report. Fra questi potrebbe esserci anche qualche italiano. I nomi sono sempre i soliti: Eni e Snam Rete Gas che, con i vincitori, vantano diversi contratti di collaborazione in giro per il mondo.
Resta il fatto che la storia delle estrazioni di petrolio in Iraq non è mai stata facile. La produzione del Paese arabico ha toccato il picco dei 3 milioni di barili al giorno nel 1979. L’arrivo di Saddam Hussein al potere è coinciso con un periodo di stagnazione. “Attualmente, secondo le stime che arrivano dai consulenti del settore, si pensa che il sottosuolo iracheno contenga l’equivalente di 200 miliardi di barili”, dice Ellis. “Se la cifra fosse vera, si tratterebbe della terza riserva a livello mondiale”.
I conti con il conflitto L’ultima guerra del Golfo non ha comunque facilitato le cose. A metà del 2009 si era già tenuta un’asta per la concessione dei diritti di esplorazione ed estrazione che però, a causa delle difficoltà del conflitto e dei termini onerosi previsti dal governo dell’Iraq, era andata praticamente deserta. Con l’ultima asta è stato deciso di basare i livelli di produzione sulla richiesta di mercato, considerando che il Paese, anche alla luce delle condizioni infrastrutturali, può esportare fino a 1,9 milioni di barili al giorno.
Sulle opportunità del Paese – di conseguenza sui guadagni che possono realizzare le aziende coinvolte e i loro soci – è scettico Nouriel Roubini, professore alla Stern Business School della New York University, presidente della società di analisi RGE, famoso negli ambienti finanziari per aver previsto con largo anticipo la crisi dei subprime che ha sconvolto i mercati mondiali. “Gli interessi commerciali esteri non sono un problema”, spiega in uno studio. “I bassi costi per gli investimenti e i termini favorevoli espressi con i nuovi contratti invitano i gruppi internazionali a investire nel Paese”.
A cosa non pensano i vincitori Ci sono però tre problemi di cui, secondo il professore, le aziende petrolifere, attratte dalla possibilità di ricchi guadagni non hanno tenuto conto. Il primo è che non sono chiari i paragrafi relativi alle proprietà dei campi di estrazione e della distribuzione delle royalty (la percentuale che l’estrattore deve pagare al Paese in cui si trova la riserva utilizzata). “Si tratta di un problema di non poco conto, in una nazione profondamente divisa anche dal punto di vista etnico e che può ritardare l’inizio delle operazioni” spiega Roubini.
Il secondo ostacolo riguarda le infrastrutture che per arrivare all’esportazione degli 1,9 milioni di barili, devono essere ammodernate. “Un processo molto costoso che, alla fine, potrebbe incidere sul prezzo di produzione, visto che i cantieri saranno responsabilità dei vincitori delle concessioni”. C’è poi da considerare la posizione dell’Opec (l’organizzazione dei Paesi produttori) di cui l’Iraq è un membro senza diritto di voto. Il cartello, se l’estrazione irachena dovesse aumentare, potrebbe chiedere al suo socio di aderire alle quote di produzione imposte agli altri aderenti. “Con tutte queste incertezze, parlare di una crescita dell’estrazione di petrolio iracheno sembra molto ottimistico”, conclude Roubini.
 

Fonte - www.morningstar.it

 

 

 

TASSI & BOND: UNA BOMBA A TEMPO CHE COSTERA' MIGLIAIA DI MILIARDI

05 Maggio 2010 00:28 NEW YORK - di WSI
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Il Tesoro Usa ha $1840 miliardi in titoli non a lungo termine che saranno in scadenza nei prossimi anni. Il rendimento per questi titoli e' compreso tra lo 0.055% e lo 0.545%. Un po' meno di $700 miliardi di Treasury arriveranno a maturazione il 31 marzo 2011. Messi insieme, si hanno $2500 miliardi in scadenza l'anno prossimo, al di la' dei circa $7750 miliardi che il Tesoro ha messo all'asta. Tenere un terzo dei soldi presi in prestito sotto forma di titoli a breve scadenza rappresenta una grande scommessa con tassi che restano bassi. Fino a che restano su livelli minimi, le cose restano relativamente sotto controllo. Ma prima o poi il costo del denaro tornera' a crescere. Solo tre anni fa, il governo ha dovuto pagare oltre il 5% sui Titoli a tre mesi. Se un rialzo del 5% si verificasse ora, il costo a carico del Tesoro per prendere a prestito $2500 miliardi potrebbe crescere di $125 miliardi all'anno.

Il problema non si limita soltanto al governo. Molte societa' hanno preso in prestito in questi ultimi trimestri un grande ammontare di denaro attraverso commercial paper a breve termine con bassi tassi di interesse. Vi diciamo, per alcune delle piu' note blue chips di Wall Street, tutte appartenenti allo S&P500, quanto verrebbero a costare in bilancio gli interessi se si verificasse lo stesso incremento del 5% ipotizzato per il governo, nei tassi da pagare per remunerare i commercial paper emessi.
Coem vedrete, si tratta di un tale incremento dei costi, che avrebbe effetti considerevoli sugli utili di queste societa'. E questo vale solo se si guarda alle scadenze a breve. Molte di queste societa', insieme a centinaia se non migliaia di altre, avranno in carico anche obbligazioni di piu' lunga durata che giungeranno a termine nel prossimo futuro e che andranno rifinanziate. Non uno scenario facile. Come se gia' non bastassero le turbolenze che si vivono in questi giorni.
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

Cercare l'ombrello sicuro. Un rifugio nei titoli tedeschi a breve

05 Maggio 2010 00:28 MILANO - di Marco lo Conte
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«Finché i mercati possono andare short sui titoli di stato, puntando sul loro ribasso, si comportano come lo scorpione del famoso apologo: che punge la rana che lo aiuta ad attraversare il fiume, anche se ci rimette la vita. Semplicemente perché è la sua natura». A sostenerlo è un gestore (che preferisce l'anonimato) che così spiega come si debba metter in conto che le cose possano andare male.
Tanto da rimettere in discussione l'idea stessa di un rifugio nel mercato. Già, si fa presto a dire rifugio: la débâcle di borsa ha spinto ieri gli investitori a cercare ricetto sotto il magro ombrello offerto dai titoli governativi europei, che rendono ormai meno dell'1% a due anni. La discesa del rendimento del Bund tedesco – 20 punti base in un giorno, +1% circa di prezzo – pone interrogativi a professionisti e privati: come evitare di finire dentro una nuova possibile spirale come la crisi del credito dell'autunno 2008? Su un punto tutti concordano: per ora la soluzione è stare alla larga dai titoli a lunga a posizionarsi sul breve termine.
«Se cerchi sicurezza nell'area euro vanno bene titoli tedeschi, francesi, olandesi o finlandesi – dice Angelo Drusiani, esperto obbligazionario di Albertini Syz – ma solo le scadenze biennali e comunque pronti a uscire prima della scadenza; i titoli a 5 anni rendono il 2% ma il rischio è eccessivo oggi. L'extrarendimento può arrivare se si sceglie di investire in valuta straniera: i titoli a brevi statunitensi o norvegesi, ad esempio, anche se poco diffusi. Si può scommettere anche su Canada, che segue gli Usa da vicino, oppure su Australia e Nuova Zelanda, che in parte potrebbero beneficiare ancora del rialzo delle materie prime».

Una tattica, ma valida fino a quando? Perché non basta rifugiarsi sotto il Bund tedesco a 2 anni. «Basta un solo cadavere nei paraggi – dice Fabrizio Biondo, Chief investment officer del fondo hedge Swan – e anche gli altri sono sotto scacco: i venti di tempesta sui bilanci pubblici in Europa sono appena iniziati. D'altronde i governi europei hanno distrutto vent'anni di convergenza dei bilanci pubblici, assumendosi i rischi dei privati. Creare inflazione da parte della Bce sarà l'unico modo per allentare la morsa del debito e uscire dalla crisi. Che fare intanto? Spostarsi su altre valute: il dollaro ha un buon upside potenziale e il franco svizzero ha superato la fase più critica e beneficia di un indebitamento ridotto.
Nel Regno Unito la situazione è complicata, visto l'alto indebitamento privato e un sistema previdenziale a prestazione definita che assume su di sé i rischi. Ma sono convinto che dopo le elezioni riusciranno a mette in piedi un pacchetto molto aggressivo». Suonerà anche a Francoforte l'"Arrivano i nostri"? «Solo la Bce può asciugare la speculazione dal mercato», concorda Fabrizio Fiorini, gestore obbligazionario di Aletti Gestielle. «Se interviene assumendo il rischio di ultima istanza, trasferendolo alla moneta e quindi all'inflazione, i periferici potranno recuperare e allineare i rendimenti dei loro titoli governativi ai fondamentali.
Servono però fatti, non parole: la risposta politica alla crisi greca è arrivata fuori tempo massimo e i mercati hanno iniziato ad attaccare gli altri titoli governativi, contagiando tutta l'area. Se l'intera eurozona verrà messa in discussione, solo il cash, il Bund a breve, si salverà. Ma allora in quel caso i problemi saranno altri».

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

 

 

  La visione dei mercati di Buffett

Giovedì, 6 maggio 2010 - 14:26 – di Marco Caprotti

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L’appuntamento è uno di quelli che pochi investitori in tutto il mondo vorrebbero perdere. L’annuale assemblea degli azionisti di Berkshire Hathaway, la società di investimenti di Warren Buffett, che si tiene il primo sabato di maggio è da sempre una delle occasioni per avere spunti operativi e commenti sulla situazione dei mercati. E questa volta gli argomenti sul tavolo erano particolarmente caldi: la crisi finanziaria greca che rischia di contagiare altri Paesi europei e la riforma finanziaria promessa dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama che potrebbe ridisegnare il modo di fare capitalismo.

Per quanto riguarda la tempesta ellenica il guru di Omaha (come viene chiamato negli ambienti finanziari) ha parlato di situazione interessante e unica. “Negli Stati Uniti l’Unione europea viene percepita come un esperimento”, spiega Pat Dorsey, analista di Morningstar. “Una situazione come quella che la Ue sta vivendo è singolare e nessuno può prevedere come andrà a finire. Resta il fatto che il progressivo indebolimento della moneta unica rappresenta un’opportunità per le aziende esportatrici della regione. E Buffett ha detto di guardare con interesse a quelle di dimensioni più grandi. Una strategia che era già stata illustrata tempo fa: Berkshire ormai soffre di gigantismo e non può più concentrarsi sulle aziende piccole e medie”.

Ma il tema più dibattuto durante la convention è stato quello della riforma finanziaria americana che, secondo le intenzioni dell’amministrazione Usa, dovrebbe cambiare il modo di operare delle banche. Che l’argomento sia scottante lo dimostrano anche gli appelli fatti dal presidente Obama ai lobbisti perché non si mettano di traverso. Qualche passo per cambiare le cose in realtà è già stato fatto: la commissione agricola del Senato americano sta discutendo un provvedimento che obblighi gli istituti finanziari a separare le attività bancarie classiche da quelle di trading sui future alimentari. Una decisione necessaria, secondo i promotori della legge, per impedire le speculazioni sui generi di prima necessità.

Sull’argomento future e derivati in genere, Buffett si è dimostrato particolarmente sensibile. Anche perché le operazioni su questo tipo di strumenti sono costati alla sua società quasi 800 milioni di dollari. “Il guru di Omaha, riguardo a questo argomento, è stato molto netto”, continua Dorsey. “Ha detto che si tratta di prodotti che, alla fine, hanno un prezzo troppo alto rispetto ai rischi che fanno correre. E difficilmente, una volta che sono stati sottoscritti, ce ne si può liberare”.
Alcuni interventi sono stati dedicati anche alle banche e al ruolo che hanno giocato nella tempesta dei subprime. “Mi riesce difficile pensare che gente con stipendi stratosferici al comando di istituzioni finanziarie in molti casi di livello globale, non sapesse cosa stava facendo”, ha detto Buffett ai suoi azionisti. “Se hanno scommesso lo hanno fatto male”. La visione dell’analista, in questo caso è più conciliante. “E’ possibile che alcuni banchieri non abbiano analizzato bene gli strumenti di cui si stavano occupando”, conclude Dorsey. “Bisogna comunque ammettere che tanti altri sapevano cosa stavano facendo. Ma questo fa parte, almeno per il momento, della dinamica dei mercati finanziari”.
 

Fonte - www.morningstar.it

 

 

 

 

 

Mercati del credito 5 Maggio 2010. Dagli all’untore

Wednesday, 5 May, 2010 - di John Christian Falkenberg
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Seconda giornata di crisi per il mercato del credito, dove i timori sulla situazione fiscale e debitoria di Eurolandia stanno forzando imponenti riallocazioni di portafoglio.

Gli indici dei paesi sovrani ed i titoli di Stato stanno infatti calando in prezzo, ma la novità di questi giorni sono i flussi sulle obbligazioni societarie. Sino ad ora il debito delle grandi aziende che emettono corporate bond era considerato una sorta di porto sicuro nella tempesta: dopo le esperienze dei primi danni 2000, le blue chip hanno sempre gestito attentamente la liquidità e sono in ottima posizione finanziaria ed i risultati aziendali dell’ultimo trimestre sembravano confermare una ripresa economica, almeno in termini di profittabilità aziendale. Questo status non è per ora in dubbio per un cambiamento nel comportamento delle aziende, anche se crescono i timori di deterioramento delle prospettive economiche.

Da ieri, tuttavia, i grandi gestori hanno cominciato a vendere anche titoli societari e non soltanto titoli degli stati a rischio. Il motivo sta nel riconoscimento, dopo anni di colpevole oblìo, dei rischi insiti nei titoli di nazioni sovrane che non siano le più sicure. Questo richiede maggiori riserve e una gestione più prudente del portafoglio; per ridurre rischio e ripianare le perdite incorse su BtP e bond greci, si comincia quindi a vendere anche l’asset class che sinora ha la miglior performance: i corporate bond, appunto. Si tratta di un meccanismo e per ora le vendite stanno avvenendo in modo razionale: un contagio lungamente anticipato dagli addetti ai lavori e giunto semmai in ritardo. Un ritardo che tuttavia rischia di destabilizzare il mercato.
Itraxx S13 Levels Nota: Gli indici di credito sono quotati in spread (rendimento), come i tassi d’interesse. Un segno negativo equivale ad un miglioramento delle valutazioni del mercato, equivalente ad una salita degli indici di Borsa. Un cambiamento positivo è un segnale di peggioramento delle condizioni, equivalente al calo di un indice di Borsa.
Livello Var.ne da ieri
Main 103.25 +5.8
HiVol 143.5 +5.5
Crossover 482 +20.0
Tagged: grecia, Itraxx
Posted in: Area Euro, Credito, Mercati
 

Fonte - Macromonitor

 

 

La fine di un rally

Giovedì, 6 maggio 2010 - 15:04 - di Sara Silano
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La corsa delle Borse dai minimi di marzo 2009 è stato battezzato il “rally delle junk stock”, perché i titoli che hanno guadagnato di più sono stati quelli di minor qualità (cosiddetti titoli spazzatura). Questi ultimi sono anche quelli che nel 2008 avevano registrato le maggiori perdite a causa della minor competitività e maggior incertezza sulle loro capacità reddituali.

Per dirla con le “stelle”, i titoli spazzatura sono quelli che ne hanno solo una, contro le cinque delle azioni di qualità. Nonostante il simbolo sia lo stesso del rating per i fondi, Morningstar adotta una diversa metodologia per valutare quotidianamente le società, partendo dal presupposto che il valore dipenda dai flussi di cassa. L’obiettivo è individuare il fair value (e quindi capire chi quota a premio e chi a sconto) e il livello di incertezza attorno ad esso.
Un recente studio, condotto dagli analisti americani su oltre 2 mila azioni, in prevalenza americane, ha messo in luce che nell’ultimo anno il rendimento delle società con una stella è stato del 224,7%, contro il 109,5% delle cinque stelle. Queste ultime, però, hanno sovraperformato le quattro, tre e due stelle. Come spiega Warren Miller, senior stock analyst di Morningstar, se un investitore avesse comprato un titolo quando ha ottenuto il massimo del rating e l’avesse venduto al raggiungimento del “valore equo”, avrebbe comunque guadagnato più dell’indice S&P500.
Il rally delle junk stock, bruscamente interrotto dalla crisi greca e dai problemi dell’area Euro, ha riportato in primo piano la dicotomia tra azioni di alta e bassa qualità, che tendono a muoversi in direzioni opposte, anticiclica le prime e pro-ciclica le seconde. “Non ci sono prove che quelle con rating elevato facciano meglio di quelle con valutazioni inferiori”, spiega Miller. “Al contrario, queste ultime possono essere favorite dall’effetto-gregge degli investitori (per cui gli acquisti generano altri acquisti, indipendentemente dai fondamentali dell’azienda, ndr) ”.

Chi non ama il rischio, però, trova negli indicatori di qualità dei buoni alleati. In particolare, hanno valore predittivo il cosiddetto “economic moat”, ossia il vantaggio competitivo di un’azienda rispetto ai concorrenti, e il livello di incertezza intorno al suo fair value . “Abbiamo visto che i prezzi delle aziende ben posizionate nel settore di appartenenza convergono verso il loro valore equo più frequentemente di quelle che non hanno un business competitivo”, dice Miller. “Ed è logico che sia così dato che la loro situazione permette di avere profitti stabili nel lungo periodo”.
Il rally delle junk sembra essere giunto al termine e i titoli sono meno a buon prezzo rispetto a fine 2009. E’ vero, nelle ultime sedute i mercati sono stati dominati dal panico per i timori dell’effetto contagio della crisi greca nell’area Euro, ma quando si tornerà a guardare alle aziende e ai loro bilanci, ci sarà più selettività. In questo contesto, Morningstar Italy avvia la copertura del mercato azionario, utilizzando l’approccio che da sempre la contraddistingue: dare informazioni, analisi e approfondimenti per aiutare gli investitori a prendere decisioni consapevoli sul loro portafoglio, in un’ottica di lungo periodo.
 

 

 

Borse, tanti errori in una sola settimana

venerdì, 7 maggio 2010 - 16:27 - di Marco Caprotti
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Bisogna far ricorso alle famose leggi di Murphy inventate dall’umorista Arthur Block per descrivere l’ultima settimana di Borsa: “Se qualcosa può andare male lo farà” e “Tutto va male contemporaneamente”. E in effetti, nell’ultima ottava di elementi negativi accaduti anche nello stesso momento ce ne sono stati parecchi. Il risultato è stato un crollo verticale di quasi tutti i listini mondiali. L’indice Msci World ha perso quasi il 3%. Lo Europe è andato in picchiata a -5,6% (e qui c’è da sottolineare il -10% segnato dall’Italy). Il North America si è lasciato per strada il 2,6%. In Oriente l’Asia (Giappone escluso) è sceso dello 0,64%. In controtendenza, il paniere del Sol levante, che ha guadagnato il 2,82%. Gli argomenti al centro delle contrattazioni sono stati quelli relativi alla Grecia e ai possibili effetti che potrebbe avere sul resto del Vecchio continente un default di Atene.

Il piano di austerity da 30 miliardi di euro in tre anni “di lacrime e sangue” deciso dal governo greco per ottenere i 110 miliardi di aiuti internazionali necessari per uscire dalla crisi è stato approvato dal Parlamento ellenico. Arrivarci non è stato facile, anche perché i giorni scorsi sono stati caratterizzati da scontri di piazza e dalla morte di tre impiegati di una banca. Il progetto di legge è stato adottato con 172 voti a favore, dei socialisti e dal Laos, estrema destra, su 296 presenti. I 121 deputati dell’opposizione di centrodestra Nea Demokratia, del partito comunista e della sinistra radicale hanno invece votato contro.
La settimana si era aperta con qualche brivido quando si erano moltiplicate le prese di posizione a favore di una revisione del Patto di stabilità e di crescita che lega i Paesi della zona euro, dopo l’accordo raggiungo nel week end per il salvataggio della Grecia. La cattiva notizia era stata compensata, però, da una positiva: l’indice Pmi manifatturiero dell’Eurozona elaborato dalla società di analisi Markit è salito ad aprile a 57,6 punti, livello più alto da giugno 2006, rispetto ai 56,6 punti di marzo e alle precedenti stime (57,5). La lettura è al settimo mese sopra i 50 punti, soglia che divide un’economia in espansione da una in contrazione. E’ ai massimi da dieci anni la produzione, a quota 61,2 (59,8 a marzo). Il Pmi dell’Italia è cresciuto a 54,3 dai 53,7 di marzo, in Francia l’indice si è attestato ai massimi da luglio 2006 a 56,6 (56,5), mentre in Germania è cresciuto a 61,5 (60,2), livello più alto da quando è iniziato il calcolo dell'indice nel 1996.
Da quel momento in poi, è stato il tracollo. Sono arrivate le indiscrezioni, riportate sia dalla tedesca Bild sia dal Wall Street Journal , secondo cui i 110 miliardi del piano della Ue e del Fondo monetario internazionale in aiuto al governo di Atene non sarebbero sufficienti. Rumor che hanno annullato i guadagni delle Borse realizzati in questa prima parte del 2010. Poi Moody’s ha lanciato l’allarme sul debito sovrano del Portogallo dopo il downgrade deciso la scorsa settimana da Standard & Poor’s. L’agenzia di rating americana ha messo sotto esame per un possibile declassamento il giudizio Aa2 di Lisbona. L’apice è stato toccato giovedì quando, sempre Moody’s, ha diffuso la notizia del rischio che la crisi finanziaria greca possa contagiare anche i sistemi bancari di alcuni dei principali Paesi europei. Gli stati più a rischio, ha detto l’agenzia di rating prima di rivedere la sua posizione, sarebbero il Portogallo, la Spagna, l’Italia, l’Irlanda e la Gran Bretagna.
Negli Stati Uniti gli operatori hanno rischiato lo strabismo per non perdere le notizie che arrivavano da questa parte dell’Oceano, ma nemmeno quelle relative all’economia e alla finanza Usa. Come quelle dell’indice dell’Institute for Supply Management’s, che ha toccato il livello di 60,4, il punto più alto da giugno 2004. Oppure le opportunità legate alle M&A, anche se possono essere fallimentari. Le compagnie aeree statunitensi Continental e United Airlines, ad esempio, hanno raggiunto un accordo per la fusione dei due vettori. Un matrimonio che, secondo gli analisti, non salverà i bilanci delle compagnie.
L’Asia, come sempre in questi casi, ha deciso di stare alla finestra e ha cercato di approfittare, come nel caso del Giappone, della fuga degli investitori dai due mercati occidentali principali. A complicare le cose ci ha pensato comunque la Cina. Nel Paese del Drago, secondo l’indice elaborato da HSBC e Markit, la produzione industriale ad aprile ha mostrato un rallentamento. Segno, spiegano gli economisti, che i tentativi di Pechino di raffreddare un’economia in fase di surriscaldamento, stanno funzionando. La notizia è stata comunque una doccia fredda per il comparto delle commodity, da anni aggrappato alle richieste che arrivano da Pechino.
 

Fonte - www.morningstar.it

 

 

 

 

 

  Sabato 08 Maggio 2010   Lunedì 10 Maggio 2010   Martedì 11 Maggio 2010  
       
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  Moody's, S & P e Fitchecco chi comanda nelle agenzie di rating

09 Maggio 2010 15:58 – di Fabio Pavesi

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Qualcuno li ha definiti i "Padroni dell'Universo". Finanziario s'intende, che non è comunque poca cosa di questi tempi. Oppure chiamateli pure i signori del rating o le tre sorelle: Moody's, Standard & Poor's, Fitch.
Giudici inappellabili dei destini di Stati, mega-corporation, piccole società e persino di singoli mutui cartolarizzati. Loro danno un voto sul merito di credito a tutto e a tutti e una loro bocciatura, così come una promozione, ha vistosi effetti sui mercati come si è visto in questi giorni nel caso della Grecia, della Spagna e dell'equivoco sulle banche italiane.
Ecco perché i padroni dell'universo sono temuti. Loro del resto sono un oligopolio perfetto. Sono solo in tre e si spartiscono la torta di chi emette debito in tutto il mondo. E visto che tutti si indebitano il lavoro non manca. Se non vai da Moody's c'è S&P o Fitch.
Senza alternative di sorta. E così il mestiere delle tre sorelle diventa particolarmente remunerativo.

Utili giganteschi
Solo le società autostradali o gli aeroporti guadagnano come loro. E non c'è di che stupirsi.
Sono tutti mono o oligopolisti, quindi con i ricavi pressoché assicurati. Se sei bravo a gestire i costi puoi solo fare un sacco di soldi.
Basti vedere Moody's che essendo quotata a Wall Street consente maggiore visibilità sui numeri. Ebbene Moody's, solo nel 2009, per ogni 100 dollari che ha fatturato ne ha guadagnati sotto forma di utile operativo ben 38.
Su 1,8 miliardi di ricavi fanno un margine di 680 milioni. Ma attenzione quel 38% di redditività è un mix tra i servizi di analisi e quelli di assegnazione dei rating. Solo sul mestiere più remunerativo, quello appunto dell'assegnare pagelle, la redditività balza al 42% sui ricavi.
Un exploit il 2009? Niente affatto. Gli anni d'oro sono stati altri: nel 2007 il margine operativo era al 50% dei ricavi e nel 2006 si è toccato il picco del 62% di utili operativi sul fatturato. Un'enormità: 1,26 miliardi di margine su due miliardi di fatturato. Se poi si va all'utile netto la musica non cambia. Dal 2005 al 2009 Moody's ha generato profitti per complessivi 2,8 miliardi.
Ma Moody's non è sola. Anche Standard&Poor's non è da meno. Non è quotata ed è posseduta dal gruppo editoriale McGraw-Hill che sta invece sul listino di Wall Street.
Più difficile in questo caso isolare il contributo dato dall'attività di rating dal resto dei business.
La divisione servizi finanziari è quella che opera con il marchio S&P. L'intera divisione ha fatturato, nel 2009, 2,6 miliardi di dollari con profitti operativi per circa un miliardo.
Come si vede un bel 39% di marginalità in linea con la rivale Moody's. E negli anni precedenti la redditività era ancora più elevata con punte nel 2007 del 45% sul giro d'affari. Ovviamente qui confluiscono i ricavi anche dalla gestione degli indici di Borsa e dei servizi informativi. La parte ghiotta del rating dovrebbe comunque contribuire per l'80% ai volumi complessivi.
Resta Fitch, la più piccola delle tre, e l'unica europea. L'agenzia ha prodotto ricavi l'anno scorso per 559 milioni di euro con profitti operativi per 151 milioni. Un po' più sotto, quanto a redditività, delle rivali a stelle e strisce. E così i padroni dell'universo non solo dettano i destini più o meno amari del costo del debito di Stati e società, ma sono anche più che remunerativi. Una sorta di gallina dalle uova d'oro in un mercato grande quanto il mondo e che non può fare a meno di loro. Un vero affare per gli azionisti.

I fondi Usa i veri padroni
Già, e qui viene il punto. Chi comanda in Moody's e le sue consorelle? Chi sono i padroni dei padroni dell'universo? A parte l'europea Fitch che ha due azionisti di peso come il gruppo francese Fimalac e il gruppo editoriale Hearst, le altre due sorelle sono di tutti e di nessuno. Vere e proprie public company. In S&P c'è un azionista forte, cioé la McGraw-Hill, ma il resto dell'azionariato è diffuso come del resto in Moody's. E qui arriva la sorpresa.

Che ci fa Buffett in Moody's?
Il primo azionista di Moody's, con il 13,4% del capitale, risultava a fine dicembre del 2009 secondo rilevazioni Reuters, Warren Buffett, il guru di Omaha con il suo fondo Berkshire Hathaway. Al secondo posto con il 10,5% ecco comparire Fidelity uno dei più grandi gestori di fondi del mondo. E poi è un florilegio di gente che di mestiere compra e vende titoli: si va da State Street a BlackRock a Vanguard a Invesco a Morgan Stanley Investment. Insomma i più grandi gestori di fondi a livello mondiale sono azionisti di Moody's. E guarda caso lo stesso copione si riproduce in Standard&Poor's: ecco nell'azionariato comparire in evidenza, a fine 2009, i nomi di Blackrock, Fidelity, Vanguard. Gli stessi nomi. Il che pone una domanda. Che ci fanno gestori di fondi nel capitale di chi dà i voti ai bond emessi dalle stesse società che abitualmente un gestore compra e vende? La prima risposta è semplice: si sta lì perché si guadagna e perché i fondi in America sono da sempre gli investitori istituzionali per eccellenza. La seconda è più maliziosa, ma indotta da questa strana presenza. Stare nel capitale di chi determina i destini di una miriade di società magari è utile per avere accesso a informazioni privilegiate. Se so che un'emissione verrà bocciata, vendo prima che sia resa pubblica. Certo è un'illazione, ed è vero che esistono i muri cinesi. Ma quei muri sono stati oltrepassati tante di quelle volte che un filo di sospetto rimane.

I bilanci d'oro
Sono in tre e giudicano il debito di tutto il mondo. Una sorta di oligopolio perfetto per Moody's; Standard and Poor's e Fitch che ovviamente beneficiano di questa formidabile rendita di posizione. Lo evidenziano con chiarezza i conti delle «tre sorelle» del rating, come qualcuno ama chiamarle. Sia Moody's che S&P sono vere e proprie macchine da soldi. Entrambe nel corso del 2009 hanno visto i propri profitti operativi collocarsi al 38% dei ricavi. Ogni 100 dollari fatturati, 38 si trasformano in utili. E di mezzo c'è stata la crisi dei mercati. Nel 2007 il margine per Moody's toccava il 50% dei ricavi. Più distanziata, ma non meno redditizia l'europea Fitch con il 27% di margine sui ricavi.

I NUMERI-CHIAVE
5 miliardi
Il business delle pagelle
È il giro d'affari delle tre agenzie di rating realizzato nel corso dell'ultimo anno. E dire che c'è stata crisi nel 2009 anche per loro. Negli anni d'oro, pre-crisi finanziaria, il business era ancora più ricco, grazie alla forte diffusione della finanza strutturata. Nel solo 2007 i ricavi complessivi delle tre società erano di 6 miliardi.

2,8 miliardi
Profitti a go go
Dare voti a Stati, società, singole emissioni di obbligazioni è un mestiere assai remunerativo.
Nel periodo tra il 2005 e il 2009, solo per fare un esempio, Moody' ha generato utili netti per la bellezza di 2,8 miliardi di dollari.

13,4%
La corsa a un posto al sole
Il 13,4% era la quota di capitale di Moody's posseduta a fine del 2009 dal fondo Berkshire Hathaway di Warren Buffett, l'oracolo di Omaha. Ma le società di rating non fanno gola solo a lui. Nel capitale di Moody's si ritrovano veri e propri colossi dei fondi di gestione del risparmio. Da Fidelity a BlackRock. Da Vanguard a Invesco e così via. Stessa sorte tocca a Standard&Poor's che pur avendo un azionista di controllo come McGraw-Hill, vede nel capitale la presenza dei fondi Usa. Spesso gli stessi che partecipano all'azionariato di Moody's.

70 mila mld
Un mercato colossale
La cifra è formidabile ed è un piatto ricco per le agenzie di rating. Secondo le stime della stessa Moody's il mercato delle emissioni di debito a livello mondiale toccherà nel 2012 i 70mila miliardi di dollari. Su molte di quelle emissioni ci sarà il bollino delle tre sorelle che quindi vedranno crescere il loro business senza fare alcuno sforzo.
 

Fonte - Sole 24 ore

 

 

 

 

 

La settimana, 18/2010

Sunday, 9 May, 2010 - di phastidio
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Settimana drammatica sui mercati finanziari, che ci ha riportati al clima che si viveva a fine del 2008. La crisi greca pare aver svolto la funzione di catalizzatore di una ben più ampia crisi dell’Eurozona. Il pacchetto di misure a favore di Atene, quantificato in 110 miliardi di euro per un triennio, pur se rapidamente approvato dai parlamenti dei singoli stati, è apparso a inizio settimana già inadeguato, ed ai mercati non è certamente piaciuta la contradditorietà di posizioni uscite dal governo tedesco, con il ministro dell’Economia che ha dichiarato che i 110 miliardi non sarebbero serviti per l’intero triennio, e che la Grecia sarebbe dovuta tornare a ricorrere al mercato per indebitarsi “entro 18 mesi”. In seguito il Cancelliere Angela Merkel ha parlato della necessità di realizzare procedure funzionali ad assistere un processo di “ordinata insolvenza”, suggerendo quindi implicitamente che il governo tedesco si attende che altri paesi entreranno in crisi.
Voci incontrollate (ed al momento infondate) che ipotizzavano una richiesta spagnola di assistenza fiscale straordinaria hanno accelerato il movimento di vendite sul debito dei paesi periferici dell’Eurozona, l’indebolimento dell’euro e la fuga verso la qualità rappresentata dai titoli di stato tedeschi, che hanno toccato nuovi minimi assoluti di rendimento. Il movimento di forte avversione al rischio innescatosi in Area Euro si è poi rapidamente esteso anche ai mercati finanziari globali, con forti acquisti di yen, che tradizionalmente rappresentano il segnale di smantellamento di posizioni favorevoli agli attivi rischiosi, acquisti di dollari e Treasuries, vendita di materie prime e di azioni dei mercati emergenti, vendita di obbligazioni a spread, quali corporate, high yield ed emergenti.

Tra i dati macroeconomici della settimana, appare positivo quello relativo al mercato del lavoro statunitense in aprile, che ha prodotto 290.000 nuovi impieghi netti, battendo le stime di consenso poste a 230.000. Rivisti in aumento anche i dati del bimestre precedente. La creazione di occupazione proviene in larga misura dal settore privato, visto durante il mese il settore pubblico ha assunto 66.000 persone per lo svolgimento dei compiti relativi al censimento generale della popolazione. Piuttosto positiva anche la dinamica dell’occupazione nel settore manifatturiero, con 44.000 nuovi impieghi netti creati nel mese, a conferma dei numeri particolarmente positivi prodotti recentemente dalle surveys manifatturiere, quali l’indice ISM. Persistono tuttavia fenomeni di sofferenza strutturale del mercato del lavoro, quali l’aumento dei disoccupati di lungo termine (un fenomeno nuovo per la storia degli Stati Uniti), e l’elevato numero di persone che lavorano part-time per motivi economici, non riuscendo cioè a trovare occupazione a tempo pieno, pur desiderandola. Il tasso di disoccupazione cresce dal 9,7 al 9,9 per cento, per effetto di rientri nella forza-lavoro, una dinamica caratteristica delle fasi di ripresa.
In sintesi, malgrado i dati macroeconomici indichino una diffusa ripresa dei livelli di attività economica, la violenta reazione dei mercati finanziari suggerisce cautela e, se non efficacemente contrastata, potrebbe innescare fenomeni di crisi sistemica già visti dopo l’implosione di Lehman, quali situazioni di stretta creditizia, che finirebbero col mettere a rischio la ripresa globale.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

ATTENZIONE ALL'EUFORIA DROGATA. ALERT ESPERTI

10 Maggio 2010 11:54 NEW YORK - di WSI
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Gli analisti valutano l'ottima performance dei mercati azionari dopo il maxi salvataggio UE. Cautela: l'effetto positivo di breve termine è indiscutibile, ma le incognite sono molte. Barclays prevede l'euro a 1.20 in 3 mesi.
Anche Wall Street sembra pronta a festeggiare oggi. A più di tre ore dall’inizio della giornata di contrattazioni i futures sul Dow Jones volano di 386 punti, quelli sul Nasdaq mettono a segno un rally di 82 punti e quelli sullo S&P 500 salgono più di 49 punti.
Che il pacchetto di salvataggio kolossal varato dall’Unione europea sia stato accolto con euforia dai mercati finanziari è fuori discussione. La corsa agli acquisti è iniziata già nei mercati asiatici, come dimostra la buona performance della borsa di Tokyo, che ha visto il Nikkei salire dell’1,6%.
L’euforia ha contagiato poi la diretta interessata dal piano di salvataggio approvato dall’Ue, ovvero l’Europa. Fin dalle prime battute i listini azionari hanno puntato infatti con decisione verso l’alto, applaudendo al più grande piano di aiuti da oltre due anni, cioè da quando i leader G20 hanno dato denaro all'economia mondiale dopo il crollo di Lehman Brothers.
A dimostrare il clima di ritrovato ottimismo, anche il notevole recupero dell’ euro , che ha riagguantato la soglia a quota 1,30 dollari dopo i ripetuti tonfi della scorsa settimana. E il notevole allentarsi della tensione è dimostrato anche dall’andamento in picchiata dei rendimenti dei titoli di stato greci e dallo spread dei titoli decennali di Atene sul bund tedesco, quest’ultimo crollato di 600 punti, a 363 punti base.
Un ottimo esordio, insomma, su questo non c’è dubbio.
L’interrogativo però è sulla bocca di tutti. Quanto di questi rialzi odierni continueranno e quanto invece si confermeranno una mera parentesi?
La comunità degli analisti guarda con cautela all’evolversi della situazione e, pur approvando l’intesa raggiunta dall’Unione europea su un piano salva euro, invita a non esultare troppo.
Oscar Pulido, specialist di portaolio di BlackRock, afferma per esempio che il piano di salvataggio "potrà essere interpretato alla stregua di un segnale positivo nel breve termine". Dunque, "i mercati potranno recuperare parte delle perdite sofferte la scorsa settimana".
Detto questo, "in una ottica di più lungo termine, molto dipenderà dalla capacità dei governi europei di agire davvero per ridurre i deficit che hanno accumulato".
Mitul Kotecha, responsabile della strategia valutaria globale di Credit Agricole, sembra essere dello stesso avviso. "Il salvataggio porterà stabilizzazione nei mercati ma l’incognita è se il piano riuscirà ad assicurare un miglioramento sostenibile della fiducia".
E ovviamente sotto i riflettori rimane soprattutto la sopravvivenza dell'euro. Qualche analista in realtà non sembra essere rimasto neanche troppo impressionato dal piano dell'Ue.
David Forrester per esempio, strategist di Barclays Capital, afferma anzi che il pacchetto di aiuti sarà "alla fine negativo per la moneta unica" e aggiunge: "Rimaniamo ribassisti sulla valuta e continuiamo a ritenere che il cross euro/dollaro scenderà fino a 1,20 nell'arco dei prossimi tre mesi".
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

Primi segnali di tensione per i tassi di interesse sul monetario

10 Maggio 2010 17:23 - di Maximilian Cellino
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Non sarà la tempesta che si è scatenata dopo il crack Lehman, ma i colpi di vento che in questi giorni si sentono spirare sul mercato monetario sono di quelli che destano preoccupazione. Quasi un monito per gli operatori e per la Banca centrale europea (Bce) a prendere in seria considerazione il rischio di una possibile estensione della crisi della Grecia e degli altri paesi periferici all'interbancario.
Segni di risveglio per l'Euribor
Da una settimana a questa parte i tassi Euribor – quelli ai quali le banche si prestano il denaro a vicenda e che serve anche a determinare le rate dei mutui variabili – hanno mostrato segni di risveglio. La scadenza a un mese ha raggiunto venerdì un valore pari allo 0,422%, quella a tre mesi è risalita allo 0,682%: tassi che non si vedevano rispettivamente da 3 e 4 mesi, ma anche valori che restano vicini (3-4 centesimi) ai minimi storici toccati un mese fa.
Niente dunque di paragonabile all'ottobre 2008, quando i tassi del mercato interbancario, completamente paralizzato, volarono ben oltre il 5% mentre la Bce tentava di calmare la bufera abbassando ripetutamente il costo del denaro. Eppure il movimento non è passato inosservato, e qualcuno comincia a chiedersi se non si sia alla vigilia di un nuovo «credit crunch». Anche perché altri campanelli d'allarme risuonano, a cominciare dal differenziale fra gli stessi Euribor e i tassi free risk, i cosiddetti «overnight» (vedi grafico a fianco), tornato a salire negli ultimi giorni da 22 a 25 punti base. Un'inezia, se messo a confronto con i 185 punti raggiunti un anno e mezzo fa, ma pur sempre un segnale di tensione crescente.
Ma non basta, negli ultimi giorni l'ammontare di denaro che le banche lasciano in parcheggio presso la Bce è di nuovo cresciuto a 290 miliardi. Una cifra che rappresenta il massimo degli ultimi 10 mesi e che testimonia come gli istituti di credito preferiscano tenere i soldi impiegati al tasso non certo conveniente dello 0,25% piuttosto che rimetterli in circolo prestandoseli a vicenda, perché non si fidano o perché magari temono di averne bisogno a breve.
Che i nervi fra gli operatori dei mercati monetari siano già a fior di pelle lo dimostra anche la ridda di voci che si è scatenata ieri su possibili interventi a breve della Bce a sostegno delle banche e degli stati europei in difficoltà. Quegli stessi interventi ai quali soltanto il giorno prima il presidente Jean-Claude Trichet non aveva accennato (deludendo il mercato) durante la conferenza stampa successiva alla riunione del board.
Tutto è partito da una conference call che la Bce ha tenuto venerdì mattina con le principali banche commerciali dell'eurosistema riunite nel Money Market Contact Group. Un incontro di routine che serve a mantenere i contatti con le controparti nelle operazioni di rifinanziamento, ma che ieri si sarebbe tinto di ben altro significato: l'istituto centrale, secondo le voci che si sono diffuse nel pomeriggio e che Francoforte non ha voluto commentare, avrebbe infatti sondato il mercato preparando lo spazio per un intervento. In particolare, la Bce starebbe per annunciare un'operazione di finanziamento a 12 mesi del valore di 600 miliardi di euro per aiutare le banche in difficoltà.
Una mossa in sé non certo priva di senso, visto che gran parte dell'attenzione (e della tensione) ruota attorno alla maxi emissione a 12 mesi del giugno 2009 (allora furono collocati 442 miliardi a un tasso dell'1%) che giungerà a scadenza proprio il prossimo 1° luglio. La Banca centrale ha già annunciato operazioni a breve termine per evitare l'insorgere di problemi in quell'occasione, ma il mercato giudica evidentemente insufficienti le misure, tanto che – a detta degli operatori – sull'interbancario si fa fatica a trovare chi presta denaro che vada oltre la scadenza di luglio.
Sarebbe, il ripristinare di aste a 6 o 12 mesi dall'ammontare illimitato, una prima mossa non convenzionale che la Bce attuerebbe per calmare i mercati. E per scongiurare, almeno per il momento, quel riacquisto di titoli di Stato sul mercato secondario che da molti viene considerata l'ultima risorsa, e a cui la Germania si oppone strenuamente.
 

Fonte - Sole 24 ore

 

 

 

 

 

 

  Borse: Resoconto di una settimana clamorosa

12 Maggio 2010 17:13 NEW YORK – di UNICREDIT

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Dal caos di giovedi' al maxi piano europeo alla statunitense: $1 trilione per scongiurare la crisi del debito. Euro a $1.27 sul rinnovato scetticismo circa la capacita' di Atene di tener fede alle promesse. Posizioni alleggerite sulle materie prime.
Macroeconomia
Settimana di forti escursioni per i mercati finanziari, dapprima ancora in preda ai timori di contagio dell’effetto Grecia ad altri debiti sovrani, e poi decisamente euforici nella giornata di lunedì con i principali listini azionari in rialzo a doppia cifra sospinti dal pacchetto di aiuti e misure di emergenza varato nel week-end da Ecofin, Bce e FMI per arrestare la crisi di fiducia che stava seriamente minacciando la stabilità dei mercati dei titoli di stato e l’euro.

Inoltre la Bce ha adottato un piano di acquisti di titoli obbligazionari privati e soprattutto pubblici denominato Securities Markets Program per contribuire a sostenere i mercati, mentre la Federal Reserve ha riaperto le linee di currency swap con diverse banche centrali. Tali interventi rappresentano il passo più importante per contenere il rischio di finanziamento per gli emittenti sovrani della Zona Euro. Il Consiglio UE ha quindi raggiunto nel fine settimana un accordo che prevede l’istituzione di un fondo da EUR750 mld da utilizzare per eventuali futuri salvataggi, una sorta di maxi-piano che rappresenta una rete di sicurezza per i Paesi in grave difficoltà finanziaria.
Nel dettaglio, lo European Financial Stabilisation Mechanism sarà dotato di risorse iniziali fino a EUR60 mld ed il meccanismo di mutuo sostegno sarà basato su accordi bilaterali fra gli Stati UE. Qualora non sufficiente, il fondo sarà integrato con risorse raccolte da un veicolo finanziario di durata triennale e garantite pro-rata dagli Stati membri fino ad un massimo di EUR440 mld, che potrà servire anche per acquistare i titoli pubblici degli Stati a rischio e/o per garantire l’emissione di eurobond. Ad entrambi i fondi parteciperà per il 50% il FMI. L’attivazione del meccanismo salva-Stati sarà strettamente condizionato al rispetto da parte dei paesi beneficiari di rigorosi programmi di risanamento dell’economia e delle finanze pubbliche messi a punto con Commissione UE, Bce e Fmi. Solo se l’Ecofin approverà tali piani saranno sbloccati gli aiuti. L’Ecofin ha infine chiesto nuovi sacrifici a Spagna e Portogallo, considerati i primi obiettivi degli attacchi speculativi, che dovranno adottare nuove misure per tagliare il deficit: l’1,5% del Pil quest’anno e il 2% nel 2011.
In Area Euro gli ultimi dati macro hanno riguardato l’economia reale: In Germania gli ordini all’industria sono tornati a crescere del 5% m/m a marzo (+26,1% su anno), ben oltre le attese, ed anche la produzione industriale è balzata del 4% dopo 2 mesi di stagnazione (+8,6% a/a). L’output è cresciuto dell’1% m/m anche in Francia, mentre è calato a sorpresa in Italia dello 0,1%.
Il dato aggregato di Eurozona mostra un rialzo dell’1,3% m/m e del 6,9% a/a. Diffusi anche i dati preliminari del Pil del primo trimestre 2010: in Italia è
cresciuto dello 0,5% q/q e del +0,6% su anno (atteso +0,3% e invariato), in Germania è cresciuto dello 0,2% q/q, in Francia e Spagna +0,1%, in Portagallo +1%, in Grecia si è contratto dello 0,8%. L’aggregato di Eurozona vede una crescita dello 0,2%. Negli Stati Uniti i dati più rilevanti hanno riguardato il mercato del lavoro: gli occupati nei settori non agricoli (no farm payrolls) sono cresciuti in aprile di 290 mila unità, oltre le attese che indicavano un rialzo limitato a +200.000. Rivisti al rialzo anche i posti di lavoro di marzo da +162 mila a +230 mila. Il tasso di disoccupazione si è
attestato nel mese al 9,9%, sopra le attese che erano pari al 9,7%.

Cambi e commodities
Si arresta la ripresa dell’Euro che si era riportato oltre 1,30 contro dollaro dopo l’accordo raggiunto nel fine settimana tra EU, Bce e FMI. L’Eur/Usd si è quindi riportato a 1,27 sul rinnovato scetticismo dei mercati circa la capacità della Grecia di tener fede al promesso riordino delle finanze pubbliche. Pesano anche le dichiarazioni di Moody’s, che ha affermato che il rating di Atene potrebbe essere ridotto al livello di junk bond nei prossimi esi, mentre quello del Portogallo verrà certamente ridotto se non verranno poste in essere misure di controllo dei conti pubblici.
Risale così l’avversione al rischio e gli operatori tornano ad alleggerire le posizioni sulle materie prime, con il Wti Usa sceso a USD76 al barile. Massimo storico per l’oro che ha superato USD1.240 per oncia; molto bene anche le quotazioni dell’argento (vedi grafico).

Obbligazionario/Monetario
Performance settimanale poco mossa per il mercato dei titoli di stato, che ha riservato comunque fortissime oscillazioni intraday nelle giornate di venerdì e lunedì. La curva dei rendimenti Usa è tornata a stabilizzarsi sui livelli di una settimana fa, mentre quella tedesca ha visto rendimenti in rialzo soprattutto sul tratto medio lungo, con prezzi in discesa. L’irripidimento della curva tedesca ha portato ai massimi dal 1999 lo spread tra i bund 2-10 anni, salito a 235 bp. In netto calo gli spread con i titoli periferici, sostenuti questi ultimi dagli acquisti delle Banche centrali dell’Area Euro. Il differenziale Btp-Bund a 10 anni si è riportato sotto i 100 bp (da 115), quello tra Bund e Portogallo a 170 (da 320), dell’Irlanda a 175 (da 265), della Spagna a 100 (da 135), della Grecia a 440 bp (da 750). Rimangono comunque le preoccupazioni che il maxi-piano europeo possa non essere sufficiente se non adeguatamente supportato da piani credibili di risanamento delle finanze pubbliche.
Domanda quasi doppia per i EUR5,5 mld del Bot annuale in asta ieri, con il tasso fissato a 1,442% (0,933% nell’emissione di aprile). Nel mercato corporate ritraccia il costo di protezione dal rischio di insolvenza, misurato dagli indici Itraxx: il Main per gli emittenti investment grade è tornato a 95 pts, mentre il Crossover riferito ai non-investment è sceso a 470 pts.

Mercati azionari
Italia
Il Ftse/Mib registra un andamento positivo, in linea con l’Eurostoxx. Bene Tenaris che ha riportato profitti in calo nel primo trimestre 2010: in dettaglio, l’utile netto è sceso del 43% a USD222,2 mln, a causa della riduzione del giro d'affari e dei minori margini operativi, facendo tuttavia meglio delle attese che oscillavano in media a USD200 mln. Anche il fatturato ha registrato una flessione che è stata dell'11% rispetto al quarto trimestre 2009 e del 33% rispetto al primo trimestre dell'anno scorso, attestandosi a USD1,638 mld. Il giorno successivo la diffusione dei dati, Ubs ha ridotto il target price da USD45 a USD42, con giudizio neutral confermato.

In progresso Exor, controllante di Fiat, che durante i primi tre mesi del 2010 è tornata in nero riportando un utile consolidato di EUR31,7 mln (il primo trimestre 2009 si era chiuso con una perdita consolidata di EUR152,8 mln). Sempre al 31 marzo, il saldo della posizione finanziaria netta consolidata del Sistema Holdings è positivo per EUR257,8 mln ed evidenzia una variazione positiva di EUR206,2 mln rispetto al saldo di fine 2009 (+EUR51,6 mln), mentre il NAV (Net Asset Value) è pari a EUR5.818 mln ed evidenzia un incremento di
EUR2.850 mln rispetto al dato di EUR2.968 mln al 1° marzo 2009 (data di efficacia della fusione con IFIL). Ieri Exane Bnp Paribas ha portato la raccomandazione sul titolo da neutral a outperform.
Denaro anche su Bulgari che ha approvato il resoconto intermedio relativo al 1Q2010, che ha evidenziato un fatturato di EUR199,1 mln, in crescita del 12,6% a cambi comparabili (+11,8% a cambi correnti) vs. lo stesso periodo 2009, un risultato operativo sostanzialmente in pareggio ed un risultato netto negativo per EUR8,3 mln.
Positiva Finmeccanica che giovedì scorso ha comunicato di essersi aggiudicata commesse per un valore complessivo di oltre EUR140 mln attraverso le sue aziende DRS, SELEX Sistemi Integrati, SELEX Galileo, SELEX Communications ed Ansaldo Energia.
Poco mossa Italcementi che ha chiuso il primo trimestre dell'anno con un risultato netto di gruppo negativo per EUR37,5 mln, rispetto al rosso di EUR12,7 mln dell'analogo periodo dello scorso anno. Citando "la difficile situazione economica e le avverse condizioni meteorologiche che hanno determinato un calo dei consumi di cemento", la società ha inoltre comunicato un calo nei ricavi consolidati trimestrali a EUR1,072,5 mln dai EUR1.201,2 mln del gennaio-marzo 2009, mentre l'Ebitda corrente scende a EUR135,7 mln dai EUR188,9 mln di un anno fa. La società fa sapere che il quadro complessivo resta ancora difficile e che lo scenario per i mesi a venire è di elevata incertezza, anche se è da segnalare in positivo un miglioramento di quasi EUR60 mln dell'indebitamento. Il Dg Ferrario ha infine ribadito che Italcementi non ha intenzione di riprendere il progetto di fusione con la controllata Ciments Francais.
Tra i titoli in rosso citiamo la Pop di Milano che ha chiuso i primi tre mesi dell’anno con un utile di EUR50 mln, in flessione del 30,2% rispetto allo stesso periodo del 2009 (che aveva beneficiato di EUR60 mln di proventi da operatività in derivati su tassi di interesse), risentendo in particolare della flessione dell'attività finanziaria. Le rettifiche e gli accantonamenti ammontano a EUR70,1 mln, in flessione rispetto all'anno scorso. L’istituto milanese ha anche annunciato un’esposizione verso la Grecia pari a circa EUR10 mln.
Estero
Listini europei che dopo i ribassi in chiusura della scorsa ottava hanno avviato questa settimana con un netto rimbalzo, il che ha permesso di condurli ad una performance positiva (con la volatilità che è diminuita): a favorire il movimento è stato certamente il piano varato nella notte tra domenica e lunedì dall’Ecofin e che prevede un pacchetto di aiuti per la zona Euro da EUR750 mld (va detto che la debolezza dell’euro vs le altre principali valute sta ad evidenziare una permanenza di timori sul debito della zona Euro).

Qualche news da oltreoceano prima di focalizzarci sulle assicurazioni europee: McDonald's (-0,3% in settimana) ha annunciato che le sue vendite nelle filiali aperte da almeno un anno sono aumentate ad aprile del 4,9% (atteso un aumento del 4,5%).
Walt Disney (+1,2%) ha aumentato nel suo secondo trimestre fiscale terminato lo scorso 3 aprile i suoi ricavi del 6% a USD8,6 mld ed il suo utile netto del 55% a USD953 mln (pari ad un Eps di USD0,48); gli analisti avevano atteso in media ricavi di USD8,4 mld ed un utile per azione di USD0,46. Kraft Foods (+2,1%) ha aumentato nel primo trimestre di quest'anno i suoi ricavi del 26% a
USD11,3 mld ed il suo utile netto del 185% a USD1,88 mld, pari a USD1,16 per azione che escluse le voci straordinarie scende a USD0,49 per azione (gli analisti avevano atteso in media ricavi di USD10,95 mld ed un utile per azione di USD0,45).
Il settore assicurativo europeo ha registrato un ottimo balzo in avanti, con molti componenti che hanno diffuso i conti trimestrali. E’ il caso di Ing (+10,6%) che stamane ha comunicato di aver generato nel primo trimestre 2010 un utile netto di EUR1,33 mld (sopra le attese), dopo il rosso di EUR793 mln accusato nel primo trimestre del 2009; il bancassicurativo olandese ha beneficiato nei primi tre mesi di quest'anno della ripresa dei mercati finanziari, con gli accantonamenti per rischi su crediti che sono inoltre fortemente calati rispetto al trimestre precedente. Molto bene Swiss Re (+11,2%) che ha aumentato nel primo trimestre 2010 il suo utile netto del 22% a USD158 mln (dato superiore alle attese), grazie alla riduzione delle spese e al forte aumento dei proventi generati dagli investimenti. A causa degli elevati costi causati dal grave terremoto che ha colpito il Cile e dalle tempeste di neve che hanno colpito lo scorso inverno una parte dell'Europa, la Combined Ratio di Swiss Re è però peggiorata sensibilmente dal 90,2% al 109,4%. Swiss Re stima attualmente i propri costi derivanti dalla catastrofe naturale causata dall'esplosione della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico a circa USD200 mln.
Ben comprata Axa che ha generato nel 1Q2010 un fatturato in crescita dell’1,1% a EUR27,9 mld (il dato si è tuttavia rivelato inferiore alle attese), denaro su Zurich Financial che ha registrato nel primo trimestre un rialzo dell'utile netto del 76% a USD935 mln, cifra superiore alle attese degli analisti, anche se peggiora il Combinet Ratio, acquistata anche Munich Re che nel 1Q2010 ha aumentato l’utile dell’11% a EUR482 mln (sopra le previsioni), in progresso Allianz che stamattina ha fatto sapere di aver generato utili nel primo trimestre un utile di EUR1,59 mld, più che triplicato rispetto a EUR424 mln di un anno prima, con le attività di assicurazione vita e salute e l'asset management che hanno compensato l'effetto negativo delle forti richieste danni.
Mercati azionari: settori a confronto

Stoxx
L’analisi dei settori evidenzia una certa debolezza per i comparti anticiclici delle utility (male E.ON che ha registrato un utile adjusted in rialzo del 16%, un Ebit adjusted in salita del 20% mentre i ricavi sono stati in linea coi livelli del 1Q09, in rosso anche A2A che ha visto scendere l’utile netto del 1Q2010 del 22,8% mentre i ricavi mostrano una contrazione del 6,2%) ed energetico (flessione per BP che sta ancora cercando un rimedio per la falla nel golfo del Messico).
Ancora meglio dei settori bancario e assicurativo ha fatto il comparto auto (rialzo quasi a doppia cifra per BMW che nel mese di aprile ha evidenziato un aumento delle vendite del 14,6% a 116.391 unità, in calo la sola Porsche), buona performance anche per il settore industriale (segno più per Safran che secondo indiscrezioni stampa avrebbe raggiunto un accordo con Thales per mettere in comune le rispettive attività della difesa).

Settori in evidenza
Media
Mediaset ha chiuso il primo trimestre con utile e ricavi in crescita (rispettivamente del 54,9% e del 17,5%), ha confermato i segnali di ripresa del mercato pubblicitario e si è detta fiduciosa di poter archiviare il semestre con una raccolta in Italia in aumento intorno al 5%. Oggi Barclays ha limato al rialzo il target price da EUR6,9 a EUR7, con giudizio overweight. Vivendi ha annunciato ieri di aver aumentato nel primo trimestre 2010 i suoi ricavi del 6% a EUR6,92 mld ed il suo utile adjusted del 13% a EUR736 mln (attesi in media ricavi di EUR6,8 mld ed un utile adjusted di EUR659 mln).
Oggi Deutsche Bank ha portato il target price a EUR21,5 con rating hold, mentre Natixis ha deciso un fair value di EUR20,70 con giudizio neutral.

Bancario
BNP Paribas ha aumentato nel primo trimestre 2010 il suo utile netto del 47% a EUR2,28 mld ed i suoi ricavi del 22% a EUR11,53 mld (attese in media per un utile netto di EUR1,65 mld e ricavi di EUR10,85 mld); la banca francese, che ha annunciato un’esposizione al debito sovrano greco per EUR5 mld + EUR3 mld nel settore privato commerciale greco, ha inoltre ridotto gli accantonamenti per rischi su crediti (del 27% a/a e del 30% rispetto al quarto trimestre 2009).
Dopo sette trimestri negativi, Commerzbank è tornata in utile nel 1Q2010, registrando conti superiori alle attese grazie a solidi risultati nel trading e minori accantonamenti su prestiti inesigibili; la banca ha annunciato
un’esposizione sulla Grecia di EUR3,1 mld.

Telefonico
Deutsche Telekom ha generato nel primo trimestre 2010 un utile netto di EUR767 mln (dal rosso di EUR1,1 mld accusato nel primo trimestre 2009), ha aumentato l’Ebidta dell'1,6% a EUR4,89 mld, a fronte di ricavi che tuttavia sono calati dello 0,6% a EUR15,8 mld (attese in media per ricavi di EUR15,6 mld).
Telecom Italia ha diffuso i dati del 1Q durante il quale ha riportato un utile netto a EUR611 mln, in rialzo del 30,7% rispetto allo stesso periodo 2009, a fronte di ricavi a EUR6,483 mld, in calo dello 0,7%. L’Ad Bernabè si è detto fiducioso che "i risultati dei prossimi trimestri continueranno a mantenersi in linea con gli impegni assunti nel piano triennale". Ieri il titolo si è mosso in controtendenza grazie all’upgrade da underperform a outperform deciso da Credit Suisse.
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

  Martedì 11 Maggio 2010   Mercoledì 12 Maggio 2010   Giovedì 13 Maggio 2010  
       
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GR1 RAI - 12 Mag. ore 22:00

   

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GR1 RAI - 13 Mag. ore 22:00

   

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Le banche nel mirino degli Usa

12 Maggio 2010 18:13 - di MIAECONOMIA
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Ha iniziato Goldman Sachs, poi Morgan Stanley, finite sotto la lente delle autorita' statunitensi sotto l'ipotesi di azioni poco chiare nei confronti dei loro clienti, in particolare nella gestione di obbligazioni supportate da mutui, proprio quei prodotti alla base del cataclisma finanziario del 2008 e che ancora sta pesando sull'economia mondiale.
Ora pero', dice il Wall Street Journal, le inchieste potrebbero allargarsi a macchia d'olio. Non solo, secondo il quotidiano finanziario ci sono due fronti aperti. Il primo e' appunto quello dei cosiddetti Cdo, le banche potrebbero avere ingannato i loro clienti in merito al loro ruolo nei Collateral debt obligation.
Ma adesso si indagherebbe perfino sulla ipotesi che le banche abbiano dato alle agenzie di rating informazioni fuorvianti su alcuni loro prodotti legati al mercato immobiliare.
La procura di New York, in questo senso, sta controllando se ci siano state azioni in questa direzione con le tre maggiori agenzie di rating, come Moody's, Fitch, Standard and Poor's e Moody's) e su 8 banche come Goldman Sachs, Morgan Stanley, Ubs, Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Credit Agricole e Merrill Lynch.
A questo punto l'investigazione potrebbe fare luce sui rapporti e possibili conflitti di interesse proprio tra le banche e le agenzie di rating, che hanno emesso giudizi positivi su prodotti che invece si sono dimostrati dannosi.
 

Fonte - Miaeconomia

 

 

La Super-Fed avanza al Senato

14 Maggio 2010 - di Marco Valsania
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Avanza. A fatica, ma avanza. La riforma finanziaria voluta da Barack Obama procede in Congresso, tra voti palesi e negoziati dietro le quinte. E potrebbe emergere dal Senato già la prossima settimana. Con le sue nuove regole per banche e mercati (derivati compresi) e, soprattutto, con la consacrazione d'un ruolo centrale per la Federal Reserve.
La Banca centrale ha ottenuto dai senatori conferma dei suoi poteri e della sua indipendenza, segno di autorevolezza e influenza ritrovate nella lotta alla crisi dopo le polemiche per non averla saputo prevenire. Negli ultimi giorni i parlamentari hanno bocciato, in rapida successione, due proposte invise al governatore Ben Bernanke: l'idea di periodiche ispezioni congressuali sulle attività della Fed, sostituita da una verifica straordinaria sulle misure d'emergenza del biennio scorso. E l'ipotesi di ridimensionare i suoi incarichi di supervisione, sottraendole gli istituti di più piccole dimensioni, cinquemila banche con asset inferiori ai 50 miliardi di dollari. La Fed potrebbe inoltre inglobare una nuova authority di difesa dei consumatori da truffe e abusi finanziari. I recenti voti pro-Fed sono stati particolarmente significativi perchè «bipartisan», capaci di strappare consensi tanto fra i democratici che fra i repubblicani: 90 contro sei a favore dei poteri di supervisione; 62 a 37 nel respingere un emendamento sulle regolari «intrusioni» congressuali. I fautori d'una Fed grande sceriffo, il senatore democratico del Minnesota Amy Klobuchar e il suo collega repubblicano del Texas Kay Bailey Hutchison, hanno avuto la meglio con una tesi: che questa «stella» garantisca un legame tra politica monetaria e Main Street, cioè con l'economia reale anziché solo con Wall Street. Quando si tratta delle ispezioni parlamentari Bernanke non sta vincendo ogni battaglia: alla trasparenza sulle azioni d'emergenza invocata dal voto unanime di 96 senatori preferirebbe la comunicazione di informazioni limitate. Nè ama piani di nomina politica del responsabile della cruciale sede Fed di New York. Il provvedimento respinto, però, ai suoi occhi aveva conseguenze ben più preoccupanti: le scelte di politica monetaria, di aumenti o riduzioni dei tassi d'interesse, avrebbero potuto finire ostaggio di dibattiti in Congresso.
Qualche passo in più è stato fatto anche sulle agenzie di rating: in serata il Senato ha approvato un emendamento con 64 voti favorevoli e 35 contrari con cui viene regolata l'attività delle agenzie di rating nell'assegnazione del merito di credito alle asset backed securites, quegli strumenti finanziari fautori della crisi finanziaria di quasi tre anni fa. L'emendamento prevede la costituzione di un comitato presso la Sec per valutare i rating delle emissioni sul mercato.
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

Il piano salva i Pigs ma schiaccia le Borse

venerdì, 14 maggio 2010 - 16:38 - di Marco Caprotti
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Forte volatilità, nervosismo degli operatori a caccia di elementi interpretativi, tagli draconiani da parte dei Paesi a rischio. Dopo tutto questo, la settimana in cui è stato presentato il maxi piano da 100 miliardi di euro per il salvataggio della Grecia (ma rivolto anche a tutti gli stati europei in bilico) si è chiusa con un saldo positivo. Ma è stato un colpo fortunato. L’indice Msci World, nell’ultima ottava, ha guadagnato (calcolato in euro) il 3,6%. Buone le performance a livello geografico. Il North America è salito di quasi il 4%, lo Europe del 4,1%, l’Asia (Giappone escluso) di oltre il 3% e quello del Sol levante dell’1%.
Il merito di questi risultati, tuttavia, va attribuito quasi esclusivamente alla seduta di lunedì, quando le Borse, soprattutto quelle del Vecchio continente, hanno chiuso con rialzi che, in alcuni casi, hanno superato anche il 10%. L’andamento di inizio settimana era stato mandato alle stelle dal pacchetto di misure approvato domenica notte che prevede prestiti bilaterali dagli Stati dell’eurozona per 440 miliardi, 60 di fondi del bilancio Ue e fino a 250 miliardi di contributi del Fmi. A questo si è unito l’impegno dell’Ecofin a supportare gli sforzi di Spagna e Portogallo nella strada verso il risanamento dei conti. Il tutto, oltre che per sistemare una situazione a rischio crollo, anche per difendere l’euro dall’attacco della speculazione.
L’euforia è durata però lo spazio di una seduta. Già il martedì gli operatori hanno iniziato a prendere beneficio. Anche perché sono emersi i primi dubbi sulla reale efficacia del piano. Nel frattempo da Spagna e Portogallo sono arrivati i dettagli sui piani di riduzione del deficit che prevedono tagli sostanziosi soprattutto per quanto riguarda i salari dei dipendenti pubblici e delle pensioni. Si è trattato però di un momento di calma. A chiusura della settimana sono tornati prepotentemente fuori tutti i dubbi legati all’efficacia del piano e le Borse hanno passato il venerdì in territorio negativo. In mezzo a questo saliscendi, i titoli più interessati da acquisti e vendute sono stati i finanziari e quelli legati alle materie prime.
Gli Stati Uniti non hanno potuto fare altro che subire e seguire gli umori degli europei mentre cercavano di concentrarsi sulla loro situazione e di aggrapparsi alle buone notizie. Come quella sul calo delle richieste di disoccupazione e quella del comparto delle rivendite generiche (i cosiddetti wholesalers) dove le richieste stanno superando le disponibilità di magazzino. Questo significa che agli americani sta tornando voglia di spendere e che le aziende dovranno lavorare di più per produrre i beni richiesti. Qualche problema, invece, sul fronte immobiliare, dove stanno aumentando le richieste di pignoramento da parte delle banche. Sul fronte aziendale, da segnalare l’attivismo della società di private equity Blackstone che sta guidando una cordata disposta a sborsare 15 miliardi di dollari per acquisire Fidelity Information Services.
L’Asia, anche a causa del fuso orario, non ha potuto fare altro che mettersi a guardare e cercare di anticipare, per quanto possibile, i trend della giornata seguente. L’unica notizia di rilievo è arrivata dalla Cina dove l’inflazione ha raggiunto i nuovi massimi da 18 mesi. L’indice dei prezzi al consumo è salito in aprile del 2,8% annuo, mentre nel periodo gennaio-aprile il dato è cresciuto del 2,4% annuo.

 

Fonte - www.morningstar.it

 

 

 

 

 

 

  Fugnoli, l'abituale ottimista, oggi fa una previsione catastrofica

Pubblicato il 14 maggio 2010 | Ora 03:54 – di *Alessandro Fugnoli

*Questo documento e' stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR.

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Le regole sono di due tipi. Ci sono quelle che vengono da molto, molto in alto (e vengono pubblicate scolpite su tavole speciali custodite con particolare cura) e poi ci sono tutte le altre, fatte dagli uomini per gli uomini. Queste ultime vengono cambiate continuamente, in omaggio al principio che le regole sono al servizio degli uomini e non il contrario.
Sul documento che viene considerato il più robusto e duraturo tra quelli di natura politica, la costituzione americana, sono state scritte decine di migliaia di pagine per dimostrare che, tra modifiche, interpretazioni e integrazioni, la costituzione materiale di oggi assomiglia ben poco a quella pensata dai Padri Fondatori. Ci fu uno stravolgimento da parte di Lincoln, un altro nella Progressive Era, poi con Roosevelt e infine dall’età kennediana in avanti (Obama ha una sua visione per nuovi mutamenti). Qualcuno si scandalizza, ma i più fanno notare che, se non si fosse data qualche ritocco, l’America sarebbe ancora una società schiavista.
L’Europa, invece, pare non abbia diritto a rivedere le sue regole. E’ venuto fuori un finimondo per le decisioni prese durante la lunga notte dell’euro. Scandalo, stupore attonito, indignazione fremente, condanna, sprezzo. Un altro chiodo piantato nella bara dell’euro, dice Jim Rogers. Continente delle banane. Varcato il Rubicone, annota preoccupato David Mackie di JP Morgan. Il bello è che lo scandalo, spesso, ha preceduto l’analisi di merito. Ci si è scandalizzati per il solo fatto che qualche regola sia cambiata.

Ancora più affascinante appare questa reazione se si considera che in senso stretto non è stata cambiata nessuna regola, si è semplicemente data qua e là un’interpretazione diversa rispetto a quella della Tradizione. Non verrà emesso debito da parte dell’Unione. Tutto rimarrà formalmente bilaterale, tranne i 50 miliardi aggiunti alla facility che nei mesi scorsi aveva aiutato Ungheria e Romania (senza che nessuno protestasse, peraltro). La Bce non stamperà un euro (i titoli comprati verranno sterilizzati).
Il livore delle critiche colpisce particolarmente quando proviene da inglesi o americani che non hanno avuto nulla da eccepire rispetto a misure molto più brutali prese dalla Fed, dalla Bank of England o dalla Banca del Giappone. Spesso queste misure sono state invocate dai mercati e dalla comunità degli economisti e non di rado sono state considerate addirittura insufficienti.
Per dare l’idea dei due pesi e delle due misure partiamo da un aspetto non centralissimo. Qualcuno si è stracciato le vesti o ha sentito brividi lungo la schiena, il 28 aprile, quando il comunicato del Fomc è stato votato a schiacciante maggioranza ma con il dissenso formale di Honig? Qualcuno ha pensato che Honig stia preparando l’uscita dal dollaro da parte della Fed di Kansas City? Qualcuno ritiene che senza il falco Honig la Fed si incamminerà verso il baratro? Ecco invece che un consiglio della Bce con Weber dissenziente appare come una disgrazia da commentare con concitazione e costernazione.
Andando poi al nocciolo della questione, la filosofia che ha ispirato tutte le misure prese nel fine settimana è quella del credit easing, non quella del quantitative easing. Tra i due approcci c’è una notevole differenza.
Il quantitative easing è l’acquisto diretto di titoli (e titolacci) finanziato con la stampa di moneta. Il credit easing è l’acquisto diretto di titoli (e titolacci) finanziato con la vendita di altri titoli già in portafoglio o prendendo a prestito soldi dai mercati.
La manovra europea parte tutta (più avanti si vedrà, ogni giorno ha la sua croce) come credit easing. Il veicolo da 440 miliardi (più i 220 del Fondo Monetario) si avvarrà di garanzie dei singoli stati dell’Eurozona e si finanzierà sul mercato. La Bce, dal canto suo, comprerà titoli greci o portoghesi o di chiunque sia attaccato dai lupi vendendo Bund che ha in portafoglio. Sarà la vista che cala con l’età, ma di euro freschi di conio o stampa non riusciamo a vederne.
Certo, la qualità dell’attivo della Bce in questo modo non migliorerà, ma ricordiamoci che la Fed ha in pancia tonnellate di titoli di agenzie a confronto delle quali la Grecia è solida come una roccia (oltre a uno spezzatino di asset ex Bear Stearns e Aig e a garanzie elargite in giro ai tempi della crisi). In totale la Fed ha creato base monetaria per 1.2 trilioni (la Bank of England in proporzione ancora di più). La Bce, a oggi, è ferma a 60 miliardi di covered bond.
I nostalgici della Bundesbank e dei suoi rigori dovrebbero considerare che la creazione di moneta pari all’ per cento del Pil da parte della Fed non ha nuociuto al dollaro, che oggi molti cercano avidamente. In evidente violazione delle leggi di natura, inoltre, quell’ per cento non si è accompagnato a un’esplosione dell’inflazione, ma a una sua diminuzione. Si può anzi dire che quella dose di zuccheri a un paziente ipoglicemico che stava collassando è stata il fattore che ha portato l’America alla ripresa e il dollaro alla sua forza attuale rispetto a euro e yen (gli zuccheri ai pazienti iperglicemici portano invece allo Zimbabwe).
La questione del default greco, comunque venga risolta, non è per l’immediato. Da parte greca non c’è interesse a prendere misure unilaterali per i prossimi tre anni per due motivi. Il primo è che la Grecia ha i soldi assicurati appunto per tre anni e non si fa uno sgarbo a chi ci aiuta. Il secondo è che ai paesi indebitati viene voglia di ripudiare il debito quando raggiungono il pareggio primario. Uno stato in pareggio non ha bisogno di soldi freschi e può trattare malissimo i vecchi creditori, salvo ricucire i rapporti (come sta facendo l’Argentina con chi non ha accettato la ristrutturazione del 2005) quando torna in passivo operativo e deve cercare di nuovo soldi in giro. Alla Grecia ci vorranno almeno due anni per arrivare a un pareggio primario.
Dal canto loro, anche le banche francesi e tedesche avranno bisogno di due o tre anni per costituire riserve per una svalutazione dei titoli greci. Quanto a Spagna e Portogallo, i fondi europei li mettono al riparo, ma quello che conta è che la correzione fiscale è già iniziata e procederà spedita.
L’Europa mediterranea vivrà una fase di deflazione salariale per i prossimi tre-cinque anni. L’euro debole almeno per i primi due eviterà che ci sia una discesa complessiva del sistema dei prezzi. Per i prossimi mesi, quindi, l’euro andrà venduto su forza. L’euro debole non è un problema, è anzi parte della cura.
La borsa tedesca, in particolare i ciclici esportatori, trarrà vantaggio da questa situazione. Le imprese tedesche venderanno di meno in Grecia, Spagna e Portogallo, ma venderanno di più in tutto il resto del mondo. E’ uno scambio molto vantaggioso nel momento in cui la Cina sta per rivalutare e trascinare verso l’alto le altre valute asiatiche, incluso lo yen.
A conti fatti il branco di lupi che ha attaccato l’euro ha indotto Eurolandia a svegliarsi dal suo torpore, a prendere atto dei suoi problemi e a reagire prendendo più in fretta misure che si sarebbero dovute comunque adottare.
Ora i lupi sono tornati sulle montagne con lo stomaco solo mezzo pieno, ma è bene che non si allontanino troppo. L’Europa sta rafforzando i suoi meccanismi di controllo su tutti i paesi membri, ma un certo numero di lupi che girano intorno contribuirà a fare mantenere alta la guardia.
La crisi dei giorni scorsi indurrà i mercati a una certa prudenza ancora per qualche tempo, ma è stata troppo breve per incidere sulla crescita globale. Le stime di crescita hanno anzi continuato a essere alzate anche nei giorni più bui.
Il tema del rallentamento della Cina e dell’esplosione inflazionistica continuerà ad esserci ricordato ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. E’ da settembre che si va avanti con questa teoria. I dati pubblicati lunedì indicano però la produzione industriale e le vendite al dettaglio in crescita del 18 per cento anno su anno e un’inflazione alla vertiginosa altezza del 2.8 per cento. Alla fine un certo rallentamento ci sarà, ma controllato e limitato.
Il 2011 sarà l’anno mondiale delle tasse. A gentile richiesta dei mercati che sopportano sempre meno i disavanzi, i governi colpiranno imprese, cose e persone. Fu così anche nel 1936 e nel 1937, proprio per questo si ricadde in una pesante recessione. I governi hanno studiato l’esperienza del 1937 e cercheranno di non usare una mano troppo pesante. Lupi permettendo.
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

 

La settimana, 19/2010

Saturday, 15 May, 2010 - di phastidio
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Settimana di forte volatilità sui mercati. Iniziata con l’annuncio di un accordo tra Commissione europea e Fondo Monetario Internazionale per istituire una linea di credito di stabilizzazione fino a 750 miliardi di euro, composta da garanzie per 440 miliardi di euro, erogabili da un veicolo finanziario speciale di durata triennale, il cui status giuridico resta indeterminato, attivabile a richiesta di singoli paesi membri dell’Eurozona. Il FMI interverrebbe con altri 250 miliardi. Il pacchetto si aggiunge ai 110 miliardi già decisi per la Grecia. Altri 60 miliardi di fondi di assistenza verranno raccolti attraverso emissione di obbligazioni della Commissione europea, nell’ambito degli interventi per contrastare le crisi di bilancia dei pagamenti di natura eccezionale e fuori dal controllo degli stati membri, come da articolo 122 del Trattato di Lisbona. A questa misura si affianca l’intervento della Banca centrale europea nel mercato secondario dei titoli di stato, per rimuoverne alcune “disfunzioni”.

La Bce ha quindi avviato, per il tramite delle banche centrali nazionali, le operazioni di riacquisto di titoli di stato dei paesi membri, ed ha successivamente deciso che, per sterilizzare gli effetti sulla base monetaria di tali operazioni farà ricorso a depositi a termine, mentre al momento le banche commerciali venditrici possono solo ricorrere al deposito overnight della Bce, al tasso dello 0,25 per cento. L’entità della misura è finalizzata a scoraggiare i mercati dall’assumere iniziative speculative, scommettendo sulla rottura dell’Area Euro. Dopo una prima accoglienza molto positiva da parte dei mercati, nella giornata di lunedì, con forti rialzi di borsa e rimbalzo dell’euro contro dollaro, cautela e dubbi hanno finito col prevalere, e la settimana si è chiusa con l’euro ai minimi contro dollaro dalla fine del 2008 (la fase immediatamente successiva al crack Lehman), e borse globali in forte ripiegamento.
I mercati sembrano scontare la crescente probabilità che le misure di consolidamento fiscale (annunciate in settimana da Spagna e Portogallo, per circa l’1,5 per cento del rapporto deficit-Pil nel biennio 2010-2011, mentre l’Italia sta approntando una manovra equivalente) produrranno un ulteriore forte rallentamento congiunturale in Area Euro, con evidenti ricadute anche sul resto dell’economia globale. In parallelo, si segnala il forte apprezzamento dell’oro, che beneficia delle crescenti incertezze e del rischio che le reiterate iniezioni di liquidità delle banche centrali finiscano col produrre inflazione.
In questo contesto i dati macroeconomici perdono rilevanza, perché percepiti come obsoleti. Ma l’incertezza globale è accresciuta anche dai timori per l’economia cinese: nel mese di aprile, infatti, l’indice tendenziale dei prezzi al consumo si è portato al 2,8 per cento, dal 2,4 per cento di marzo. Nello stesso mese, i nuovi prestiti erogati dalle banche cinesi sono fortemente aumentati, mentre i prezzi delle proprietà immobiliari sono cresciuti del 12,8 per cento su base annuale. Gli investimenti fissi urbani, misura della spesa governativa in infrastrutture e componente fondamentale dell’economia cinese, nel quadrimestre gennaio-aprile sono cresciuti del 26,1 per cento sullo stesso periodo dello scorso anno.
Cresce quindi la possibilità che le autorità cinesi si trovino costrette ad adottare misure drastiche per raffreddare la congiuntura, anche alla luce della crisi europea che indebolisce un importante mercato di sbocco per l’economia cinese. Nella giornata di giovedì un’asta di titoli di stato cinesi a nove mesi è stata sottoscritta per soli 17,4 miliardi di yuan sui 20 offerti, malgrado un rialzo dei rendimenti da 1,54 a 1,72 per cento. I rendimenti reali negativi tengono lontani gli investitori, e tendono a favorire quegli impieghi alternativi (come l’immobiliare) che sono alla base delle bolle dell’economia cinese.

 

Fonte - Macromonitor

 

 

Gli effetti nascosti dell'incidente BP

Giovedì, 19 maggio 2010 - 13:33 - di Marco Caprotti
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“Non sarà solo BP a pagare per il disastro petrolifero in corso nel Golfo del Messico. La catastrofe avrà effetti pesanti: non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello dell’industria energetica nel suo complesso”. Per l’analista di Morningstar Eric Chenowet, insomma, è inutile nascondersi dietro a un dito: a pagare non sarà soltanto la compagnia inglese che possedeva (al 65%) e gestiva la piattaforma estrattiva il cui crollo ha aperto una voragine sottomarina dalla quale escono tonnellate di petrolio ogni ora (per vedere l’intervista completa in lingua originale clicca qui ).
Dato per scontato che, dal punto di vista finanziario, i primi a essere preoccupati sono i vertici e gli azionisti di BP che dovranno sopportare le condizioni peggiori, ci sono altri aspetti sui quali il mercato sembra non essersi concentrato abbastanza. “Primo fra tutti gli effetti di questo disastro nel settore della trivellazione”, spiega Chenowet. “Il Congresso americano potrebbe decidere di passare una legge draconiana per vietare le trivellazioni in mare o per renderle molto più costose”.
Di norma, quando un settore si trova a che fare con legislazioni troppo restrittive o cerca altre zone dove le normative sono più elastiche, oppure cerca di risolvere il problema attraverso migliorie tecnologiche che abbassino il costo delle operazioni. “In questo secondo caso dobbiamo capire quanto l’aspetto tecnologico sia importante per il settore”, continua l’analista. Un elemento importante è quello dei sistemi (e quindi del costo) per la sicurezza. “I sistemi che sono in uso oggi, evidentemente non sono sufficienti”, spiega Chenowet. “Questo significa che l’intero comparto energetico dovrà ripensare la strategia legata agli allarmi e agli interventi di emergenza. Due elementi che, al di la dei costi, richiederanno tempi lunghi”.
Un divieto all’utilizzazione degli impianti off shore avrebbe un impatto sul prezzo del barile. “Secondo le stime, la maggior parte degli aumenti delle forniture previsti per il prossimo decennio dovrebbe arrivare da pozzi sottomarini” dice l’analista. “Si tratta dei giacimenti più promettenti dopo quelli di alcuni Paesi dell’Opec”. La questione da affrontare non è agevole. “Le piattaforme off shore non sono solo al largo del Golfo del Messico” continua Chenowet. “Il Brasile, in questo senso, hanno grandi risorse da sfruttare. Dubito che accetterebbero di rallentare l’estrazione o di chiudere i pozzi sotto il mare. Non hanno ancora avuto incidenti e, quindi, probabilmente pensano di avere la capacità di prevenirli”.
L’elemento innovativo, in questa situazione, è che il disastro ecologico in corso può dare una spinta decisiva all’utilizzo delle energie alternative. “Alcuni consulenti del governo che lavorano in quest’area e con i quali abbiamo parlato ci hanno detto che quanto sta succedendo li sta aiutando”, conferma l’analista che, agli investitori interessati consiglia di guardare alle aziende che si occupano di energia solare come First Solar.

 

Fonte - www.morningstar.it

 

 

 

Scaroni: "C'è petrolio per i prossimi 70 anni" (Expansion)

19 maggio 2010 - di Elysa Fazzino
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«C'è petrolio sufficiente per coprire i prossimi 70 anni»: è quanto afferma l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, in un'intervista esclusiva al quotidiano economico spagnolo Expansion.
Nessun cenno alla Repsol, nel testo pubblicato sul sito web: nei giorni scorsi lo stesso Expansion aveva scritto, nella sua versione online, che Eni aveva avviato sondaggi presso il governo di Madrid per un'eventuale integrazione con il gruppo petrolifero spagnolo-argentino Repsol Ypf. Le prime due domande dell'intervista riguardano proprio la Spagna e l'America Latina.
«Siamo nel mercato del gas spagnolo, con la partecipazione del 50% in Union Fenosa Gas», dice Scaroni. «La nostra presenza nel settore petrolifero downstream (raffinazione e distribuzione) è piuttosto limitata. Pensiamo che consolidare le nostre attività downstream della penisola iberica in Galp, essendo Eni uno dei suoi principali azionisti, possa creare sinergie e aggiungere valore a entrambe le compagnie». Galp Energia è un'azienda portoghese operante nel settore petrolifero e del gas in cui Eni ha una quota del 33,34%. La brasiliana Petrobas ha di recente smentito le indiscrezioni secondo cui sarebbe in trattative per acquisire la quota Eni in Galp.
Quanto all'America Latina, all'osservazione dell'intervistatore che questa area geografica non sembra prioritaria per l'Eni, Scaroni risponde che, fuori dall'Italia, il sostegno dell'Eni è sempre stato l'Africa. «A parte l'Africa abbiamo consolidato la nostra presenza nei paesi Ocse e nella regione del Caspio. In America latina siamo in Brasile, Ecuador e abbiamo una presenza importante in Venezuela».
C'è poi la Russia. Perché – chiede Expansion - l'Eni è una delle compagnie più dinamiche nel promuovere affari con la Russia? «Ci sono buone ragioni – spiega Scaroni - perché le compagnie del petrolio e gas mantengano una presenza dinamica in Russia: è uno dei paesi più ricchi in idrocarburi e gioca un ruolo chiave per l'Europa nella sicurezza delle sue forniture. Eni gode di un'ampia tradizione di buone relazioni commerciali con la Russia».
In particolare, la collaborazione tra Eni e Gazprom, iniziata nel 1969, si è sviluppata e rafforzata «significativamente». Nel 2006 è stato firmato un accordo strategico e nel 2007 Eni è entrata per la prima volta nel settore upstream (esplorazione e produzione) in Russia. «Oggi abbiamo il 30% di SeverEnergia, la sua unica associazione con compagnie non russe che opera in Yamal (Siberia occidentale), la regione che produce attualmente il 90% del gas russo».
D fronte alle preoccupazioni che il mondo stia per arrivare al limite della sua capacità di produzione di petrolio, Scaroni osserva: «C'è molto petrolio. Per ora, il nostro pianeta ha la disponibilità di riserve chiamate sicure di oltre un miliardo di barili». Queste riserve – nota il manager - sono maggiori di tutto il greggio consumato da quando è iniziata l'era del petrolio, alla fine del XIX secolo. A queste riserve sicure si aggiungono quelle probabili e le possibili riserve aggiuntive. In totale, secondo Scaroni, si può contare come minimo su circa cinque miliardi di barili, «sufficienti per coprire il consumo mondiale per i prossimi 70 anni».
Expansion definisce «spettacolare» la progressione dell'Eni negli ultimi anni: la società petrolifera italiana, che per capitalizzazione «è la quarta dell'Ue e la prima dell'area mediterranea», ha incrementato del 50% la sua produzione di greggio e gas e commercializza un volume di gas «equivalente al triplo del consumo spagnolo».

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

 

 

  Previsioni di Borsa. Nonostante le difficolta', lo S&P500 salira' a quota 1350

Pubblicato il 20 maggio 2010 | Ora 01:47 – di WSI

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Nonostante le difficolta' degli ultimi giorni i listini Usa continueranno la corsa e l'S&P 500 si spingera' sino a quota 1350 entro dodici mesi. Questa l'idea condivisa da Phil Orlando, chief equity market strategist di Federated Investors, e Scott Wren, senior equity strategist di Wells Fargo Advisors.
Galvanizzati da una serie di report economici positivi, i principali indici della Borsa americana hanno iniziato il mese nel migliore dei modi, con rialzi superiori all'1%. Ma non si fa in tempo a festeggiare che e' gia' ora di pensare al futuro e chiedersi quanto ancora durera' il rally.
"Se da un lato i nostri target di fine anno sono sui livelli attuali, dall'altro non mi sorprenderebbe vedere un balzo sul breve termine", ha dichiarato all'emittente televisiva statunitense CNBC Wren, sottolineando che l'economia sta migliorando e che prevede una crescita del PIL di circa il 2.5% quest'anno.
"Ci aspettiamo una crescita modesta dell'economia, un'inflazione moderata e i titoli che potrebbero fare bene in un contesto di questo tipo".
A livello settoriale Wren ha un'esposizione superiore alla media sui ciclici, gli industriali e il comparto dei materiali di base, mentre preferisce essere sotto esposto nei gruppi di assistenza sanitaria, grandi magazzini e utility.
Nel frattempo, Orlando ha detto che i mercati "si stanno arrimpicando su un muro di paura", ma che tuttavia preferisce ancora restare rialzista sull'azionario, scommettendo su un'estensione del rally. "La crescita del PIL sara' di circa il 4%", ha aggiunto.
Il prezzo obiettivo dell'S&P 500 da qui a un anno e' stato stabilito a quota 1350. Orlando non nasconde la sua preferenza in particolare per i tecnologici, mentre il consiglio e' quello di evitare i Treasury in questo periodo.
 

 

 

  Lunedì 17 Maggio 2010   Martedì 18 Maggio 2010   Mercoledì 19 Maggio 2010  
       
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GR1 RAI - 17 Mag. ore 22:00

   

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GR1 RAI - 18 Mag. ore 22:00

   

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GR1 RAI - 19 Mag. ore 22:00

   

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  Wall Street: Russell (Dow Theory) ovviamente non e' ottimista

Pubblicato il 20 maggio 2010 | Ora 18:21 – di WSI

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Abbandonare immediatamente l'azionario a stelle e strisce. Meglio correre ai ripari visto che non si puo' escludere un "rilevante crollo". E' questa l'indicazione che Richard Russell, l'autore della newsletter che dal 1958 viene attentatmente guardata dagli operatori del mercato.
Nell'ultima edizione della sua Dow Theory Letters, l'esperto ha avvertito: se il Dow scendera' sotto i livelli dello scorso 7 maggio c'e' un alta probabilita' che si verifichi un "crollo" di dimensioni importanti. La soglia in questione, 10380.43, e' proprio quella che nella seduta di ieri, 19 maggio, e' stata rotta al ribasso, durante l'intraday pero'. E da cui oggi ci si e' nuovamente allontanati.
D'altra parte e' proprio nella penultima giornata dell'ottava che livelli tecnici monitorati dagli analisti sono stati rotti. La soglia cruciale resta la chiusura del fatidico giorno di panico. E se non si stara' sopra qualcuno potrebbe pensare che quello che e' diventato famoso come il "Flash Crash" potrebbe esser tutt'altro che da imputare a un pollice troppo grosso (che avrebbe pigiato un tasto piuttosto che un altro, cosa per altro esclusa) o (soprattutto) a errori di tipo tecnico.
"Leggendo l'andamento del mercato, quello che l'azionario suggerisce e' che abbiamo davanti a noi una sorpresa", ha scritto Russell. Una sorpresa tutt'altro che positiva visto che consiste in un "inversione al ribasso per l'economia in generale, insieme a una serie di altri problemi".
L'85enne autore della newsletter che realizza ogni tre settimane ha aggiunto: "fate un favore ai vosti amici. Dite loro di correre ai ripari" perche' ci si deve preparare a tempi duri. L'esperto ha scritto: "dite loro di chiudere le posizioni sulle obbligazioni a carico e vendere tutto quello che possono con l'obiettivo di puntare alla liquidita'. Dite loro che Richard Russell ha anticipato che entro fine anno non saranno in grado di riconoscere lo stato del paese. Loro ribatteranno "Come ha fatto a saperlo? Chi glielo ha detto?". "Spiegate che e' stato il mercato a suggerirmelo".
Russell sostiene di aver intravisto i problemi per il Dow sin da aprile, inclusi i ritracciamenti di quei titoli che erano riusciti a riagguantare i massimi da 52 settimane. "Se le aziende stanno registrando conti migliori delle attese, perche' il Dow ha perso 600 punti?", conclude retoricamente l'esperto.
Gli esperti stanno monitorando anche un altro dato importante: la media mobile a 200 giorni, usata per capire il trend di mercato. Visto che sia Dow sia S&P stanno rompendo questa media mobile, molti analistici tecnici sono pronti a dichiarare che ci troviamo ormai in un mercato all'insegna dell'orso.
L'unico, o tra i pochi, a restare bullish nonostante la giornata odierna (20 maggio) e' Jack Scannep, editore di TheDowTheory.com. E questo perche', secondo lui, i movimenti osservati sul mercato nell'ultimo mese non possono esser considerati precondizioni per segnali sell.
Indicazioni di vendita potrebbero arrivare, per Scannep, soltanto se il mercato non riuscira a spingersi oltre i massimi di aprile per poi portarsi al di sotto dei livelli della correzione in atto. Non resta che vedere chi ha ragione.
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

ANALISI / Una crisi che ricorda il dopo Lehman

21 maggio 2010 - di Walter Riolfi
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Prima o poi ci troveremo a dover chiudere le borse. E quel giorno sarà la conseguenza di un'esplosione di panico, dice il responsabile del reddito fisso di una grande banca. Probabilmente non esagera, perché la situazione che stanno sperimentando i mercati finanziari ricorda molto quella dell'autunno 2008 dopo il fallimento Lehman. C'entrano poco i fondamentali dell'economia, per quanto vi siano analisti che interpretano l'attuale crisi come il risultato di una falsa ripresa economica. La cosa grave è che una bufera partita dai debiti governativi e ingigantita dalle perplessità europeiste della Germania sia dilagata a tutti i mercati del credito e a quelli azionari e si stia configurando come una vera crisi di fiducia tra gli investitori, non diversamente da quanto era avvenuto con i titoli subprime. A differenza del 2008, non ci dovrebbero essere titoli "tossici" a complicare questa volta le cose, a patto che non si vogliano considerare tali i bond governativi della Grecia che quotano attorno a 70 centesimi: guarda caso il prezzo indicativo di una eventuale ristrutturazione del debito ellenico.
Ormai non è più il caso di parlare di speculazione, perché a vendere non è il presunto concerto di alcuni hedge fund. Vendono tutti: gli hedge ovviamente per primi, le banche d'affari che sono piene di titoli nei portafogli di proprietà, le banche commerciali che sono nella medesima condizione, i fondi d'investimento e tutte le grandi istituzioni. Più che vendere sarebbe corretto dire che stanno cercando di proteggersi, poiché il ribasso parte soprattutto da chi vende (anche allo scoperto) i future sulle varie attività finanziarie. Non si liquidano i titoli di stato, ma si vendono i derivati sul benchmark; non ci si libera delle azioni, ma si va al ribasso attraverso i future sugli indici. Lo stesso modo di operare si riproduce sui mercati delle materie prime che sono tutte in pesante caduta, persino l'oro che per parecchi mesi ha rappresentato una sorta di rifugio.
Anche la presunta protezione rappresentata dal bund tedesco o dal Treasury Usa è frutto di acquisti mediati attraverso i derivati. Non c'è la corsa a mettere i soldi sui titoli di stato tedeschi, americani o francesi, ma quella di comprare il future: con il risultato di forzare le quotazioni dei titoli sottostanti e far crollare i rendimenti che sono finiti ai minimi storici per i decennali tedeschi e francesi. Quasi nessuno vende, per esempio, i BTp italiani i cui prezzi sono semmai cresciuti da inizio anno, ma in un mercato diventato sostanzialmente illiquido si cerca protezione comprando l'omologo titolo tedesco. Ecco perché s'è allargata a dismisura la forbice dei rendimenti rispetto al Bund. Gli effetti più devastanti li si vede come sempre sulle borse: non perché la situazione macroeconomica suggerisca che le azioni siano care, ma perché quello azionario rimane il mercato comunque più liquido.
Gli investitori più accorti fanno notare che così era successo anche nel 2008. Le prime tappe di una riduzione forzata della leva finanziaria passano attraverso la ricerca di una protezione. E la leva finanziaria oggi è forte come quella di due anni fa. Come allora, la liquidità che si riesce a procurare finisce negli strumenti di breve periodo. E questo spiega perché il titolo Schatz a due anni renda appena lo 0,45% quando il tasso della Bce è all'1 per cento.
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

Mr Doom Roubini prevede ancora un 20% di calo

21 maggio 2010 - di Miaeconomia
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I mercati azionari continueranno a colare a picco nei prossimi mesi, fino a perdere un altro 20 per cento. E' l'opinione del "Dr.Doom" Nouriel Roubini, l'economista della New York University noto per essere stato tra i primi a prevedere la crisi finanziaria del 2008. La debolezza dell'Eurozona e un rallentamento della ripresa negli Stati Uniti e altri paesi sviluppati renderanno la vita difficile agli investitori nei prossimi mesi, ha detto Roubini a Cnbc. "Ci sono alcune parti dell'economia mondiale che ora sono a rischio di una seconda recessione", ha detto. "Da questo punto in poi vedo le cose peggiorare".
Per Roubini i prezzi di azioni e materie prime soffriranno, e gli investitori potranno trovare un rifugio sicuro solo nel denaro contante o in altri asset più sicuri. Il mercato è a rischio "perché prima di tutto ci sono problemi a livello macroeconomico nell'Eurozona. Poi in Cina ci sono segnali di rallentamento, il Giappone non è messo molto bene e la crescita economica degli Stati Uniti rallenterà", ha detto. E ha aggiunto che anche la riforma finanziaria appena approvata dal Congresso americano rappresenta un rischio "perché non sappiamo che effetti avrà".
Per questo Roubini suggerisce di fare investimenti sicuri, come nei titoli di stato di paesi "che non hanno seri problemi di debito pubblico, la Germania per esempio, e forse il Canada, e alcune altre economie che da un punto di vista fiscale sono più sane". Per quanto riguarda l'Europa, Roubini ha detto che risolvere i problemi del debito in Grecia è una "missione impossibile" e che delle decisioni difficili sono inevitabili. "Ciò che si deve fare è chiaro. Bisogna alzere le tasse e tagliare le spese. Altrimenti ci ritroveremo in un deragliamento fiscale", ha detto. "Ci vorranno anni di sacrifici".
 

Fonte - Mieconomia

 

 

 

Credito: banche americane con "problemi" salgono a 775

Pubblicato il 23 maggio 2010 | Ora 17:04 - di ANSA
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In totale 775 banche, cioe' un decimo dell'intero sistema bancario degli Stati Uniti, e' sulla "lista nera" della FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation) che comprende gli istituti bancari Usa con "problemi" alla fine del primo trimestre 2010. La lista e' cresciuta al nuovo massimo con l'incremento dei crediti in sofferenza nel settore immobiliare commerciale, che ha inciso negativamente sui bilanci delle banche. Lo scrive il Wall Street Journal.
La crescita dei crediti a rischio in altri comparti dell'economia continua poi a pesare sui bilanci degli istituti di credito americani. Il numero totale di prestiti bancari sui quali risultano ritardi di almeno tre mesi nel pagamento degli interessi e' in aumento per il 16esimo trimestre consecutivo (esattamente 4 anni), ha comunicato la FDIC.
"Il sistema bancario Usa ha ancora molti problemi da risolvere - ha detto il chairman della FDIC Sheila Bair - e non possiamo ignorare la possibilita' di ulteriore volitilita' del mercato".
 

Fonte - ANSA

 

 

 

Borsa: il grafico per ora e' identico al crash del 1929 e al crollo di Tokyo

Pubblicato il 24 maggio 2010 | Ora 13:00 - di WSI
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Della serie: un grafico racconta l'economia e la borsa meglio di 10.000 articoli. Quello che WSI pubblica in home page, in particolare, aggiornato a venerdi' scorso dopo una settimana di cali pesanti a Wall Street, e' illuminante e rafforza la tesi di short, ribassisti e orsi.

 

     
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Come vedete, da una prospettiva di tempistiche, l'andamento del Dow Jones nel crash del 1929 che diede inizio alla Grande Depressione si allinea in modo molto simile se non identico all'andamento della "gamba" ribassista sul Nikkei e all'andamento dello S&P500 attuale (il picco del benchmark Usa corrisponde al top delle dot.com in America toccato nel gennaio 2000 e coincide perfettamente con il top della borsa di Tokyo quando il Nikkei tocco' quota 40.000 per dimezzarsi in pochi mesi).
In conclusione, se non ci sara' un forte rimbalzo in tempi brevi degli indici americani, allora la previsione di quel che potrebbe accadere sulla borsa Usa (e di conseguenze a Milano e borse europee) e' gia' visibile anche a non esperto e non e' molto incoraggiante, in base ai precedenti storici statistico/grafici. Gli appassionati di analisi tecnica sono invitati a inviare i loro commenti per spiegare a tutti la loro pinione su questo grafico.

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

 

  Incubo corporate bond, i numeri ricordano il crollo di Lehman

Pubblicato il 24 maggio 2010 | Ora 10:00 – di WSI

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Confortati in qualche modo dalla chiusura al rialzo che Wall Street è riuscita ad archiviare lo scorso venerdì, i listini azionari europei hanno avviato la settimana tentando la strada dei guadagni.

Ma l'incertezza è palpabile e nessuno si fa false illusioni.
A dimostrare il forte momento di tensione che attanaglia gli investitori di tutto il mondo non sono infatti solo la turbolenza e la volatilità che assillano i listini azionari e il mercato dei cambi. Indicazioni più che chiare del brutto momento che il sentiment in generale sta vivendo arrivano infatti - e come poteva essere altrimenti - anche dal mercato del credito.

Tali indicazioni sono decisamente negative, come fa notare Bloomberg in un suo articolo.
Basti pensare che, molto probabilmente, le vendite dei corporate bond chiuderanno il mese di maggio con la peggiore performance in un decennio; e che i rendimenti relativi stanno balzando al ritmo più elevato dai tempi - e la sola parola fa accapponare decisamente la pelle - del collasso di Lehman Brothers.
Il motivo alla base di questa situazione è il solito e porta il nome di crisi di fiducia o di avversione al rischio.

In un contesto in cui si parla ogni giorno dei debiti europei e in cui a essere agitato ovunque è lo spettro dei Piigs, la fiducia degli investitori non riesce, infatti, a imporsi con convinzione.
I dati di Bloomberg indicano così che le stesse società hanno emesso nel mese di maggio obbligazioni per un valore di 47 miliardi di dollari, in calo rispetto ai 183 miliardi di dollari di aprile e al minimo dal dicembre del 1999.
Contemporaneamente, l'indice Global Broad Market compilato da Bank of America Merrill Lynch, segnala come la fiducia dei potenziali sottoscrittori di bond è talmente malconcia che il rendimento extra che viene assicurato ai detentori dei bond - ovvero il differenziale in più rispetto ai rendimenti dei titoli di stato - si appresta a registrare la crescita maggiore dall'ottobre del 2008. (appunto, i tempi del crollo di Lehman).

I numeri parlano chiaro.
L'indice mostra che, al momento, i rendimenti sui corporate bond si attestano in media a un valore superiore di 188 punti base rispetto ai rendimenti assicurati dai titoli di stato; il differenziale è dunque cresciuto in modo sostenuto dai 142 punti base toccati lo scorso 21 aprile, e la velocità del rialzo è stata per l'appunto la più elevata dall'ottobre del 2008 (quando l'incremento fu di ben 108 punti base).
A essere più penalizzati, continua Bloomberg, sono soprattutto i junk bond emessi negli Stati Uniti: in questo caso gli spread sono arrivati a salire questo mese di 141 punti base fino a quota 702.
William Cunningham, responsabile delle strategie del credito e della divisione di ricerca dell'unità di investimento di State Street a Boston, parla così in una intervista a Bloomberg di una "crisi di liquidità" e continua: "Non è inconcepibile immaginare una situazione in cui i mercati si comportano in questo modo, in cui a essere sotto pressione è la liquidità e in cui la tolleranza al rischio, semplicemente, evapora, soprattutto in Europa".
Gli fa eco Peter Chatwell, strategist dei tassi di interesse di Credit Agricole Corporate and Investment Bank di Londra. "Stiamo assistendo a una intensificazione dell'avversione al rischio e anche a un allargamento dell'avversione al rischio nelle varie categorie di asset".
E uno specchio di tutto ciò è lo stesso Libor per i prestiti in dollari a tre mesi che, lo scorso 21 maggio, ha testato il massimo dal 24 luglio. Un record che conferma la nuova riluttanza delle banche a erogare prestiti.
 
 

Fonte - www.WallStreetItalia.com

 

 

 

  Lunedì 24 Maggio 2010   Martedì 25 Maggio 2010   Mercoledì 26 Maggio 2010  
       
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GR1 RAI - 24 Mag. ore 22:00

   

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GR1 RAI - 25 Mag. ore 22:00

   

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GR1 RAI - 26 Mag. ore 22:00

   

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La Ue propone un fondo per gestire i fallimenti bancari

26 maggio 2010 - di Giuseppe Chiellino
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La Commissione europea propone che la creazione di una rete UE di fondi per finanziare la «risoluzione ordinata» delle insolvenze bancarie con l'obiettivo di garantire che in futuro i fallimenti di banche non avvengano a spese del contribuente né destabilizzino il sistema finanziario. Dopo averne discusso al prossimo Consiglio europeo, la Commissione europea presenterà queste idee al G-20 di Toronto il 26-27 giugno 2010.
«Questi fondi - si legge in una nota diffusa a Bruxelles - farebbero parte di un dispositivo più ampio volto ad impedire future crisi finanziarie e a rafforzare il sistema finanziario. La Commissione ritiene che un modo per raggiungere tali obiettivi sia imporre agli Stati membri di istituire, nel rispetto di regole comuni, dei fondi ai quali le banche siano tenute a versare un contributo. I fondi non verrebbero utilizzati per il salvataggio di banche ma solo per garantire che il loro eventuale fallimento venga gestito in modo ordinato e non destabilizzi il sistema finanziario».
«Non è accettabile che i contribuenti continuino a sopportare i pesanti costi dei salvataggi di banche e che siano in prima linea in questi casi" ha spiegato il commissario per il mercato interno Michel Barnier. «Io credo - ha aggiunto - nel principio chi inquina paga e quindi dobbiamo costruire un sistema che garantisca che in futuro sia il settore finanziario a pagare il costo delle crisi bancarie. Credo in quest'ottica che si debba chiedere alle banche di alimentare un fondo finalizzato a gestire i fallimenti di banche, a proteggere la stabilità finanziaria e a limitare il contagio; non deve trattarsi però di un fondo di salvataggio. L'Europa deve svolgere un ruolo guida sviluppando impostazioni comuni ed un modello di cooperazione che possa essere applicato a livello mondiale».
Secondo Bruxelles, il modo migliore per utilizzare i prelievi a carico delle banche è quello di creare una rete di regimi prefinanziati nell'Unione europea con un «mandato restrittivo» per finanziare le cosiddette 'banche ponte', il trasferimento totale o parziale di attività e passività e il finanziamento della separazione tra good bank e bad bank. Si tratta di misure già indicate dalla commissione Ue a ottobre scorso, nella comunicazione sulla gestione delle crisi.
Non sfugge a Bruxelles che l'istituzione di un fondo del genere comporta comunque «seri problemi» di 'rischio morale' «se vi fosse la convinzione che l'esistenza di questi fondio protegga le banche da futuri fallimenti». Perciò viene chiarito «senza alcuna ambiguità» che «gli azionisti e i creditori non assicurati debbono essere i primi a far fronte alle conseguenze del fallimento di una banca» e che i fondi in questione «non saranno una polizza di assicurazione e verranno utilizzati non già per il salvataggio di banche insolventi bensì piuttosto per agevolare lo svolgimento regolare di un fallimento».
Il commissario Barnier ha detto che la commissione europea proporrà anche «la registrazione obbligatoria dei cds».
 

 

 

Le banche dovranno garantire i depositi dei risparmiatori

26 maggio 2010 alle ore 21:09 - di Il Sole 24 Ore
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Con la comunicazione sui fondi per le «misure di risoluzione delle insolvenze bancarie» Bruxelles avvia la exit strategy dalla copertura illimitata dei fallimenti da parte degli stati sovrani. È questo il senso della proposta avanzata dal commissario Ue al mercato interno, Michel Barnier, che sarà presentata alla prossima riunione del consiglio europeo e al G-20 di Toronto in calendario il 26 e 27 giugno.

L'obiettivo di fondo è dunque quello di armonizzare, non solo in sede europea, le misure di protezione dei risparmiatori, trasferendo il peso delle garanzie - che da quando è scoppiata la crisi pesano sui conti dei governi e quindi sui contribuenti - sulle banche e sui loro azionisti.
In Italia l'idea del 'blanket coverage', la garanzia totale, dei depositi bancari in caso di fallimento della banca è stata introdotta a ottobre 2008 con il decreto salva-banche poi trasformato in legge. In pratica la garanzia è stata estesa all'intero importo depositato da ciascun risparmiatore, con qualsiasi strumento. È stato superato, quindi, il limite di 103 mila coperto sino ad allora dal Fondo interbancario di tutela dei depositi.
«La crisi greca - spiegano i vertici dello European forum of deposit insurer - ha rafforzato la capacità di decisione della Ue e ha accelerato il processo di superamento delle garanzie statali, senza per questo perdere la tutela dei risparmi». Uno dei passaggi «fondamentali» della nuova disciplina che si prospetta è l'introduzione del concetto di 'bridge bank', la banca ponte, che potrà essere finanziata con la rete di fondi Ue che, a loro volta, saranno finanziati dalle banche. «Il concetto di banca ponte è mutuato dalla legislazione americana - spiegano le fonti - e in Italia consentirebbe una gestione più facile delle crisi bancarie trasferendo gli asset ad una nuova entità giuridica, la bridge bank appunto, che non è prevista dal nostro diritto fallimentare. Sarebbe più agevole il passaggio dalla amministrazione straordinaria alla liquidazione coatta amministrativa, evitando di depauperare eccessivamente gli attivi della banca in fallimento».
La comunicazione di Barnier si innesta nel processo di modifica della direttiva sui sistemi di garanzia di tutela dei depositi avviata dalla commissione europea che dovrebbe definire entro luglio prossimo gli emendamenti, costituendo il primo tassello del nuovo quadro comunitario. Barnier si è poi impegnato a presentare entro ottobre «proposte piu' dettagliate per la gestione delle crisi».
La direttiva comunitaria sulla tutela dei depositi modificherà innanzitutto la modalità di finanziamento dei fondi di garanzia. La discussione è se finanziare i fondi con un meccanismo ex post, come il fondo interbancario italiano che scatta immediatamente dopo il fallimento di una banca con l'intervento di tutti gli altri istituti che aderiscono al fondo, oppure con un sistema ex ante che prevede il finanziamento progressivo di uno strumento che, secondo alcune stime, per l'Italia potrebbe arrivare a cirfca 8 miliardi di euro. «Su questo punto c'è un confronto serrato tra gli istituti di credito e le istituzioni comunitarie: i primi vogliono ridurre al minimo il peso di questi nuovi oneri sui bilanci le seconde vogliono dare un segnale di garanzia e di equità ai risparmiatori. Ma bisogna anche evitare che oneri eccessivi si trasferiscano ai clienti attraverso le commissioni». Un'ipotesi di mediazione è il modello francese misto.
L'altro punto di «confronto» è sui tempi per l'attivazione dei rimborsi. Oggi in caso di fallimento di una banca i fondi di garanzia hanno 20 giorni di tempo per rimborsare i clienti: la Commissione e l'Europarlamento vogliono portare a 3 giorni il limite per i rimborsi. In discussione, infine, i criteri di analisi del rischio che oggi sono nazionali e che dovranno essere armonizzati, anche perchè da questi dipenderà, in parte, la definzione del contributo di ciascuna banca al fondo di garanzia.
 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 

 

 

Parla il guru: BRIC, il toro è già qui e si scatenerà ancora

Pubblicato il 27 maggio 2010 | Ora 10:50 - di AGI
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In un momento in cui si sente parlare ormai ogni giorno della crisi europea, dei debiti europei, e della disfatta del Vecchio Continente, per chi investe forse è meglio focalizzare l'attenzione su aree che, a dispetto dei gufi, rimangono molto appetibili.
E' la parola d'ordine proferita da Mark Mobius, di Templeton Asset Management, che in un'intervista a Bloomberg vede l'Eldorado nei paesi emergenti, a dispetto delle incertezze che minacciano in questo momento i fondamentali della congiuntura globale.
Brasile, Russia, India e Cina, ovvero l'area Bric: è nei titoli azionari di questi paesi che il fondo sta continuando a fare acquisti.
"Non credo affatto a chi dice che stiamo entrando in un mercato orso (nelle economie emergenti) - spiega Mobius, presidente esecutivo del fondo con sede a Singapore - Ciò a cui stiamo assistendo è solo una correzione di una fase toro di mercato, che continuerà".
Il riferimento è alla performance dell'indice Msci Emerging Markets, che dallo scorso 15 aprile è sceso del 15%, scontando sia i timori sull'adozione di una politica monetaria restrittiva da parte della Cina sia lo spettro dei deficit dell'Europa.
Da segnalare però che lo stesso indice è balzato del 96% dal minimo di quattro anni testato nell'ottobre del 2008 e, solo nella giornata di ieri, ha guadagnato il 3,2%, recuperando dalla flessione più forte sofferta dal marzo del 2009.
"Quando arriverà il momento, i mercati emergenti segneranno un recupero notevole e ancora più veloce", anticipa Mobius, il cui fondo sta acquistando titoli azionari anche di altri paesi emergenti, come Dubai e Egitto.
E riguardo alla Corea del Sud, l'investitore veterano sottolinea che Templeton non ha ridotto le partecipazioni nelle società del paese che ha acquistato, in quanto esse, che al momento dell'acquisto si sono confermate "relativamente poco costose", potrebbero beneficiare della ripresa economica attesa per la nazione asiatica.
 

Fonte - AGI

 

 

 

 

 

  La massa monetaria Usa sta crollando come durante la Grande Depressione

Pubblicato il 28 maggio 2010 | Ora 07:38 – di The Telegraph

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La massa monetaria M3 degli Stati Uniti si sta flettendo ad un ritmo cosi' sostenuto che e' arrivata a toccare i livelli visti l'ultima volta durante i cali accusati dal 1929 al 1933. Questo nonostante i tassi di interesse Usa vicini allo zero e nonostante il maggiore blitz fiscale della storia del Paese.
Le cifre, che comprendono un'ampia gamma di conti bancari e sono monitorate dagli esperti europei e britannici di politiche monetarie in cerca di segnali allarmanti circa la direzione che l'economia degli Stati Uniti sta prendendo con un anno di anticipo, parlano chiaro: la flessione e' iniziata la scorsa estate. Il ritmo, con il tempo, ha poi subito un'accelerazione.
Lo stock monetario e' sceso da 14.200 miliardi dollari a 13.900 miliardi dollari da febbraio ad aprile, pari a un tasso annuo di contrazione del 9.6%. Il patrimonio dei fondi istituzionali del mercato monetario e' sceso ad un tasso del 37%, la punta piu' acuta mai toccata. La cattiva notizia e' che siamo tornati al 1931. La buona notizia e' che non siamo ancora al 1933.
"E' spaventoso", ha dichiarato il professor Tim Congdon di International Monetary Research. "Il crollo della massa M3 non ha precedenti dai tempi della Grande Depressione. Il motivo dominante alla base della contrazione e' che le autorita' di tutto il mondo stanno facendo pressione sulle banche perche' raccolgano altro capitale dal mercato e perche' riducano le loro attivita' di rischio. Per questo motivo l'economia degli Stati Uniti non si sta riprendendo come sperato", ha detto.
Le autorita' statunitensi hanno da offrire una spiegazione completamente diversa per giustificare il fallimento delle misure di stimolo e stanno ancora optando per altre massicce dosi di spesa keynesiana, nonostante gli avvertimenti del FMI sul debito pubblico lordo degli Stati Uniti, che si prevede raggiungera' il 97% del PIL il prossimo anno e il 110% entro il 2015.
Larry Summers, principale consigliere economico del presidente Barack Obama, ha chiesto al Congresso di "stringere i denti" e di approvare un nuovo stimolo fiscale da $200 miliardi per mantenere l'economia sui binari della crescita. "Siamo a corto di quasi 8 milioni di posti di lavoro. Per milioni di americani e' ancora emergenza economica".
David Rosenberg di Gluskin Sheff ha fatto notare che la Casa Bianca sembra aver invertito rotta solo poche settimane dopo che Obama ha promesso di fare rientrare l'enorme deficit di bilancio di $1.500 miliardi (9.4% del PIL) quest'anno e ha istituito una commissione per indirizzare tali tagli. "Sono iniziative inaccettabili. Il governo degli Stati Uniti ha una paura da morire di cadere in una recessione a doppia V", ha detto.
La richiesta della Casa Bianca equivale ad una tacita ammissione di impotenza, nella constatazione che l'economia sta gia' perdendo spinta. La ripresa potrebbe congelarsi alla fine di quest'anno, con il pacchetto originale di misure di rilancio da $800 miliardi che incomincia a svanire.
Summers ha sottolineato che la crisi della zona euro ha acceso i riflettori sui pericoli della spirale del debito pubblico, aggiungendo che le spese pubbliche "facili" non hanno fatto che rimandare il giorno della resa dei conti e lasciano gli Stati Uniti in balia dei creditori esteri. In definitiva, "fallimento genera fallimento", nella politica fiscale.
Congdon ha detto che i rischi che la politica dell'amministrazione Obama comporta sono quelli di ripetere gli errori strategici del Giappone, che ha spinto il debito a livelli pericolosamente alti con una spinta fiscale dopo l'altra, durante il decennio battezzato "Lost Decade".
"La politica fiscale non funziona - ha proseguito Congdon - gli Stati Uniti hanno appena provato il piu' grande esperimento fiscale della storia ed hanno fallito. Cio' che conta e' la quantita' di denaro. Se la Fed non agisce, una recessione a doppia V diventera' una certezza".
Bernanke invece ormai non da' piu' peso ai dati sulla massa monetaria M3. La banca centrale ha smesso di pubblicare le cifre cinque anni fa, considerandole un elemento troppo erratico per poter essere considerato utile.
Ma questo potrebbe rivelarsi un errore capitale, dal momento che la crescita a due cifre dell'M3 durante la bolla immobiliare Usa ha offerto un chiaro segnale di allarme di quanto la situazione fosse fuori controllo. L'improvviso rallentamento dello stock monetario tra l'inizio e la meta' del 2008 - proprio quando la Fed iniziava a discutere di una eventuale cambio di politica monetaria - ha fatto suonare un secondo campanello d'allarme, indicando che l'economia stava per rimanere impantanata in una fase di recessione.
Anche Paul Ashworth di Capital Economics ha detto che la contrazione della massa M3 e' preoccupante, precisando che indica un crescente rischio di deflazione. "L'inflazione core e' già la piu' bassa dal 1966, quindi non abbiamo molto margine di errore. La deflazione diventa una minaccia se si protrae abbastanza a lungo da diventare radicata".
Tuttavia, Ashworth ha messo in guardia contro un'interpretazione meccanica delle cifre dell'offerta di moneta. "Si potrebbe anche sostenere che l'M3 e' in calo perche' la gente ha prelevato i soldi dai propri conti bancari per reinvestirli in azioni, investimenti immobiliari o altre attivita'".
Gli eventi presto ci diranno se questa contrazione e' benigna o maligna. Una cosa e' certa: e' sicuramente impressionante.
 

 

Fonte - The Telegraph

 

 
 

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