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INDICE ARTICOLI

PARTE 2

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Tassi - Area Euro - BCE

La Bce aumenta i tassi dello 0,25%

Tassi - Giappone - BOJI

Attenti: parla la Boji

Tassi - USA - FED

Fed: Bernanrke come Greenspan, tassi ancora ...

Borse e Mercati

Speculare sul Nikkei

Materie Prime - ORO

Oro: sullo sfondo quota 2000

Finanza italiana

La Magiste di Ricucci sull'orlo del crack

   

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+++  ANSA   -  La BCE corregge i taasi dello 0,25%   +++   La Boj abbandona i tassi 0 e opta per l'avvio di una politica restrittiva   +++   La FED corregge per la quindicesiama volta cosecutiva e avverte su possibili ulteriori rincari   +++   ANSA   +++

  Venerdì  3  marzo  2006   Venerdì  10  marzo  2006   Venerdì  17  marzo  2006  
       
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GR1 RAI - 01 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 03 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 06 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 08 MAR ore 19:00

   

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GR1 RAI - 08 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 09 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 13 MAR ore 19:00

   

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GR1 RAI - 13 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 16 MAR ore 23:00

   

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   La Bce aumenta i tassi dello 0,25%

03 Marzo 2006 16:54 Milano - (di Alberto Susic)
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La Banca Centrale europea nel corso della riunione odierna ha deciso di alzare ulteriormente di un quarto di punto i tassi di interesse, che salgono così al 2,5%, dopo il ritocco verso l'alto operato nel meeting del primo dicembre. Si tratta del secondo intervento da parte di Bruxelles nel giro di tre mesi, in seguito al rialzo deciso a dicembre, quando i tassi erano saliti al 2,25%, dopo essere rimasti fermi dal giugno del 2003 al 2%, il livello più basso dal dopoguerra.

La decisione odierna era stata già ampiamente scontata dal mercato che di fatto aveva scommesso su intervento in questa direzione, sulla scia non solo della positività mostrata dagli ultimi dati macroeconomici dell'area euro, ma anche come naturale conseguenza dell'aumento delle pressioni inflazionistiche negli ultimi mesi. Come sempre, gli operatori hanno seguito da vicino e con interesse la consueta conferenza stampa tenuta dal presidente del Board, Jean Claude Trichet, il quale ha illustrato i motivi della decisione odierna, fornendo anche uno spaccato della situazione economica del Vecchio continente.

Il presidente dell'Eurotower ha dichiarato innanzitutto che, nonostante il rialzo deciso oggi, i tassi di interesse si confermano ancora su livelli molto bassi e la politica monetaria continua ad essere accomodante, aggiungendo che l'attenzione sarà costantemente rivolta all'andamento della stabilità dei prezzi.

Il numero uno della Bce non ha mancato di confermare il suo ottimismo in merito al miglioramento dell'attività economica, per la quale si prevedono forti tassi di crescita nel breve termine, ricordando però che sull'attuale congiuntura continuano a pesare i rischi al ribasso dovuti soprattutto all'andamento del prezzo del petrolio e agli squilibri globali. Restano al rialzo invece quelli per l'inflazione, che risentono di ulteriori rialzi dei prezzi del greggio, di una più forte trasmissione di questi ai prezzi al consumo, di nuovi aumenti delle tasse indirette e dei prezzi amministrati e, in particolare, dell'andamento dei salari e dei prezzi più forti del previsto dovuti a effetti di secondo impatto dei passati rialzi del petrolio.

Spostando lo sguardo in avanti però, Trichet è convinto che vi siano tutte le condizioni perché l'espansione economica nell'area euro possa andare avanti, ricordando a tal proposito che la Banca Centrale ha rivisto al rialzo le stime di crescita per il 2006 e il 2007, quando l'economia avanzerà ad un asso compreso tra l'1,7% e il 2,5%, una forchetta che si allarga alla fascia compresa tra l'1,5% e il 2,5% per l'anno prossimo. E' stato rivisto al rialzo però anche l'incremento dell'inflazione, che dovrebbe salire tra l'1,9% e il 2,5% durante quest'anno, passando al range tra l'1,6% e il 2,8% il prossimo.

 

Non a caso, il presidente della Bce ha spiegato a chiare lettere che la decisione odierna di ritoccare verso l'alto il costo del denaro, riflette proprio i rischi al rialzo per la stabilità dei prezzi. Una mossa dunque inevitabile per contrastare i pericoli crescenti sul fronte dell'inflazione, anche se, non è tanto quella odierna a preoccupare il mercato, quanto gli interventi che potranno essere adottati in futuro.

Come più volte accaduto in passato, Trichet non si è sbilanciato oltre il dovuto in questo senso, sebbene abbia ribadito con forza la filosofia e la strategia della Bce, dichiarando che saranno monitorati da vicino tutti gli sviluppi e i dati che giungeranno nei prossimi mesi, pronti ad intervenire per assicurare la stabilità dei prezzi. Pur riconoscendo di non aver in programma ex ante una serie di rialzi dei tassi, Trichet non ha escluso la possibilità di nuove strette monetarie, confermando in maniera diretta la diversità della politica portata avanti da altre banche centrali, come nel caso della Fed che invece sin dall'inizio aveva comunicato l'entità dei singoli interventi.

Il mercato da parte sua è già preparato ad un nuovo rialzo entro il prossimo mese di settembre, ma il problema principale è quello di capire ora se questa sarà davvero l'unica mossa del 2006, e soprattutto cercare di individuare la dimensione della stessa. Un ritocco verso l'altro di un quarto di punto in sostanza è già anticipato dalle quotazioni dell'Euribor, sebbene da questo punto di vista non vi è alcuna garanzia, visto che il capo della Bce già in passato aveva sottolineato come fosse sbagliato ritenere che la Bce possa muovere la sua politica monetaria esclusivamente attraverso aumenti di un quarto di punto per volta.

 

Fonte - Miaeconomia.it

 

 

 

 

 

 

 

Attenti: parla la Boji

08 Marzo 2006 14:12 Milano
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Sarà una due giorni dura, quella che inizia oggi, per i membri della Banca centrale del Giappone (Boj). Entro domani, infatti, l’Istituto centrale nipponico svelerà la sua futura politica monetaria. E la decisione potrebbe scontentare molti: soprattutto gli investitori internazionali e i politici locali.

La Boj negli ultimi anni ha tenuto i tassi di interesse a zero e ha pompato liquidità nel sistema bancario domestico cercando di risollevare l’economia nazionale dalla crisi peggiore dal dopoguerra. La cura da cavallo sembra finalmente funzionare. Il problema, fanno notare alcuni osservatori è che se il Sol Levante ha battuto la deflazione (e questa è un fatto ancora da verificare) adesso il rischio è di entrare in una spirale inflativa. A preoccupare sono gli ultimi dati sulla crescita dei prezzi al consumo, che a gennaio sono cresciuti dello 0,5% rispetto allo stesso mese del 2005. A novembre e dicembre dell’anno scorso il dato era aumentato dello 0,1% rispetto allo stesso periodo del 2004.

Erano otto anni che non si vedeva una crescita dei prezzi al consumo per tre mesi di fila. A questo punto, è la paura di tutti, la Bank of Japan interverrà con una stretta sui tassi. Le attese di una mossa del Giappone ha contribuito in questi giorni al rallentamento dei mercati Usa: lunedì i rendimenti dei bond governativi sono aumentati, mentre le azioni sono calate. Gli investitori americani, insomma, hanno paura che gli aumenti dei tassi di interesse in giro per il mondo (ieri è arrivata una nuova stretta anche dalla Banca centrale canadese) spinga la Fed a fare lo stesso.

C’è poi l’aspetto politico. Il ministro dell’Economia, Koru Yosano, ha già avvertito il governatore della Boj, Toshihiko Fukui, di attendersi che in caso di un rialzo vuole «spiegazioni chiare sulla politica monetaria e su quali siano le condizioni che condizioneranno le imprese». La risposta e le eventuali spiegazioni di Fukui, se ci saranno, sono attese per domani.

 

Fonte - Finanza & Mercati
 

 

 

Borse: outlook positivo per Tokyo

15 Marzo 2006 20:46 Milano (di Sara Silano)
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*Sara Silano è Caporedattore di Morningstar in Italia.

 

L’incertezza sulle mosse di politica monetaria ha innervosito il mercato azionario a febbraio, facendo oscillare più volte l’indice Nikkei sopra e sotto la soglia dei 16 mila punti. La Borsa di Tokyo ha ritrovato slancio dopo la recente decisione della Banca centrale del Giappone di porre fine alla fase ultra-accomodante di tassi di interesse vicini allo zero, che è durata cinque anni. Il listino dei principali titoli ha guadagnato quasi il 3% nell’ultimo mese (al 13 marzo), analogamente all’Msci Japan.

L’aumento dei tassi sarà lento e graduale. L’istituto centrale nipponico ha annunciato di volerli mantenere ancorati allo 0,1% ancora per qualche mese, per posizionarsi poi su livelli “molto bassi” per alcuni trimestri, prima di entrare in una fase di aggiustamenti al rialzo. La decisione sancisce l’uscita dalla politica anti-deflazionistica attuata negli anni scorsi per sostenere l’economia, basata, oltre che su saggi di interesse quasi nulli, sull’iniezione di liquidità nel sistema finanziario.

Il cambiamento di direzione da parte della Banca centrale è legato alla ripresa economica in atto e all’incremento dell’indice dei prezzi negli ultimi tre trimestri, dopo una lunga fase di contrazione. L’obiettivo di inflazione è stato fissato tra lo zero e il 2%, livello più basso rispetto ai Paesi occidentali. Nel quarto trimestre, il Prodotto interno lordo è cresciuto dell’1,3%, a conferma che il Giappone ha imboccato con decisione la strada della crescita.

Nell’ultimo mese, la Borsa di Tokyo ha alternato sedute di forti acquisti e prese di beneficio. Hanno contribuito a generare volatilità le voci di movimenti societari, tra cui le indiscrezioni su un possibile interesse della società internet Softbank per la divisione giapponese di Vodafone e quelle della cessione della partecipazione di General Motors in Suzuki. Inoltre, le società di esportazione sono state influenzate dall’andamento altalenante dello yen nei confronti di euro e dollaro, legato alle politiche monetarie delle Banche centrali europea ed americana.

Secondo il sondaggio sui mercati condotto da Morningstar la prima settimana di marzo, la Borsa nipponica salirà nei prossimi sei mesi per il 62% dei gestori, percentuale in calo rispetto ai mesi precedenti, ma che rimane nettamente superiore a quella dei pessimisti (meno del 5%). Nel breve periodo i fund manager non escludono volatilità e prese di beneficio, mentre nel medio periodo prevale l’ottimismo in quanto la crescita economica è solida.

Il rialzo dei tassi di interesse è considerato da alcuni operatori come una minaccia per il mercato azionario. Altri, tra cui Henderson Global Investors, sostengono che, mentre è chiaro che un incremento dei tassi possa provocare un aumento dei rendimenti delle obbligazioni, non necessariamente questo è penalizzante per la Borsa. La caduta dei ritorni del reddito fisso tra il 1990 e il 2003, infatti, non ha in alcun modo favorito i titoli rappresentativi del capitale di rischio.

Per Glen Maguire, economista dell’area Asia-Pacifico di Société Générale, la decisione della Banca del Giappone è stata mal compresa dal mercato, in quanto non si tratta dell’inizio di un ciclo restrittivo, ma di una normalizzazione della politica monetaria. Tuttavia, l’errore di valutazione porterà volatilità in Borsa nei prossimi mesi e un indebolimento dello yen.

 

 

Fonte - Morningstar.it

 

 

 

 

 

 

   Il tasso falso della BCE

08 Marzo 2006 14:31 Milano
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Jean Philippe Cotis, capo dell’ufficio studi economici dell’Ocse, ha espresso un motivato dissenso sul rialzo dei tassi d’interesse deciso la scorsa settimana dalla Bce. Secondo l’Ocse, sin qui in Europa non si è presentato nessuno dei due fattori, una ripresa economica robusta e una pressione inflazionistica di base, che potevano giustificare una politica di rialzo dei tassi.

 

Jean Philippe Cotis ha aggiunto che la Bce non dovrà compiere nuovi rialzi se non ci saranno segnali privi di ambiguità sulla fine della fase di stanca in cui si è trovata finora l’Europa e sulla crescita delle pressioni nell’inflazione di base. Il riferimento di Cotis all’inflazione di base costituisce un attacco particolarmente pesante a Jean Claude Trichet, il presidente della Bce, e ai suoi consiglieri economici, che non distinguono fra un mero rialzo una tantum del livello generale dei prezzi dovuto a fattori esterni, come l’aumento del prezzo del petrolio, e una pressione inflazionistica di carattere interno, come invece usa fare la Federal Reserve americana. Un rincaro una tantum come quello del barile, per quanto elevato e gravoso, non è di per sé una manifestazione d’inflazione. Potrebbe essere, anzi, un fattore di deflazione, per la riduzione di potere di acquisto che genera nei bilanci dei consumatori. Diventa inflazione solo se si trasmette ai prezzi dei beni di base, tramite un rincaro dei loro costi.

 

In Europa non si è avuto un fenomeno di questo genere, perché l’aumento dei prezzi dell’energia ha frenato l’economia, anziché generare una spirale di aumento di prezzi e salari. Secondo l’Ocse, la dimostrazione di ciò è data dal fatto che l’aumento dei prezzi che era, per il semestre terminato in settembre, del 3 per cento è sceso al 2 in gennaio. E ora la media annuale è del 2,3 per cento. Con il riferimento all’inflazione di base, l’Ocse toglie di mezzo anche le preoccupazioni di Trichet sul pericolo della bolla speculativa immobiliare per la stabilità monetaria.

 

 

Fonte - Il Foglio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tassi USA: la FED li alza dello 0,25%
 

28 Marzo 2006 21:15 NEW YORK (di WSI)
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Come ampiamente atteso dal mercato, il Federal Open Market Committee, il braccio operativo della Federal Reserve, ha aumentato il costo del denaro degli Stati Uniti.
Il target sui fed funds e' stato infatti alzato di 25 punti base al 4.75%. Si tratta del quindicesimo incremento consecutivo. Il primo della serie e' stato deciso nel meeting del Fomc del 30 giugno del 2004.
Il FOMC ha aggiunto che ulteriori rialzi potrebbero essere necessari.
Per i lettori di Wall Street Italia ecco la traduzione in italiano del documento ufficiale della Federal Reserve:
Il Federal Open Market Committee oggi ha deciso di alzare il target sui federal funds di 25 punti base al 4.75%.
Il rallentamento della crescita del Prodotto Interno Lordo reale nel quarto trimestre 2005 sembra avere maggiormente riflesso fattori temporanei o straordinari. La crescita economica e’ rimbalzata considerevolmente nel trimestre in corso ma sembra posizionata per una crescita moderata ad un passo piu’ sostenibile. L’aumento dei prezzi energetici e di altre commodities sembra aver avuto solo un modesto effetto sull’inflazione “core”, l’incremento della produttivita’ ha aiutato a mantenere sotto controllo la crescita dei costi lavorativi, le attese restano per un inflazione contenuta. Tuttavia, la possibile crescita nell’utilizzazione delle risorse, in combinazione con gli elevati prezzi energetici e delle altre commodities, potrebbero avere il potenziale di aggiungere maggiori pressioni inflazionistiche.
La Commissione ritiene che ulteriori azioni di politica monetaria siano necessarie per mantenere bilanciati i rischi per l'ottenimento sia di una crescita sostenibile che di stabilita' dei prezzi. In ogni caso, la Commissione rispondera’ ai cambiamenti sulle prospettive economiche nel migliore dei modi per garantire tali obiettivi.

 

A votare a favore dell’azione di politica monetaria del FOMC sono stati: Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Susan S. Bies; Jack Guynn; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Jeffrey M. Lacker; Mark W. Olson; Sandra Pianalto; Kevin M. Warsh; e Janet L. Yellen.
In un'operazione collegata, il Comitato dei Governatori (Board of Governors) ha approvato all'unanumita' un incremento di 25 punti base del tasso di sconto al 5.75%. Nel prendere questa decisione, il comitato ha approvato le richieste formulate dai Comitati dei Direttori (Boards of Directors) della Federal Reserve Bank di Boston, New York, Philadelphia, Cleveland, Richmond, Atlanta, Chicago, St. Louis, , Minneapolis, Dallas, e San Francisco.

 

Ed ecco il testo originale del documento che accompagna la decisione della Federal Reserve di aumentare il tasso interbancario al 4.75%:
The Federal Open Market Committee decided today to raise its target for the federal funds rate by 25 basis points to 4-3/4 percent.
The slowing of the growth of real GDP in the fourth quarter of 2005 seems largely to have reflected temporary or special factors. Economic growth has rebounded strongly in the current quarter but appears likely to moderate to a more sustainable pace. As yet, the run-up in the prices of energy and other commodities appears to have had only a modest effect on core inflation, ongoing productivity gains have helped to hold the growth of unit labor costs in check, and inflation expectations remain contained. Still, possible increases in resource utilization, in combination with the elevated prices of energy and other commodities, have the potential to add to inflation pressures.
The Committee judges that some further policy firming may be needed to keep the risks to the attainment of both sustainable economic growth and price stability roughly in balance. In any event, the Committee will respond to changes in economic prospects as needed to foster these objectives.
Voting for the FOMC monetary policy action were: Ben S. Bernanke, Chairman; Timothy F. Geithner, Vice Chairman; Susan S. Bies; Jack Guynn; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Jeffrey M. Lacker; Mark W. Olson; Sandra Pianalto; Kevin M. Warsh; and Janet L. Yellen.
In a related action, the Board of Governors approved a 25-basis-point increase in the discount rate to 5-3/4 percent. In taking this action, the Board approved the requests submitted by the Boards of Directors of the Federal Reserve Banks of Boston, New York, Philadelphia, Cleveland, Richmond, Atlanta, Chicago, St. Louis, Minneapolis, Dallas, and San Francisco.

 

 

Fonte - Wall Street Italia.com

 

 

 

 
 
 
 
 
 

 

  FED: BERNANKE COME GREENSPAN, TASSI ANCORA IN RIALZO
    POSSIBILI NUOVE STRETTE; ECONOMIA PER ORA CONTINUA A CORRERE

 

    28 Marzo 2006 21:57 ROMA (ANSA)

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L' era-Bernanke si è aperta esattamente così come si era chiusa l' era-Greenspan: vale a dire che il costo del denaro negli Stati Uniti è salito ancora (ai massimi da 25 anni) ed inoltre sono più che probabili nuove strette di politica monetaria. E' questa la sostanza del comunicato con cui oggi la Federal Reserve, a conclusione della prima seduta del Federal Open Market Committee (FOMC) presieduta appunto da Ben Bernanke, ha ufficializzato la decisione di portare i Fed Funds al 4,75%, altri 25 punti base in più.
Una mossa che era stata peraltro scontata dai mercati, i quali però si aspettavano probabilmente novità per quanto riguarda le prospettive, speranzosi di intravedere la fine del tunnel, cioé del lungo rialzo dei tassi d' interesse che si protrae ininterrottamente dal giugno del 2004. In tutto finora la Fed, con quello odierno, ha deciso 15 rialzi con la conseguenza che il costo del denaro è ai livelli più elevati dal mese di aprile del 2001.

 

Nel comunicato di oggi, la banca centrale statunitense aggiunge che "qualche altro rialzo potrà rendersi necessario", allo scopo di tenere sotto controllo l' inflazione. Al riguardo, la Fed precisa comunque che l' impatto derivante dal prezzo del petrolio (tornato proprio oggi sopra i 66 dollari a New York) e delle altre materie prime è stato "modesto" sul cosiddetto 'core rate', cioé l' indice dei prezzi depurato da cibo e petrolio. Ma al tempo stesso, i prezzi energetici ed i costi del lavoro pongono - è stato spiegato - alcuni rischi in termini di andamento dell' inflazione complessiva. Tanto più - si osserva - che "l' economia ha recuperato in maniera forte nel trimestre in corso", anche se al tempo stesso "appare probabile che debba rallentare fino ad un tasso di sviluppo più sostenibile".

 

La decisione odierna è stata presa all' unanimità; il livello del costo del denaro negli Usa è diventato il più elevato fra i Paesi del G7, sopra il 4,5% del Regno Unito e ben 225 punti base più del tasso-Bce. Adesso, le prossime riunioni del FOMC sono in calendario per il 10 maggio e per il 28-29 di giugno. Il mercato dà per scontato - il 93% dei pareri è favorevole al riguardo - che si arriverà senz' altro al 5,0%. Dopo di che le incognite restano, perché se l' economia non dovesse rallentare, la corsa proseguirebbe. Con il rischio che un livello dei tassi troppo elevato possa farsi sentire sui consumi, vero e proprio 'motore' dell' economia statunitense.

 

Fonte - ANSA

 

 

 


 

ANSA   +++   14 Marzo 2006  22:21  -  WALL ST.: UN BEL RALLY PORTA GLI INDICI AL TOP DAL 2001  -  14 Marzo 2006  22:21    +++   ANSA

    Sabato 18  marzo  2006    Venerdì  24  marzo  2006    Sabato  25  marzo  2006  
       
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GR1 RAI - 21 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 22 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 23 MAR ore 22:30

   

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GR1 RAI - 27 MAR ore 23:00

   

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GR1 RAI - 28 MAR ore 22:00

   

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GR1 RAI - 30 MAR ore 22:30

   

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   Speculare sul Nikkei

 

21 Marzo 2006  0:59  MILANO - (di *FtaOnLine)

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*Financial Trend Analysis e' una societa' che opera nel settore dell'Analisi Tecnica.

 

Dopo la Federal Reserve e la Banca Centrale Europea anche la Banca del Giappone ha deciso recentemente di cambiare la propria politica monetaria. Nel caso dell'istituto giapponese tuttavia il mutamento è decisamente più rilevante: a partire dal 2001 infatti la Bank of Japan (BOJ) aveva attuato la cosiddetta politica di allentamento quantitativo. Tale politica consiste nell'agire sul sistema monetario immettendo liquidità sul mercato e non direttamente sui tassi di interesse. La BOJ aveva sempre dichiarato che avrebbe mantenuto tale politica fino a quando sarebbero rimasti rischi di deflazione.

 

La decisione della banca centrale nipponica di abbandonare questo approccio in favore del più classico regime basato sulla crescita dei tassi di interesse significa quindi implicitamente che l'istituto centrale ha smesso di temere il rischio di una deflazione e che le aspettative sono ormai saldamente in favore di una ripresa economica duratura (la crescita del pil nell’ultimo trimestre dello scorso anno è stata rivista a +1.3% dalla precedente stima pari a +1.4%, un dato comunque migliore di quanto atteso dagli economisti).

I mercati hanno recepito il messaggio: la fase di incertezza potrebbe essere veramente terminata e dopo un lungo intervallo durante il quale la borsa del Sol Levante non aveva riservato grandi soddisfazioni è possibile tornare a guardare con fiducia al mercato azionario nipponico e non solo per quello che riguarda il medio termine. Il trend rialzista in atto dai minimi del maggio 2003 potrebbe non essere quindi una semplice correzione del precedente lungo ribasso, ma ha invece la possibilità di dimostrarsi una fase rialzista dotata di dignità autonoma, destinata a protrarsi anche nel lungo termine.

Ovviamente la decisione della BOJ avrà anche un effetto rilevante sul mercato dei cambi, sostenendo le quotazioni dello yen contro dollaro. I cambiamenti decisi dalla Banca Centrale avverranno comunque in tempi relativamente lunghi. Per il momento infatti è stato deciso di tagliare a sei trilioni di yen l'ammontare massimo dei rifinanziamenti concessi al sistema bancario dai precedenti 35 trilioni, una variazione che avverrà nel corso dei prossimi mesi. Nel frattempo i tassi dovrebbero rimanere prossimi allo zero (attualmente i tassi sono in area 0,001%).

Da queste decisioni e dal modo trasparente in cui sono state comunicate al mercato si intuisce anche un altro importante elemento: la BOJ non ha più intenzione di perseguire una politica fatta di interventi a sorpresa ma intende rendere consapevoli i mercati delle proprie intenzioni in anticipo, in modo da non creare situazioni di squilibrio. Tale atteggiamento nasce probabilmente dalla consapevolezza di essere nuovamente in una situazione di forza rispetto ai mercati: l'economia tira, il Governo si è adoperato per risolverne i problemi strutturali, la deflazione è ormai uno minaccia lontana.

 

Gli investitori (e gli speculatori) non devono più essere tenuti a bada con le minacce (ad esempio di interventi diretti sul mercato dei cambi) ma tranquillizzati circa la credibilità della ripresa e la sua capacità di protrarsi nel tempo. Ed anche il risparmiatore domestico potrebbe decidere di ascoltare questo messaggio. Del resto i mezzi per investire direttamente sulla borsa giapponese sono molti. In Italia è quotato l'Ishares Msci Japan, uno strumento che permette di replicare l'indice Msci (Morgan Stanley) relativo al Giappone. All'interno dell'MSCI Japan sono compresi 370 titoli circa, un paniere più esteso quindi rispetto a quello del Nikkei 225, ma in pratica l'andamento dei due indici è sostanzialmente sovrapponibile, quindi potrebbe essere sufficiente controllare l'andamento del Nikkei (le cui quotazioni sono di più facile reperibilità) per assumere decisioni di investimento relative anche all'ETF citato.

Ed il quadro grafico del Nikkei sembra promettente: le quotazioni stanno infatti lottando da alcuni mesi, a partire dal top del 14 dicembre 2005, con il 62% di ritracciamento relativo al ribasso dal massimo dell'aprile 2000. Questa quota di resistenza, l'ultima che compare nella serie di Fibonacci più comunemente utilizzata, rappresenta un test importante per un rialzo, dal momento che il suo superamento permette di ipotizzare un proseguimento del trend correttivo fino all'origine del movimento che viene ritracciato.

 

Per il Nikkei il superamento netto di area 16000 potrebbe significare quindi un ritorno verso il top del 2000 a 20830 punti circa. Oltre i massimi di febbraio di area 16550 l'indice Nikkei potrebbe procedere al test di area 18000, resistenza intermedia sulla strada dei 21000 punti. E non dovrebbero impensierire più di tanto eventuali flessioni: tutta la fase rialzista dal minimo di aprile 2005 si è realizzata senza che si verificassero vere e proprie correzioni, quindi una fase di ritracciamento potrebbe fornire una occasione all'indice per rimodellare la curva dell'ascesa secondo un tasso di crescita più facilmente sostenibile nel medio / lungo termine (negli ultimi mesi, tra ottobre 2005 e gennaio 2006, i prezzi avevano corso molto, facendo salire l'RSI a 21 sedute in netto ipercomprato).

Solo discese sotto i 14500 punti potrebbero rappresentare un elemento critico per il proseguimento del rialzo.

 

 

Fonte - FtaOnLine per Wall Street Italia.com

 

 

 

 

 

 

 

   La ricarica del toro

27 Marzo 2006 5:35 Milano - (di Edoardo Montalbano)
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Era il 12 marzo del 2003, le Borse d’Europa viaggiavano sull’orlo del baratro: sotto gli abissi del settembre 2001 (-37%), a una distanza siderale dai massimi del 2000: meno 73%. Pochi, dopo lo stress di epidemie (la Sars) e conflitti (la guerra irachena) avrebbe scommesso che proprio quel giorno sarebbe partito il rally dei mille giorni del Toro. Nessuno, forse, avrebbe puntato su un rialzo solido, quasi senza soste o correzioni di sorta, capace di superare guerriglie in Medio Oriente, la corsa del greggio e nuove epidemie. Ma così è stato. E adesso? Esistono ancora margini di crescita?

 

LA GRANDE CORSA. In mille giorni il Mibtel ha segnato una performance del 95 per cento, trainato dal boom di bancari (+132%), petroliferi (+100%) e small cap (+122,5% l’indice All Stars). Tra quest’ultime è presente la società che ha corso di più sul listino italiano nell’ultimo triennio: Esprinet. Il gruppo attivo nella distribuzione di prodotti hi-tech ha aumentato il proprio valore di dodici volte, grazie al miglioramento dei risultati di bilancio, con profitti lievitati a 26,6 milioni da 6,34 milioni del bilancio 2002. Alle spalle di Esprinet, nella graduatoria delle lepri di Piazza Affari, figurano Trevi e Tenaris, con un rialzo rispettivamente pari all’851,6 e all’696,5 per cento. Le due società hanno beneficiato, insieme a Saipem (+248,3%), dell’impennata del prezzo del petrolio, raggiungendo nuovi massimi storici.

 

P/E IN LINEA. La stagione del rialzo ha più di una spiegazione. Tra queste una nota a parte la merita la costante crescita dell’efficienza e dei margini operativi in tutta Europa: secondo l’indice del consensus Ibes, il 75% delle società quotate prevede margini operativi più elevati per il 2006. Redditività e crescita dei prezzi sono andati quasi in parallelo, cosicché il p/e, ovvero il rapporto tra prezzi e utili, si è mantenuto quasi costante. Anche tra i titoli che hanno corso di più, come Saipem o Tenaris. L’esempio più efficace è quello dell’Eni. A fronte del rialzo in Borsa (+96%) nell’ultimo triennio, l’utile è cresciuto dai 5,6 miliardi di euro del 2003 agli attuali 8,79 miliardi: il rapporto tra il prezzo e i profitti attesi nel 2006 è 9,1.

 

L’INCUBO DEL FISCO. La bolla, insomma, sembra lontana. Ma la cautela, nel breve, s’impone. Diversi fattori rendono possibile una pausa, se non una correzione: la partenza bruciante del 2006; la prospettiva di un aumento dei tassi; l’ipotesi, non improbabile, di un rafforzamento dell’euro. A questi fattori comuni all’area euro va aggiunta l’incognita post-elettorale. Dal sondaggio di B&F (vedere pagina 13) emerge il rischio di tagli alla spesa, destinati a colpire le grandi opere. Ma, soprattutto, la prospettiva di un intervento fiscale tra la primavera e l’estate che può provocare una battuta d’arresto. E la regola aurea («vendi a maggio e torna in autunno») è stata rispettata anche nel 2004/05, anni Toro per eccellenza. Nei momenti in cui i mercati cambiano passo, si può agire in due direzioni: ruotare dai titoli growth a quelli value (vedere pagina 14); passare dai piccoli e medi a titoli più grandi.

 

Il JOLLY M&A. Ma gli effetti dello stop saranno di breve durata. La Borsa, affermano gli intervistati, si riprenderà. E il finale d’anno sarà bullish. Tuttavia, non è il caso di andare in letargo. Dopo tante chiacchiere gli M&A stanno entrando nel vivo. Anzi, più passa il tempo, più si accumulano munizioni per battaglie roventi. E vantaggiose per i soci. I riflettori sono accesi su Capitalia (p/e pari a 16,4 volte)che pure, dal 2003, ha già aumentato di oltre sette volte il suo valore. Ma nel mirino sono, in pratica, tutti i finanziari (con un occhio di riguardo per Bpi e Unipol), l’energia e le utility. E più ancora le Telecom grandi e piccole. Senza trascurare i turnaround industriali. La Fiat di Sergio Marchionne (più che raddoppiata in meno di un anno) è un esempio che non resterà isolato: Brembo, Pininfarina o Sirti sono i possibili hit.
 

Fonte - Bloomberg - Borsa & Finanza
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il caro greggio che verrà

 

22 Marzo 2006

 

La questione energetica e soprattutto il caro greggio faranno ancora da contrappeso all’andamento dell’economia mondiale, almeno per i prossimi trent’anni. Al centro negli ultimi mesi per i continui rincari, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie) l’oro nero avrà di fatto ancora un ruolo predominante, rendendo marginali le altre tipologie di fonti energetiche.

Dati alla mano, sebbene il prezzo medio del greggio venduto sui principali mercati, pari a oltre 51 dollari nel 2005, dovrebbe scendere a 40 dollari nei prossimi cinque anni, conoscerà una nuova impennata a partire dal 2010. Successivamente infatti i listini del greggio dovrebbero tornare sopra i 50 dollari nel 2020 per poi toccare i 65 dollari nel 2030. In termini reali e con riferimento al livello del 2004, il prezzo salirebbe in media del 3% entro il 2020 e di circa l'8% entro il 2030.

La flessione. A confermare le indicazioni che parlano di un aumento della capacità produttiva globale e di una correlata diminuzione del prezzo fino al 2010, spiega l’Aie, sono le stesse indicazioni di rafforzamento degli investimenti nelle principali regioni produttrici. I paesi dell'Opec hanno annunciato di fatto di aver programmato investimenti che amplierebbero la loro quota produttiva quasi del 20% tra il 2005 e il 2010, consentendo la piena ricostituzione dei precedenti margini.

La ripresa. L’aumento della capacità di produzione tuttavia fa anche pensare a un rafforzamento dello stesso cartello petrolifero sulla formazione del prezzo. Oltre il 2010, il progressivo rialzo dei listini rifletterà le conseguenze del crescente grado di concentrazione dell'offerta in questa regione, spiega l’agenzia parigina. Tradotto in numeri, la quota dei paesi dell'Opec sulla produzione mondiale, oggi pari al 40%, salirebbe al 45% nel 2020 e al 50% nel 2030, valore prossimo al picco del 1973. Lo scenario dell'Aie ipotizza comunque che il cartello non utilizzi la sua posizione dominante per sospingere i  prezzi, ma assecondi l'espansione della domanda mondiale. E non solo: a contribuire all'aumento della quota di mercato dei paesi  dell'Opec sono i costi di produzione nell'area mediorientale che si  ipotizza continuino a restare decisamente più bassi che nel resto del mondo. Il costo medio di produzione di un barile di greggio si colloca oggi a 3-5 dollari in Medio Oriente, a fronte dei 12 dollari nel Golfo del Messico e dei 15 dollari nel Nord Europa.

Così l’oro nero potrà contare anche nei prossimi decenni della sua particolare distribuzione mondiale. Le differenze di costo tra regioni, osserva l’Aie, riflettono direttamente la distribuzione molto concentrata delle risorse petrolifere mondiali: il 57% delle riserve accertate nel mondo è infatti situato in Medio Oriente, di cui circa il 75% in  giacimenti di grandi dimensioni, disponendo così di stock sufficienti a coprire oltre settanta anni di produzione ai volumi attuali.

 

 

Fonte -  Miaeconomia.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   Oro: sullo sfondo quota 2000

 

13 Marzo 2006  2:43  Milano - (di Gianluigi Raimondi)

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«Quest’anno l’oro arriverà a 625 dollari per oncia e, entro il 2009, toccherà quota 900 con possibili punte speculative a 2mila dollari». Un anno fa una previsione del genere sarebbe stata bollata come folle. Ancora oggi appare provocatoria. Ma dietro questa analisi ci sono parecchie buone ragioni. A elaborarle Paul Mylchreest, analista dell’autorevole banca d’affari francese Cheuvreux.

«Anzitutto - spiega l’esperto - le principali banche centrali mondiali possiedono 10-15mila tonnellate di oro in meno rispetto alle 31mila ufficialmente dichiarate. I lingotti mancanti sono stati prestati a molti singoli istituti di credito che a loro volta li hanno venduti all’industria gioielliera». In secondo luogo, il deficit di offerta diventa sempre più ampio. «Senza tenere conto delle vendite non ufficiali effettuate dalle banche centrali - continua l’esperto - attualmente la domanda eccede la produzione di 1.300 tonnellate. L’output delle compagnie minerarie è stato nel 2005 pari a sole 2.500 tonnellate. E i governi di Russia e Cina hanno dichiarato, più o meno velatamente, l’intenzione di comprare oro per diversificare le proprie riserve».

Ma non è tutto. Negli ultimi mesi il peso sulla domanda globale di oro degli investitori istituzionali, quali Etf e fondi comuni, è cresciuto a dismisura: secondo le ultime stime pubblicate nel 2005 dal World Gold Council, il maggiore incremento delle richieste (più 53%) è arrivato da investitori istituzionali, quali fondi comuni piuttosto che Etf. «Una situazione - prosegue l’analista - che andrà ad amplificare il rally dei prezzi, visto la carenza di oro fisico e la capacità, propria di questa tipologia di operatori, di determinare direzioni ed eventuali accelerazioni dei prezzi sul mercato».

A questo si aggiunge poi il fatto che, sempre secondo le stesse stime, il dato relativo ai consumi del comparto gioielliero (2.736 tonnellate nel 2005, pari al 73% della domanda totale) è stato positivo, con un incremento del 5% rispetto a quanto registrato l’anno precedente. Infine, un altro fattore che a parere di Cheuvreux favorirà la corsa del prezzo del metallo sarà lo scenario macroeconomico degli Stati Uniti. «Al momento l’economia americana - afferma Mylchreest - corre sul filo del rasoio tra inflazione e deflazione. In ottica di breve termine riteniamo che sarà l’inflazione ad avere la meglio. Mentre a cinque anni il quadro potrebbe mutare verso la deflazione. In entrambe le situazioni l’oro è (storicamente, ndr) l’unico asset in grado di proteggere i portafogli degli investitori».

Infatti, anche nell’ipotesi in cui la locomotiva Usa s’impantanasse in una riduzione della crescita del prodotto interno lordo, la domanda delle banche centrali e i bassi rendimenti dei tassi reali riusciranno a sostenere il rally delle quotazioni del metallo prezioso». Che le banche centrali avranno in futuro sempre più fame di oro lo sostiene poi anche Morgan Stanley: «il cumulo delle riserve valutarie negli istituti governativi in Asia - sostiene Stephen Jen, analista della banca d’affari americana - è ormai al limite della sostenibilità. In Cina, per esempio, fra non molto si arriverà a mille miliardi di dollari.

Diversificare diventa un imperativo. E l’oro è la scelta più sensata». Da inizio 2001 le quotazioni dell’oro al Fixing di Londra sono raddoppiate passando da 275 a 545 dollari per oncia. Attenzione però al peso della valuta: calcolata in euro la performance si riduce del 50 per cento.

 

 

Fonte - Borsa & Finanza

 

 

 

 

    Martedì  7  marzo  2006    Venerdì  17  marzo  2006    Giovedì  30  marzo  2006  
       
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   La Magiste di Ricucci sull'orlo del crack

30 Marzo 2006 5:37 Milano - (di Walter Galbiati)
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Un gruppo sull´orlo del fallimento. In pieno «disequilibrio patrimoniale e finanziario», causato da almeno quattro motivi. Una perdita sui cambi con la Popolare Italiana da 62 milioni di euro. La riduzione del valore delle azioni Rcs. Il sequestro dei titoli (e quindi delle plusvalenze) Antonveneta. E la scarsa capitalizzazione del gruppo, il cui patrimonio netto è pari a soli 1,2 milioni di euro. Sono queste le premesse con le quali si apre il fascicolo riservato di 43 pagine sul gruppo Magiste preparato dagli advisor della Vitale & Associati che oggi sarà sul tavolo dell´incontro con i vertici della Popolare Italiana.
È una prima fotografia, scattata lo scorso 31 ottobre, del castello di società che fanno capo a Stefano Ricucci. Società che molti revisori non hanno voluto certificare o non sono riusciti ad analizzare fino in fondo. Del resto la stessa Vitale & Associati a pagina 2 del documento si affretta a precisare che «non rilascia alcuna dichiarazione e non presta alcuna garanzia circa la correttezza, l´accuratezza, la veridicità e la completezza delle informazioni». E declina ogni responsabilità.
La situazione patrimoniale di fine ottobre presenta, a fronte di un passivo di 1,592 miliardi di euro, costituito per lo più da debiti bancari (1,418 miliardi), un attivo di pari valore e principalmente composto da immobili (366,8 milioni), crediti vari (60,7 milioni), titoli Rcs (621,8 milioni), altre azioni (Antonveneta, Capitalia, Mps e Bpi per 500 milioni) e liquidità per 34,4 milioni di euro.

 

Da allora, però, qualcosa è cambiato. Sono state vendute un po´ di azioni in portafoglio (Mps e Capitalia) per diminuire l´esposizione verso le banche, la Procura di Milano ha provveduto a cedere la quota Antonveneta all´Abn Amro confiscando tutti gli introiti e la Popolare Italiana ha avviato le procedure per escutere i pegni sui titoli Rcs. E saranno proprio i risvolti di queste due ultime operazioni a decretare il futuro di Ricucci e della sua galassia di società. Secondo una simulazione della Vitale & Associati, a fine marzo il patrimonio netto del gruppo Magiste nella peggiore delle ipotesi sarà in negativo per quasi 180 milioni di euro. E nella migliore in rosso per 75,6 milioni di euro.
A decretare le dimensioni reali del "buco" sarà ovviamente l´esito della partita Rcs. Ovvero il prezzo a cui saranno venduti i titoli in pegno alla Popolare Italiana. Se si riuscirà a piazzarli a 4,1 euro, si avrà lo scenario peggiore, mentre quello migliore ipotizza una cessione a 5 euro. I contatti con i possibili compratori, come il patto di sindacato tra i grandi soci o la stessa Rcs nell´ambito di un buy back, proseguono serrati, ma sul tavolo rimane sempre aperta la possibilità di creare un prodotto strutturato, come una obbligazione convertibile o convertenda (tradizionale o con vendita differita) per la quale hanno proposto alcune soluzioni la Lehman Brothers, la Goldman Sachs e la Dresdner.

 

Un´ulteriore riduzione dello sbilanciamento patrimoniale della Magiste potrebbe arrivare dalla sorte dei soldi incassati con il pacchetto Antonveneta. La cessione agli olandesi ha procurato 381,2 milioni di euro, 231 milioni dei quali hanno permesso di sistemare i crediti verso Deutsche Bank, Meliorbanca, Banca Intermobiliare, SocGen e parte di quelli verso la Popolare Italiana. La plusvalenza (56 milioni di euro), invece, è stata confiscata dalla Procura, mentre i restanti 94 milioni sono finiti su un conto sorvegliato dal custode giudiziale Emanuele Rimini per garantire eventuali altri creditori.
 

Dimenticata la plusvalenza, che non tornerà mai nelle disponibilità di Ricucci, nei piani della Vitale & Associati quei 94 milioni di euro restano un tassello fondamentale per salvare il gruppo. Secondo le stime degli advisor, ne avanzeranno solo 16,4 milioni, perché ben 77 milioni serviranno per coprire i fabbisogni che si presenteranno da qui a giugno. Nel dettaglio, quei soldi aiuteranno a rimpolpare il patrimonio netto se andranno a coprire 3,2 milioni di euro per oneri finanziari su mutui maturati al 31 marzo, 12,7 milioni per retribuire consulenti e amministratori e 13 milioni di euro per ristrutturare l´immobile di Via Lima in base agli accordi presi con la Confcommercio. Altri 47,9 milioni di euro, invece, se ne andranno per imposte da pagare entro giugno 2006.
La situazione in ogni caso appare difficile, perché per risolversi definitivamente ha comunque bisogno dello stralcio dei crediti della Popolare Italiana non coperti da garanzie. L´incontro di oggi è la prima tappa di una trattativa che non può prolungarsi più di tanto. I legali consigliano alla Popolare Italiana di andare per la loro strada, perché non si sa quali altre sorprese possa riservare il gruppo Magiste, mai certificato. Perché Magiste ormai cammina sull´orlo del burrone.
 

 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

 

 

 

   Il trader di Fiorani

 

02 Marzo 2006  16:04  New York - (di Claudio Gatti)

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Nel panorama dei personaggi emersi nella vicenda Lodi-AntonVeneta, Gaudenzio Roveda è un unicum. Non è mai stato un funzionario della Lodi, eppure ha operato per anni a stretto contatto con il direttore finanziario Gianfranco Boni. Non è mai stato considerato un «furbetto del quartierino», eppure ha partecipato al concerto su AntonVeneta. Non ha mai avuto rapporti con i politici amici della Popolare, eppure ha aiutato Boni e Fiorani a generare plusvalenze in parte poi girate a quei politici.

Ma soprattutto Gaudenzio Roveda è riuscito a rimanere relativamente lontano dai riflettori mediatici, nonostante il volume di operazioni e di denaro da lui gestito e generato sia stato enorme. Basti sapere che la Procura di Milano ha chiesto alle autorità svizzere di congelare oltre 70 milioni di euro trovati su un suo conto presso la Bipielle Suisse a Lugano. E che a Lodi sono stati individuati altri 35 milioni di euro. Si tratta in entrambi i casi di plusvalenze fatte operando per lo più su un unico titolo: Autostrade.

Al secondo piano della palazzina centrale del quartier generale della Banca popolare italiana, poco oltre la porta a vetri dell'ufficio occupato fino all'autunno scorso dal direttore finanziario Gianfranco Boni, c'è la Sala Mercati. Dietro una porta chiusa. Era lì che Gaudenzio Roveda si sistemava due o tre volte alla settimana. Di solito nel pomeriggio. Arrivava, posava il suo zainetto e si piazzava al computer. Come fosse nel salotto di casa. Invece non era neppure un dipendente della banca. Figlio di un noto commercialista di Lodi che fino al 1999 era stato revisore dei conti del gruppo di Fiorani, Roveda è sempre stato un ragazzo fuori dagli schemi. Col suo codino, i suoi stivali e i suoi jeans con il cavallo alle ginocchia. Ma il suo look a metà tra il cowboy e l'amante dello skateboard non gli ha impedito di farsi la reputazione del genio della finanza. O meglio, della speculazione finanziaria.

Adesso ha quasi quarant'anni, è sposato e vive in una cascina ristrutturata fuori Crema. Ha ancora il codino, seppure siano già spuntati i primi capelli grigi. Ma ha smesso di frequentare la Sala Mercati della banca che fu di Fiorani. «Non esiste che un cliente si serva della Sala Mercati come faceva lui», spiega un dirigente della Bpi. «Tra l'altro faceva operazioni con derivati così grosse e complesse che lo stesso sistema informativo della banca non riusciva a seguirle».

Con la nuova gestione Gronchi-Giarda la banca ha cambiato stile. E ha detto basta a tutto ciò. La Popolare italiana è tornata a essere una banca normale, e lui è tornato a essere un cliente come tutti gli altri. Ma, all'epoca di Fiorani, era tutto fuorché un cliente normale. In Procura a Milano si sta indagando per accertare se Roveda abbia affiancato in molte operazioni il direttore finanziario, Boni, con cui aveva un rapporto molto stretto, in una serie di operazioni speculative molto complesse. In particolare quelle che produssero plusvalenze milionarie di cui poi hanno beneficiato politici e amici vari.

«Roveda aveva un rapporto molto stretto con Boni. Tant'è che andò con lui e Fiorani a Londra per fare un corso di inglese», rivela una persona che partecipa alle indagini ma chiede l'anonimato. Insomma è chiaro che il suo ruolo andasse ben oltre le normali attività di trading. La dimostrazione più evidente è venuta tra il dicembre 2004 e il gennaio 2005, quando Roveda ricevette dalla banca 80 milioni di euro per acquistare 2,8 milioni di titoli Antonveneta, titoli che poi rivendette allo schieramento guidato da Fiorani con una plusvalenza di 10 milioni di euro.

Boni stesso ha inoltre confessato agli inquirenti che Roveda avrebbe partecipato ad almeno una delle tante operazioni di creazione artificiale di plusvalenze. Riguardava il titolo Telecom. Secondo Boni, Gnutti gli chiese di comprare quei titoli a prezzi di mercato, cosa che lui fece servendosi sia dei conti gestiti dei soliti clienti privilegiati che della collaborazione di Roveda. Dopodiché Gnutti comprò quei titoli a prezzi maggiorati generando plusvalenze di 4,5 milioni di euro. Un terzo di quei profitti andò allo stesso Gnutti, mentre il resto fu diviso tra i clienti della Lodi e Roveda.

Ma quella fu solo la prima di una lunga serie di operazioni in Borsa che Roveda risulta aver fatto a partire dal 1999 con affidamenti o per conto di Fiorani e Boni. In un'inchiesta durata alcuni mesi, «Il Sole-24 Ore» ha appurato che il rapporto tra il trader e la banca di Lodi ha riguardato conti diversi e oltre 400 operazioni producendo plusvalenze per oltre cento milioni di euro. La prima operazione significativa venne fatta nel 1999 sul titolo Telecom. All'epoca della scalata di Gnutti e Colaninno. Fu in quell'occasione che Roveda ottenne il primo grosso affidamento. «Il sodalizio iniziò allora, con un forte supporto in fidi fatto alla vigilia dell'Opa su Telecom», conferma al Sole-24 Ore un ex dipendente della banca di Lodi.

Un anno dopo, nel 2000, Roveda concluse attraverso la banca di Fiorani una fortunatissima operazione speculativa che, con un investimento di appena 2,3 milioni di euro, nel giro di una sola settimana gli fruttò oltre mezzo milione di euro. L'operazione fu fatta su Consodata, un titolo quotato al Nuovo Mercato di Parigi alla vigilia di un'Opa condotta dalla italiana Seat e fu così "fortunata" da destare l'attenzione dell'autorità borsistica e della Procura francese. Anche in questa operazione c'entrava la Telecom di Gnutti e Colaninno. La Seat era infatti controllata da Telecom Italia.

Ma veniamo al titolo preferito da Roveda: Autostrade. «Calcoliamo che, a partire dal 2001, il 70-80% dei volumi da lui trattati siano stati su Autostrade», rivela un funzionario della Popolare italiana. «Il suo era un vero e proprio utilizzo garibaldino di quel titolo», conferma un collega, che aggiunge: «Dava l'impressione di andare a colpo sicuro su quel titolo. E 8 volte su 10 ci andava». Nel 2002 Roveda cominciò a operare su Autostrade anche dalla Svizzera. Servendosi però di una società di facciata, la Hd 2 Investments Limited, entità registrata a Tortola, nelle Isole Vergini. Lo dimostra una procura da lui firmata a Lugano l'11 marzo 2002, lo stesso giorno in cui la Bipielle Suisse aprì il conto intestato a Hd 2 Investments.

L'informazione è stata peraltro confermata alla Procura di Milano dall'ex funzionario della filiale svizzera di Bpl Egidio Menclossi, una delle prime gole profonde di questa inchiesta. Al Sole-24 Ore risulta che Roveda iniziò a operare grazie a un bonifico di 3 milioni di euro arrivati attraverso la Dresdner Bank di Francoforte. Dopodiché usufruì di una serie di affidamenti da parte della stessa Bpl Suisse garantiti da fidejussioni di Lodi.

Tra l'11 e il 15 marzo, la società gestita da Roveda comprò opzioni Autostrade per 7,5 milioni di euro. È interessante notare che nei primi 20 giorni di marzo il titolo si tenne stabile tra gli 8,05 e gli 8,2 euro ma che tra il 21 e il 25 di marzo salì del 5%, cominciando un'ascesa che lo portò a rivalutarsi del 10% in meno di 40 giorni. Per circa un anno, Roveda continuò poi a incrementare le sue posizioni di rischio, grazie a nuovi affidamenti della Lodi che gli permisero di comprare una valanga di opzioni su titoli Autostrade.

Ecco cosa scrisse Menclossi alla Commissione Federale delle banche svizzere nel luglio del 2004: «Per quanto riguarda la posizione della società cliente Hd 2... questa è stata oggetto di un'operatività supportata dalla Banca Popolare di Lodi in modo fittizio con... un'importante leva in derivati strutturata e coordinata dalla direzione finanza della Banca popolare di Lodi che dava disposizioni dirette alla sala operativa di Lugano... Si è permesso così di generare plusvalenze in Ticino, nell'ordine di diverse decine di milioni di franchi svizzeri in pochi mesi, sul titolo Autostrade Spa. Quest'ultima società è stata oggetto nel periodo in questione di un'acquisizione tramite Opa da parte del gruppo Benetton».

Sempre a riguardo delle anomalie di Hd 2, Menclossi ha descritto alla Procura di Milano un'operazione contabile fatta il 15 maggio 2003, quando venne «contabilizzato, fuori dal sistema informatico della Bipielle Suisse e con totale falsificazione dei documenti utilizzati sia nella contabilità della banca svizzera che nella Bpl italiana, un'operazione di trading costruita a tavolino. Tale operazione è stata definita... per agevolare il sig. Roveda, il quale è riuscito a creare contemporaneamente una minusvalenza di circa 9.500.000 euro in Italia e una plusvalenza dello stesso importo in Svizzera».

Poco dopo quell'episodio, la posizione Hd 2 venne chiusa. Ma questo non significò la fine delle speculazioni fatte da Roveda attraverso la Bipielle Suisse. Alla Procura di Milano Menclossi ha infatti rivelato che, immediatamente dopo aver chiuso la relazione intestata alla Hd 2, ne aprì un'altra intestata a una seconda società, anch'essa offshore, la Anassor. Che poi è il nome della moglie - Rossana - letto al contrario. Grazie a 30 milioni di euro in fidejussioni forniti da Lodi, Roveda continuò così a lavorare da Lugano. Facendo cosa? Acquistando le solite opzioni su Autostrade.

La ricorrenza di questo stesso titolo nelle operazioni condotte dal trader lodigiano - e il fatto che le operazioni si siano concluse con enormi plusvalenze - non può non sollevare sospetti. Il segreto del successo di Roveda sta nella bravura? O è possibile che abbia avuto accesso a informazioni privilegiate? Opta per questo secondo scenario Egidio Menclossi. Nella lettera da lui inviata alla Commissione federale delle banche svizzere scrisse infatti di ritenere che «il beneficiario economico del conto (Hd 2) era in possesso di importanti notizie confidenziali, in maniera tale da permettergli di effettuare un'operazione che per dimensioni e strumenti utilizzati (derivati) è risultata molto significativa».

«Il Sole-24 Ore» intendeva chiedere spiegazioni allo stesso trader. Abbiamo insistentemente domandato al suo avvocato un incontro in cui potesse tra l'altro illustrarci la natura dei suoi rapporti con la banca di Lodi. Ma Roveda ha rifiutato. Da parte sua la Procura di Milano è convinta che la questioni meriti attenzione. Anche perché conta di stabilire se qualcuno possa effettivamente aver fornito informazioni privilegiate a Roveda o Fiorani sul titolo Autostrade.

 

Fonte - Il Sole 24 Ore

 
 

 

 

 

 

 

Mutui: è ancora boom

 

01 Marzo 2006 - Milano

 

Gli italiani si indebitano sempre di più per comprare la casa: questa la conclusione cui è giunto il Centro Studi Sintesi di Mestre che in un'indagine analizza, accanto alle tendenze dei prezzi degli immobili, l’andamento dei mutui.

Secondo il centro studi, che ha condotto l’analisi su dati della Banca d’Italia, la corsa dei prezzi degli immobili residenziali non accenna a rallentare. Corsa che del resto non si è mai arrestata, salvo brevi ed effimere inversioni di marcia verificatesi in alcuni periodi. Se è vero che il numero delle compravendite nel 2005 si è stabilizzato, è altrettanto vero che i prezzi degli immobili continuano a crescere, molto più degli stipendi.

Negli ultimi anni il prezzo degli immobili è salito in media del 6,7% annuo, mentre le retribuzioni sono aumentate del 2,7%.

E l’aumento dei prezzi continua ad alimentare l’allarme per una possibile “bolla” immobiliare.

Timori che si sono tradotti, negli ultimi anni, in un aumento a pieno ritmo delle richieste di mutui. Negli ultimi sei anni queste ultime sono più che triplicate, proprio alla vigilia di un rischioso riaccendersi delle dinamiche sui tassi di interesse. Nei primi nove mesi del 2005, si legge nello studio, sono stati erogati trenta miliardi di euro di mutui, con un incremento rispetto all’anno precedente del 19,6%. Stime che, seppur preliminari, inducono gli esperti a ritenere che la tendenza alla crescita è consolidata e non accenna a rallentare.

Il dato che più salta agli occhi è quello che riguarda le province del sud: negli ultimi sei anni l’indebitamento per l’acquisto di casa delle famiglie è più che triplicato, aumentando in media del 256% (Vibo-Valentia +814%, Crotone +673,2%, Cosenza +493%, Catanzaro +457%). Un aumento certamente favorito dal livello estremamente favorevole dei tassi di interesse, successivo all’entrata in vigore dell’ euro.

 

E se fino a oggi la congiuntura dal punto di vista del livello dei tassi è stata favorevole -accendere un mutuo costa oggi in media il 3,6% di tasso d’interesse annuo-  a breve si potrebbe arrivare a una situazione insostenibile per le famiglie, avverte l'istituto. Secondo il Centro Studi  Sintesi, infatti, il rischio è che i tassi comincino a salire, visto che la Bce vorrebbe nuovamente aumentare il tasso di riferimento. Il Centro Studi Sintesi ha così simulato una serie di modifiche sulle rate del mutuo qualora dovesse aumentare ancora il tasso di interesse.

Ipotizzando un aumento di un quarto di punto del costo del denaro, una famiglia che abbia stipulato un mutuo per l’acquisto e la ristrutturazione della propria casa, avrebbe un rincaro di circa 200 euro della spesa media annua.

 

 

Fonte - Miaeconomia.it

 

 

 

 

Otto italiani su dieci non risparmiano

 

20 Marzo 2006 - Milano

 

Solo due italiani su dieci riescono a mettere qualcosa da parte. Lo dice il sondaggio mensile di Cierre-Tuttosoldi, sottolineando come quella ristretta parte del Paese che risparmia si tiene sempre più lontana da polizze, assicurazioni e fondi pensione puntando invece sulla casa quando non ritiene opportuno mantenere i propri soldi sul conto corrente per non rischiare nulla.

E’ una fotografia a tinte fosche quella tratteggiata dal sondaggio. Evidenzia le paure e i timori per il futuro: solo poco più del 6% dei risparmiatori è convinto di guadagnare di più per il prossimo anno, mentre il 50% pensa di poter mettere da parte la stessa cifra.

Colpisce anche la crisi di fiducia di una categoria storicamente trainante per l’Italia come quella degli agricoltori (quasi il 70% si dice pessimista per il futuro) a cui fa da contraltare l’ottimismo degli artigiani.

Tornando agli investimenti, balza agli occhi la tendenza verso gli strumenti meno speculativi. Resta inalterata, infatti, la fetta della popolazione che punta sui fondi comuni di investimento, circa il 5%. Migliora addirittura la propensione verso l’investimento obbligazionario: passa dal 2,2% al 3,9%.

Mentre nonostante le ottime performance negli ultimi due anni di Piazza Affari gli investimenti in azioni subiscono un brusco calo: dal 6,7% al 4,9%. Complici i rendimenti ancora bassi (seppure in netto miglioramento negli ultimi mesi) anche i titoli di Stato sono meno gettonati: dal 5,6% al 3,8%.

Preoccupa inoltre un altro dato. E’ aumentata la percentuale degli intervistati che rispetto a un anno e mezzo fa dichiarava di decidere da solo senza far ricorso a un consulente: dal 57,8% arriva fino al 63,2%. Segnale forse di mancanza di fiducia o eccesso di approssimazione finanziaria

 

Fonte - Miaeconomia.it

 

 

 

 

 

 

   Volete battere la borsa? fate l'opposto dei gestori

 

07 Marzo 2006  00:35  Milano - (di Maria Teresa Cometto)

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Se è difficile trovare la formula «sicura» per fare soldi, almeno è certa e facile da seguire la regola per non perderne troppi: stare fermi, una volta che si è fissata la propria diversificazione di portafoglio. È l'accorato appello ai risparmiatori che investono in fondi, lanciato da due professori di Finanza, l'italiano Andrea Frazzini della University of Chicago e Owen Lamont di Yale.

Che invitano chi volesse far meglio della Borsa ad andare nella direzione opposta a quella dei fondisti: cioè comprare le azioni che i gestori devono vendere a causa delle richieste di rimborso dei clienti, e vendere allo scoperto (scommettere sul ribasso) quelle che i gestori sono costretti a comprare perché inondati da nuove sottoscrizioni.

«Denaro stupido», così i due professori chiamano i flussi di sottoscrizioni e rimborsi dei fondi nella ricerca (www.econ.yale.edu/~af227/pdf/dumb_money.pdf), dove analizzano i movimenti dei risparmiatori americani e il loro rapporto con i saliscendi della Borsa dal 1980 al 2003.

 

«Gli investitori individuali hanno un'impressionante abilità di fare la cosa sbagliata - spiega Frazzini da Chicago -. Spostano i loro soldi verso i fondi che avranno cattive performance negli anni successivi e viceversa li tolgono da quelli che poi faranno bene. Corrono verso i fondi che hanno un rendimento passato positivo, perché nei loro portafogli ci sono azioni "calde", di moda, che sono già salite in Borsa e che, a causa dei nuovi flussi di sottoscrizioni, diventano ancora più sopravvalutate e quindi destinate poi a sgonfiarsi».

Per verificare la loro ipotesi, Frazzini e Lamont confrontano l'andamento in Borsa dei titoli che sono comprati dai fondi «in modo eccessivo» (rispetto al loro peso sul mercato) e quelli che sono iper-venduti. E scoprono che un portafoglio «lungo» (positivo) sulle azioni più gettonate e «corto» (negativo) sulle azioni meno favorite perde lo 0,8% al mese, in media, dopo tre anni di questa strategia ovvero quasi il 30% in 36 mesi.

La buona notizia è che si può guadagnare altrettanto facendo esattamente il contrario. «I flussi dei fondi comuni possono essere letti come segnale "contrario" da un investitore che vuole ottenere alti rendimenti - dice Frazzini -. E sono usati dagli stessi gestori americani per decidere che fare con i loro fondi quando ricevono troppi soldi rispetto alle occasioni di investimento che offre la Borsa: a volte decidono di chiuderli a nuove sottoscrizioni, altre volte tengono i soldi in liquidità, deviando dal mandato di gestione. Ma quest'ultima è una mossa non frequente, perché di fatto i money-manager sono costretti a seguire passivamente le preferenze dei sottoscrittori ed è difficile per loro essere più "intelligenti"dei loro clienti».

L'esempio più eclatante della «stupidità» dei flussi nei fondi viene dalla seconda metà degli anni Novanta: «A posteriori, era chiaro che la strategia giusta era stare investiti nelle azioni value (sottovalutate) - osserva Frazzini -. Ma era l'epoca dell'euforia Internet e i risparmiatori nel solo 1999 versarono 37 miliardi di dollari nei fondi Janus, carichi di titoli tecnologici, mettendo solo 16 miliardi nei fondi Fidelity, molto più diversificati e più grandi (tre volte il patrimonio di Janus). Salvo poi pentirsi poco dopo, liquidando nel 2001 ben 12 miliardi da Janus e investendo 31 miliardi in Fidelity, una riallocazione che è costata loro cara, contribuendo al crac delle azioni high-tech come Cisco».

La lezione? «Evitare frequenti riaggiustamenti del proprio portafoglio di fondi per inseguire rendimenti passati - risponde Frazzini -. È vero che a volte nel breve periodo, per esempio a un mese, cavalcare un fondo brillante può andare bene, ma nel medio-lungo è una strategia che provoca distruzione di ricchezza».

 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se il risparmio si stacca dalle banche

 

16 Marzo 2006 - Milano

 

Banche e fondi vanno staccati. E’ il modello israeliano rilanciato con forza dal Governatore della banca centrale israeliana Stanley Fisher nella scorsa estate. Fisher di Mario Draghi, il neo governatore della Banca centrale italiana, è stato il maestro per quattro anni al Mit di Boston.

E così basta fare uno più uno per capire che le esternazioni del numero uno di via Nazionale nel corso della sua prima apparizione pubblica al Forex di Cagliari sono tutt’altro che delle dichiarazioni di facciata. La banche tuttofare e la gestione del risparmio, insomma, sono un problema. E Draghi un paio settimane fa ha parlato della necessità dell’indipendenza per una crescita sana e virtuosa nella gestione del risparmio.

Nel corso dell’assemblea annuale di Assogestioni, la tavola rotonda che ha visto come protagonisti alcuni dei maggiori esponenti dell’asset management italiano ha affrontato questa come altre tematiche legate al mondo del risparmio. Il titolo del Convegno si presentava come un interrogativo: “L’Italia può rinunciare al risparmio gestito? Perché la politica non deve trascurare la finanza”.

Ma nel corso della discussione moderata da Bruno Vespa non sono mancati i commenti sulla questione posta da Draghi. Per il mondo politico erano presenti due degli elementi più moderati delle due parti: Enrico Letta, responsabile economico della Margherita e Bruno Tabacci, presidente commissione Attività Produttive dell’Udc.

Per il mondo del risparmio invece: Mario Greco, amministratore delegato di Eurizon Financial Group, Pietro Giuliani, presidente del gruppo Azimut, e Dario Frigerio, vicepresidente di Unicredit.

Diverse le posizioni in campo. Si parte da un discorso più generale, ma un po’ tutti sono d’accordo nell’ammettere che nel sistema ci sia un innegabile problema di conflitto di interessi. “Il problema vero – dice Pietro Giuliani presidente dell’indipendente Azimut -, è quando vendo un titolo e so che la mia banca ha prestato dei soldi a quella società”. Giuliani, quindi, parla di una sorta di conflitto intrinseco, a prescindere dalla buona fede di chi mette quel titolo nel portafoglio di un cliente. 

Mentre un po’ tutti sottolineano la questione della reputazione, vero e proprio pilastro per il risparmio gestito. Dario Frigerio, responsabile private banking e asset management di Unicredit, lascia il compito di migliorare le regole al mercato.

“Sarà il mercato- dice - a indicare le esigenze più impellenti. Se l’azionista di riferimento, quindi, ritiene necessario migliorare questo elemento in chiave reputazionale starà a lui fare questo passo”.

Ma non solo. Perché Leonardo Maugeri, direttore strategie dell’Eni, pone la questione della maturità del mercato finanziario italiano. “In Italia – sottolinea - ci sono meno società quotate in Borsa che non in Egitto, Israele o Turchia e questo pone un problema di scelte potenziali”. Il mercato italiano, dunque, storicamente concentrato sul “piccolo è bello”, offre un ventaglio di offerte troppo ristretto.

 

 

Fonte - Miaeconomia.it

 

 

 

 

Banche,  sportelli ingannevoli

 

20 Marzo 2006 - Milano

 

La denuncia arriva da un comunicato dell’Aduc. Ma si tratta di una sorta di abuso da tempo sulla bocca di molti. In pratica le banche o le società di intermediazione mobiliare cercano di orientare i propri clienti verso alcuni prodotti a scapito di altri.

 

Tra i prodotti penalizzati sicuramente ci sono gli Etf. Exchange traded fund. Dei fondi che si negoziano come delle azioni sul segmento Mtf di Piazza Affari. Replicano un determinato indice (azioni, obbligazioni, titoli di Stato) e per questo essendo a gestione passiva non prevedono commissioni di ingresso, uscita e performance. Mentre le commissione totali annue (il cosiddetto Ter) è molto più basso rispetto alla media dei fondi comuni di investimento.

Ecco perché stanno sbancando. Aumentano giorno dopo giorno sia il numero di prodotti offerti (a oggi sono ben 46) che le contrattazioni. Ma evidentemente potrebbero essere di più.

Secondo il comunicato dell’Aduc, infatti, la negoziazione dei Etf, essendo in

concorrenza con la vendita dei fondi comuni di casa, é spesso negata ai clienti con le scuse più diverse. Tipicamente "non siamo abilitati a trattarli".

”Il che – si legge nel comunicato - è completamente falso, dato che tutti gli intermediari che operano sul Mercato Telematico Azionario (MTA) sono automaticamente abilitati a negoziare su MTF senza costi ed interventi tecnici aggiuntivi”.

La pratica abusiva non riguarda solo gli Etf. Ma anche le obbligazioni. In questo caso (sempre secondo il comunicato dell’Aduc) il rifiuto di acquistare un titolo avrebbe come unico fine quello di spingere i clienti verso le obbligazioni "della casa".

Si tratta quindi di limitazioni, o comunque, di tentativi di influenzare la scelta di investimento illegittimi. Lo sancisce il regolamento di Borsa Italia all'articolo 3.2.3. Riportato dalla stessa Aduc e che MiaEconomia replica integralmente.

Articolo 3.2.3 (Regole di condotta)

 

1. Gli operatori rispettano il presente Regolamento e le Istruzioni e mantengono una condotta improntata a principi di correttezza, diligenza e professionalità nei rapporti con le controparti di mercato, negli adempimenti verso Borsa Italiana e nell'utilizzo dei sistemi di negoziazione.

2. Gli operatori si astengono dal compiere atti che possano pregiudicare l'integrità dei mercati. Essi, tra l'altro, non possono: a) compiere atti che possano creare impressioni false o ingannevoli negli altri partecipanti ai mercati;

 

b) compiere atti che possano ostacolare gli operatori market maker, gli specialisti sull'IDEM, gli specialisti nel segmento Star, gli specialisti sul mercato MTA, gli specialisti nel mercato Expandi, gli specialisti sul mercato MTAX, gli specialisti per i fondi chiusi, gli specialisti per gli OICR indicizzati, gli specialisti del mercato TAH, gli specialisti del TAHX, gli specialisti sul mercato SEDEX e gli specialisti nel mercato MOT nell'adempimento degli impegni assunti.

 

Fonte - Miaeconomia.it