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PARTE  1

INDICE ARTICOLI

 

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Macro Russia

Russia -  E' l'economia il punto debole di Putin

Macro USA

Ma insomma questa recessione americana dove sta?

Valute - U$D

Pro e contro sul recupero del dollaro

Credit Crunch e Macro USA

Una sorpresa annunciata! La socializzazione ...

Credit Crunch e Macro USA

Viva il mercato ma coi soldi dello Stato

Credit Crunch e Macro USA

USA, l'ultima spiaggia dell'intervento statale

Credit Crunch e Macro USA

Sistema finanziario vicino al collasso

Credit Crunch e Macro USA/Europa

Se fallisce il salvataggio rischia anche l'Europa

   
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+++   ANSA   +++   03 Settembre 2008 18:51 MILANO - BORSA: EUROPA SCIVOLA CON MATERIE PRIME, BRUCIATI 105 MLD  +++  04 Settembre 2008 17:59 MILANO - ++ BORSA: GIORNATA NERA IN EUROPA, BRUCIATI 170 MILIARDI ++ 07 Settembre 2008 17:15 NEW YORK  +++ MUTUI: USA, GOVERNO PRENDE CONTROLLO FANNIE E FREDDIE +++  08 Settembre 2008 15:43 NEW YORK - MUTUI: FANNIE E FREDDIE CROLLANO IN BORSA, PERDONO OLTRE 80%  +++   EUROPA RECUPERA 200 MLD,E' IL MIGLIOR RIALZO DEGLI ULTIMI 6 MESI   +++   ANSA   +++

  Lunedì 01 Settembre 2008   Mercoledì 03 Settembre 2008   Sabato 06 Settembre 2008  
       
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GR1 RAI - 02 SET ore 22:00

   

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GR1 RAI - 03 SET ore 22:00

   

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GR1 RAI - 04 SET ore 22:00

   

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  Russia -  E' l'economia il punto debole di Putin

01 Settembre 2008 17:40 ROMA - di Mario Seminerio

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La recente guerra tra Russia e Georgia e la sequenza di azioni e reazioni che hanno condotto al congelamento delle relazioni diplomatiche e militari tra Mosca e l’Occidente, hanno suscitato timori di una nuova Guerra Fredda. Per tentare di comprendere lo scenario evolutivo della crisi può essere utile analizzare le attuali condizioni economiche della Russia. L’ultimo dato del pil russo, relativo al periodo gennaio-maggio, indica una crescita del 7,9 per cento annuale, in linea con quella che può essere considerata la velocità di crociera dell’economia della Federazione. Ma dietro questo numero di sintesi si celano irrisolti problemi strutturali.

Il tasso d’inflazione è prossimo al 15 per cento, circostanza che sta provocando un profondo stress alle condizioni di vita di lavoratori dipendenti e (soprattutto) pensionati, con i secondi che possono contare su un tasso di sostituzione (il rapporto tra pensione e ultimo stipendio) pari ad un misero 30 per cento medio. Il governo ha crescenti difficoltà a ricondurre la dinamica dei prezzi entro il target del 10,5 per cento, ed è costretto ad utilizzare parte degli introiti della rendita petrolifera per adeguare salari e stipendi, alimentando una classica spirale prezzi-salari. La presenza di un forte collo di bottiglia nel mercato del lavoro (con riduzione nelle dimensioni assolute della forza lavoro), produce una carenza di manodopera generica e specializzata, causando aumenti dei salari reali circa doppi rispetto al tasso di crescita della produttività. Il combinato disposto di questi elementi è una domanda interna che oggi sta crescendo a passo circa doppio rispetto al pil, con chiare evidenze di surriscaldamento dell’economia. Il governo federale ha finora fatto poco per attenuare gli squilibri strutturali, ed anche il surplus fiscale derivante dalla rendita petrolifera mostra da mesi segni di riduzione, a conferma di una posizione di politica fiscale accomodante e prociclica.

Gli squilibri strutturali
Il surriscaldamento dell’economia russa ha poi tratto alimentazione dai forti afflussi di capitali che hanno interessato sia il settore bancario che quello non bancario. Tali afflussi, che si sommano al surplus commerciale prodotto dall’export petrolifero, erano giustificati dal basso rischio politico percepito dagli investitori esteri, ed hanno determinato un eccesso di offerta di moneta sul mercato domestico. Come classicamente succede in tali situazioni, ciò ha drogato i consumi ed il credito, secondo una nota sequenza di surriscaldamento propria delle economie emergenti. Le autorità monetarie russe si sono finora dimostrate incapaci di sterilizzare l’imponente aumento dell’offerta di moneta, che nel 2007 è risultata pari al 44 per cento, ben sopra la crescita dei redditi nominali, ed anche questo ha contribuito ad alimentare le pressioni inflazionistiche. Dal versante della politica del cambio, la Russia ha costruito un paniere valutario composto per il 55 per cento dal dollaro e per il 45 per cento dall’euro, consentendo solo limitate fluttuazioni giornaliere nei due sensi per evitare di danneggiare la posizione dei propri esportatori. Se questa narrativa vi ricorda in modo impressionante quella sugli squilibri cinesi, non vi sbagliate: sono pressoché identiche, nelle loro componenti strutturali. Di squilibrio in squilibrio, il cambio reale del rublo ha finito quindi con l’apprezzarsi in modo vistoso, minando la competitività manifatturiera russa e stimolando afflussi di “denaro caldo” da parte della speculazione internazionale, che ha iniziato a scommettere sempre più su una rivalutazione del rublo per sanare almeno parte degli scompensi.

Ma la Russia soffre anche e soprattutto di squilibri a lungo termine, quelli più gravi e destinati, se non rettificati, a mettere a rischio la sopravvivenza stessa della Federazione. Il problema più grave per la sostenibilità di lungo periodo dell’economia e della società russa è quello demografico: un tasso di fertilità totale media pari solo a 1,4-1,5, a fronte di un valore di stazionarietà pari a 2,1 figli per donna; una speranza di vita inferiore ai 70 anni; una forte incidenza di malattie cardiovascolari (soprattutto nella popolazione maschile), sono elementi che proiettano già nel breve periodo una riduzione in valore assoluto della popolazione. Già oggi la Russia necessita, al corrente livello di attività economica, di un afflusso annuo di circa un milione di immigrati. Il Cremlino guarda con crescente preoccupazione all’addensamento di popolazione pilotato dal governo cinese ai propri confini orientali. La minaccia demografica viene portata alla Russia dall’esterno, nella “cintura islamica” che cinge la Federazione sul suo fianco Sud, ma anche dall’interno, con i drammatici differenziali nei tassi di natalità (e di conseguenza nell’età mediana) dei ceppi etnici che oggi vivono in Russia, con le popolazioni islamiche che stanno riproducendosi a passo ben più rapido delle etnie cristiane. Secondo proiezioni Onu del 2005, la popolazione russa potrebbe ridursi di un terzo entro il 2050, circostanza che provocherebbe l’implosione della Federazione. Non a caso l’ex presidente (e unico dominus del paese) Vladimir Putin, ha lanciato un programma di welfare pro-natalista che prevede anche forti aumenti della spesa sanitaria.

Investimenti stranieri in ritirata
Si diceva dell’afflusso di capitali esteri in Russia, in passato agevolato dal ridotto rischio geopolitico percepito. Una valutazione drammaticamente sconfessata dagli eventi delle ultime settimane, che stanno già determinando un’inversione di tendenza. Per un paese che vive un boom creditizio da afflusso di capitali, questa circostanza potrebbe provocare un violento credit crunch. Il deflusso di capitali dalla Russia è destinato ad essere alimentato anche dai sempre più numerosi episodi di sentenze giudiziarie avverse ai partner occidentali in joint ventures con imprese russe. Il caso più recente è l’inibizione per due anni ad entrare nel paese comminata la scorsa settimana da una corte di Mosca a Robert Dudley, amministratore delegato di BP-TNK, joint venture anglo-russa nel settore dell’energia. Il provvedimento, giunto al termine di uno stillicidio di perquisizioni fiscali, di polizia e dei servizi segreti, è l’esempio paradigmatico della crescente conflittualità tra gli oligarchi russi e le società occidentali loro socie. Pochi giorni fa una corte siberiana ha comminato una sanzione di tre miliardi di dollari alla società telefonica norvegese Telenor, per presunte violazioni dei diritti degli azionisti di minoranza in una joint venture con una società locale. I norvegesi hanno immediatamente dichiarato la propria intenzione di disinvestire e lasciare la Russia. E’ evidente che simili episodi rappresentano la spia di un clima sfavorevole all’investimento diretto estero, in un paese che peraltro non riesce a tutelare efficacemente i diritti di proprietà, base fondamentale per l’affermazione di un mercato degno di tale nome.

Nessuna meraviglia se gli indici azionari russi erano in picchiata già da qualche settimana prima dello scoppio delle ostilità nel Caucaso, e prima ancora della forte correzione delle quotazioni del greggio. La Russia resta un paese con un’industria estrattivo-mineraria largamente predominante sulla manifattura. I livelli di produzione di gas e petrolio russo sono stazionari o lievemente cedenti: si tratti di Peak Oil effettivo o solo di carenza di tecnologia, la presenza di condizioni politiche sempre più avverse all’investimento estero sta drammaticamente aumentando la vulnerabilità del paese.

Vulnerabilità e punti di forza
Tra il 1986 ed il 1997 l’Unione Sovietica sperimentò un primo Peak Oil: un calo del 43 per cento nella produzione domestica di petrolio. Quella crisi causò alla società sovietica un devastante impoverimento, fino al crollo del sistema. Un recente studio econometrico (Former Soviet Union oil production and GDP decline: Granger causality and the multi-cycle Hubbert curve, Energy Economics, Volume 30, Issue 2, March 2008, Pages 271-289 Douglas B. Reynolds, Marek Kolodziej) ha mostrato che il calo della produzione petrolifera sovietica ha preceduto (e non seguito) il calo del pil. In sintesi, l’Unione Sovietica è stata vittima del proprio Peak Oil domestico, i cui effetti sono stati amplificati dalla guerra afghana, dal crollo dei prezzi del petrolio, e dalla necessità per i sovietici di importare cibo. La Russia post-sovietica si è risollevata dal primo Peak Oil a prezzo di indicibili sofferenze umane. Il forte aumento dei prezzi dell’energia ha risollevato il paese in parallelo alla modernizzazione dell’industria estrattiva; le enormi risorse così ottenute hanno permesso alla leadership russa di evitare un’implosione del paese che avrebbe avuto conseguenze potenzialmente devastanti per l’intero pianeta.

Oggi il rischio di Peak Oil si ripresenta, come mostrano gli ultimi dati di produzione. E la Russia si trova impreparata, con una base manifatturiera limitata e poco produttiva, vittima della “malattia olandese” che tende ad affliggere i paesi ricchi di risorse naturali, e scarsa apertura agli investimenti occidentali nell’energia. Non tutte le vulnerabilità degli anni Ottanta sono presenti oggi: i prezzi del petrolio sono verosimilmente destinati a restare sostenuti e la Russia è tornata ad essere uno dei granai del mondo. Resta l’incognita militare, ma finora il paese ha mostrato di puntare più alla propria stabilizzazione e consolidamento che ad improbabili avventure neo-imperialistiche, contrariamente all’interpretazione del conflitto nel Caucaso oggi dominante sui media occidentali. Anche per questo motivo l’Occidente deve puntare a far evolvere la Russia verso le fattezze di una democrazia capitalistica matura. Una prova di forza che giungesse all’implosione di una potenza nucleare che si estende per undici fusi orari e confina con Cina e Islam avrebbe conseguenze che nessuno (a Washington, Bruxelles e Mosca) può permettersi.

 

Fonte - Libero Mercato

 

 

 

 

  Ma insomma questa recessione americana dove sta?

01 Settembre 2008 23:27 ROMA - di Giuseppe Turani

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La Grande Recessione Americana è come un gatto che non si riesce mai a prendere per la coda. Era stata annunciata per l´inizio del 2008, ma nel primo trimestre non si è vista. Allora è stata messa in agenda per il secondo, ma qui c´è stata la sorpresa. Nell´ultima revisione statistica è venuto fuori che l´America fra aprile e giugno è cresciuta addirittura (dato annualizzato) del 3,3 per cento: una bomba che ha subito messo le ali alla Borsa e alle chiacchiere di tanti commentatori improvvisati. Gli Stati Uniti corrono come il vento, sono indistruttibili, e via di questo passo.
A questi fans dell´economia a stelle e strisce si può dare un´ulteriore buona notizia: la Grande Recessione, molto probabilmente, non si farà vedere nemmeno nel terzo trimestre. Le proiezioni dicono che nel periodo luglio-settembre, la crescita americana frenerà un po´ e si assesterà sotto il 2 per cento. Ma terrà.
Nonostante questo, comunque, tutti gli esperti di un certo valore sono concordi sul fatto che l´America non può, questa volta, evitare la sua brava recessione. Ma non subito. In negativo dovrebbe andare solo nel quarto trimestre, cioè fra ottobre e dicembre. In pratica, se queste previsioni saranno rispettate, l´America finirà in recessione proprio quando dovrà andare a votare per eleggere il nuovo presidente (4 novembre).
In attesa di vedere quello che accadrà nei prossimi mesi, conviene cercare di capire perché nel secondo trimestre l´economia americana ha fatto molto meglio di tutte le previsioni. Gli elementi sono pochi:

  1. Boom delle esportazioni, tirate da una notevole competitività delle aziende e da un dollaro molto basso.

  2. Il persistere di investimenti molto forti.

  3. Il fatto che i mercati asiatici hanno continuato a correre con grande vivacità, confermandosi come partners commerciali molto importanti.

  4. Una flessibilità aziendale che forse non ha uguali nel mondo.

Ma perché gli economisti sono così sicuri che la recessione arriverà? Anche qui ci sono alcuni elementi che vanno considerati. 1- La congiuntura è in rallentamento, e questo produce 60-70 mila posti di lavoro in meno alla settimana. Per un mercato del lavoro come quello americano non sono, per ora, cifre spaventose, ma si tratta comunque di buste paga che scompaiono (e quindi di consumi un po´ meno abbondanti). 2- Il mercato immobiliare deve ancora conoscere la sua stagione più dura (che arriverà appunto in autunno), e allora molti americani potrebbero davvero andare nel panico, schiacciati fra il valore della loro casa che scende e i mutui che comunque vanno pagati.
E i consumi interni, che già fanno fatica a muoversi, potrebbero crollare, scaricando tutto il peso della congiuntura sulle esportazioni (che però hanno già fatto molto). 3- Il mercato finanziario non è affatto a posto. Anche qui il peggio deve ancora arrivare. Risulta, ad esempio, che il fondo di garanzia dei depositi bancari americani (Fdic) ha detto che la lista delle banche a rischio fallimento è aumentata a 117 istituti, dai 90 di tre mesi fa. Il patrimonio totale di queste banche è di 78 miliardi di dollari, il triplo di tre mesi fa. E il Fdic non ha soldi abbastanza per intervenire. E non è nemmeno detto che questo sia tutto, altra polvere può giacere sotto i tappeti.
Una serie di fallimenti bancari potrebbe creare serissimi problemi nel finanziamento dell´economia e potrebbe, ovviamente, contribuire a determinare un certo panico nella gente.
Insomma, come si vede, gli elementi per un big bang abbastanza rovinoso ci sono tutti. E questo spiega perché gli economisti non hanno accantonato (nonostante i buonissimi risultati del secondo trimestre) l´idea della recessione. Ma si intravede una fine? Quando torneranno i tempi buoni? Gli esperti dicono che almeno fino a metà del prossimo anno bisognerà rassegnarsi a vedere un´America al rallentatore. La crisi bancaria, invece, potrebbe durare anche più di tre anni. E questo in sostanza, impedirà all´economia americana di riprendere il suo consueto cammino per molto tempo. Per 3-5 anni sarà insomma una specie di ammalato, bisognoso di cure molto attente.

Nei risvolti di questa crisi, poi, ci sono alcune cattive notizie per quanto riguarda l´Europa. Il Vecchio Continente, infatti, risulta essere l´unico posto (verrebbe da dire "discarica") nel quale gli americani possono sistemare parte della loro crisi (l´Asia è sacra, grande partner commerciale, e non si tocca). E la crisi Usa, quindi, picchierà sull´Europa, attraverso il vecchio e collaudato strumento del dollaro. Poiché negli ultimi tempi la valuta americana è un po´ risalita, molti pensavano che avrebbe proseguito lungo quella strada. Ma non c´è da farsi molte illusioni. Ancora per qualche anno gli americani hanno bisogno di un dollaro non troppo forte. E questo è quello che succederà. Insomma, anche l´Europa deve prepararsi a soffrire insieme all´America. Anzi, dovrà soffrire di più perché l´America è più forte.

 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

 

 

IL DOLLARO SALE AI MASSIMI ASSOLUTI DEL 2008

01 Settembre 2008 16:10 LONDRA - di REUTERS
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Il dollaro tocca il massimo dell'anno contro il paniere di valute sopra 77,619 e segna un rafforzamento contro euro, spinto dalla debolezza del petrolio dopo il declassamento dell'uragano Gustav alla categoria 2. Lo yen, invece, tenta di ridurre le perdite segnate nei confronti delle maggiori valute, dopo che il primo ministro nipponico Yasuo Fukuda ha rassegnato a sorpresa le sue dimissioni. L'euro quota in questo momento sotto quota 1.46 sul dollaro
All'annuncio della notizia, il dollaro è tornato sopra i 108 yen e l'euro si è diretto verso i 159 yen in una seduta di scambi sottili per la chiusura dei mercati americani per la festività del Labor Day. "Ai mercati non piace l'incertezza politica e le dimissioni di Fukuda rientrano esattamente in questo campo. Anche se non era particolarmente popolare, la notizia nel suo complesso non aiuta i mercati", ha commentato Jermemy Stitch, strategist di Rabobank di Londra. Alcuni trader sostengono che Fukuda fosse sotto pressione da quando il governo aveva dovuto lanciare, la scorsa settimana, un pacchetto di sostengo fiscale per l'economia.
Alle 15,35 il cambio dollaro/yen vede il biglietto verde a 108,30, piatto contro lo yen rispetto alla chiusura di venerdì, ma sotto il massimo di 108,67. Mentre il cross euro/yen vede la moneta unica cedere lo 0,91% a 158,31 yen dopo un picco a 159,63. Tra le altre valute, la sterlina estende le perdite verso il dollaro e scende sotto 1,80 dollari. ORE 15,35 CHIUSURA USA EURO/DOLLARO 1,4607/12 1,4698 DOLLARO/YEN 108,30/32 108,32 EURO/YEN 158,29/33 159,23 EURO/STERLINA 0,8100/03 0,8108
 
 

Fonte - REUTERS

 

 

 

 

 

 

  Pro e contro sul recupero del dollaro

01 Settembre 2008 17:40 ROMA - di Alessandro Fugnoli*

*Questo documento e' stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank

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Dal 1971 il dollaro si è dimezzato ed è raddoppiato più volte. In particolare, dal luglio 2000 al luglio 2008 ha perso contro euro quasi metà del suo valore, passando da 0.82 a 1.60. E’ comprensibile che chi, non americano, si è tenuto titoli in dollari per tutti questi anni, sia impaziente di vedere finalmente la possibilità di un forte recupero.
Gli strategist di cambi, in questo momento, sono quasi tutti pro dollaro. In alcuni casi hanno buone argomentazioni, ma spesso si limitano a razionalizzare una tendenza già partita per conto suo. Più interessante, quindi, è andare a vedere che cosa dicono i più autorevoli e influenti tra gli accademici di mercato, se ci si passa la definizione, perché di solito sono meno tattici e più coriacei nelle loro convinzioni (anche perché non hanno una base di clientela che si rivolta loro contro se sbagliano previsione).
Senza nessuna pretesa di completezza ci pare interessante partire da Robert Mundell di Columbia. Il dollaro, a suo parere, ha ancora molta strada da percorrere e arriverà abbastanza rapidamente a 1.30. Lì rimarrà qualche tempo, per poi però tornare a indebolirsi. Mundell, canadese, è considerato uno dei padri teorici dell’euro.
Martin Feldstein di Harvard, il più influente di tutti nonché di fatto governatore ombra della Fed, sostiene da molti mesi che la crisi americana sarà molto lunga e che un dollaro in discesa sarà essenziale per bilanciare con le esportazioni al resto del mondo la caduta della domanda interna. A chi in questi mesi gli ha chiesto se la debolezza del dollaro da lui prevista e auspicata poteva essere limitata alle valute asiatiche, Feldstein ha sempre risposto in modo molto lineare che no, anche l’euro dovrà continuare a fare la sua parte e che l’Europa dovrà imparare ad abbandonare l’obiettivo del pareggio delle partite correnti e iniziare a vivere, come l’America, con un disavanzo, almeno per qualche tempo.
Feldstein, non turbato dal recupero del dollaro, ha ribadito nei giorni scorsi la sua idea. La forza del dollaro è solo temporanea. Più o meno sulla stessa posizione Allan Meltzer di Carnegie Mellon. Più sfumato Mohamed El-Erian di Pimco, che non è professore ma antropologicamente è come se lo fosse, che sostiene anche lui che la forza del dollaro è solo ciclica, ma con la precisazione che la prossima fase di debolezza sarà soprattutto contro l’Asia.
Concludiamo questo giro rapidissimo con Kenneth Rogoff di Harvard, che nei mesi scorsi, quando il cambio era a 1.50, aveva detto che si poteva andare a 1.60-1.65. Oggi Rogoff dice che il dollaro può ancora crollare. La sua visione di fondo è che l’America si trova nel bel mezzo di una classica crisi bancaria/immobiliare e per di più di gravità maggiore rispetto alla media storica delle crisi di questo tipo. La durata di queste crisi non è mai stata di meno di tre anni e ha sempre coinciso, tra l’altro, con un un cambio debolissimo per facilitare la ripresa.

A noi sembra di vedere alcune analogia tra la forza attuale del dollaro e quella che la valuta americana manifestò nel 2005. Quell’anno, dopo una lunga corsa da 0.82 a 1.36, l’euro fu costretto a chiedere una pausa all’America. Eurolandia ristagnava vicina alla crescita zero. La perdita di competitività era sembrata allora notevole, almeno per alcuni paesi, tra cui Francia e Italia. L’euro era partito da pochi anni e si temeva una perdita di consenso che infatti si manifestò in primavera con il "no" olandese e francese nei referendum sulla costituzione europea.
La correzione del cambio fu brusca (si approfittò delle vacanze di Capodanno) e fu evidentemente organizzata dalle banche centrali. La correzione non fu breve. Durò 11 mesi e portò a un arretramento dell’euro del 13 per cento (da 1.36 a 1.18). Finì quando si vide che l’industria tedesca aveva recuperato brillantemente terreno (in realtà non ne aveva mai perso molto) grazie a profonde ristrutturazioni e a delocalizzazioni in Asia e nell’est europeo.
Se la correzione in corso dovesse seguire le orme di quella del 2005 dovrebbe terminare nel giugno 2009 (11 mesi) e portare a un cambio di 1.39 (il 13 per cento in meno di 1.60). In realtà la violenza del movimento di queste settimane è stata ancora maggiore rispetto a quella del 2005. Analogo, invece, il coinvolgimento delle banche centrali. Era stato lo stesso Bernanke ad anticipare la correzione, auspicando un dollaro più forte poco prima dell’inversione di trend.
Sembra importante mantenere la distinzione tra gli aspetti ciclici e quelli strutturali. Ciclicamente la correzione dell’euro, che è in realtà un recupero del dollaro contro tutte le valute del mondo, ha spiegazioni convincenti.
1) Prende atto del fatto che nei sei mesi passati il mondo è andato per una strada diversa da quella che si era pensata. Si era infatti creduto a una recessione americana già da gennaio e a una forte tenuta di Europa e Giappone (per non parlare di Cina e India) e ci si è accorti a conti fatti che l’America è invece cresciuta a una velocità non disprezzabile mentre Europa e Giappone già in primavera si sono schiantati contro il muro della crescita zero. Quanto agli emergenti, l’India è stata la prima ad accusare problemi, seguita adesso dall’Asia del sud e del nord. Ultima la Cina, che comincia a presentare evidenti segni di rallentamento.
2) Dà un importante contributo al contenimento dell’inflazione. Si pensi al petrolio. C’è stata una correlazione inversa di uno a tre, in questi mesi, tra dollaro e petrolio. Per un indebolimento del dollaro dell’uno per cento c’era un rafforzamento del greggio del 3 per cento. Nulla di scientifico, per carità, ma grosso modo ha funzionato anche nella direzione inversa. La discesa del petrolio, misurato in dollari, ha già portato la benzina americana da 4.10 a 3.70-3.80 al gallone. Quanto all’Europa, poiché la discesa dell’euro è stata minore della discesa del greggio, il beneficio di una minore inflazione si è visto comunque, anche se verrà catturato dalle statistiche ufficiali con il consueto ritardo di qualche settimana.
3) Il contenimento dell’inflazione dà spazio alle banche centrali per ridurre i tassi o, quanto meno, per non alzarli. In Europa ci siamo tolti definitivamente il pensiero di un secondo rialzo dei tassi. Quanto al tagliarli, Weber dice non per quest’anno, che è un modo per dire che per l’inizio del 2009 se ne potrà parlare. In America si continua a parlare di un’exit strategy al rialzo per i tassi, ma la si colloca talmente in là nel tempo da renderla più che altro una dichiarazione di principio.
Rimane per contro poco convincente l’ipotesi, al momento del resto minoritaria, che la ripresa ciclica del dollaro si sovrapponga all’inizio della ripresa strutturale. E’ banale dire che, ogni giorno che passa, siamo sempre più vicini al momento della ripresa strutturale. E’ solo poco meno banale dire che il dollaro sempre più debole (fino a un mese fa) rendeva sempre più vicina la svolta strutturale. Il dollaro dello Zimbabwe, stampato giorno e notte, è sempre più debole senza che questo avvicini la svolta.
Più serio è il discorso sulla riduzione del disavanzo delle partite correnti americane, riduzione che sta finalmente prendendo velocità. Siamo però ancora lontani (siamo grosso modo a metà strada) dal livello del 3 per cento del Pil (il massimo era stato del 6.7) considerato sostenibile. Per arrivarci occorre ancora del tempo (da uno a due anni) e un prematuro forte recupero ciclico del dollaro sposterebbe in là il momento della svolta strutturale. C’è poi da ricordare che il miglioramento è dovuto alle maggiori esportazioni e alle minori importazioni. In caso di stagnazione globale le minori importazioni resteranno, ma le maggiori esportazioni diventeranno problematiche.
In pratica si può considerare non irrealistico un obiettivo di 1.40, ma da quel livello in giù le posizioni in dollari sarà bene riprendere gradualmente a coprirle. Forse già nel quarto trimestre i mercati torneranno a scoprire la debolezza americana. La crescita dovrebbe infatti continuare a rallentare, a rischio di diventare negativa tra fine anno e inizio 2009.
Venendo al quadro generale, accanto all’allargarsi del rallentamento globale e al proseguimento dei circoli viziosi legati alla riduzione generalizzata della leva finanziaria, si notano due fenomeni di reazione.
Il primo è l’incessante lavoro dei policy maker, cui va riconosciuto il prodigarsi in tutti i modi per il contenimento della crisi. Tutti i modi tranne uno, quello risolutivo, ovvero la creazione di Resolution Trust che separino gli asset malati da quelli sani, creando una o più bad bank e permettendo alla parte sana del sistema di non essere contagiata. Sembra di vedere un pronto soccorso in cui medici creativi, esperti e attenti fanno l’impossibile per tenere in vita il paziente in attesa che arrivi il chirurgo. Il chirurgo, ahinoi, arriverà però solo in primavera con l’insediamento del nuovo Congresso americano e del nuovo presidente.
Il secondo aspetto che dà qualche conforto è la resilienza dei mercati, che in questa fase hanno voglia di valorizzare parecchio le poche notizie positive, come il rallentamento della discesa dei prezzi delle case. Come ha scritto di recente Greenspan è molto importante, nei prossimi mesi, che le borse si tengano su in tutti i modi. Da questo dipende la possibilità per le banche di rifinanziare il debito in scadenza, dismettere ordinatamente una parte dell’attivo e, dove possibile, ricapitalizzarsi. Come dice Paul McCulley è una corsa contro il tempo. In attesa del chirurgo.

 

Fonte - Il Rosso e il Nero

 

 

 

 

 

Stati Uniti - Mercato del lavoro pesante in agosto

05 Settembre 2008 16:10 LONDRA - di phastidio
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Gli Stati Uniti hanno perso in agosto più impieghi del previsto, ed il tasso di disoccupazione si è portato al massimo da cinque anni, segnalando il rischio di un peggioramento del rallentamento economico. I payrolls sono diminuiti di 84.000 unità, mentre le revisioni hanno aggiunto altri 58.000 impieghi soppressi nel precedente bimestre, come evidenziato dal Dipartimento del Lavoro. Il tasso di disoccupazione ha toccato il 6,1 per cento da 5,7 per cento di luglio, eguagliando il picco toccato nel settembre 2003. Le stime di consenso ipotizzavano la perdita di 75.000 impieghi, mentre il tasso di disoccupazione era previsto invariato al 5,7 per cento. Gli occupati di fabbrica sono diminuiti di 61.000 unità, dopo il calo di 38.000 in luglio, e contro stime di una perdita di 35.000 impieghi. Il calo di agosto include la perdita di 39.000 posti nel settore auto.
Il dato di oggi mostra anche gli effetti della recessione immobiliare e della crisi di credito da essa indotta: gli impieghi nel settore delle costruzioni sono diminuiti di 8000 unità, mentre le imprese finanziarie hanno ridotto gli organici di 3000 persone per il secondo mese consecutivo. L’industria dei servizi, che include banche, assicurazioni, ristorazione e dettaglianti, ha perso 27.000 posti dopo il taglio di 12.000 di luglio. Di rilevo il fatto che nel settore pubblico gli occupati sono aumentati di 17.000 unità. Ciò significa che il calo degli occupati del settore privato è stato in agosto di ben 101.000 unità. La settimana lavorativa media è rimasta a 33,7 ore, mentre l eore settimanali lavorate dai lavoratori della produzione sono calate da 41 a 40,9, ed il ricorso allo straordinario è diminuito da 3,8 a 3,7 ore. I salari orari medi sono aumentati dello 0,4 per cento in agosto, e sono in aumento del 3,6 per cento su
Il dato di oggi porta la perdita cumulata di posti di lavoro nel 2008 a 605.000. Nel 2007 furono invece creati 1,1 milioni di impieghi. Secondo le stime di consenso di oggi, l’economia statunitense nel terzo trimestre dovrebbe crescere dello 0,7 per cento annualizzato, da 3,3 per cento del secondo trimestre. La perdita di occupazione contribuisce al deterioramento delle condizioni dei consumatori, la cui spesa reale ha segnato in luglio il peggior calo da quattro anni.
Nel Beige Book pubblicato questa settimana, la Fed segnala che “il passo dell’attività economica è stato lento nella maggior parte dei distretti”, e c’è un generale ridimensionamento delle assunzioni. Secondo alcuni analisti, inoltre, i continui incrementi di produttività del lavoro consentono alle imprese di tagliare l’occupazione, e questo potrebbe portare il tasso di disoccupazione il prossimo anno al 6,75 per cento.
Riguardo il tasso di disoccupazione, il dato di agosto mostra un effettivo aumento dei lavoratori che hanno perso l’impiego, come mostra la disaggregazione del totale. I job losers passano contribuiscono al totale per il 3,1 per cento, da 2,9 per cento di luglio. A fronte di un tasso di partecipazione alla forza lavoro invariato al 66,1 per cento, l’employment ratio passa dal 62,4 al 62,1 per cento, con un aumento dei disoccupati pari a 589.000 unità. Il tutto a fronte di di un numero di persone fuori dalla forza-lavoro sostanzialmente stabile.

 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

 

 

  Venerdì 05 Settembre 2008   Martedì 09 Settembre 2008   Mercoledì 10 Settembre 2008  
       
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GR1 RAI - 08 SET ore 22:00

   

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GR1 RAI - 09 SET ore 22:00

   

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GR1 RAI - 11 SET ore 22:00

   

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  Una sorpresa annunciata! La socializzazione delle perdite!

08 Settembre 2008 07:23 - di Andrea Mazzalai

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Mentre la Federal Deposit Insurace Corporation ci comunica nell'ormai settimanale appuntamento del venerdi, il fallimento dell'ennesima istituzione bancaria americana la Silver State Bank, Henderson del Nevada uno degli stati americani più colpiti dalla Grande Depressione Immobiliare (FDIC), a Washington si prepara la più imponente socializzazione delle perdite della storia dei mercati finanziari, una socializzazione più volte annunciata, la socializzazione del " Sogno Americano " un sogno infranto dalla follia di un'intera nazione, alimentato dalla teoria monetarista e dalla scuola mercatista del neoliberismo!
Questa è la dichiarazione ufficiale da parte del dipartimento del Tesoro Americano:
Statement by Secretary Henry M. Paulson, Jr. on Treasury and Federal Housing Finance Agency Action to Protect Financial Markets and Taxpayers
Tralascio gli aspetti tecnici dell'operazione rilevando solo alcuni passaggi della lettera.......
"These Preferred Stock Purchase Agreements were made necessary by the ambiguities in the GSE Congressional charters, which have been perceived to indicate government support for agency debt and guaranteed MBS. Our nation has tolerated these ambiguities for too long, and as a result GSE debt and MBS are held by central banks and investors throughout the United States and around the world who believe them to be virtually risk-free."
"La nostra nazione ha tollerato queste ambiguità per troppo tempo e di conseguenza il debito delle GSE e MBS sono detenute da banche centrali e dagli investitori di tutti gli Stati Uniti e in tutto il mondo che credono di essere virtualmente privi di rischio."
Un'ambiguità che si trascina da anni, che diventa ambiguità solo di fronte al rischio sistemico in corso d'opera, solo quando all'improvviso uomini del calibro di Bill Gross di PIMCO urlano il loro conflitto di interesse, dopo aver riempito i loro portafogli di obbligazioni GSE, quando invocano l'intervento statale o solo quando i mercati sono sull'orlo di un collasso! Grande esempio di economia di mercato la pratica delle BAD COMPANY con Alitalia (Milano: AZA.MI - notizie) abbiamo partecipato alla grande festa!
E ancora... And let me make clear what today's actions mean for Americans and their families. Fannie Mae (NYSE: FNM - notizie) and Freddie Mac (NYSE: FRE - notizie) are so large and so interwoven in our financial system that a failure of either of them would cause great turmoil in our financial markets here at home and around the globe. This turmoil would directly and negatively impact household wealth: from family budgets, to home values, to savings for college and retirement. A failure would affect the ability of Americans to get home loans, auto loans and other consumer credit and business finance. And a failure would be harmful to economic growth and job creation. That is why we have taken these actions today.
Paulson ci ricorda che Freddie & Fannie sono cosi grandi (TOO BIG TOOO FAIL) e cosi correlate con il sistema che il possibile fallimento è la causa del fermento sui mercati mondiali... la sola causa??!!!
Sbaglio o Bernanke aveva comunicato che il sistema finanziario americano è uno dei più solidi al mondo e che l'economia poggiava su fondamentali indistruttibili!
Forse che come dice qualcuno questa mossa possa far volare i mercati per i prossimi due mesi dando inizio al cosidetto " Rally Presidenziale"!?
Un fermento che potrebbe avere un impatto negativo diretto sulla ricchezza delle famiglie, dal bilancio familiare, al valore delle abitazioni, al risparmio per la scuola e la pensione, pregiudicare la capacità degli americani di ottenere mutui casa, per l'auto o altri prestiti come il credito al consumo, fallimento dannoso per la crescita economica e per la creazione di posti di lavoro!
Detto questo abbiamo la ricetta ideale per comunicare alla nazione la necessità della socializzazione delle perdite in nome del supremo interesse nazionale, dopo la necessaria privatizzazione dei profitti, senza sapere per quale motivo la leva finanziaria delle due agenzie governative fosse una delle piu imponenti della storia della finanza mondiale, 15 miliardi circa di capitale con crediti fiscali per oltre 64 miliardi regolarmente contabilizzati quando come dice Shilling le regole contabili impongono di cancellare tali crediti se il ritorno all'utile è incerto.

In sostanza le due agenzie per ogni dollaro di capitale ne garantivano 50!
Detto questo su Calculated Risk leggiamo che secondo la FDIC
The federal banking agencies have been assessing the exposures of banks and thrifts to Fannie Mae and Freddie Mac. The agencies believe that, while many institutions hold common or preferred shares of these two government-sponsored enterprises, a limited number of smaller institutions have holdings that are significant compared to their capital.
...in sostanza si richiama quanto in passato sottolineato ovvero che un numero limitato di istituzioni che detengono azioni privilegiate della coppia F&F in maniera significativa rispetto al capitale sociale saranno aiutate in un'opera di restaurazione del patrimonio .........
The Federal Reserve Board, the Federal Deposit Insurance Corporation, the Office of the Comptroller of the Currency, and the Office of Thrift Supervision are prepared to work with these institutions to develop capital-restoration plans pursuant to the capital regulations and the prompt corrective action provisions of the Federal Deposit Insurance Corporation Improvement Act.
All institutions are reminded that investments in preferred stock and common stock with readily determinable fair value should be reported as available-for-sale equity security holdings, and that any net unrealized losses on these securities are deducted from regulatory capital .
Come sottolinea Calculated Risk, prepariamoci ad un aumento dei fallimenti bancari!
Just like with the common, the existing preferred will continue to trade (although the dividend is eliminated).
"The common stock and preferred stock dividends will be eliminated, but the common and all preferred stocks will continue to remain outstanding."
This will have a significant impact on some banks, as the FDIC noted earlier today. Many banks will have to take write-downs (as they mark to market), and some smaller banks will probably fail.
Inoltre Calculated Risk che ho scelto in quanto il miglior blog in assoluto in riferimento alla situazione del mercato immobiliare, si pone delle domande che nei prossimi giorni dovranno essere risolte:
a) quanto costa l'ennesima socializzazione delle perdite ai contribuenti!?
b) che cosa succederà ai treasuries americani? ( risposta..... un bel selloff! )
c) che cosa succederà agli "existing preferred" della coppia F&F?
d) che cosa succederà alle banche assicurate FDIC che detengono tali strumenti?
e) che cosa succedrà ai mercati finanziari? ( qui la risposta la darò in seguito )
f) che succede ai tassi ipotecari?
g) che significa per il mercato immobiliare e l'economia in generale questo salvataggio?

Su Calculated Risk troverete le risposte nei prossimi giorni!
Iceberfinanza, in questi mesi è stato uno dei pochi, se non l'unico che vi ha evidenziato l'anomalia dell'occupazione, l'anomalia del modello statistico stagionale CES/NET B/D Model, che dall'aprile dello scorso anno vi parla di una recessione americana e di conseguenza globale, abbiamo scorto insieme i germi della crisi finanziaria ed immobiliare nella sua gravità ben oltre il consenso ed insieme ci siamo seduti in riva al fiume ad osservare la corrente principale di questa crisi, serenamente al riparo da ogni insidia.
Sorrido quando sento parlare della flessibilità dell'economia americana che starebbe per intravvedere la luce in fondo al tunnel, un'economia che in questi mesi ha evitato una "recessione accademica" grazie ad una serie infinita di palliativi monetari, fiscali e valutari, riducendo il livello dei tassi, innondando l'economia di incentivi unatantum, svalutando la moneta per avere nonostante tutto un'economia in recessione che da ben 8 mesi perde costantemente e sensibilmente forza lavoro ben al di là di quanto evidenziano modelli statistici obsoleti! Si tratta di una recessione più lunga e profonda di quanto nessuno sino ad oggi ha saputo evidenziare, una recessione nei consumi, negli investimenti, nell'occupazione, nella produzione provocata da una crisi immobiliare e finanziaria che contribuirà a riscrivere i manuali dell'economia e della finanza!
Ed ora qualcuno crede che l'intervento a favore delle agenzie governative non influisca più di tanto sull debito pubblico, sui treasuries,sui deficit gemelli, sul dollaro!
Vedremo quanto accade oggi sui mercati vi sono i soliti segnali di autentica euforia, i future esplodono di salute, ma i lettori conoscono il passato, sanno quanto effimeri siano questi momenti di esaltazione collettiva, in riva al fiume la serenità è di casa!
Per quanto riguarda il dollaro non vedo molte alternative si torna a scendere, e di riflesso l'oro non può che salire dopo aver dato segni di resistenza e "scorrelazione" nelle ultime giornate dal repentino recupero del dollaro, sempre che un nuovo intervento concertato delle banche centrali non riporti nella dimensione irreale una moneta fondata sul debito!
La mia visione controcorrente è che dopo un momento di euforia si tornerà a scendere in omaggio ai fondamentali, dissolvendo la leggenda del " Rally Presidenziale" attraverso la riscoperta dei fondamentali che nella prossima tornata delle trimestrali americane troveranno un'ulteriore conferma!
Il Governo americano si è affrettato a dichiarare che non vi saranno ulteriori stimoli all'economia, forse perchè è... fondamentalmente solida, talmente solida da dover intervenire in ogni occasione ieri a sostegno del settore finanziario oggi e domani a quello economico! Ben venga ma per favore diciamo la Verità!
Non era possibile lasciar fallire F&F, ripeto non era assolutamente possibile, il rischio di una reazione sistemica a cascata era semplicemente terrificante ma osservo solo la fragilità di un sistema che viene ossannato dal mondo intero, certo flessibile a tutte le soluzioni, ma pur sempre un sistema oggi di socializzazione dove, come dice Paolo Barrai nel suo blog in uno dei suoi commenti la NAZIONALIZZAZIONE è l'antitesi del CAPITALISMO! Una pennellata magistrale!
Dopo la " Verità è Figlia del Tempo! " coniando un nuovo slogan si potrebbe dire che:
L'Illusione è Figlia del Tempo e crescendo diventa Realtà!
I titoli dei giornali e dei siti finanziari saranno tutti in un'unica direzione, la luce in fondo al tunnel e via per una nuova avventura! Buona fortuna, ne abbiamo bisogno!
Domani rivedremo insieme nel dettaglio di dati sulla disoccupazione e torneremo ad occuparci della realtà, lasciando agli altri i compito di raccontare le fiabe di questo tempo!
Nel frattempo invito tutti coloro che sentono il bisogno di un cambiamento a visitare questa sezione dedicata ai possibili e spesso già reali...
...come spesso sottolineato, unitamente alla conoscenza di un sistema economico alternativo integrabile che interagisce, e permette delle scelte autonome e responsabili nella scelta di un investimento, esiste un mondo sommerso di idee, di strumenti per concepire l'economia come un strumento che sostituisca la centralità del profitto con la centralità dell'Umanità e la sua evoluzione! UTOPIA! Ou topos ovvero luogo, isola aggiungo io, che non c'é! Chissà! Come nella canzone di Bennato....Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto sino al mattino,.poi la strada la trovi da te, porta all' Isola che ora.....c'è

 

Fonte - icebergfinanza.splinder.com

 

 

 

 

  Viva il mercato ma coi soldi dello Stato

11 Settembre 2008 01:29 MILANO - di Marcello De Cecco

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"I nuovi strumenti di dispersione di rischio [che] hanno consentito alle banche più grandi e più sofisticate… di spogliarsi di una gran parte del rischio di credito trasferendolo a istituzioni con minore grado di indebitamento… hanno contribuito allo sviluppo di un sistema finanziario molto più flessibile ed efficiente, e perciò meno sensibile agli shocks, di quello che esisteva appena un quarto di secolo fa.."
Queste di Alan Greenspan, che riprendo da un articolo di Luigi Spaventa, appartengono di diritto alle ‘ultime parole famose’, tra le quali acquistano ulteriore preminenza quando si pensi che sono del 2005, meno di due anni prima della esplosione della crisi subprime e di tutto ciò che ne è seguito e continua a seguirne.
Se tuttavia Greenspan avesse detto che le banche più grandi e sofisticate sarebbero divenute, per la strategia da lui descritta, quella dell’originate and distribute, ancora più inattaccabili da eventuali procedure fallimentari, egli avrebbe avuto senz’altro ragione. Gli eventi seguiti alla esplosione della crisi, ormai più di un anno fa, oltre a rivelare quanto pesante fosse il coinvolgimento delle stesse grandi banche in pratiche finanziarie che definire dubbie è generoso, hanno anche mostrato l’assoluta impossibilità di accettare l’insolvenza di anche una solo di loro, perché la strategia del trasferimento sistematico di rischi che hanno adottato per molti anni ha avuto la conseguenza di coinvolgere nei loro problemi tutto il sistema finanziario mondiale.
Quest’ultimo, così come le autorità di vigilanza, americane e di altri paesi, era perfettamente conscio dei pericoli insiti nella strategia delle grandi banche. Ma la frase di Greenspan che ho citato all’inizio, dimostra anche che le autorità hanno guardato con grande favore alla strategia stessa e forse l’hanno addirittura suggerita.
Di certo, essa è stata possibile solo perché le autorità di governo e monetarie degli Stati Uniti, e poi anche di molti altri paesi, hanno concepito e attuato, a partire almeno dal 1980, ma con effettivo inizio dopo la prima crisi del petrolio, nel 1973, una decisa politica di liberalizzazione finanziaria, che aveva per scopo primo la creazione di grandi piazze finanziarie capaci di attirare i capitali della rendita petrolifera, ma aveva come base teorica la certezza che banche sempre più grandi avrebbero aumentato l’efficienza dell’intero sistema. L’obiettivo era dunque di far crescere, insieme, banche e mercati, non di far dissolvere gli intermediari nei mercati.
Un sistema finanziario liberalizzato e integrato, tuttavia, sarebbe stato assai più fragile e suscettibile di crisi di uno segmentato e controllato. Questo fummo in parecchi a scriverlo, sin dall’inizio dell’esperimento. Bisognava quindi, per la particolare natura del credito, trattato da banche e altri operatori finanziari sempre più come una merce qualsiasi e non come un rapporto interpersonale basato sulla fiducia, che le autorità si preparassero, specie negli Stati Uniti, a trasformarsi da "prestatori di ultima istanza" a "prestatori di prima istanza" (rivendico la paternità di questa definizione), cioè a prestare riserve in continuazione a un mercato affollato di banche alle quali era permesso di tenere sempre meno capitali e riserve prudenziali, allo scopo di aumentare profitti e competitività.
Nell’ultimo quindicennio, a parte qualche eccezione di breve durata, le autorità monetarie americane hanno assicurato liquidità sovrabbondante al mercato, fidando nella scomparsa, per un periodo veramente lungo, di ogni minaccia inflazionistica. Esse hanno anche, quando hanno provato a stringere i cordoni della borsa, con molta decisione assistito quelle istituzioni finanziarie che, abituate al prestito di prima istanza, si erano spinte troppo in là nella costruzione di piramidi creditizie gigantesche su basi di capitale esigue. I salvataggi hanno così assunto dimensioni via via maggiori e caratteristiche sempre più lontane dalla normale prassi legale.
A partire dall’anno scorso, essi sono divenuti talmente frequenti e legalmente avventurosi da far concepire a parecchi osservatori la sensazione che si sia entrati in una nuova era, quella della fine della liberalizzazione e del ritorno ai controlli.
Ma le azioni delle autorità hanno anche generato, nei manager e negli azionisti di imprese di altri settori economici in difficoltà, da quello dell’automobile a quello delle aerolinee, l’aspettativa che pure nei loro confronti le autorità si comportino come hanno mostrato di fare nei confronti del sistema finanziario. Essi richiedono quindi che sia assicurato in ogni momento il "prestito di prima istanza" come si è fatto e si fa con le banche, e che il governo si faccia carico di interventi a loro favore generosi e frequenti almeno quanto quelli approntati con tanta fantasia legale per banche e istituzioni finanziarie di ogni genere.
Poiché si tratta di un fenomeno contagioso, esso sembra essersi diffuso all’intero universo di coloro che, negli Stati Uniti ma anche in Inghilterra e in altri paesi, hanno acceso mutui fondiari, non riescono a pagarne le rate e a restituirne il capitale e rischiano di perdere la casa. E anche a quelli che hanno debiti su carte di credito e prestiti di consumo.
Più che l’ingresso in una nuova era di controlli autoritari, quindi, quello che sembra profilarsi, negli Stati Uniti e in altri paesi, è la istituzionalizzazione della liberalizzazione all’americana degli ultimi vent’anni: gli agenti economici sono liberi di fare esattamente quello che vogliono, di avere dalle autorità il "prestito di prima istanza" e hanno anche il diritto di essere salvati quando le loro azioni li conducono a battere contro un muro o a rischiare di cadere da un precipizio.
Questo, e non un ritorno agli anni ‘30 e alla economia controllata chiede l’opinione pubblica, almeno negli Stati Uniti. Libertà di agire come meglio si crede, senza il rischio, che è parte integrale del liberismo vecchia maniera, di dover pagare per i propri errori.
Ci si deve chiedere da cosa possa nascere una pretesa tanto diffusa ad avere la botte piena e il marito ubriaco (perchè deve essere per forza la moglie?). E’ una pretesa naturale, se ci si pensa bene, che sarebbe del tutto praticabile laddove non si dovesse, come si deve, combattere col dilemma di risorse scarse e di desideri infiniti.
Le cose del mondo, negli ultimi vent’anni e in particolare negli ultimi quindici, sono andate in una direzione che ha fatto prematuramente gridare alcuni osservatori, facili all’entusiasmo, che i tempi della economia della scarsità erano finiti e che ciascuno poteva puntare ad avere il massimo per sé, senza essere limitato dalla disponibilità di risorse.
Questo perché la liberalizzazione finanziaria nel paese centro del sistema mondiale e la globalizzazione di produzione e commerci, erano accompagnate da una retorica rumorosa che attribuiva il merito di una temporanea sospensione di quello che gli economisti chiamano "vincolo di bilancio" al funzionamento sempre più libero ed efficiente dei mercati e alla loro continua estensione. Si affermò addirittura che l’economia di mercato non avesse bisogno di istituzioni imposte da fuori e dall’alto, perché avrebbe creato via via quelle di cui aveva bisogno per funzionare al meglio.
Non si disse quindi al pubblico ignaro che quanto stava accadendo era permesso da una modifica nel senso prima ricordato del comportamento delle istituzioni. Esse non erano scomparse e non erano create dai mercati, ma restavano e divenivano sempre più importanti per i mercati stessi. Permettevano a ognuno di sentirsi libero dal vincolo di bilancio e anche dal patriottismo economico. Lo si faceva praticando, per la prima volta in molti decenni, la globalizzazione della produzione e degli scambi, così che ognuno potesse produrre dove voleva e consumare beni e servizi prodotti in qualsiasi parte del mondo, e allo stesso tempo fornendo a chiunque lo volesse quantità quasi illimitate di risorse finanziarie.
Questa splendida giostra ha continuato a girare per parecchi anni, divertendo tutti e convincendo parecchi sulle sue capacità di farlo anche nel futuro. Ogni tanto si è interrotta bruscamente, ma le provvide autorità sono prontamente intervenute per farla ripartire.
Un anno fa la giostra ha smesso di girare. La folle corsa dei prezzi delle materie prime e del petrolio aveva seminato il dubbio che il tempo dei pasti gratis stesse per finire. L’incertezza ha invaso i mercati ed essi si sono accorti di non avere al proprio interno alcuno strumento per combatterla e ridurla. Gli interventi delle autorità hanno dovuto farsi incessanti e sempre più pesanti. Sono state di nuovo autorità ed istituzioni non create dal mercato, ma esterne ad esso, a dover intervenire per tentare di ridare equilibrio a mercati che le proprie istituzioni se le stavano creando, ma di un tipo che accresce invece che diminuire l’instabilità. Pensiamo solo alle società di rating e ai coefficienti di capitale per le banche, introdotti dai controllori su richiesta esplicita delle grandi banche occidentali.
Al momento, tuttavia, l’azione delle autorità non sembra strutturalmente diversa da quel che è stata nell’ultimo quarto di secolo. Essa continua a permettere l’illusione che il mondo sia uscito dalle tenaglie della scarsità e che ciascuno possa rischiare e sbagliare senza dover pagare per i propri errori, se è una istituzione finanziaria e se è abbastanza grande. Perché meravigliarsi se il resto dell'umanità reclama di poter essere trattato allo stesso modo?

 

Fonte - La Repubblica

 

 

 

 

 

 

StAti Uniti - Drastico peggioramento del deficit commerciale in luglio

11 Settembre 2008 - di phastidio
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Il deficit commerciale statunitense si è allargato in luglio oltre le attese, per effetto del nuovo record dell’import petrolifero. Il deficit è cresciuto del 5,7 per cento a 62,2 miliardi, il maggiore da 16 mesi, da 58,8 miliardi (rivisto in peggioramento dagli iniziali 56,8 miliardi) di giugno, ed a fronte di stime di consenso poste a 58 miliardi di dollari. Il prezzo all’importazione del petrolio ha toccato nel mese di luglio il record di 124,66 dollari al barile, più che compensando l’aumento nell’export di auto, aerei e macchinari.

In prospettiva, l’intervenuto rafforzamento del dollaro e l’indebolimento dei principali partner commerciali degli Stati Uniti potranno determinare un ulteriore peggioramento nel saldo commerciale, compensato dal forte ridimensionamento del prezzo del greggio, che ad agosto ha fatto segnare un prezzo medio di 117,02 dollari il barile. I prezzi all’importazione del petrolio vengono calcolati al momento della consegna, quindi è verosimile che in agosto possa verificarsi un ulteriore peggioramento del deficit commerciale petrolifero.

Le esportazioni sono cresciute del 3,3 per cento, guidate dal balzo nelle consegne di auto e componenti. L’export ha beneficiato anche del deprezzamento del dollaro (pari al 7 per cento negli ultimi 12 mesi) nei confronti dei principali partner commerciali degli Stati Uniti. Corretto per l’inflazione, il deficit commerciale si è ampliato a 41,2 miliardi di dollari, da 40,1 miliardi in giugno. Il deficit a moneta costante di luglio resta inferiore alla media dello scorso trimestre, indicando che il commercio estero potrà ancora spingere la crescita nel terzo trimestre, anche se lo sciopero dei meccanici della Boeing in atto questo mese potrà frenare la crescita dell’export.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

Stati Uniti - Vendite al dettaglio deboli in agosto

12 Settembre 2008 - di phastidio
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Le vendite al dettaglio statunitensi sono inaspettatamente diminuite in agosto. Il calo dello 0,3 per cento segue la flessione dello 0,5 per cento (rivista al ribasso dall’originario meno 0,1 per cento). Al netto delle auto la contrazione è dello 0,7 per cento, peggior risultato dell’anno. La spesa dei consumatori è debole a causa di uno sviluppo dei salari frenato dal cattivo andamento del mercato del lavoro, e che non ha tenuto il passo dell’inflazione, oltre che per il progressivo venir meno degli effetti del recente stimolo fiscale. Ulteriori effetti depressivi dei consumi vengono dalla crisi dell’immobiliare e del mercato azionario, indicando che anche il recente ridimensionamento dei prezzi dei carburanti potrebbe non essere sufficiente a rivitalizzare la spesa. Le stime di consenso ipotizzavano un aumento complessivo dello 0,2 per cento, ed una flessione dello 0,2 per cento al netto delle auto. Elettronica, materiali da costruzione, abbigliamernto e department stores hanno tutti visto flessioni nelle vendite. Anche i ricavi delle stazioni di servizio sono diminuiti, a seguito dal calo del prezzo della benzina. Al netto dei carburanti, le vendite al dettaglio sono rimaste invariate in aogsto, dopo il calo dello 0,6 per cento di luglio.

Nel mese di agosto i costruttori automobilistici hanno spinto gli incentivi per rivitalizzare la domanda, dopo che l’economia ha perso occupati per l’ottavo mese consecutivo ed il tasso d’inflazione ha raggiunto il 6,1 per cento. Le vendite dei concessionari di auto sono aumentate dell’1,9 per cento, primo incremento da gennaio e miglior risultato in un anno. General Motors, ad esempio, ha offerto a tutti i clienti le stesse condizioni praticate ai propri dipendenti, spingendo le vendite nella seconda metà del mese, e prolungherà gli incentivi nel mese di settembre oltre ad avere in corso da giugno, per alcuni modelli, finanziamenti a 72 mesi a tasso zero. Le vendite alle stazioni di servizio sono diminuite in agosto del 2,5 per cento. Il prezzo medio alla pompa di un gallone di benzina è diminuito da 4,04 a 3,76 dollari in agosto. Il calo dell’1,5 per cento delle vendite dei Department Stores è stato il maggiore da aprile 2007. Le vendite presso i non-store retailers, che riflettono le vendite online e da catalogo sono diminuite del 2,3 per cento, massimo da marzo 2007.

Escludendo auto, carburanti e materiali da costruzione, il gruppo di vendite al dettaglio utilizzato per calcolare il dato di spesa dei consumatori nell’ambito del pil (i dati dei gruppi mancanti provengono da altre fonti), le vendite sono calate dello 0,2 per cento. Secondo le stime di consenso, la spesa dei consumatori dovrebbe mostrare uno stallo nel terzo trimestre.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

Fondi sovrani in trasparenza

14 Settembre 2008 14:49 Milano - di LaVoce.info
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Nell'ultimo anno i fondi sovrani sono stati una boccata d'ossigeno per molte società con difficoltà patrimoniali. Suscitano però anche molti sospetti, soprattutto per la loro scarsa trasparenza. Tanto che Ocse e Fmi preparano linee guida ad hoc. I governi occidentali temono in particolare che i veicoli cinesi investano in settori considerati strategici. E si acceleri un processo di migrazione del know-how tecnologico verso la Cina. Ma il mercato sembra aver già scontato questi rischi. Semmai il problema è che producano una nuova forma di statalizzazione.

Negli ultimi dodici mesi, con i loro investimenti, i fondi sovrani hanno dato una boccata d'ossigeno a società costrette da forti difficoltà patrimoniali a ripetute svalutazioni, introducendo un elemento di relativa stabilità in un mercato finanziario che altrimenti avrebbe visto diverse blue-chip ricorrere a procedure fallimentari. La stampa internazionale ha cominciato a occuparsi del problema sostanzialmente nel maggio 2007, quando China Investment Corporation, fondo sovrano cinese con una dotazione iniziale di 200 miliardi di dollari, ha acquistato una partecipazione in Blackstone, gruppo di private equity statunitense in procinto di quotarsi. L'investimento, pari a circa 3 miliardi di dollari per meno del 10 per cento, oggi quota al 60 per cento del valore iniziale.

LINEE GUIDA PER LA TRASPARENZA

Queste operazioni hanno generato una vivace discussione sulla scarsa disponibilità di informazioni circa il ruolo e le strategie operative di buona parte dei fondi sovrani, soprattutto per quanto riguarda quelli costituiti da governi non occidentali. Per far fronte alla mancanza di trasparenza, l'Ocse ha definito delle linee guida mentre il Fondo monetario internazionale, su incarico dei ministri delle Finanze e dell'Economia dei paesi del G7, ha appena emanato un codice di condotta su base volontaria, con ventiquattro principi, frutto del lavoro congiunto di un comitato cui hanno partecipato anche i principali fondi sovrani.
Il Sovereign Wealth Fund Institute, organizzazione non-profit, ha invece elaborato il cosiddetto “indice di trasparenza Linaburg-Maduell”: qualifica i fondi sovrani in relazione alla loro natura, alle loro strategie e alla qualità della corporate governance e della politica di accountability cui sono soggetti. Presupposto di tutti questi indirizzi è la definizione di fondo sovrano, un aspetto rilevante, in particolare, ai fini della attuazione delle linee guida che Fmi e Ocse imporranno ai paesi sottoscrittori degli accordi di ratifica. Se un fondo cadesse nella fattispecie, dovrebbe infatti rispettare le direttive del caso, affrontando tutti i problemi connessi con i livelli di trasparenza richiesti.
Molto resta ancora da fare, a partire proprio dal problema definitorio, che potrebbe avere interessanti implicazioni anche per il sistema italiano. I fondi sovrani, stando alla definizione del Fmi sono “speciali fondi d'investimento creati o posseduti da stati sovrani al fine di detenere attività in valuta estera con un orizzonte temporale d'investimento protratto”. Cosa s'intende per “sovrano”? In un'ottica federale lo sarebbe anche una regione italiana? Le attività devono necessariamente essere in valuta estera? Potrebbe una fondazione bancaria italiana essere considerata una sorta di fondo sovrano? Qual è l'orizzonte temporale di un investimento “protratto”? Recentemente, complice la debolezza del dollaro, Qatar Investment Authority, altro fondo sovrano medio-orientale, ha cominciato a convertire gli investimenti denominati in dollari in investimenti denominati in euro.
Per finire, poi, i fondi sovrani dovrebbero essere differenziati in funzione anche di altri parametri. Ad esempio, delle fonti del finanziamento, come cessione sul mercato di risorse naturali non rinnovabili, avanzi fiscali, proventi derivanti dai processi di privatizzazione, avanzi delle partite correnti; oppure degli obiettivi di policy perseguiti: stabilizzazione dei proventi dell'esportazione di commodities o accumulazione dei proventi stessi, impiego di riserve in valuta in strumenti di investimento a rendimento/rischio più elevato di quello tipico in cui sono investite le riserve ufficiali, destinazione di fondi a obiettivi di sviluppo infrastrutturale, investimento di risorse destinate al soddisfacimento futuro di prestazioni obbligatorie, quali le pensioni. Ciò permetterebbe di meglio comprenderne le strategie.

TRA RISCHI E PRAGMATISMO

Il dibattito sulla trasparenza dei fondi sovrani è in realtà sulle loro “intenzioni” e sulle loro politiche allocative e nasce sostanzialmente all'indomani della creazione nell'autunno 2007 di Cic (Parigi: FR0005025004 - notizie) , che prima ancora di veder ufficialmente la luce, aveva già compiuto l'operazione in Blackstone. Le preoccupazioni ruotano soprattutto attorno alla possibilità che Cic, od omologhi veicoli cinesi, compiano investimenti in aziende o settori considerati strategici dai governi, preoccupati non solo che la sicurezza nazionale sia posta in pericolo, ma anche che possa accelerarsi un processo di migrazione del know-how tecnologico verso la Cina, con effetti negativi sulla struttura industriale e occupazionale del proprio paese. Dal momento che la Cina è stato il primo paese ad aver accettato il codice di autocondotta testé emanato dal Fmi, il timore sembrerebbe infondato.
Sull'altro piatto della bilancia, c'è però la nuda realtà delle cifre, che richiede di accedere alle disponibilità dei fondi sovrani, per porre rimedio agli eccessi speculativi. Le molte operazioni effettuate in quest'ultimo anno, che hanno coinvolto anche fondi cinesi, confermano che il pragmatismo alla fine vince. Sembrerebbe quasi che la comunità politica chieda alle organizzazioni finanziarie di controllo l'emanazione di una griglia di indicazioni, che possano fungere da “regole d'ingaggio” con i fondi sovrani. Se così fosse, sarebbe tuttavia un processo a posteriori: il mercato, infatti, pare aver scontato il rischio e già vi accede ampiamente, come dimostrano le operazioni delle banche statunitensi, incuranti dei risvolti geo-politici, concluse emettendo, se del caso, capitale ibrido, con o senza diritto di voto. La trasparenza e il problema definitorio dei fondi sovrani sarebbero, in altre parole, acqua passata, ormai.
Ma è un altro aspetto dei fondi sovrani che forse meriterebbe ancor più di essere indagato: il possibile prodursi di un effetto reversal. Dopo una lunga stagione di privatizzazioni avviate dai principali governi occidentali potrebbe infatti materializzarsi una sorta di nuova “statalizzazione” estero-vestita, problema acuito dal fatto che i fondi non sembrano voler svolgere ruoli da investitore attivo. Alto sarebbe dunque il rischio che si ricreino così le problematiche legate ai costi di agenzia, in generale, e, in particolare, quella del management entrenchment, in cui si costruiscono “alleanze” tra un management autoreferenziale e soci forti ma silenziosi, rendendo vano lo spirito che dovrebbe caratterizzare il libero mercato, ossia la concorrenza e la meritocrazia.

Fonte - LaVoce.info

 

 

 

 

 

 

  Giovedì 11 Settembre 2008   Venerdì 12 Settembre 2008   Sabato 13 Settembre 2008  
       
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Tutti i rischi che ha in pancia Lehman

15 Settembre 2008 13:51 SIENA - di MPS Capital Services*
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Tassi di interesse: in area Euro tasso decennale in calo questa mattina fino al 4% dopo le notizie finanziarie Usa del week end. Sul fronte macro la produzione industriale dell’intera area a luglio ha registrato un brusco calo con una penalizzazione del comparto dei beni capitali. Male anche il dato sulla produzione italiana che ha registrato il terzo calo consecutivo. Oggi l’attenzione sarà rivolta alle notizie provenienti da Wall Street ed al calo del prezzo del greggio. Sul decennale il supporto si colloca a 4%.
Negli Usa le notizie del week end hanno fortemente scosso i mercati questa mattina. Le notizie rilevanti sono diverse: 1) la richiesta di amministrazione controllata da parte di Lehman (capitolo 11), dopo il fallimento delle trattative per trovare un possibile acquirente; 2) l’acquisto di Merrill Lynch da parte di Bank of America per 50Mld$ mediante uno scambio azionario; 3) il rifiuto da parte di AIG, la più grande compagnia assicurativa Usa, di un’iniezione di liquidità da parte del fondo di private equity J.C.Flowers e la contestuale richiesta (secondo quanto riportato da Wsj) di un prestito ponte da 40Mld$ presso la Fed, in attesa di porre in essere un drastico piano di dismissioni;
4) l’annuncio della Fed di un ampliamento dell’entità (portata a 200Mld$) e della tipologia di collateral accettato nelle operazioni di rifinanziamento, fino ad includere anche le azioni, una decisione quest’ultima avente scadenza 30 gennaio 2009; 5) creazione di un fondo da 70Mld$ da parte di un pool di banche mondiali cui attingere per far fronte a temporanee carenze di liquidità.
Di tutte queste notizie, quella su cui si concentra nel breve maggiormente l’attenzione è indubbiamente quella inerente Lehman, la prestigiosa banca di investimento Usa fondata nel 1850. Nel corso del fine settimana è stata tenuta una c.d. netting trading session per cercare di ridurre la minimo il rischio di posizioni aperte sull’imponente mercato dei CDS avente come controparte Lehman.
Il punto cruciale rimane soprattutto la gestione dell’eventuale liquidazione degli asset a forte rischio detenuti da Lehman ed aventi come sottostanti mutui sia commerciali sia residenziali. Si tratta di un punto importante in quanto i prezzi di vendita potrebbero diventare il riferimento per titoli analoghi detenuti da altre banche comportando potenziali ulteriori svalutazioni. L’atteggiamento del Tesoro e della Fed questa volta è stato intransigente e finalizzato verosimilmente ad evitare l’instaurarsi di un atteggiamento degli operatori volto ad immaginare sempre la presenza della mano pubblica in caso di fallimenti eccellenti, dopo l’esperienza di Bear Stearns e delle due agenzie sui mutui. A questo punto, l’incontro della Fed di domani riveste importanza soprattutto in seguito alle vicende finanziarie. Qualche analista arriva ad ipotizzare un taglio dei tassi.
Sul mercato obbligazionario l’effetto questa mattina è evidente: forte irripidimento della curva con marcato calo dei tassi. Il supporto importante è a quota 3,40%.
Valute: Dollaro in marcato deprezzamento questa mattina verso Euro fino a sfiorare la soglia di 1,45 (1,4480). Successivamente il movimento è in parte rientrato fino a circa 1,43. Sul Dollaro incide la percezione di un forte ulteriore deterioramento del contesto finanziario Usa che sul mercato obbligazionario negli ultimi giorni aveva invece assunto la forma di un incremento del costo della protezione dal rischio default sui Treasury.
In attesa di verificare le reazioni sul mercato azionario nel pomeriggio, le principali due resistenze si collocano a 1,4360 e 1,45. Le vicende Usa del week end hanno avuto un impatto anche sullo Yen che si è apprezzato in modo deciso verso Usd sfiorando quota 105. Incide in questo caso il rientro di parte dei carry trade in un clima di maggiore avversione al rischio. Il movimento di oggi apre lo spazio per la prosecuzione fino in area 104.
Materie Prime: la settimana si è conclusa con un rialzo tutti i prezzi delle commodities la cui domanda è stata supportata dal Dollaro debole. In particolare la soia è salita venerdì del 22,53% per le speculazioni dovute al timore che l’ammontare del raccolto sia minore del previsto. In aumento anche il mais a causa dei possibili danni che l’uragano Ike potrebbe provocare ritardando la coltura degli Stati Uniti. In forte aumento gli industriali ed i preziosi: zinco (+5,14%), piombo (+4,67%), oro (+2,55%) e argento (+2,34%). In mattinata si è invece assistito ad un calo del prezzo del greggio Wti sceso sotto la soglia dei 99 $ dopo le prime indicazioni secondo cui l’uragano Ike ha evitato le infrastrutture della costa del golfo e dopo l’apertura del Dollaro in deprezzamento.
 

Fonte - MPS Capital Services

 

 

 

 

AIG, corsa contro il tempo

16 Settembre 2008 - di phastidio
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American International Group (AIG), il maggior assicuratore statunitense per entità degli attivi, nella giornata di lunedì 15 settembre ha subìto il taglio del rating da parte di Standard&Poor’s e Moody’s, circostanza che minaccia di vanificare gli sforzi della compagnia di raccogliere fondi di emergenza per mantenere l’operatività. S&P ha abbassato il rating di lungo termine di AIG di tre livelli, a A-, a causa di “ridotta flessibilità nel rispondere all’accresciuto fabbisogno di collaterale e timori su crescenti perdite legate ai mutui”. Moody’s ha tagliato di due livelli il rating senior unsecured, portandolo ad A2. Questi downgrade dovrebbero innescare oltre 13 miliardi di dollari in richieste di garanzie aggiuntive dagli investitori nel debito di AIG, secondo stime della stessa società, che ha venduto a banche ed altri investitori protezione su 441 miliardi di dollari in obbligazioni, inclusi 57,8 miliardi di dollari in titoli legati ai mutui subprime.

La compagnia sta cercando una somma compresa tra 70 e 75 miliardi di dollari, che potrebbero arrivare da una linea di credito organizzata da Goldman Sachs e JPMorgan. La capitalizzazione di AIG, dopo aver toccato un picco di 190 miliardi di dollari a fine 2006, si è ridotta di circa il 95 per cento.

Per Moody’s il declassamento del rating è avvenuto alla luce del “continuo deterioramento nel mercato immobiliare statunitense ed al conseguente impatto su liquidità e capitale del gruppo”. Negli ultimi tre trimestri AIG ha effettuato svalutazioni per 18,5 miliardi di dollari, cui potrebbero aggiungersi altri 30 miliardi per il terzo trimestre, che si sommerebbero ai 16,5 miliardi di garanzie aggiuntive che la compagnia ha finora dovuto produrre. In maggio AIG ha raccolto 20,3 miliardi di dollari in azioni ed obbligazioni
Nella giornata del 15 settembre, il regolatore dello stato di New York (la competenza sulle assicurazioni è infatti statale), ha concesso alla compagnia un permesso speciale per ottenere prestiti per 20 miliardi di dollari da parte delle proprie controllate, nel tentativo di guadagnare tempo per lavorare alla ricapitalizzazione. Questa autorizzazione di emergenza pone rischi potenziali per i detentori di polizze, ed il regolatore si impegna ad esaminare i termini di ogni singola transazione per proteggere i sottoscrittori dai rischi di depauperamento della copertura assicurativa.

La Federal Reserve di New York ha ingaggiato Morgan Stanley per esaminare alternative per AIG. Tra le ipotesi relative al reperimento della liquidità necessaria alla sopravvivenza vi è la cessione di attivi, tra i quali la società specializzata nel credito al consumo, American General Finance, che potrebbe produrre 6 miliardi di dollari in caso di vendita al doppio del proprio valore di libro, un multiplo generalmente utilizzato in questo tipo di transazioni. Possibile anche la cessione di International Lease Finance, società specializzata nel leasing aeronautico, che potrebbe essere ceduta per una somma stimata in 7-14 miliardi di dollari. Nei giorni scorsi AIG ha respinto una proposta d’investimento delle società di private equity KKR &Co., TPG e J.C.Flowers mentre Warren Buffett, il più celebre investitore statunitense, non sarebbe più impegnato in colloqui con AIG.

Quale scenario attendersi
Il collasso di AIG rappresenterebbe la seconda e potenzialmente più distruttiva fase dell’attuale crisi finanziaria, sotto forma di un crollo del settore assicurativo, con altissimo rischio di contagio. Il problema di AIG non è rappresentato solo dalla sua dimensione aziendale, ma dalla minaccia posta al mercato da 62.000 miliardi di dollari dei Credit Default Swaps, o CDS, un mercato assicurativo non regolamentato nel quale gli investitori si proteggono contro il default di emissioni obbligazionarie, pagando un premio. AIG ha venduto protezione su eventi di default che coinvolgano emissioni obbligazionarie, strumenti finanziari aventi come collaterale cartolarizzazioni ipotecarie ed altri titoli di debito. Il declassamento attuato dalle società di rating impone alla compagnia di presentare garanzie aggiuntive della propria solvibilità. Il mercato dei CDS ha finora retto bene, ma è difficile ipotizzare cosa potrebbe accadere se AIG dovesse dichiarare la propria insolvenza, sia riguardo i contratti da essa direttamente assicurati, che per quelli di terze parti che si sono assicurate contro il rischio di default della stessa AIG. Se la compagnia dovesse dichiararsi insolvente un numero elevato di sue controparti sarebbero impossibilitate a monetizzare i propri contratti di CDS. Da ciò conseguirebbe un elevato numero di fallimenti, di cui sarebbero vittime iniziali soprattutto gli hedge funds. Nel momento in cui scriviamo la situazione è ovviamente in evoluzione, ma è opinione comune che le prossime 48 ore saranno decisive. Finora la Fed ha cercato di gestire il salvataggio senza essere coinvolta direttamente, ma se la cordata giudata da Goldman e JPMorgan dovesse fallire nell’erogazione del prestito-ponte, le conseguenze dell’insolvenza sarebbero potenzialmente devastanti. Questa considerazione potrebbe spingere il Tesoro statunitense ad intervenire per evitare il peggio, ma la situazione resta imprevedibile.

 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

TASSI USA: LA FED LI LASCIA INVARIATI AL 2%

16 Settembre 2008 20:15 NEW YORK - di WSI
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La Banca Centrale americana ha lasciato invariato il tasso sui fed funds. Linea dura dei governatori. Il mercato chiedeva un taglio di almeno 25 punti base. Decisione unanime.
Il Federal Open Market Committee, il braccio operativo della Federal Reserve, ha lasciato invariato il costo del denaro degli Stati Uniti al 2.00% per la terza volta consecutiva. In seguito agli ultimi sviluppi all’interno del comparto finanziario il mercato chiedeva ai governatori della Banca Centrale una riduzione dei tassi per offrire ossigeno al sistema, piegato dalla crisi del credito.
Per i lettori di Wall Street Italia ecco la traduzione in italiano del documento ufficiale della Federal Reserve:
Il Federal Open Market Committee ha deciso oggi di mantenere il target sui fed funds al 2.00%.
Le pressioni sui mercati finanziari sono incrementate significativamente mentre il mercato del lavoro si e’ ulteriormente indebolito. La crescita economica sembra essere rallentata recentemente, in parte a causa dell’abbassamento della spesa delle famiglie. Le strette condizioni che caratterizzano il mercato del credito, la contrazione del mercato immobiliare tuttora in corso, ed alcuni rallentamenti nella crescita delle esportazioni peseranno probabilmente sulla crescita economica dei prossimi trimestri. Tuttavia, le ultime operazioni di politica monetaria, in combinazione con le misure adottate per promuovere la liquidita’, dovrebbero promuovere una oderata crescita economica.
L’inflazione e’ risultata elevata, spinta dagli incrementi dei prezzi energetici e di altre commodities. Il Comitato si aspetta un rallentamento delle pressioni inflazionistiche nei prossimi mesi e nell’arco del prossimo anno, ma l’outlook resta molto incerto.
I rischi al ribasso per la crescita e quelli al rialzo per l’inflazione rappresentano entrambi significative preoccupazioni per il Comitato. Il Comitato continuera’ a monitorare attentamente gli sviluppi economici e finanziari ed agira’ come necessario per promuovere una crescita economica sostenibile e la stabilita’ dei prezzi.
A votare a favore dell’azione di politica monetaria del FOMC sono stati: Ben S. Bernanke, Chairman; Christine M. Cumming; Elizabeth A. Duke; Richard W. Fisher; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Sandra Pianalto; Charles I. Plosser; Gary H. Stern; and Kevin M. Warsh. Ms. Cumming ha votato in sostituzione di Timothy F. Geithner.
Ed ecco il testo originale del documento che accompagna la decisione della Federal Reserve di confermare il tasso interbancario al 2.00%:
The Federal Open Market Committee decided today to keep its target for the federal funds rate at 2 percent.
Strains in financial markets have increased significantly and labor markets have weakened further. Economic growth appears to have slowed recently, partly reflecting a softening of household spending. Tight credit conditions, the ongoing housing contraction, and some slowing in export growth are likely to weigh on economic growth over the next few quarters. Over time, the substantial easing of monetary policy, combined with ongoing measures to foster market liquidity, should help to promote moderate economic growth.
Inflation has been high, spurred by the earlier increases in the prices of energy and some other commodities. The Committee expects inflation to moderate later this year and next year, but the inflation outlook remains highly uncertain.
The downside risks to growth and the upside risks to inflation are both of significant concern to the Committee. The Committee will monitor economic and financial developments carefully and will act as needed to promote sustainable economic growth and price stability.
Voting for the FOMC monetary policy action were: Ben S. Bernanke, Chairman; Christine M. Cumming; Elizabeth A. Duke; Richard W. Fisher; Donald L. Kohn; Randall S. Kroszner; Sandra Pianalto; Charles I. Plosser; Gary H. Stern; and Kevin M. Warsh. Ms. Cumming voted as the alternate for Timothy F. Geithner.

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

 

 

 

  USA, l'ultima spiaggia dell'intervento statale

17 Settembre 2008 15:11 NEW YORK - di Massimo Gaggi

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Polizze sull'auto e la casa, assicurazioni sulla vita, gli incendi, i voli di linea. Nelle ultime 48 ore la tempesta sul gigante assicurativo Aig è diventata — per i mercati mondiali — un problema molto più grosso del fallimento di Lehman, banca d'affari grande e carica di storia ma con attività confinate al sistema finanziario.
E così l'ipotesi di nuovi salvataggi sostenuti col denaro pubblico — esclusa solo due giorni fa dal Tesoro — è tornata improvvisamente d'attualità. Domenica governo Usa e Fed si erano rifiutati di aiutare Lehman e avevano invitato Aig, che chiedeva un gigantesco prestito-ponte, a rivolgersi alle banche. Gli istituti di credito hanno provato a costruire un «fondo per le emergenze», ma ieri hanno gettato la spugna. E senza un'iniezione di liquidità di ben 90 miliardi di dollari, Aig avrebbe potuto dichiarare bancarotta già stamattina. Un rischio che, nella notte, ha rimesso in moto la macchina dell'intervento pubblico. Motivazione fornita informalmente: data la natura delle attività del gigante assicurativo, un suo crollo produrrebbe non solo un aggravamento della crisi (come nel caso di Lehman), ma un vero e proprio «rischio sistemico».
Con Aig la crisi compie, infatti, un doppio salto di qualità: da un lato viene messo in pericolo il rapporto con milioni di clienti che non hanno mai avuto a che fare con Wall Street, ma che ora non sanno più se fidarsi delle loro polizze, se rinnovarle. In realtà le prestazioni assicurative (gli indennizzi per chi viene tamponato o ha la casa allagata) non sono in pericolo. I clienti saranno, però, comunque tentati di passare ad una compagnia con meno problemi.
Ma, rapporto con gli assicurati a parte, un fallimento di Aig avrebbe conseguenze molto più gravi del crollo di Lehman anche in campo finanziario perché la compagnia non solo è molto più grossa (attività quasi doppie rispetto ai 600 miliardi di dollari di esposizione della banca d'affari), ma è anche assai più ramificata. Opera in 130 Paesi e un suo crollo metterebbe per la prima volta con le spalle al muro anche gli «hedge fund» che fin qui sono stati al riparo dalla crisi. Soprattutto, un fallimento di Aig avrebbe aperto il vaso di Pandora dei misteriosi Cds, i «Credit default swaps»: contratti assicurativi vorticosamente emessi e scambiati dagli operatori finanziari più diversi nei quali una parte protegge un'altra dal rischio che alcuni titoli (soprattutto le obbligazioni con cui sono stati «cartolarizzati» i mutui-casa) non vengano onorati alla scadenza.
Negli ultimi anni il mercato è stato invaso da contratti di questo tipo detenuti da banche, assicurazioni, finanziarie, «hedge fund», il cui valore complessivo è ormai si misura in migliaia di miliardi di dollari. Il finanziere George Soros è stato uno dei primi a dare l'allarme. In un libro sulla crisi pubblicato pochi mesi fa, ha avvertito che i Cds possono diventare per il sistema ancor più destabilizzanti dei mutui, visto che nessuno sa come siano distribuiti e cosa accadrebbe in caso di gravi insolvenze.
La proposta di Soros - creare una «stanza di compensazione » che funzioni da centro di controllo e di pronto intervento in questo mercato - è stata condivisa da molti, ma non ha avuto seguito. Ieri, però, l'ha rilanciata il «Wall Street Journal», l'organo dei liberisti. Tutti questi segnali che si sono incrociati nel giro di poche ore e la decisione della Fed di non abbassare ulteriormente i tassi, hanno reso quella di ieri, ancor più di lunedì, una giornata per gente con lo stomaco forte.
Nessun crollo, ma un mercato sull' «ottovolante»: Borsa a precipizio in apertura per il pessimismo sul destino di Aig,poi in ripresa per voci di un nuovo intervento pubblico; di nuovo in ribasso per il mancato taglio del costo del denaro e una chiusura in netto rialzo per il diffondersi della sensazione che, in un modo o nell'altro, il fallimento di Aig verrà evitato.
Il segnale di un nuovo, possibile intervento pubblico è venuto, indirettamente, dal vertice sui tassi: alla riunione del «board» della Banca centrale Usa a Washington, Tim Geithner, il capo della Fed di New York, non c'era: era rimasto a Manhattan a lavorare sul caso Aig. Le autorità che domenica avevano lasciato fallire Lehman e avevano detto «no» alla richiesta del gruppo assicurativo di un prestito-ponte di 50 miliardi di dollari per tenere in vita l'Aig, hanno dovuto rimettere sul tavolo l'ipotesi di un intervento di salvataggio pubblico. Come detto, i tentativi delle banche private sono infatti falliti, anche perché i 50 miliardi necessari per sopravvivenza di Aig lunedì erano già diventati 75 (causa «downgrading» del credito della compagnia assicurativa che impone requisiti di solvibilità più severi) e ieri sono ulteriormente saliti a 85.
La bancarotta era inevitabile? La massiccia immissione di liquidità nel sistema effettuata ieri mattina in modo coordinato dalle principali banche centrali del mondo ha dato a molti operatori la sensazione che la Fed stesse preparando «cuscini» per cercare di attutire le conseguenze di una messa in liquidazione di Aig. «Attenti, giocate col fuoco» è subito intervenuto Maurice Greenberg, l'ultraottantenne ex capo del gigante assicurativo che rimane una sua voce influente: «La società ha un patrimonio enorme: gli va data solo la liquidità necessaria per superare un momento difficile e vendere i suoi "asset" in modo ordinato».
Greenberg ha anche formulato una confusa ipotesi di intervento dele sue società a favore di Aig. Alle sei di ieri (mezzanotte ora italiana), tutti i protagonisti della partita — capi di Aig, Fed, Tesoro, grandi banche, l'Authority delle assicurazioni dello Stato di New York — erano chiusi in una stanza alla ricerca della formula per mettere in piedi un «prestito-ponte» che non abbia l'aspetto di un nuovo salvataggio pubblico. Ci sarebbero rimasti altre due ore per un'operazione temeraria e colossale. Di dimensioni mai viste, fino a ieri sera, nella storia della finanza.

 

Fonte - Corriere della Sera

 

 

 

 

  Sistema finanziario vicino al collasso

18 Settembre 2008 13:49 LUGANO - di Alfonso Tuor

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È panico a Washington. Questa è la lettura del salvataggio di AIG, la più grande compagnia assicurativa del mondo. Nel giro di 48 ore l’amministrazione Bush e la Federal Reserve sono state costrette ad un improvviso cambiamento di rotta. Nella serata di domenica scorsa le autorità americane avevano lasciato fallire la banca di investimento Lehman Brothers, sostenendo che spettava al mercato e non ai contribuenti americani pagare il conto delle spericolate avventure di Wall Street. Ma già martedì scorso questi propositi sono stati abbandonati per salvare in extremis la AIG con un prestito di 85 miliardi di dollari elargito dalla Federal Reserve, che verrà convertito in una partecipazione azionaria del 79,9% dello Stato federale nel colosso assicurativo.
Le ragioni di questo clamoroso voltafaccia sono le seguenti. Il mercato finanziario ha dimostrato di non essere in grado di digerire il fallimento della Lehman. Lunedì e martedì scorsi il mercato interbancario si è letteralmente chiuso e i costi di rifinanziamento delle banche sono esplosi. Per dare un’idea di quanto è successo, i costi di rifinanziamento giorno per giorno in dollari di grandi istituti, ritenuti tra i più solidi, come JP Morgan e Credit Suisse sono balzati dal 3% al 7%; altrettanto è successo per i tassi Libor a più lungo termine. Se il livello di questi tassi non fosse sceso, vi sarebbero state conseguenze immediate ed imprevedibili su altre banche, già in difficoltà, che non avrebbero potuto sostenere costi così elevati.
Vi sarebbero stati gravi ripercussioni anche per imprese e famiglie, perché sarebbero schizzati anche i tassi su ipoteche e crediti commerciali. Il fallimento di AIG sarebbe stato indubbiamente l’ultima ciliegina che avrebbe definitivamente chiuso il mercato interbancario e fatto collassare l’intero sistema finanziario.

Dunque la scelta di salvare e far passare sotto il controllo del Governo federale la AIG era obbligata. Essa ha avuto l’effetto immediato di ridurre un po’ la tensione sul mercato interbancario e ha permesso ieri alle banche di tirare un temporaneo sospiro di sollievo. Questa mossa non è comunque risolutiva: essa non elimina il tarlo del dubbio creato dal fallimento della Lehman. La possibilità che altri istituti vengano lasciati fallire è destinata a mantenere alti i costi di rifinanziamento del sistema bancario e ad accelerare i tempi di questa crisi. Inoltre questa scelta pone sul tappeto una questione essenziale: quali istituti salvare e in base a quali criteri.
La AIG non è una banca, ma una compagnia di assicurazione che nella fase di euforia della nuova ingegneria finanziaria si era lanciata, tra l’altro, a garantire il valore delle obbligazioni che Wall Street ha continuato a sfornare negli ultimi anni. Tra queste obbligazioni vi sono anche i titoli in cui sono stati impacchettati i mutui ipotecari americani. L’esposizione, che ammonta a circa 441 miliardi di dollari nei confronti di questi Credit Default Swap, costringe AIG a compensare la loro continua perdita di valore. Per questo motivo martedì AIG doveva essere salvata.
Senza il prestito della Federal Reserve la compagnia ieri non avrebbe avuto quei circa 70 miliardi di dollari che ha poi versato alle sue controparti. Il mancato pagamento avrebbe provocato l’immediato fallimento della AIG, distrutto il mercato dei Credit Default Swap, che supera i 60.000 miliardi di dollari, provocato enormi perdite alle controparti ed inferto un colpo al sistema bancario.
La «nazionalizzazione» dell’80% della maggiore compagnia assicurativa del mondo, che segue il crac della Lehman e i salvataggi della Merrill Lynch e ancor prima delle due agenzie Fannie Mae e Freddie Mac e in marzo della banca di investimento Bear & Stearns, è un’ulteriore dimostrazione della profonda crisi del sistema bancario occidentale ormai sull’orlo del collasso. Gli avvenimenti di questi giorni ci hanno portati ad un punto di svolta: la crisi sarà più rapida e più grave di quanto si potesse ancora pensare la settimana scorsa.
Lo stato «comatoso» del sistema bancario è destinato ad avere un impatto profondo sull’economia reale. E contro questa crisi non bastano i tradizionali strumenti di politica economica. Le continue iniezioni di liquidità delle banche centrali danno solo un po’ di ossigeno a istituti bancari a corto di liquidità e di capitali. Lo scopo degli istituti di emissione è sostituirsi ai mercati nei rifinanziamenti più urgenti del sistema bancario: gli effetti di queste erogazioni miliardarie sono però limitati nel tempo e non riescono ad evitare che la crisi bancaria si trasmetta all’economia reale attraverso il canale della restrizione e dell’aumento del costo del credito concesso a imprese e famiglie.
Inoltre la crisi del mercato immobiliare americano e di quelli spagnolo e britannico e la brusca frenata dell’economia al di qua e al di là dell’Atlantico fanno prevedere da un canto che le gravi difficoltà del settore finanziario sono destinate ad ulteriormente aggravarsi e dall’altro ad accelerare i tempi di una crisi economica che non può più essere evitata.
Ora occorrerebbe porsi un obiettivo realistico: limitare i danni del collasso del sistema bancario e della grave crisi economica alle porte e creare le premesse per un rilancio della crescita. Sono necessari dunque misure draconiane nell’immediato e nel contempo capacità di prospettare un possibile futuro dopo questo sconquasso.
Agire sulle cause di questa crisi vuol dire regolare severamente i responsabili della situazione attuale, gli attori della nuova ingegneria finanziaria, che secondo lo stesso presidente Bush hanno trasformato il sistema finanziario in un casinò in base ai principi liberisti della deregulation e della capacità del mercato di autoregolarsi. Occorre inoltre riavviare politiche di investimenti infrastrutturali e di redistribuzione della ricchezza. E tutto ciò deve essere fatto tenendo conto che la geografia economica del pianeta è completamente cambiata. Insomma, occorre una nuova Bretton Woods che stabilisca le regole economiche, finanziarie e commerciali del mondo.

 

Fonte - Corriere del Ticino

 

 

 

 

 

 

Negli USA come in Giappone, tassi nominali negativi.

18 Settembre 2008 14:49 Milano - di John Christian Falkenberg
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Ieri sera i titoli di stato americani a brevissimo termine sono stati scambiati ad un tasso nominale negativo: il panico è tale che gli acquirenti sono letteralmente disposti a pagare , invece che esssere pagati, per prestare denaro al di fuori del sistema bancario.
Persino in Giappone, al picco della crisi bancaria, questo è accaduto soltanto in alcune rare occasioni - ed i tassi giapponesi erano in teoria a zero, non al 2 per cento come negli USA.
Peccato che il Tesoro americano si stia comportando, di fatto, come il garante per l’intero sistema. Il rifugio sicuro potrebbe non essere tanto sicuro.
 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

  Martedì 16 Settembre 2008   Mercoledì 17 Settembre 2008   Mercoledì 17 Settembre 2008  
       
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GR1 RAI - 15 SET ore 22:00

   

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Ecco la madre DI TUTTI I SALVATAGGI: IL PIANO DEL TESORO USA PER LE BANCHE

20 Settembre 2008 19:45 NEW YORK - di WSI
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Wall Street Italia pubblica il testo integrale della bozza relativa al piano preparato dal ministro del Tesoro degli Stati Uniti, Henry Paulson, per salvare il sistema bancario americano dal collasso. Il testo della legge sara' presentato al Congresso per l'approvazione con un voto d'urgenza entro la fine della prossima settimana. Per l'economia e la finanza degli Stati Uniti questa legge ha tutta l'aria di essere quel che fu il Patriot Act dopo gli attentati terrostici dell'11 settembre 2001. L'obiettivo dell'amministrazione Bush e' riacquistare i "debiti tossici", cioe' i mutui subprime e a rischio, sia residenziali che commerciali, in portafoglio alle banche Usa. Si tratta del piu' massiccio intervento statale da parte di Washington, con l'utilizzo di denaro dei contribuenti, dai tempi della Grande Depressione. Il debito degli Stati Uniti sale cosi' a $11,315,000,000,000.
Da notare che alla Sec. 10, Subsection (b) il testo parla di $1,315 trilioni, mentre gli Stati Uniti hanno un debito federale, al 18 settembre 2008, di 9,7 trilioni. L'aumento del debito e' quindi di 1,6 trilioni, e' questa la somma su cui il Tesoro Usa pensa di fare affidamento.
Leggere un estratto del piano in italiano cliccando qui.
LEGISLATIVE PROPOSAL FOR TREASURY AUTHORITY TO PURCHASE MORTGAGE-RELATED ASSETS
Section 1. Short Title.
This Act may be cited as ____________________.
Sec. 2. Purchases of Mortgage-Related Assets.
(a) Authority to Purchase.--The Secretary is authorized to purchase, and to make and fund commitments to purchase, on such terms and conditions as determined by the Secretary, mortgage-related assets from any financial institution having its headquarters in the United States.
(b) Necessary Actions.--The Secretary is authorized to take such actions as the Secretary deems necessary to carry out the authorities in this Act, including, without limitation:
(1) appointing such employees as may be required to carry out the authorities in this Act and defining their duties;
(2) entering into contracts, including contracts for services authorized by section 3109 of title 5, United States Code, without regard to any other provision of law regarding public contracts;
(3) designating financial institutions as financial agents of the Government, and they shall perform all such reasonable duties related to this Act as financial agents of the Government as may be required of them;
(4) establishing vehicles that are authorized, subject to supervision by the Secretary, to purchase mortgage-related assets and issue obligations; and
(5) issuing such regulations and other guidance as may be necessary or appropriate to define terms or carry out the authorities of this Act.
Sec. 3. Considerations.
In exercising the authorities granted in this Act, the Secretary shall take into consideration means for--
(1) providing stability or preventing disruption to the financial markets or banking system; and
(2) protecting the taxpayer.
Sec. 4. Reports to Congress.
Within three months of the first exercise of the authority granted in section 2(a), and semiannually thereafter, the Secretary shall report to the Committees on the Budget, Financial Services, and Ways and Means of the House of Representatives and the Committees on the Budget, Finance, and Banking, Housing, and Urban Affairs of the Senate with respect to the authorities exercised under this Act and the considerations required by section 3.
Sec. 5. Rights; Management; Sale of Mortgage-Related Assets.
(a) Exercise of Rights.--The Secretary may, at any time, exercise any rights received in connection with mortgage-related assets purchased under this Act.
(b) Management of Mortgage-Related Assets.--The Secretary shall have authority to manage mortgage-related assets purchased under this Act, including revenues and portfolio risks therefrom.
(c) Sale of Mortgage-Related Assets.--The Secretary may, at any time, upon terms and conditions and at prices determined by the Secretary, sell, or enter into securities loans, repurchase transactions or other financial transactions in regard to, any mortgage-related asset purchased under this Act.
(d) Application of Sunset to Mortgage-Related Assets.--The authority of the Secretary to hold any mortgage-related asset purchased under this Act before the termination date in section 9, or to purchase or fund the purchase of a mortgage-related asset under a commitment entered into before the termination date in section 9, is not subject to the provisions of section 9.
Sec. 6. Maximum Amount of Authorized Purchases.
The Secretary’s authority to purchase mortgage-related assets under this Act shall be limited to $700,000,000,000 outstanding at any one time
Sec. 7. Funding.
For the purpose of the authorities granted in this Act, and for the costs of administering those authorities, the Secretary may use the proceeds of the sale of any securities issued under chapter 31 of title 31, United States Code, and the purposes for which securities may be issued under chapter 31 of title 31, United States Code, are extended to include actions authorized by this Act, including the payment of administrative expenses. Any funds expended for actions authorized by this Act, including the payment of administrative expenses, shall be deemed appropriated at the time of such expenditure.
Sec. 8. Review.
Decisions by the Secretary pursuant to the authority of this Act are non-reviewable and committed to agency discretion, and may not be reviewed by any court of law or any administrative agency (il neretto e' di WSI).
Sec. 9. Termination of Authority.
The authorities under this Act, with the exception of authorities granted in sections 2(b)(5), 5 and 7, shall terminate two years from the date of enactment of this Act.
Sec. 10. Increase in Statutory Limit on the Public Debt.
Subsection (b) of section 3101 of title 31, United States Code, is amended by striking out the dollar limitation contained in such subsection and inserting in lieu thereof $11,315,000,000,000.
Sec. 11. Credit Reform.
The costs of purchases of mortgage-related assets made under section 2(a) of this Act shall be determined as provided under the Federal Credit Reform Act of 1990, as applicable.
Sec. 12. Definitions.
For purposes of this section, the following definitions shall apply:
(1) Mortgage-Related Assets.--The term "mortgage-related assets" means residential or commercial mortgages and any securities, obligations, or other instruments that are based on or related to such mortgages, that in each case was originated or issued on or before September 17, 2008.
(2) Secretary.--The term "Secretary" means the Secretary of the Treasury.
(3) United States.--The term "United States" means the States, territories, and possessions of the United States and the District of Columbia.
 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

 

Goldman Sachs e Morgan Stanley cambiano pelle. Basterà?

22 Settembre 2008 - di Macromonitor
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La Wall Street che ha plasmato per due decenni il mondo finanziario è finita ieri sera, quando Goldman Sachs e Morgan Stanley sono giunte alla conclusione che non c’è futuro a rimanere banche d’investimento, ora che gli investitori hanno sentenziato che quel modello non funziona più. L’approvazione da parte della Federal Reserve della loro richiesta a diventare banche pone fine alla stirpe delle banche d’investimento, 75 anni dopo che il Congresso le ha separate dai prestatori autorizzati alla raccolta tramite deposito, e pone fine al caos che ha portato Lehman Brothers al fallimento ed alla vendita d’emergenza di Merrill Lynch a Bank of America.
Goldman, dalle cui fila proviene l’attuale Segretario al Tesoro, Henry Paulson, e Morgan Stanley, un prodotto del Glass-Steagall Act del 1933 che ha separato banche d’investimento e commerciali, avevano insistito di non aver bisogno di cambiare rotta, malgrado il crollo delle rispettive azioni ed il forte aumento dei loro costi di credito, la scorsa settimana. Ma non c’è stato nulla da fare, con il Dow Jones che ha perso mille punti in due giorni ed i clienti che in numero crescente hanno deciso di ritirare i propri fondi dalle due istituzioni. La Fed ha accettato all’unanimità la richiesta.
Per le due banche (che d’ora in poi saranno regolate dalla Fed) si apre quindi la strada per la costruzione di una propria base di depositi, potenzialmente attraverso acquisizioni, e ridurrà (anche per obbligo della vigilanza) l’enorme leva finanziaria che ha portato al crollo di Bear Stearns e Lehman. Dall’inizio della crisi, lo scorso anno, Morgan Stanley ha effettuato svalutazioni per complessivi 15,7 miliardi di dollari su cartolarizzazioni di mutui ed altri titoli, mentre il conteggio di Goldman è attualmente fermo a 4,9 miliardi. Anche se entrambe le compagnie hanno continuato a restare profittevoli, evitando le perdite trimestrali che hanno invece colpito Lehman e Merrill, i loro ricavi da commissioni e trading sono diminuiti nel corso dell’anno.
La trasformazione in banche commerciali significa che Morgan Stanley tenterà di restare un’entità stand-alone, divenendo una holding, ed i colloqui per una fusione con Wachovia verranno per il momento congelati. Alla fine di agosto le sussidiarie di Morgan Stanley possedevano già 36 miliardi di dollari in depositi e tre milioni di conti retail. Goldman Sachs diverrà la quarta più grande holding bancaria degli Stati Uniti. La compagnia possiede già oltre 20 miliardi di dollaridi depositi dalla clientela in capo a due sussidiarie e ne creerà una terza, GS Bank USA, che avrà oltre 150 miliardi di dollari di assets, facendone una delle dieci più grandi banche del paese, e punterà ad ampliare la propria base di depositi attraverso crescita organica ed acquisizioni.
La Federal Reserve è il regolatore primario delle holding bancarie, cioè di società che controllano banche. Cirigroup, Bank of AMerica e JPMorgan sono holding bancarie regolate dalla Fed. Le securities firms, per contro, sono regolate dalla Securities and Exchange Commission (SEC), il cui ruolo futuro ora diviene più incerto.
La trasformazione delle due banche d’investimento in banche commerciali porterà anche ad una riduzione della propensione al rischio e verosimilmente a retribuzioni più basse per i loro dipendenti.
 

 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

Petrolio in altalena. Ma chi spinge?

23 Settembre 2008 - di Marco Caprotti
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Sono tempi strani per il petrolio e per i titoli delle aziende che si occupano di oro nero. Il barile nell’ultimo anno sembra divertirsi a stare su un’altalena. A settembre 2007 il prezzo della qualità West Texas (Wti) è stato, mediamente, di 79,69 dollari. Il 3 luglio scorso ha toccato il record storico di 147 dollari. Nell’ultima settimana è precipitato sotto i 100 dollari per poi schizzare, nel giro di una seduta, sopra i 120.

In mezzo a questa girandola, l’indice Msci che raccoglie i titoli del settore nell’ultimo mese (fino al 23 settembre e calcolato in euro) ha perso quasi il 5% portando a -15,1% la performance da inizio anno. “Tutta colpa dell’incertezza che regna sul mercato dell’oro nero e alla quale ha contribuito anche il cartello dei Paesi esportatori (Opec)”, spiega una nota della società di consulenza Oxford Analytica (OA).

Ma andiamo con ordine, analizzando quello che è successo negli ultimi tre mesi. Ci sono diversi fattori che spiegano il record segnato dal petrolio a luglio. Il mercato dei future ha avuto la percezione che nel cosiddetto wet barrel market (dove i barili vengono fisicamente comprati e venduti) ci sarebbe stato un improvviso calo di prodotto. La debolezza del dollaro ha contribuito ad alimentare le paure, visto che la discesa del biglietto verde di solito porta ad una salita del prezzo del petrolio. I gestori, quindi, alla ricerca di un porto dove mettere al riparo i loro investimenti li hanno buttati a piene mani nelle commodity per evitare i poveri rendimenti offerti dai bond governativi e il pessimo andamento delle azioni. “Il tutto condito con movimenti speculativi così pesanti da spingere le autorità di controllo a chiedere regole più severe, soprattutto sul mercato dei future”, dice lo studio.

Dopo il picco di inizio luglio il prezzo del barile ha iniziato a scendere rapidamente. Anche in questo caso ci sono diverse spiegazioni al fenomeno. Prima fra tutte il realizzare che il tanto temuto calo delle scorte non era poi così immediato. Molti analisti, inoltre, hanno iniziato a parlare della possibilità di un eccesso di produzione entro la fine dell’anno.

A questo punto entra in gioco l’Opec. Nella riunione tenuta a Vienna il 9 settembre il cartello ha annunciato che i Paesi membri si sarebbero attenuti “rigorosamente” alle quote di produzione a loro assegnate. E qui inizia la confusione. Secondo il presidente dell’organizzazione Chakib Khelil questo significa un taglio complessivo di 520mila barili al giorno. Ma l’Arabia Saudita, da sola, produce 700mila barili al giorno oltre la quota a lei assegnata. Il maggior produttore del cartello, quindi si trova fra l’incudine degli altri membri e le pressanti richieste Usa di non tagliare.

E se è chiaro che l’Opec impedirà ai prezzi del petrolio di calare troppo mentre l’Arabia cercherà di non indispettire i suoi potenti alleati occidentali, più difficile è capire quali sono gli obiettivi di altri componenti del trust. L’ala dura, capitanata da Iran e Venezuela, per esempio, spingerà per far infiammare ancora di più il barile. “Se non altro per togliersi il gusto di fare un dispetto agli Stati Uniti”, spiega il report di OA.

Più morbida la posizione di Angola ed Ecuador, una cui eventuale extra-produzione potrebbe compensare un calo di estrazione da parte dei falchi antioccidentali. “Se questo scenario dovesse avverarsi il prezzo del petrolio potrebbe assestarsi intorno a 100 dollari nei prossimi mesi dando anche un po’ di respiro alla congiuntura Usa e a quella europea”, dice il report “In caso di crisi internazionali improvvise, tuttavia, dovremmo fare i conti con un nuovo aumento della volatilità”.

Fonte - MorningStar.it

 

 

 

 

 

 

  Se fallisce il salvataggio rischia anche l'Europa

24 Settembre 2008 22:30 MILANO - di Mario Seminerio

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L’Amministrazione Bush ha formalmente proposto al Congresso quello che potrebbe diventare il maggiore salvataggio finanziario della storia degli Stati Uniti, con una sintetica richiesta (contenuta in poco meno di tre pagine) di autorizzazione per il Tesoro ad acquistare fino a 700 miliardi di dollari di attivi collateralizzati, non solo da mutui.
Per dare un’idea dell’ordine di grandezza dell’intervento basti pensare che 700 miliardi di dollari è l’importo finora speso in costi diretti per la guerra in Iraq, ed eccede la dotazione finanziaria annua del Pentagono. Il piano dà mani libere al Tesoro sull’operatività del fondo, con il solo obbligo di mantenersi in ogni momento entro il limite di spesa di 700 miliardi (quindi al netto delle rivendite di titoli), e di informare ogni sei mesi il Congresso su tale operatività.
Ora inizia un negoziato che non si preannuncia facile perché i Democratici, che controllano il Congresso, hanno già chiesto di trasformare il provvedimento in una sorta di pacchetto-omnibus, inserendovi anche misure a sostegno delle famiglie che rischiano di perdere la propria abitazione e misure a sostegno dei disoccupati. Restano soprattutto interrogativi a cui occorrerà dare una risposta, ad esempio in termini di procedura di acquisto delle cartolarizzazioni. Mai come in questa circostanza il diavolo si nasconde nei particolari.
Ad esempio, a quale prezzo dovrebbero essere effettuati gli acquisti? Se a valore di libro, assisteremmo ad un imponente trasferimento di risorse fiscali dai contribuenti agli azionisti delle banche, che resterebbero in sella. Difficile pensare che il Congresso possa autorizzare una simile mossa, che sarebbe un premio al moral hazard, passato e futuro. Resta quindi l’incognita del pricing di titoli privi di prezzo di mercato, che il piano Paulson intende acquistare ad un non meglio specificato "fair market price".
Tecnicamente, si potrebbe ipotizzare un sistema di reverse auction, cioè di asta al contrario, dove è il compratore a fissare la base d’asta, ed i venditori competono con rilanci al ribasso. Ma se i venditori rifiutassero prezzi "equi" ma fortemente sacrificati rispetto al valore di libro, tali da scontare l’ulteriore deterioramento atteso nel mercato immobiliare, il salvataggio fallirebbe.
Nell’ipotesi opposta, lo smobilizzo di titoli con minusvalenze più o meno pesanti finirebbe col depauperare la base di capitale delle banche, richiedendo forti ricapitalizzazioni. Da parte di chi? Dello stesso Tesoro, o dei mercati. In quest’ultimo caso a carissimo prezzo e con diluizione degli azionisti preesistenti, verosimilmente per opera di investitori stranieri molto liquidi come i fondi sovrani.
Come che sia, si tratta di uno scenario molto diverso da quello del salvataggio del sistema bancario attuato a inizio anni Novanta dalla Svezia, e basato sulla nazionalizzazione degli istituti in crisi, con azzeramento degli azionisti privati. In tal modo, l’esborso netto per i contribuenti è stato mitigato dalla ripresa di redditività delle banche salvate. E’ francamente difficile immaginare che gli Stati Uniti possano seguire il modello svedese.
Anche per questo motivo, a nostro giudizio esistono non poche probabilità che il salvataggio fallisca, poiché l’Amministrazione si troverà esposta ad un’intensa azione di lobbying da parte degli azionisti delle banche, che non intendono accettare di vedere diluito o spazzato via il proprio capitale nel tentativo di ridurre la leva finanziaria del settore finanziario, il problema che occorre risolvere con priorità assoluta.

Ma vi sono altri aspetti del bailout che hanno potenziali conseguenze di vasta portata. Ad esempio, è previsto che il Tesoro possa acquistare cartolarizzazioni da istituzioni finanziarie che abbiano "significative operazioni negli Stati Uniti", a meno che il Segretario al Tesoro giunga alla determinazione, di concerto col presidente della Federal Reserve, che la stabilizzazione dei mercati richieda di estendere l’eleggibilità dei titoli riacquistabili.
Ciò sembra preludere all’acquisto di attivi da banche quali ad esempio la svizzera UBS, che hanno una enorme esposizione in obbligazioni mortgage-backed e cartolarizzazioni. Ma l’Europa viene coinvolta anche per altri aspetti. Come segnalato da Daniel Gros e Stefano Micossi su Voxeu, dall’ultimo bilancio di AIG, salvata nei giorni scorsi dal Tesoro statunitense, si rileva che la compagnia assicurativa aveva venduto protezione creditizia a banche europee per circa 300 miliardi di dollari.
Per esplicita ammissione di AIG, queste coperture assicurative servivano agli europei per comprimere il fabbisogno di capitale di vigilanza, e non per mitigare il rischio dei propri trading books. Un vero e proprio occultamento della reale esposizione al rischio, che ha consentito alle banche europee di aumentare a dismisura la propria leva finanziaria. Oggi le prime dieci banche europee hanno una leva finanziaria complessiva (definita come rapporto tra capitale azionario e attivi totali) pari a 35, contro un valore di circa 20 per le maggiori banche statunitensi.
Eppure, il leverage delle banche europee ai fini della vigilanza è pari solo a 10. Parte della differenza sembra spiegabile proprio con il "camuffamento" attuato acquistando protezione tramite i credit default swap. Il fallimento di AIG avrebbe quindi provocato un terremoto forse ancor più devastante in Europa, e anche questo spiega l’esigenza di salvare la compagnia. Malgrado ciò, se l’assicurazione statunitense andrà in graduale liquidazione le banche europee dovranno ricapitalizzarsi e/o ridurre il leverage, con elevato rischio di riprodurre quanto sta oggi accadendo negli Stati Uniti.
Per quanti pensano che i problemi possano essere risolti anche da noi attraverso un’ondata di nazionalizzazioni di banche, alcune cifre su cui riflettere: le passività totali di Deutsche Bank (che ha una leva totale, come definita sopra, superiore a 50) ammontano a circa 2000 miliardi di euro, oltre l’80 per cento del pil tedesco. Le passività totali di Barclays (leverage superiore a 60) sono pari a 1300 miliardi di sterline, più del pil del Regno Unito. Le banche europee, più che troppo grandi per fallire, sembrano soprattutto troppo grandi per essere salvate. Una eccellente ragione, per gli europei, per fare il tifo per la riuscita del salvataggio americano.

La vittima più illustre della crisi resta la Federal Reserve, che ha agito in modo intelligente e creativo per impedire l’implosione del sistema, ma così facendo si è progressivamente caricata di attivi di dubbio valore, che hanno preso il posto del portafoglio di titoli del Tesoro. La Fed si è immolata, ed ha dovuto chiedere al Tesoro una linea di credito straordinaria da 100 miliardi di dollari che di fatto segna la fine della sua indipendenza.
Ora vi sono non poche probabilità che il deficit aggiuntivo creato dal Tesoro possa essere in parte monetizzato dalla Fed. E questo ci porta all’ennesima criticità: il finanziamento del salvataggio. Il governo degli Stati Uniti sembra essere fiducioso che i suoi creditori esteri continueranno ad assorbire un deficit aggiuntivo di almeno 1000 miliardi di dollari. Gli ultimi dati sugli acquisti esteri netti di attività finanziarie statunitensi mostrano che i privati stanno in realtà disinvestendo e rimpatriando i propri fondi, lasciando la sottoscrizione dei titoli di stato esclusivamente al canale istituzionale di governi e banche centrali estere.
E qui si pone la grande criticità: gli Stati Uniti non sono il Giappone, non dispongono cioè di un eccesso di risparmio domestico per finanziare il salvataggio. Ciò significa il concreto rischio che le principali istituzioni finanziarie americane, quelle che hanno fatto la storia del capitalismo finanziario, possano divenire di proprietà cinese. Se la banca centrale cinese continuerà ad essere il principale finanziatore degli eccessi americani, ciò significherà che a Pechino hanno scoperto come dominare gli Stati Uniti in un modo che mai potrebbe essere raggiunto per via militare. Ma se prevalessero considerazioni economiche, il rischio di un crollo del dollaro diverrebbe attuale, con tutte le conseguenze che si possono facilmente immaginare.
Tutta questa vicenda appare soprattutto il contrappasso finale della presidenza Bush, e della sua bandiera ideologica fatta di tagli alle tasse. Che appaiono un fondale di cartapesta di fronte al lievitare del deficit pubblico che ha caratterizzato gli ultimi otto anni. Il conservatorismo fiscale è altra cosa.

 

Fonte - Libero Mercato

 

 

 

 

 

 

 

FED: STA RASCHIANDO IL FONDO DEL BARILE

24 Settembre 2008 13:09 SIENA - di WSI
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Tassi di interesse: in area Euro i tassi di mercato sono tornati a scendere sulla scia del calo dei listini azionari a causa dell’incertezza legata al piano di salvataggio Usa. Il calo ha interessato soprattutto il tratto a breve termine della curva portando il differenziale 2-10 a 33 pb da 23.
Sul fronte macro, i dati preliminari di settembre dei Pmi servizi e manifatturiero per l’intera area sono risultati peggiori delle attese, mantenendosi sotto i 50 punti. Analogamente i dati tedeschi hanno registrato dati sotto i 50 mostrando come anche la prima economia dell’area stia subendo il rallentamento globale. La Bce continua a fornire liquidità. Ieri sono stati collocati 25 Mld$ a 28 giorni a fronte di una richiesta di 110,1 Mld$ e 40 Mld$ a un giorno contro una richiesta di 77,6 Mld$.
Negli Usa i tassi di mercato sono calati sulla scia della fredda accoglienza riservata dal Senato al piano da 700Mld$. Bernanke ha detto esplicitamente che un ritardo nell’applicazione del piano porterà ad un aumento della disoccupazione, un maggior numero di pignoramenti ed una contrazione dell’intera economia. Con riferimento ai prezzi degli asset, il governatore ha suggerito che la vendita avvenga secondo il criterio "Hold to maturity" anziché l’attuale prezzo corrente di "fire sale", più basso del precedente.
Ciò consentirebbe alle banche di aggiornare i valori di portafoglio degli asset su livelli più elevati. Il Senato non è che rifiuti del tutto il piano, ma ritiene che alcune modifiche siano necessarie poiché attualmente la libertà di manovra assegnata al Tesoro è troppo estesa. In primo luogo propone un limite agli stipendi dei top manager delle banche, ma Bernanke e Paulson si oppongono. In secondo luogo molti senatori chiedono che lo Stato possa entrare nel capitale delle banche che partecipano al piano, per compensare i contribuenti della loro assistenza.
Ma anche qui Bernanke e Paulson non sono d’accordo poiché ritengono che le banche non accetteranno a queste condizioni. I democratici richiedono inoltre anche un supporto per sostenere e rinviare i pignoramenti delle famiglie, mentre i repubblicani si oppongono. In queste condizioni è aumentata così l’incertezza circa la possibilità di un ritardo nell’applicazione del piano in attesa delle future contrattazioni, e così i mercati azionari Usa hanno chiuso in ribasso. Oggi è atteso il secondo intervento presso il comitato economico del Congresso.
Questa mattina la Fed ha annunciato un accordo di currency swap per 30Mld$ con le banche centrali di Svezia, Norvegia, Australia e Danimarca, per aumentare la liquidità nel sistema. Segnaliamo il prossimo aumento di capitale da parte di Goldman Sachs per almeno 7,5Mld$ grazie alla partecipazione del magnate W. Buffett e ad un’offerta pubblica. Buffett tramite Berkshire acquisterà 5Mld$ di azioni privilegiate perpetue.
Valute: ieri il Dollaro si è deprezzato vs Euro raggiungendo i minimi da circa 1 mese sulla scia della fredda accoglienza del senato Usa al piano del Tesoro. Successivamente si è assistito ad un recupero del Dollaro che per oggi trova i livelli di resistenza a 1,4870 ed 1,49. Il supporto si colloca a 1,4570.
Attenzione rivolta ai dati macro del settore immobiliare del pomeriggio ed al secondo intervento di Bernanke al Congresso. Nel corso della mattinata l’indice Ifo potrebbe essere il principale mover di mercato. Ieri si è assistito ad un deprezzamento dello Yen vs Euro sulla scia del movimento dell’Euro/Dollaro, con successivo recupero della valuta nipponica. Confermiamo il livello di resistenza più vicino in prossimità di 156,85. Il supporto per oggi si trova a 153,75 circa.
Materie Prime: il greggio Wti ieri ha chiuso in ribasso sulla scia del possibile ritardo nell’applicazione del piano del governo per la creazione del trust speciale. In sofferenza anche i metalli preziosi con l’oro che è ritornato sotto i 900$/oncia. Male anche i metalli industriali con rame (-3,8%) e zinco (-3,8%) in evidenza. Tra gli agricoli in controtendenza il grano (+1,7%) su possibili cali del raccolto in seguito al forte aumento del costo dei fertilizzanti. Migliore commodity dell’indice GSCI è stato il gas naturale (+3,6%) grazie al ritardo nella ripresa della produzione nel Golfo del Messico.
 
 

Fonte - MPS Capital Services

 

 

 

 

AMERICANI CONTRO IL SALVATAGGIO. E NELLA CRISI PREFERISCONO OBAMA

24 Settembre 2008 16:15 NEW YORK - di ANSA
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Nell'ultimo sondaggio, gli americani si oppongono al piano di salvataggio delle banche con un largo margine e danno la colpa della crisi a Wall Street e al Presidente George W. Bush.
Con un margine di 55% contro 31% - scrive Bloomberg che riporta i riusultati dell'ultimo sondaggio Bloomberg/Los Angeles Times - gli americani dicono che non e' responsabilita' del governo salvare societa' private con il soldi dei contribuenti, anche se il loro collasso potrebbe provocare danni all'economia Usa.
Nel sondaggio gli intervistati sostengono che il candidato presidenziale dei democratici Barack Obama farebbe un "lavoro migliore" nel gestire la crisi finanziaria rispetto al repubblicano John McCain, con un margine del 45% al 33%. Circa la meta' degli elettori registrati sostengono che i Democratici hanno idee migliori per rafforzare l'economia rispetto al partito attualmente alla Casa Bianca.
Sei settimane prima delle elezioni presidenziali del 4 novembre - scrive Bloomberg - circa l'80% degli americani dice che gli Stati Uniti stanno andando nella direzione sbagliata, la piu' forte percentuale negativa da quando il sondaggio Bloomberg/Los Angeles Times ha cominciato a porre questa specifica domanda nel 1991.
 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

VALUTE: HANNO DECISO DI MOLLARE IL DOLLARO

24 Settembre 2008 14:23 MODENA - di Giovanni Zibordi
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Leggo che alcuni che pensano che il dollaro vada comprato perchè tutti sono negativi ora ed è troppo ovvio che debba cedere per cui sul mercato le cose troppo ovvie non si verificano.
Il problema è che chi è veramente negativo sul dollaro ora sono le autorità americane e in quel caso non c'è niente da fare. Nelle pieghe della mega proposta di salvataggio di Paulson-Benanke c'è una piccola nota: le riserve americane in valuta del "Fondo di Stabilizzazione del Cambio", Exchange Stabilisation Fund verrano usate per pagare un programma di assicurazione dei fondi monetari!
Hanno deciso di spendere le riserve in valuta che dagli anni '30 gli USA tengono in questo "Fondo di Stabilizzazione del Cambio" per assicurare i fondi monetari (ultimamente, invece di restituirti sempre almeno il capitale, hanno mostrato perdite dovute al fatto che anche lì erano finiti bonds tipo quelli di Lehman).
Questa è la campana a morte per il dollaro, hanno deciso di abbandonarlo al suo destino, non si preoccupano nemmeno più di tenere riserve in valuta per difenderlo in caso di bisogno come fanno tutti i paesi.
Per il dollaro il problema è solo se la reazione sarà immediata e violenta o più dilazionata grazie agli sforzi delle banche centrali asiatiche e mediorientali che ne hanno in tasca un 3mila miliardi. Se arabi e cinesi cercano di frenarne la caduta può darsi che scenda a zig-zag, specialmente se in Europa si aprono falle che scoraggino un attimo dal buttarsi sull'euro. Ma è solo questione del come ci si arriva; non del dove. Il dollaro deve perdere almeno un -20% da questo livello, come del resto indicano Pimco e Bridgewater e Foreign Exchange Concepts.
 

Fonte - Cobraf.com

 

 

 

 

'L'ECONOMIA AMERICANA E' IN PERICOLO', BUSH CONVOCA UN SUMMIT STRAORDINARIO ALLA CASA BIANCA

25 Settembre 2008 04:21 NEW YORK - di ANSA
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Il presidente George W. Bush ha inviato i candidati John McCain e Barack Obama e i leader del Congresso alla Casa Bianca oggi, per discutere il piano salva-finanza. Un evento senza precdenti nella storia degli Stati Uniti.
Per sottolineare la drammaticita' della crisi finanziaria in atto, Bush ieri notte ha parlato in diretta Tv alla nazione, chiedendo al Congresso "azioni immediate" per evitare che gli Stati Uniti cedano "al panico", vista l'entità della crisi finanziaria e visto che "l'economia degli Stati Uniti e' in pericolo".
In una drammatica allocuzione televisiva di 15 minuti, con il viso particolarmente teso, il presidente degli Stati Uniti ha esortato il Congresso ad approvare quanto prima il piano di salvataggio preparato dal ministro del Tesoro Usa Henry Paulson per arginare la crisi del mutui che sta minando l'economia Usa.
"Se il piano non verra' approvato - ha detto Bush - molte banche falliranno, il mercato azionario scendera' ancora di piu', milioni di americani perderanno il posto di lavoro, il prezzo della case continuera' a scendere, aumenteranno pignoramenti immobiliari e bancarotte aziendali, saranno spazzati via i risparmi per le pensioni, e andremo incontro a una lunga e dolorosa recessione". Secondo l'inquilino della Casa Bianca - la cui popolarita' nei sondaggi e' ai minimi assoluti, per un presidente, da molti decenni - il piano servirà a "salvare l'intera economia non individui o singole società".
Nel suo discorso Bush ha confermato che i due candidati alla sua successione, il repubblicano John McCain e il democratico Barack Obama, saranno oggi alla Casa Bianca per parlare della crisi, in un meeting straordinario a cui parteciperanno anche i membri del Congresso della Commissione Finanze congiunta di Camera e Senato.
L'intervento di Bush in 'prime time' televisivo ha chiuso una giornata lunga e drammatica, mentre un accordo in Congresso, dopo lunghe ore di tira e molla tra i deputati, appare ora più vicino essendo state superate una serie di difficoltà, tra cui quella di un tetto agli stipendi dei super manager.
Poche ore prima dell'intervento di Bush, il colpo di scena: McCain, convinto che il piano non sarebbe stato approvato, chiede di sospendere la campagna elettorale e di rinviare il primo dibattito TV con Obama, in calendario venerdi; sera. Obama rifiuta, ma i due pubblicano una dichiarazione congiunta con l'impegno a risolvere la crisi in maniera bipartisan. Il segretario al Tesoro Henri Paulson e il numero uno della Fed Ben Bernanke hanno esortato il Congresso a una rapida approvazione del progetto salva-finanza, così da ridare stabilità ai mercati, evitando "severe" conseguenze sull'economia.
Bernanke, davanti alla Camera, ha infatti spiegato che l'economia americana, nella seconda parte dell'anno crescerà ben al di sotto del proprio potenziale, anche perché il rallentamento dell'economia globale dovuto alla crisi frenerà le esportazioni Usa, che nei primi tre mesi avevano trainato la crescita.
"E' giunto il momento di lavorare insieme, Democratici e Repubblicani, in uno spirito di cooperazione per il bene del popolo americano": lo afferma una dichiarazione congiunta preparata dai loro stretti collaboratori e sottoposta all'approvazione di John McCain e Barack Obama, rispettivamente candidati alla Casa Bianca per il Partito Repubblicano e per quello Democratico.
Intanto i leader democratici del Congresso si dicono "ottimisti" sulla conclusione prossima di un accordo con l'amministrazione Bush sul piano salva-finanza. "Sono ottimista", ha affermato il senatore Chris Dodd, precisando che questo "é un momento triste e tragico per il nostro paese, ma merita una risposta. Siamo veramente vicini" a un accordo, "ma non è ancora fatta: non ci siamo ancora, ma ci stiamo arrivando". "Stiamo assumendo delle decisioni che avranno implicazioni per i prossimi decenni e questo richiede un'azione intelligente da parte del Congresso", ha aggiunto Dodd.
Fra le aggiunte al piano presentato dal segretario al Tesoro Henry Paulson volute dai democratici ci sarebbero la "supervisione" delle attività di acquisto di asset non liquidi, più "trasparenza", più "responsabilizzazione" del sistema finanziario e una necessaria limitazione degli stipendi dei super manager di Wall Street.

 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

 

  Venerdì 19 Settembre 2008   Martedì 23 Settembre 2008   Mercoledì 27 Settembre 2008  
       
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GR1 RAI - 22 SET ore 22:00

   

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GR1 RAI - 23 SET ore 22:00

   

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GR1 RAI - 25 SET ore 22:00

   

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LA BCE CONTINUA A INIETTARE LIQUIDITA'

25 Settembre 2008 12:29 SIENA - di MPS Capital Services
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Altri $40 miliardi. Almunia, commissario Ue agli affari economici e monetari, ha annunciato che la situazione europea è diversa da quella Usa e che quindi non c’è bisogno di un piano anti-crisi.
*Questo documento e' stato preparato da MPS Capital Services ed e' rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori e clientela professionale ai sensi dell'allegato n.3 al reg. n.16190 della Consob. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita' alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita' di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.
(WSI) – Tassi di interesse: in area Euro i tassi di mercato hanno continuato a scendere con il tasso decennale che si è portato sotto il 4,20% e lo spread 2-10 anni in rialzo oltre i 40 pb. Restano alte le tensioni sul monetario con l’Euribor tre mesi ancora sopra il 5%, mentre si restringe lo spread sul decennale Italia-Germania, sotto i 70 pb.
Sul fronte macro, le tensioni degli ultimi giorni hanno ridotto la fiducia delle imprese tedesche, con l’indice Ifo sceso al di sotto delle attese e con la componente prospettica ai minimi dal ’93. Analogamente la fiducia delle imprese francesi è scesa ai minimi da luglio 2003. I dati portano quindi a pensare ad un terzo trimestre ancora molto debole per l’economia dell’area ed in particolare per la Germania che potrebbe registrare un altro trimestre negativo.
Intanto Almunia, commissario Ue agli affari economici e monetari, ha annunciato che la situazione europea è diversa da quella Usa e che quindi non c’è bisogno di un piano anti-crisi. La Bce continua ad iniettare liquidità. In mattinata ha offerto rifinanziamento fino a 40 Mld$ ad un giorno. Sul decennale il supporto si colloca a 4,10%.
Negli Usa tassi di mercato decennali fermi intorno al 3,80%. Bernanke di fronte alla Commissione Economica congiunta ha evidenziato come la crisi dei mercati finanziari potrebbe impattare fortemente sull’economia Usa, aggiungendo che il pil nel secondo trimestre crescerà "fortemente" sotto il potenziale, mentre potrebbe migliorare con la normalizzazione dei mercati. Il capo della Fed ha ribadito la necessità del piano di salvataggio per sostenere il sistema finanziario ed evitare pesanti ripercussioni sulla crescita.
Bernanke ha aggiunto che malgrado i dati evidenzino una certa stabilizzazione delle vendite di case, i costruttori hanno ampie scorte di case invendute. Incerto l’outlook sui prezzi al consumo che potrebbero scendere nel 2008 e 2009, ma tutto dipenderà dall’andamento del prezzo del greggio. Toni analoghi sono stati quelli utilizzati da Bush che ha palesato il rischio di recessione.
Nel frattempo non si arrestano le tensioni sul comparto finanziario, in particolare con riferimento a Washington Mutual (prima cassa di risparmio Usa con depositi per circa 140Mld$) che ha chiuso in calo del 29%. S&P ha proceduto ieri a ridurne il rating a CCC sul timore che la vendita della banca possa contemplare solo alcune parti della stessa.
Negli ultimi giorni diversi potenziali compratori (tra cui Santander e JPMorgan) hanno ritirato il loro interesse ed al momento l’eventuale acquisto appare possibile solo da parte di fondi di private equity, secondo quanto riportato dal Wsj. La crisi sta coinvolgendo anche l’andamento della campagna elettorale con l’invito da parte di McCain di procedere ad una temporanea sospensione in vista del’approvazione del piano da parte del Congresso, invito che però Obama ha rifiutato. Il nervosismo tra gli operatori sull’esito della discussione del piano al congresso può ancora interessare i prossimi giorni. Nel frattempo il tasso decennale potrebbe continuare a stazionare nel range 3,60-3,80%.
Valute: Dollaro in deprezzamento questa mattina vs. Euro, sulla scia sempre dei timori collegati ai tempi di approvazione del piano presentato da Paulson in accordo con Bernanke. Gli operatori di fondo stanno prezzando attraverso il cross anche il rischio di un potenziale deterioramento dei conti pubblici Usa a causa dell’elevata onerosità del piano di salvataggio stesso, tenendo in conto i costi che già il Tesoro si è accollato dopo il piano di salvataggio delle agenzie sui mutui e probabilmente di quelli che dovrà ulteriormente accollarsi per sostenere direttamente i consumi. Ne emerge pertanto un peggioramento della percezione della qualità del debito Usa.
Non a caso l’aumento del costo della protezione sui T-note Usa decennali (passato da 18 a 29pb nel giro di poche settimane a fronte di una sostanziale invarianza nel caso dei Bund tedeschi) si è verificato in modo quasi parallelo rispetto alla ripresa del deprezzamento del Dollaro. Per oggi la resistenza si colloca a 1,4866. Yen sostanzialmente stabile in linea con l’andamento dei mercati azionari che hanno evidenziato perdite contenute negli Usa in attesa di notizie sul fronte approvazione del piano Usa.
Materie Prime: in forte aumento lo zucchero (+2,62%) dietro la speculazione di un aumento della domanda brasiliana per la produzione di etanolo. In rialzo anche i prezzi dei preziosi ed in particolare l’argento cresciuto del 2,01%. In lieve calo il prezzo del greggio malgrado i dati sulle scorte siano risultati peggiore delle attese. La peggiore performance dell’indice GSCI è stata registrata dal gas naturale (-3,18%) ed il grano (-2,70%).
 

Fonte - MPS Capital Services

 

 

 

ACCORDO FATTO A WASHINGTON SUL PIANO

25 Settembre 2008 19:02 NEW YORK - di WSI
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Il senatore Chris Dodd, democratico, responsabile della Commissione Finanze del Senato, ha annunciato l'OK di principio bipartisan al piano di salvataggio delle banche presentato dal Tesoro Usa. Stando ai primi rumors degli insider di Washington, il voto al Congresso e' previsto per domani o al massimo sabato. Lo scenario prevede che i dettagli tecnici del piano siano rivelati nelle prossime ore, ma l'accordo di principio raggiunto a Capitl Hill tra repubblicani e democratici presuppone un esito positivo della votazione.
Subito dopo, e' tornata la fiducia in borsa, Wall Street che era gia' al rialzo nell'attesa di un annuncio positivo, e' schizzata (S&P500 +2.7%), gli acquisti sono ripresi su tutti i comparti. Alle 19 circa ora italiana gli indici americani procedono tonici e vicini ai migliori livelli giornalieri (controlla la performance in tempo reale). Le voci sulla possibile approvazione del piano di salvataggio entro domani hanno permesso ai listini di liberarsi dalle debolezza iniziale generata sia dal deludente annuncio di General Electric (vedi sotto) che dai cattivi aggiornamenti giunti dal fronte macro.
Ieri il presidente degli Stati Uniti George W. Bush era intervenuto in diretta televisiva ieri sera per convincere il Congresso ad approvare il piano di salvataggio.
Politica e finanza Usa sono in queste ore interconnesse come mai prima, in un complicato e rischioso puzzle tra Casa Bianca, le due campagne elettorali di Barack Obama e John McCain, il Congresso. Subito dopo la chiusura di Wall Street, alle 22:00 ora italiana, si terra' a Washington l'incontro alla Casa Bianca tra Bush, Obama, McCain e una delegazione bipartisan del Congresso, sollecitato dal presidente.
Gli operatori non hanno dato particolare rilievo al forte aumento delle richieste di sussidio da parte dei disoccupati (ai massimi livelli di 7 anni) e al significativo calo degli ordini di beni durevoli, probabilmente a causa dell’evidente stato di rallentamento economico. Incassato senza ripercussioni anche il pessimo dato sul mercato immobiliare che ha evidenziato il peggior livello di vendite di case nuove degli ultimi 17 anni.
A livello socieatrio, brutte notizie dalla conglomerata industriale General Electric: la societa’ ha tagliato l’outlook sul terzo trimetre e sull’intero anno fiscale 2008 ed annullato l’annunciato piano di buy-back. Le stime sull’EPS del trimestre in corso sono state riviste al ribasso in un range di $0.43-0.48, il consensus degli analisti e’ pari a 52 centesimi. L’azione, pesante nel preborsa, e’ riuscita comunque a girare in positivo grazie al relativo buonumore generale che sta caratterizzando la seduta.
Tra gli altri titoli in buon progresso il colosso dell’abbigliamento sportivo Nike che ha riportato un calo del 10% dei profitti, comunque sufficiente a battere le attese del mercato; Research In Motion, la societa’ sviluppatrice della tecnologia Blackberry, diffondera’ i risultati trimestrali subito dopo la chiusura. Tra i finanziari, non riesce a conservare i guadagni Washington Mutual, scivolato in territorio negativo. Nel preborsa l’azioje era avanzata grazie ad un articolo del Wall Street Journal secondo cui il gruppo avrebbe contattato diversi potenziali acquirenti per l’operazione di takeover.
Sugli altri mercati, ha ripreso a viaggare in rialzo il petrolio: i futures con consegna novembre segnano un progresso di $2.12 a $107.85 al barile. Sul valutario, l’euro e’ poco variato rispetto al dollaro a quota 1.4608. Arretra l’oro a $873.60 l’oncia (-$21.40). In calo i Titoli di Stato Usa: il rendimento sul Treasury a 10 anni e’ salito al 3.8670%.

 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

CRISI: 200 ECONOMISTI USA BOCCIANO IL PIANO

26 Settembre 2008 17:07 NEW YORK - di ANSA
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di WSI - ANSA
Ecco il documento contro il progetto salva-Wall Street firmato da alcuni dei migliori accademici e professori di economia e finanza degli Stati Uniti. Critici divisi in due scuole di pensiero, sul salvataggio Paulson.
Una petizione contro il piano salva-finanza: a firmarla sono 200 accademici economisti convinti che il progetto all'esame del Congresso è troppo vago con effetti di lungo termine poco chiari. Inoltre "creerebbe degli incentivi perversi".
LEGGI LA PETIZIONE CON LA LISTA DI TUTTI I FIRMATARI
Organizzata da John Cochrane, professore dell'Università di Chicago, la petizione riflette soprattutto un malessere nei confronti dell'amministrazione Bush dovuto all'eccessiva pressione esercitata sul Congresso per un'approvazione rapida del piano. Al presidente americano e alla sua squadra, infatti, viene rimproverata la fretta e, di conseguenza, il fatto di non lasciare adeguato spazio e tempo a un dibattito costruttivo su un piano che già solleva perplessità.
I critici nei confronti del progetto Paulson si dividono principalmente in due aree: da una parte coloro che ritengono che i fondi pubblici andrebbero destinati a effettuare iniezioni di capitale direttamente nelle banche. Dall'altra parte figurano invece coloro che ritengono che i fondi dovrebbero essere utilizzati per acquistare i mutui individuali, aiutando così gli americani più direttamente.
Il piano Paulson - osservano alcuni economisti - si colloca quasi esattamente a metà strada, prevedendo l'acquisto dei debiti 'tossici' con possibili eventuali benefici sia per le banche sia per le famiglie. "Sono completamente in disaccordo sul fatto che il progetto debba essere approvato in settimana. La cosa importante è che dal Congresso esca un testo giusto", osserva Alan S. Blinder, professore della Princeton University.
"Vorrei sapere come prevedono che sia l'evoluzione, quale sia la fine della partita. Ci sono ancora molte domande senza risposta", spiega invece il premio Nobel Myron Scholes, sottolineando che il successo del piano è legato al tempo che il governo manterrà gli asset non liquidi e soprattutto a quanto li rivenderà. Secondo l'ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), Simon Jonhson, 700 miliardi di dollari potrebbero non essere abbastanza per risolvere i problemi dei mercati finanziari. "Può non essere la decisione decisiva - spiega Jonhson - se non si risolveranno le cause" della crisi.
Nella lista dei firmatari della petizione anti-piano di salvataggio, numerosi accademici italiani: Alberto Bisin, Michele Boldrini, Enrico Moretti, Andrea Moro, Fabrizio Perri, Adriano Rampini, Paola Sapienza, Pietro Veronesi, Luigi Zingales.
 

Fonte - ANSA

 

 

 

 

CRISI: COME E' CAMBIATO PANORAMA FINANZA USA / SCHEDA

26 Settembre 2008 22:43 NEW YORK - di WSI
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(ANSA) - NEW YORK, 26 set - La crisi che affligge gli Stati Uniti da ormai 13 mesi ha portato, dall'inizio del 2008 profondi cambiamenti nel panorama bancario e finanziario americano, fra salvataggi, fallimenti e acquisizioni. Ecco di seguito le maggiori trasformazioni: - COUNTRYWIDE FINANCIAL: Colosso del credito ipotecario, è il primo grande nome a soccombere alla crisi. L'11 gennaio 2008 Bank of America, per 2,5 miliardi di dollari, la compra. - BEAR STEARNS: La più piccola delle banche d'affari statunitensi resta vittima di una crisi di fiducia e, minacciata dalla mancanza di liquidità, è salvata in extremis da JPMorgan di concerto con la Fed. Per JPMorgan le condizioni di acquisto risultano decisamente favorevoli, grazie a 29 miliardi di dollari stanziati dalla banca centrale americana. - FANNIE MAE E FREDDIE MAC: Schiacciati dalle perdite vengono salvati in due tempi dalle autorità Il 13 luglio viene prima approvato un piano che prevede un aumento temporaneo della linea di credito del Tesoro e l'accesso agli strumenti di di finanziamento della Fed. Queste misure non si rivelano però sufficienti e il 7 settembre il Tesoro le nazionalizza, commissariandole. - LEHMAN BROTHERS: Una crisi di fiducia costringe Lehman Brothers a cercarsi un acquirente. Ma il no del Tesoro e della Fed a mettere in atto un'azione simile a quella condotta in marzo con Bear Stearns fa fuggire i potenziali investitori e la banca d'affari è costretta, il 15 settembre, a portare i libri in tribunale e dichiarare fallimento. Il gruppo viene smantellato e le attività americane e inglesi vengono acquistate da barclays, mentre quelle europee e dell'Asia-Pacifico finiscono nelle mani di Nomura. - MERRILL LYNCH: La prestigioso banca d'affari perde la propria indipendenza il 15 settembre, acquistata da Bank of America per 50 miliardi di dollari. - AIG: Il gigante americano dell'assicurazione è salvato il 16 settembre dalla Fed, che le accorda un prestito da 85 miliardi di dollari, ricevendo in cambio il 79,9% del capitale. - GOLDMAN SACHS-MORGAN STANLEY: Le uniche du banche d'affari sopravvissute come indipendenti alla crisi chiedono e ottengono, il 21 settembre, il cambio di status a banche commerciali. Un cambiamento che consente loro di accedere ai prestiti della finestra di tasso di sconto della Fed, ma che le sottopone a un controllo più stretto. Goldman Sachs ottiene un finanziamento da 5 miliardi di dollari dal miliardario Warren Buffet, e raccoglie ulteriori 5 miliardi tramite il collocamento di titoli. Morgan Stabnley annuncia di essere in trattative con la Mitsubishi-UFJ che potrebbe, tramite un aumento di capitale riservato, aumentare la propria quota. - WASHINGTON MUTUAL: La sesta banca americana e la prima cassa di risparmio del paese fallisce: la Fdci ne blocca l'attività e cede i depositi e altri asset a JPMorgan per 1,9 miliardi di dollari.(ANSA).

 

Fonte - ANSA

 

 

 

CRISI: CONTRO IL CAPITALISMO DA COWBOY

28 Settembre 2008 05:54 NEW YORK - di WSI
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WSI pubblica in esclusiva per l'Italia l'email di una deputata democratica al Congresso degli Stati Uniti, con tutti i contro-dettagli sul piano di salvataggio dalla cui approvazione, entro oggi, dipende la salvezza del sistema.
Thank you for contacting me about the unprecedented financial crisis in our country. Over 2,000 constituents have shared their views with me about the crisis and I certainly value yours.
As of today (Saturday evening September 27th) negotiations between House and Senate, Democrats and Republicans, as well as Treasury Secretary Paulson continue. As soon as the final bill is drafted, I will post it on my website with a summary, and I will of course let you know whether I vote for or against the final package.
Each of us is outraged about the circumstances that have brought our financial system to near collapse. In my view, the Administration has practiced "cowboy capitalism", saying the markets must be allowed to run free, but they instead let Wall Street run wild without accountability, without transparency and without enforcement or regulations to protect the American taxpayer.
The following describes what President Bush and Secretary Paulson presented to Congress on Monday, September 22nd.
o Requested Congress to approve a $700 billion bailout, with the Treasury Secretary empowered to set the rules for all transactions
o No safeguards, No transparency, No accountability, and No oversight. The President's plan was rejected.
As I see it, there are three elements we need to build into legislation
#1 Reinvest in troubled financial markets to stabilize our economy and insulate Main Street from Wall Street.
#2 Reimburse the taxpayer through ownership shares and asset recovery as the plan begins to work.
#3 Reform how business is done on Wall Street including the prohibition of golden parachutes.
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The following are elements which I'm hopeful the legislation will include:
o Ensure That Taxpayers Have an Equity Share in Any Profits
o Give taxpayers an ownership stake and profit sharing of participating companies.
o Put taxpayers first in line to recover assets if a participating company fails.
o Allow the government to purchase troubled assets from pension plans, local government, and small banks that serve low and middle-income families.
o Strong Independent Oversight and Transparency
o Establish four separate independent oversight entities or processes to protect the taxpayer including:
w Establishment of an independent bipartisan board to provide oversight, review and accountability of taxpayer funds.
w A Government Accountability Office presence at Treasury to oversee the program and conduct audits to ensure strong internal controls, and to prevent waste, fraud, and abuse.
w An independent Inspector General to monitor the Treasury Secretary's decisions.
w Have all transactions posted online for the public.
o Staging of Funds
o Funding for the rescue program should occur in stages (not all up front) and condition future payments on Congressional review.
o Limits on Golden Parachutes
o Restrict CEO and executive compensation for participating companies.
w No multi-million dollar golden parachutes
w Recover bonuses paid based on promised gains that later turned out to be false or inaccurate.
o Home Foreclosures
o Allow the government to change the terms of mortgages to help reduce the 2 million projected foreclosures in the next year.
o Protection of School District and City/County Investments
o Assist school districts, cities and counties who had investments in failed institutions.
As I continue my work representing you, I'm mindful of the profound responsibility I have to you and my solemn obligation to do my utmost to protect the taxpayer and help bring our country through the largest financial crisis in the history of the world.
I believe if we do nothing, our ability to obtain a home mortgage, a car loan, a loan for small businesses, or even a credit card will become highly difficult or impossible. Even more financial institutions could fail and millions could lose their savings, thousands of jobs could be lost, and large parts of our economy could cease to function. The repercussions would be far greater than the cost of a financial rescue program.
Let me know what you think. I value what my constituents say to me because I always benefit from your ideas.
 

Fonte - WallStreetItalia.com

 

 

 

 

L’era glaciale

30 Settembre 2008 13:29 - di Phastidio
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I tassi di mercato monetario in Europa sono balzati questa mattina al massimo storico, dopo che il Congresso degli Stati Uniti ha respinto il piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari, accrescendo i timori di ulteriori insolvenze bancarie. Il tasso interbancario in Euro, noto come Euribor, che le banche si addebitano reciprocamente, è salito per la scadenza a un mese al massimo di 5,05 per cento, secondo dati della Federazione Bancaria Europea. I tassi sugli impieghi a tre mesi in dollari hanno toccato, poco prima delle 11 ora di Londra, il 10 per cento, per poi fissarsi al 6,88 per cento, con un incremento di 4,31 punti percentuali rispetto a ieri.

I mercati monetari sono collassati, e l’attività di trading è praticamente evaporata. Le banche centrali sono l’unico fornitore di liquidità al mercato. La gelata del credito, che spinge le banche verso l’insolvenza, ha spinto i governi statunitense ed europei a salvare cinque banche negli ultimi due giorni, inclsa Dexia, il maggior prestatore agli enti locali, e Wachovia. I tassi di mercato monetario sono saliti anche dopo che ieri la Federal Reserve ha più che raddoppiato la dimensione della linea di credito swap in dollari a beneficio delle banche centrali estere, portandola a 620 miliardi di dollari. La carenza di liquidità è esacerbata dal tentativo delle banche di irrobustire il proprio stato patrimoniale prima della fine dell’anno, astenendosi dal prestare fuori dall’overnight.

Dexia ha ottenuto una iniezione pubblica di capitale per 6,4 miliardi di dollari, come informa un comunicato del premier belga Yves Leterme. Il timore (ma ora sarebbe forse più opportuno definirlo il terrore) delle controparti sta toccando nuovi picchi sui mercati monetari di tutto il pianeta. Ieri le banche hanno ottenuto 15,5 miliardi di euro dalla Bce al tasso overnight di emergenza del 5,25 per cento, mentre nelle ultime due settimane la Bank of Japan ha iniettato oltre 19 trilioni di yen (182 miliardi di dollari) nel sistema finanziario giapponese. Analoghe operazioni sono avvenute da parte degli istituiti di emissione australiano e scandinavi. Il Libor-OIS spread, la differenza tra il tasso a tre mesi sul dollaro e l’overnight indexed swap ha toccato i 233 punti-base, mostrando che la carenza di liquidità è a livelli record. Il TED spread, la differenza tra ciò il Tesoro degli Stati Uniti paga sui propri T-bills a tre mesi, e l’interbancario di pari scadenza era questa mattina a 331 punti-base, dopo aver toccato ieri per la prima volta i 350 punti-base.

 

Fonte - Macromonitor

 

 

 

 

 

  Sabato 27 Settembre 2008   Domenica 28 Settembre 2008   Martedì 30 Settembre 2008  
       
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GR1 RAI - 29 SET ore 22:00

   

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GR1 RAI - 29 SET P2 ore 22:00

   

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